5-Bacchette
magiche… ma anche
no!
James si godette davvero la cena di
quella sera: passò dalle
ginocchia di un compagno di squadra a quelle di un altro, accarezzato
dalle
femmine e stuzzicato amichevolmente dai maschi, e naturalmente servito
come una
regina. Solo Piton azzardò una battuta sul suo pigiama,
chiedendo al vicino di
posto (ma a voce abbastanza alta da farsi sentire anche dai Grifondoro)
se
quella fosse per caso la nuova divisa da Quidditch, e fu ricompensato
da un
piatto di minestra di cavoli che si librò a
mezz’aria per rovesciarsi sulla sua
testa; gli sforzi di Lumacorno per scoprire il colpevole furono
inutili, dato
che tutti i potenziali responsabili sembravano impegnati ad ammirare il
coniglietto che saltellava indisturbato sulla maglia del Malandrino.
Quando tutti ebbero finito il dolce,
Sirius si appropriò
nuovamente del suo migliore amico (a Peter parve di notare una punta di
gelosia
nel suo abbraccio) e lo trasportò in sala comune per fargli
finire i compiti.
Le esercitazioni pratiche erano ovviamente fuori discussione, ma il
tema di
Trasfigurazione per il giorno successivo non sembrava in grado di avere
effetti
potenzialmente letali e quindi il giovane mago –
temporaneamente degradato a piccola strega
– fu costretto a riempire
le solite due spanne di pergamena con qualche notizia sulle leggi di
Gamp,
anche se dopo un tentativo poco convinto di simulare una lussazione al
braccio
destro (peccato che quello che si era ferito fosse il sinistro,
come quella traditrice di Melanie non mancò di fargli
notare). Per sua fortuna la penna incantata da Vitious
accelerò la stesura
dell’elaborato, anche se gli altri Grifondoro ebbero da
ridire sul fatto che
James dettasse il testo ad alta voce disturbando tutti.
Verso le dieci e mezzo la testolina
scura cominciò a
ciondolare sulla pergamena, sfiorando pericolosamente il calamaio, e
perfino
l’inflessibile Remus giudicò che non fosse il caso
di insistere; Sirius si
incaricò dunque di prendere in braccio la piccola
principessa, troppo stanca
anche per protestare, e portarla al sicuro nel dormitorio, dove la
infilò sotto
le coperte e le sciolse le trecce con qualche carezza di troppo alle
guance
rosate. James non si lamentò, dato che si era addormentato a
metà scala con il
ditino in bocca e una chiazza d’inchiostro sul naso; Sirius
appuntò nella
memoria quella tenera scena, progettando di servirsene per un futuro
ricatto, e
tornò al piano di sotto dopo essersi concesso un ultimo
pizzicotto al delicato
visino dell’amico.
I Malandrini superstiti si
trattennero in sala comune per
un’altra ora, tra libri aperti e rotoli umidi; Sirius fu
l’ultimo a salire in
dormitorio ed ebbe la soddisfazione di sorprendere i due compagni di
stanza
intenti a fissare estasiati l’unico letto occupato, con Remus
che cercava di
darsi un tono smacchiando la mano di James e Peter che lisciava le
pieghe del
copriletto con la cura di una cameriera esperta. Il giovane Black prese
nota
anche di quello – altra materia di ricatto – e
approfittò della distrazione
degli amici per occupare il bagno a suo piacimento, sapendo che nessuno
dei due
avrebbe osato gridargli insulti o bussare fino a buttar giù
la porta, come avrebbero
fatto in altre circostanze: non potevano rischiare di svegliare la
bimba,
giusto?
Remus, tuttavia, non si astenne dal
comunicargli a gesti
quello che pensava di lui (usando termini che dovevano essere molto
volgari, a
giudicare dalla sua espressione) prima di scivolare a sua volta in
bagno,
muovendosi senza rumore come un gatto siamese particolarmente
aggraziato (Peter,
che in effetti somigliava più a un persiano, lo
imitò con discreto successo);
James continuò dunque a sonnecchiare indisturbato mentre i
suoi più cari amici
si mandavano elegantemente al diavolo a pochi passi dal suo letto, e da
quel
momento in poi la quiete innaturale del dormitorio fu scossa solo da
lenzuola
fruscianti e risate silenziose.
Era solo l’una di notte
quando James aprì gli occhi e si
trovò di fronte una cortina di oscurità. Abituato
com’era a stare sveglio fino
a tardi, si sentiva stranamente confuso dopo quel sonno anticipato; in
più
provava un’indefinibile sensazione di insicurezza, come se il
fatto di essere
così piccolo avesse ridestato le sue paure infantili di
ombre con le zanne e
mostri in agguato sotto il letto. Luce, mi serve luce,
pensò,
scivolando
fuori dalle coperte e ricordandosi un secondo più tardi che
la sua bacchetta
era stata requisita. Però c’era ancora quella di
Sirius... era sul comodino, a
poca distanza dalla sua mano, gli sarebbe bastato allungarsi e
prenderla. Non
c’era nemmeno bisogno di camminare sul pavimento gelido: il
suo comodino era a
metà strada e avrebbe senza dubbio retto il suo peso.
Convinto della bontà della
propria idea, James si arrampicò
sul piano del mobile, attento a non far cadere quello che
c’era sopra, e tese
il braccio più che poteva, cercando a tentoni il bastoncino
senza riuscire a trovarlo;
in compenso la sua manina incontrò qualcos’altro,
spingendolo pericolosamente
oltre il bordo. Il piccolo Potter scattò nel tentativo di
afferrarlo al volo
prima che cadesse, ma si spinse troppo in avanti e finì per
sbilanciarsi:
l’oggetto sgusciò dalle sue dita per infrangersi
sul pavimento e poco dopo lui
lo seguì, precipitando su un tappeto di inchiostro e
frammenti di vetro che si
conficcarono nel suo palmo come pugnali.
Poco dopo, una luce azzurrina
illuminò il dormitorio e il
viso assonnato di Sirius. «Sei caduto dal letto,
Ramoso?»
«Volevo solo un
po’di luce» confessò il ragazzo
umiliato. «
Ho cercato di prendere la bacchetta e... ho rotto il tuo calamaio,
scusa».
Se James avesse pensato di
impietosire Sirius con quel
racconto, avrebbe avuto una fiera delusione: invece di consolarlo, il
suo
migliore amico lo fissò dall’alto in basso con un
sogghigno. «Il grande Potter
ha paura del buio? Oh, ma che sorpresa! Chiamo la Gazzetta
del Profeta?»
«Sei proprio stupido,
Sir!» sbuffò James cercando di
alzarsi, ma non riuscì a trattenere un gemito quando altri
pezzi di vetro si
piantarono nel ginocchio e nel piedino scalzo. Sirius
abbassò la bacchetta per
vedere cosa avesse, e non appena illuminò la galassia di
schegge intorno al
corpo dell’amico cambiò bruscamente atteggiamento.
«Jamie, perché non mi hai
detto che ti sei fatto male?» bisbigliò,
sollevandolo con cautela e posandoselo
in grembo. Corrugò la fronte quando gli vide le mani,
ridotte a un reticolo di
tagli, e si occupò subito di rimuovere i frammenti rimasti
nella carne,
ignorando i sussulti e i contorcimenti del paziente.
Con tutto il fracasso che aveva
creato, la piccola avventura
non poteva certo passare inosservata, e ben presto altri due Lumos
moltiplicarono l’ombra di
Sirius
sulla parete. «Sirius, cosa
c’è?» sbadigliò Peter
dall’altra parte della
stanza, mentre Remus si affacciava da dietro la colonnina del letto per
investigare sulla riunione notturna (naturale, era un Prefetto...).
«James ha cercato di
suicidarsi per saltare la partita»
rispose il ragazzo, sputando su un fazzoletto per disinfettare le
ferite.
«Idiotaaah!»
gemette James, mentre Sirius affrontava senza troppe cerimonie un
graffio sul
suo polso.
«Sei un disastro, Felpato.
Aspetta, ti diamo una mano»
sospirò Remus, accendendo una lampada che
trasportò vicino al letto di James. Lui
e Sirius si occuparono di rimettere in sesto l’amico,
guarendo tagli e
cancellando macchie con l’aiuto della magia (decisamente
più efficace della
combinazione di stoffa e saliva impiegata in precedenza), mentre Peter
mise a
frutto il GUFO in Incantesimi eliminando l’inchiostro e
ricomponendo il
calamaio con abili tocchi di bacchetta.
Dieci minuti di sforzi più
tardi, il dormitorio e la sua piccola
ospite furono finalmente in ordine e Remus e Peter tornarono al
meritato
riposo, lasciando la custodia della bimba a Sirius. Il ragazzo aveva
intenzione
di stuzzicare James proponendogli di dormire con lui, ma
un’occhiata storta del
Prefetto – che oltre che un licantropo era evidentemente un
Legilimens – lo
convinse a cambiare programma. «Noi abbiamo finito»
sussurrò invece, chinandosi
sulla caviglia dell’amico per rimarginare un graffietto
sfuggito all’ispezione.
«Ti fa male da qualche altra parte? James?»
L’interpellato non rispose,
e per un’ottima ragione: quando
Sirius lo guardò in faccia, scoprì che aveva gli
occhi chiusi e l’espressione
beata di chi si trova da un pezzo nel mondo dei sogni. «Oh,
stai dormendo!»
commentò impacciato, ignorando la risatina sfuggita
all’autocontrollo di Remus.
«Allora io… ti riporto a letto, va bene?»
James non replicò,
lasciandosi docilmente trasportare nel
suo giaciglio e rimboccare le coperte.
«Ti lascio la
lucetta…»
Nessuna risposta.
«Buonanotte,
James»
Salutato l’amico, Sirius
tirò le tende e fece per tornare a
letto, ma a metà strada decise di compiere
un’ultima buona azione e lasciare
veramente una luce per James, nel caso si fosse svegliato di nuovo.
L’idea di tenere
una lampada accesa e
incustodita per tutta la notte non gli andava a genio, così
bisbigliò un ordine
alla propria bacchetta e quella si illuminò debolmente di
una rassicurante luce
rosata; la posò sul comodino di James, scostando le tende
perché lui la
vedesse, e si allontanò in silenzio, girandosi una decina di
volte per
verificare che fosse tutto a posto.
Quella notte, nessun abitante di
Hogwarts dormì peggio di
lui.
Il risveglio mattutino dei Grifondoro
del sesto anno fu
movimentato come quello notturno: alle sei e mezzo Sirius fu destato
bruscamente
da uno strillo acuto proveniente dal bagno, segno che James ne stava
combinando
un’altra delle sue. Si alzò borbottando
maledizioni, si affacciò alla porta socchiusa
e quello che vide bastò a gelargli il sangue: il suo
migliore amico galleggiava
a mezz’aria come un palloncino, sfiorando il soffitto con la
testa.
«Sirius,
aiutami!» gridò James appena lo vide.
«Io… non
riesco più a scendere!»
«Jamie, come diavolo hai
fatto a finire lì?» urlò Sirius a
sua volta.
«Volevo lavarmi da solo e
ho preso la tua bacchetta per fare
un incantesimo di levitazione, ma sono... sono finito troppo in
alto!»
Il giovane Black, letteralmente fuori
di sé, non pensò
nemmeno a recuperare la propria bacchetta, che James aveva fatto cadere
nel
cesto dei panni, e si mise a saltellare, cercando inutilmente di
afferrare la
bambina per la caviglia e tirarla giù. Remus, richiamato dal
trambusto,
mantenne invece il proprio sangue freddo: spinse da parte il compagno,
puntò la
bacchetta ed esclamò «Finite
incantatem!»
Fu come se avesse tagliato un filo invisibile: la bambina
precipitò con un
gridolino di spavento ed atterrò pallida e tremante tra le
braccia di Sirius.
«Te l’avevamo
detto, James!» disse Remus scuotendo la testa.
«E tu, Sirius, razza di imprudente, perché gli hai
lasciato la bacchetta?»
Il ragazzo non rispose
all’accusa del compagno di stanza,
impegnato com’era a tenere James in equilibrio sul bordo del
lavandino. «Non
riprovarci mai più, sciocchina che non sei altro! Potevi
farti male!» esclamò
in tono severo, con una mano sotto il rubinetto per verificare che
l’acqua non
fosse troppo calda.
«Chiamami di nuovo
sciocchina e sarai tu a farti male,
Sirius!» ringhiò James guardandolo storto.
«Non sono una mocciosa, dannazione!»
«Ma a volte ti comporti
come se lo fossi» intervenne Remus. «So
quanto sia difficile per te, ma cerca almeno di non rischiare
l’osso del collo
prima di colazione».
Le sagge parole del Prefetto ebbero
il solo risultato di
trasformare le rabbiose proteste della bimba in un sommesso brontolio;
il
piccolo Grifondoro accettò con malagrazia
l’assistenza degli amici e tenne
ostinatamente il muso a Sirius per tutto il tragitto fino alla Sala
Grande, che
compì arrancando sulle gambette paffute e trascinandosi
dietro la borsa dei
libri come se fosse un cane grasso e molto pigro. Giunto a destinazione
ebbe
un’altra sgradita sorpresa: la squadra di Quidditch era
presente al gran
completo – primo brutto segno, di solito Sabrina scendeva in
ritardo e finiva
di mangiare nei corridoi – e i giocatori si spintonavano e
sgomitavano a
vicenda, come per rimpallarsi un compito ingrato.
«Vai tu!»
«No, vai tu!»
«Ma io ho vinto a testa o
croce!»
«Sì, ma sei
uscito ai dadi!»
«Tocca a te, sei il
più grande!»
«Scherzi? Sei tu la sua
preferita!»
«Buongiorno,
capitano!» disse Melanie all’improvviso,
spingendo avanti Oliver e nascondendosi dietro di lui; gli altri si
zittirono
all’istante e fissarono James con aria colpevole.
«Che state combinando
voialtri?» chiese il capitano
sospettoso.
«Vedi…
c’è un problema» cominciò il
Portiere, a disagio. «Ieri
sera la McGranitt ci ha parlato e, ecco…»
«Taglia corto, Oliver. Cosa
c’è?» sospirò James,
sospettando
in cuor suo la risposta.
«Ti sostituiamo»
disse Oliver in fretta. «La McGranitt dice
che non puoi giocare in quelle condizioni».
Le orecchie del ragazzo assunsero
all’istante il colore
della divisa da Quidditch. «Come sarebbe a dire, non
posso?» protestò
indignato. «Perché non si può rimandare
la partita?»
«Corvonero non
vuole» spiegò Katie Lou. «Non vedono
l’ora di
batterci, sarebbero sciocchi a non cogliere
l’occasione».
«Oh, sul serio?»
replicò James in tono polemico. «E chi
giocherà al mio posto, allora? Oh, già, che
sbadato: dovrei chiedere al capitano!»
I giocatori accolsero la sfuriata a
testa bassa, costernati;
solo Louis ebbe il coraggio di assicurare, anche a nome dei compagni,
che la
squadra aveva deciso a malincuore di lasciarlo fuori, e solo
perché la
professoressa non intendeva fargli correre rischi. Ciò non
servì a rasserenare
James, che sbocconcellò la colazione senza appetito e si
alzò da tavola per
primo, diretto all’aula di Difesa contro le Arti Oscure con
ben quaranta minuti
di anticipo; Remus lo raggiunse a metà strada e si
affiancò a lui senza
offrirsi di portarlo in braccio, cosa di cui l’amico gli fu
profondamente grato.
Trovarono il professor Stein
già seduto alla cattedra,
intento a prendere appunti su un grosso volume dall’aria
antica. Era un uomo alto
e smilzo, dal viso giovanile solcato da lunghe cicatrici, e
benché avesse poco
più di quarant’anni i suoi capelli folti e
spettinati erano completamente
grigi; si diceva che prima di insegnare a Hogwarts si fosse occupato a
lungo di
magia demoniaca e che i numerosi pericoli affrontati
l’avessero condotto
sull’orlo della pazzia, tanto da spingere il suo capo ad
offrirgli (o imporgli)
un anno di pausa.
Come Vitious il giorno prima, Stein
non sembrò sorpreso
quando vide entrare l’allievo; a differenza del collega,
però, apparve
decisamente interessato. «Ah, Potter!»
mormorò, aggiustandosi gli occhiali sul
naso. «Buffo, piccolo incidente il tuo, Lumacorno non ha
fatto altro che
parlarne a tavola».
«Ne ha visti altri del
genere, professore?» chiese Remus curioso.
Provava una sincera ammirazione per il nuovo insegnante, cosa che James
non
condivideva: secondo lui, Stein somigliava un po’troppo a uno
scienziato pazzo.
Il professore si concesse un piccolo
sorriso. «In verità,
Lupin, ho visto più stranezze qui che in tutta la mia
carriera, a partire dal
babbeo di Corvonero che si è fatto Evanescere un alluce
giusto ieri pomeriggio.
E pensare che mi avevano raccontato che insegnare fosse un lavoro di
tutto
riposo».
Remus lo fissò
affascinato, come per spronarlo a dire di
più, ma gli occhi indagatori del cacciatore di demoni erano
puntati su James. «Ma
un caso come questo non l’avevo neppure immaginato, parola
mia» disse piano,
scrutando la piccola creatura che aveva di fronte come si apprestasse a
sezionarla. «Ringiovanimento e cambio di sesso in una volta
sola, davvero notevole…
sarebbe interessante sapere se c’è stato anche un
cambiamento interno…»
Il giovane Lupin non
sembrò accorgersi della luce sinistra
nello sguardo di Stein, così James dovette letteralmente
trascinarlo fino ad un
banco in fondo all’aula, dove si barricò dietro a
una pila di libri. Remus, da
persona ingenua e poco recettiva qual era, si rifiutò di
prendere sul serio i
suoi timori («Andiamo, Ramoso... non è possibile
che Stein tagliuzzi gli
studenti nei sotterranei, non crederai davvero a queste
sciocchezze!»), ma
James ebbe la sgradevole sensazione che il professore lo esaminasse con
più
attenzione del solito, forse meditando di utilizzarlo come cavia per
qualcuno
dei suoi orrendi esperimenti. L’arrivo di altri compagni per
la lezione fu per
lui un vero sollievo.
Quando tutti furono ai loro posti,
con la bacchetta in mano
e il manuale aperto, Stein chiuse il libro che stava consultando e
scrutò la
classe in attesa. «Oggi» annunciò a voce
bassa, «vedremo cosa avete imparato
sulla deviazione dei malefici. Sapete tutti produrre un Sortilegio
Scudo in
modo decente, ma ora è il momento di vederlo in azione:
prendete le bacchette e
dividetevi in due righe, in modo rapido e silenzioso».
Tutti obbedirono, mettendosi uno di
fronte all’altro lungo i
corridoi tra i banchi; James finse di non vedere Sirius, che si era
incastrato
tra lui e un ragazzo moro di Tassorosso.
«Ora»
proseguì il professore, «la fila alla mia destra
scaglierà una maledizione... niente di distruttivo, per
favore, questa scuola è
in piedi da secoli e non tocca a voi demolirla... e quella di sinistra
cercherà
di bloccarla. Dopodiché sarà la fila di sinistra
ad attaccare e quella di
destra a difendersi. Mi sono spiegato... sì,
Potter?»
«Professore, io... non ho
la bacchetta!» confessò James.
«La McGranitt me
l’ha accennato, sì» confermò
Stein con un
cenno del capo. «Ma possiamo rimediare... ecco, Potter, tieni
questo» e gli
tese un oggetto lungo e sottile che aveva appena estratto dalla tasca.
James lo prese con cautela e se lo
rigirò tra le dita,
perplesso. «Professore, questo è...»
«Uno stuzzicadenti da
spiedino» lo anticipò l’insegnante.
«Si
impugna come una bacchetta e per ripassare i movimenti
dell’incantesimo è più
che sufficiente; io starò alle tue spalle e farò
esattamente quello che fai tu...
giusto o sbagliato che sia».
Furioso, paonazzo, umiliato, il
ragazzo afferrò con malgarbo
lo spiedino e lo brandì con aria minacciosa contro il
Tassorosso che aveva di
fronte, ormai color Grifondoro per lo sforzo di trattenere una risata.
La
maledizione scagliata da questo lo colse impreparato, centrandolo
dritto in un
occhio.
«Finite
incantatem!»
mormorò pigramente Stein, ponendo fine all’atroce
prurito scatenato
dall’incantesimo. «Mettici più
entusiasmo, Potter... vediamo come intoni quel Protego!»
James accolse con gioia feroce quel
suggerimento: per i
successivi trenta minuti fu l’incubo della classe, scagliando
e deviando
maledizioni con il suo misero stuzzicadenti, mentre la bacchetta di
noce del
professore si muoveva in perfetta sincronia con la sua mano,
riproducendo il
minimo errore nei suoi gesti e cogliendo ogni esitazione nelle formule.
«Ma non vale! Questo era
perfetto!» protestò il ragazzo
quando il sortilegio che aveva prodotto volò alto sopra la
testa di Jeremy
Hutton.
«Tenevi la mano troppo
inclinata» lo smentì placidamente il
professore. «L’avresti sbagliato ugualmente, se
quella fosse stata una
bacchetta vera».
James agitò lo spiedino
con uno sibilo di esasperazione e
l’incantesimo che scaturì dalla bacchetta di Stein
mandò a gambe all’aria la
Evans dall’altra parte della stanza.
Ci
credete che questo capitolo è in lavorazione da aprile? In
verità, a forza di aggiunte mi è sfuggito un
tantino di mano, raggiungendo le sette-dico-sette pagine (e non
è ancora finito!), così ho deciso di tagliarlo e
offrirvelo come preda di guerra: ve lo meritate, dopo tanta attesa.
Naturalmente non sono rimasta con le mani in mano - ho scritto
parecchio per i concorsi, come potete vedere - ma mi sentivo sempre un
po' in colpa vedendo
questa storia sepolta sotto le altre.
Parliamo
del professore di Difesa. I fan del manga Soul Eater
l'avranno riconosciuto:
è Franken Stein, direttamente dalla Shibusen. Per chi non lo
sapesse, Soul Eater è ambientato in una
scuola fondata da
Shinigami, il dio della morte, per preparare giovani dotati alla lotta
contro le anime corrotte; Stein è un insegnante
particolarmente preparato, molto stimato dagli studenti, ma anche temuto
per i suoi attacchi di follia, durante i quali cerca di sezionare ogni
essere vivente che gli capita a tiro (il povero James fa decisamente
bene a preoccuparsi). Se volete saperne di più, vi ho trovato un articolo
ben fatto su Wikia (in inglese) e una passabile
scheda in italiano, giusto per farvi un'idea.
State
pronti per il prossimo capitolo, in cui compariranno un grazioso
criceto, un coniglietto e forse un unicorno. Grazie per l'attenzione.