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Autore: Sophie Hatter    22/09/2011    5 recensioni
È triste! È tutto un'illusione:
il futuro ci inganna da lontano,
non siamo più quel che ricordiamo,
nè osiamo pensare a ciò che siamo.

(Lord Byron)
*
Piccola raccolta di tre drabble Wolfstar, post-HP4.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'The Nights Are Cold - Wolfstar'
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Nota introduttiva: vabbé, lo studio mi sta facendo male. Ultimamente sono affetta da Wolfstarismo compulsivo, tant’è che ho deciso di raccogliere tutte le mie Remus/Sirius in una piccola serie, di cui ciò che seguirà è solo un altro breve capitolo.
Non so come giudicare quello che mi è uscito stavolta: in genere non amo le drabble. Sono prolissa di natura, preferisco ampliare, dettagliare, non lasciarmi condizionare da limiti di parole. In questo periodo però sono a corto di tempo, perciò, presa da questa malsana ispirazione, ho deciso di provarci: la prima e la seconda, stando al contatore di Word, sono di 100 parole precise, la terza di 102 (argh). Tutte dal punto di vista di Remus, ambientate nel post-Azkaban di Sirius, e tutte con una tematica, ripresa dalla flashfic che ho pubblicato poco tempo fa: i due piccioncini che dormono insieme. Come al solito, non sono stata né dolce né romantica. In queste drabble ci sono tutta l’amarezza, l’incertezza e la malinconia con cui ho sempre condito le mie storie su questo pairing. Magari un giorno scriverò qualcosa in cui potrò regalare loro un lieto fine, ma non è questo il momento (sigh).
A chi deciderà di avventurarsi, buona lettura.













Hai le mani fredde.
Me ne accorgo perché so che non è normale che tu mi tocchi così.
Gli amici, in genere, non vanno oltre qualche pacca sulla spalla o qualche abbraccio fraterno.
Anche la punta del tuo naso è gelida: la sento sfiorarmi la clavicola, mentre emetti strani rumori nel sonno.
I piedi, non ne parliamo: di’ la verità, hai fatto apposta ad incastrarli in mezzo alle mie gambe.
Mi stai semplicemente sfruttando come fonte di calore in questa lugubre notte d’inverno.
È solo per questo che ti sei avvinghiato a me in questo modo disperato, vero?

… vero?



*



La volta in cui sei rimasto con me più a lungo dopo il tramonto è stata proprio l’ultima volta che ti ho visto, prima di ritrovare la tua figura ammanettata e delirante sulla prima pagina del giornale.
Ti ho lasciato raccogliere le tue cose e fuggire senza replicare, perché ero troppo vigliacco per sforzarmi di trovare una soluzione ad una storia così assurda e piena di sospetti.

Ora non riesco a dormire. Sto aspettando, con ridicolo terrore, che di nuovo tu ti alzi e te ne vada, lasciando il ricordo di ciò che è successo dietro a una porta socchiusa.



*



Non mi piace sentirti avere incubi.
Fai un gran macello. Ti agiti, scalci, borbotti, trattieni il fiato, finché non arriva il momento in cui ti metti a urlare.
Non so se devo destarti, come calmarti, come affrontarti. Non ho idea di cosa si provi a dover dormire in cella per dodici anni, con la consapevolezza che un sogno pieno di cose spaventose sia molto meglio di ciò che troverai al risveglio.
Rimango immobile, le labbra strette e la vergogna che mi invade per ciò che sto pensando.

Se non avessi mai sospettato di me, mi avresti avuto al tuo fianco ogni notte.














Piccola noticina finale: il titolo di questa mini-raccolta è lo stesso di una canzone dei Camera Obscura.
   
 
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