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Autore: Cassie chan    06/11/2011    24 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. '
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Capitolo 33 –  Rising roses part I

 

Forse, in fondo, le rose hanno sempre saputo tutto.

Quel pensiero così apparentemente privo di senso, si insinua rapido nella mia mente, rapendomi dai ricordi, mentre strizzo gli occhi per la luce forte del sole. L’assurdità di quel pensiero è assoluta, ma è un attimo dolce e liberatorio, al tempo stesso. Riprendo respiro, la mano sul petto, chiudendo forte le dita sulla camicia che indosso. L’altra mano, stringe forte quella più piccola di Alex, che si guarda attorno incuriosito.

Mi indica qualcosa sorridendo, annuisco con il capo, mentre le sue parole si perdono nel cupo ronzio che mi affolla le orecchie.

Le rose sembrano non essere mai cambiate, anche se so che, in cinque anni, migliaia di milioni di fiori sono nati, hanno bevuto il sole e sono appassiti, reclinando gli steli e perdendo i petali.

Eppure, sembra tutto così maledettamente uguale da darmi le vertigini.

Sapevo che sarebbe andata così, era scontato, questo viaggio è in fondo un calvario, fatto di stazioni obbligatoriamente destinate a ferirmi la mente, come delle spine acuminate e crudeli.

Ma soffrire è sempre meglio del niente. E dopo cinque anni di niente, a me va anche bene così.

Il dolore, il rimpianto dentro, è Draco. È riaverlo vicino, anche se in una forma diversa e lacerante. Ma fa nulla… il dolore rende le cose più reali di quanto non siano mai state in questi anni.

Nulla, tranne Alex, è stato reale in questi anni.

Spesso, la notte, quando Alex aveva pochi mesi, mi svegliavo e andavo silenziosamente in camera sua.

Se Ron si accorgeva che mi ero svegliata, dicevo che ero solo preoccupata che si svegliasse. Oppure che volevo controllare che stesse bene, che non ci fosse nulla che non andasse.

Balle.

Colossali.

Sebbene io sia la più ansiosa delle madri, trascorrevo le notti guardando Alex per convincermi che fosse reale.

Quando guardavo i suoi pugnetti chiusi, mentre dormiva nella sua culletta, e la luna illuminava i suoi capelli dorati, respiravo di nuovo.

Aveva il naso di Draco, aveva i suoi capelli. Se si svegliava, aveva anche i suoi occhi. Era vero, era suo figlio, non mi ero sognata tutto, non stavo vivendo la vita di un'altra donna con le memorie di un’altra ancora.

Oggi, oltre a mio figlio, anche le rose sono reali. Il loro odore è sempre lo stesso, mi ferisce la memoria con implacabile dolcezza, suggerendomi anche l’angosciosa sensazione di attesa, con cui le ho guardate per tanto tempo.

Sono passati cinque anni, eppure la prima cosa che vedo, non appena chiudo gli occhi, sono sempre le rose. Mi capita di sognarle spesso.

Boccioli, petali, corolle dischiuse o fasci ben legati da nastri di seta. Credo di sognarle anche di colori che nemmeno esistono.

Le ho evitate per anni.

Il giorno del nostro primo anniversario di matrimonio, Ron mi aveva portato in camera un mazzo enorme di rose rosse.

Era stata la prima volta che avevo pianto davanti a lui, sciogliendo infine il segreto che portavo nel cuore.

Era stata la prima volta che avevo parlato di Draco direttamente davanti a lui, nonostante ovviamente sapesse tutto e fingesse soltanto di non ricordarsene.

Avevo torturato le rose tra le dita, ne avevo staccato i petali uno ad uno sotto lo sguardo sconvolto di mio marito, volutamente mi ero ferita con una spina.

E, guardando il sangue che mi sporcava le dita, avevo trovato le parole giuste.

Come il sangue.

“Io, Draco ce l’ho dentro, Ron… e ce l’avrò dentro per sempre…”.

Ron non mi aveva più nemmeno nominato le rose. Aveva preso ad evitarle anche lui. Persino se le vedeva su un giornale, voltava la pagina con fastidio.

Le rose sono i fiori messaggeri dei segreti.

Perché hanno un cuore segreto esse stesse: in alcune specie, la rosa appassisce prima di rivelare il suo nettare, che rimane protetto in un guscio di petali morbidi, ma inaccessibili.

Per questo, la metafora. Regalare una rosa, dovrebbe essere come regalare un segreto.

Non avevamo più segreti da regalarci, o meglio da rovinarci addosso, io e Ron.

Io e Draco, forse, non potremmo nemmeno regalarci questo intero giardino, per quanti ancora ci pesano dentro.

Busso con decisione alla porta, oggi inizio a scioglierli tutti, uno ad uno.

Ed il primo so che sarà con lei.

La porta si apre, la vedo sgranare gli occhi e reggersi allo stipite della porta, come a ripararsi dalla sorpresa che la sta investendo. Alex la guarda senza capire, cerca il conforto della mia mano.

Aspetto volutamente che guardi in viso mio figlio. Aspetto che guardi i suoi occhi, i suoi capelli, il suo naso.

E poi finalmente le mie labbra si aprono.

“Ciao Pansy”.

 

 

La mente funziona in modo strano, nei momenti di crisi.

Quando si sostiene un esame, spesso l’adrenalina reclama conoscenze, che uno non penserebbe mai di aver memorizzato.

Quando ci si trova in mezzo ad una tragedia, si riscopre forza e coraggio e si fanno cose che, a mente fredda, non ci si sognerebbe nemmeno di poter fare.

In guerra, ricordo donne delicate come fiori in boccio, chiudere ferite aperte dei loro compagni con le loro mani nude, premendo le dita su vene che sgorgavano copiosamente sangue, concedendosi solo lacrime di terrore e sguardi atterriti, mentre cercavano aiuto.

E, al contempo, ricordo uomini alti e nerboruti scappare terrorizzati al primo accenno di incantesimi e di lotte, anche se avevano sostenuto allenamenti durissimi.

Io stessa avevo scoperto che la mia resistenza al dolore, al disgusto e alla paura, erano molto più alte di quanto avessi mai creduto.

Quando la guerra è finita e ho avuto tempo per pensare, trascorrevo sere intere con Ron a ricordare che cosa avevamo fatto durante il nostro viaggio. Ed eravamo sempre increduli, mentre mettevamo a posto i pezzi di quegli atroci ricordi. Come eravamo riusciti a farcela?

Per mesi… forse per anni… io mi sono creduta forte come una roccia. Ero persino preoccupata di questa mia forza; temevo che alla fine mi rendesse impermeabile a tutto.

Ho dato a quella forza la colpa di non farmi innamorare di Dean. Ero diventata insensibile.

Ovviamente, poi, ho finito per cambiare idea quando mi sono scoperta innamorata di Draco Malfoy.

La mia forza è sempre stata un castello di carte, poggiato su pile di sale. Si è sbriciolata come niente.

Non ho mai sofferto così tanto, in vita mia.

Uno non può mai sapere come funziona la mente in un momento di crisi, quando senti che persino le ossa si spezzano per il dolore, la rabbia, l’angoscia, e chissà che altro.

Nemmeno io posso saperlo… ma la mente è un meccanismo molto diverso dal cuore, per quello io ho sempre affidato me stessa alla prima piuttosto che al secondo.

Il mio cuore si è spezzato decine di volte… ancora adesso, è a pezzi. Sento persino lo spazio esistente tra ogni singolo pezzo del mio cuore, dentro il mio petto, come se fossero immensi buchi d’aria che mi succhiano via l’ossigeno dai polmoni, impedendomi di respirare.

La mia mente, invece, ha trovato il modo di resistere. Ancora.

Tenendomi in piedi, nonostante tutto, consentendomi di esistere ancora, sotto il peso di questa terribile ed immensa paura.

Non pensavo che avrei retto per un solo minuto. E invece sono rimasta sana di mente non solo per un giorno… ma per ben ventitré.  

23 giorni e 8 ore, senza Draco. Con il pensiero costante che lui stia affrontando le prove di Adamar, e stia quindi, nella migliore delle ipotesi, perdendo ogni ricordo di me.

La peggiore delle ipotesi è scontata. Ed impossibile persino da pensare con il suo nome completo.

Razionalmente, questi pensieri avrebbero dovuto condurmi alla follia.

Ed invece la mente ha uno straordinario meccanismo difensivo.

Ci si abitua a tutto. Ci si abitua anche all’impossibile, all’insopportabile, all’insostenibile.

O ci si racconta altre verità, sussurrandosi a voce bassa quelle che prima erano menzogne, facendole diventare certezze.

Ma in fondo credo che sia la stessa cosa.

Semplicemente, non considero l’ipotesi che lui non torni. O che perda tutti i suoi ricordi.

Non sono opzioni contemplabili… e per smettere di contemplarle, devo smettere di pensare in toto.

Anestetizzandomi la mente.

Mi alzo dal letto, dove, come ogni notte, non ho fatto altro che fissare ad occhi spalancati il soffitto, mettendo a tacere le voci ossessive e le domande continue che non hanno mai risposta. Da quando Draco è andato via, ho dormito circa un’ora a notte, se sono fortunata o esausta.

Il giorno è facile da mandare avanti.

La notte è un tormento eterno.

Il buio suggerisce immagini, sussurra parole, echeggia ricordi, accarezza cose mai avute e che forse non vivrò mai.

Come sarebbe sentirlo dirmi, occhi negli occhi, che mi ama. Come sarebbe vederlo ridere perché ho detto una cosa divertente. Come sarebbe ballare con lui, anche una volta soltanto.

Come sarebbe riaverlo anche un giorno soltanto. Forse accetterei anche di tornare indietro, al Petite Peste, di nuovo con il pensiero che non mi amerà mai.

Accetterei di rivivere tutto daccapo. L’odio, la rabbia, il livore.

A piedi nudi, attraverso la stanza ancora al buio. Il pavimento è piacevolmente gelido contro la mia pelle. Raggiungo la finestra, spalancando di scatto le tende scure.

Un uccello vola lontano, spaventato. Le cicale continuano a frinire, per nulla intimorite.

Il sole è appena sorto, su un nuovo giorno senza Draco.

Lo vedi tu il sole, da dove sei? Fa freddo o fa caldo come qui? Riesci a respirare, pensando che sono lontana?

Mi appoggio con le braccia incrociate sul davanzale, chiudendo gli occhi. L’aria è già umida ed opprimente, è la più calda estate degli ultimi anni qui in Inghilterra, sembra soffocarmi con la sua morsa sudata ed appiccicaticcia. Ma forse non fa nemmeno caldo, come penso. Forse fa freddo, e il caldo è solo angoscia, qualcosa che sopravvive alla stasi dei miei pensieri.

Sono giorni che non so dire se faccia caldo o freddo, se piova o se ci sia il sole, se esisto o vivo.

Il vento scompiglia i miei capelli, sparsi disordinatamente sul lino della mia camicia da notte bianca, mentre riapro gli occhi sul giardino che circonda la casa di Pansy Parkinson. L’odore delle rose è così forte da darmi la nausea, splendono umide di rugiada le corolle mezze dischiuse, ferendomi la vista di rosso, rosa e bianco. Disposte su due filari a costruire un complicato sentiero che gira tutt’attorno alla villa in stile imperiale, proprio sotto alla mia finestra si aprono in un voluttuoso cerchio colorato, al cui centro torreggia un piccolo gazebo di pietra bianca. Le colonne sono piene di rampicanti, ancora rose color rosso sangue che si avviluppano in altezza, come se volessero fare a pezzi la pietra bianca e liscia.

Al centro del gazebo, c’è un piccolo divanetto foderato di damasco, dove Pansy spesso intrattiene i suoi ospiti, decantando per ore la bellezza del suo giardino, sempre fiorito anche d’inverno, e tutto grazie ad incantesimi di sua invenzione. L’ultima volta che l’ho vista chiacchierare amabilmente con Millicent Bulstrode, mi sono trattenuta a stento dall’urlare dalla finestra che le piante dovevano essere massacrate da questo ciclo eterno di fioritura.

Ovviamente, mi sono morsa le labbra a sangue per non parlare. E solo perché nessuno ovviamente sa che Pansy mi nasconde a casa sua. È stata la scelta migliore, mi ha confidato Raissa, perché Pansy è la sola che sa di Draco ma che Astoria non conosce. Draco stesso, non fidandosi completamente di lei, non le ha mai detto che Blaise e Pansy sapevano di lui. Blaise, però, vive con i suoi. Quindi si trattava di una scelta obbligata farmi restare qui, tutto per la mia sicurezza.

Ed effettivamente in quasi un mese, Astoria non ci ha mai attaccati.

Ho spesso sentito, nei miei sogni, ancora aperto un legame con lei, l’ho sentita anche cercare nuovamente di controllarmi a distanza, ma si tratta di tentativi deboli ed incerti e che avvenivano solo se non ero cosciente. Se ero totalmente presente a me stessa, non l’ho mai sentita. 

Nei miei sogni, l’ho dapprima percepita distante e disperata, presa da una furia cieca. Poi è completamente scomparsa.

Ovviamente non credo che si sia arresa, ma credo che oramai abbia capito che l’energia dello Zahir è del tutto morta. Quindi dovrebbe affidarsi a sistemi più tradizionali per adempiere ai suoi piani. Insomma, credo che si stia solo riorganizzando. Ed è ovvio che quindi io debba rimanere qui.

Ma, al di là della mia sicurezza, ci sono altri motivi per cui non è conveniente che qualcuno sappia che io sono qui. Motivi taciuti, ma solo perché sono scontati.

Credo che la maggior parte dei Serpeverde considererebbe Pansy pazza, se lo sapesse; ma avremmo il primo caso di completa armonia di vedute con gli ex Grifondoro, Tassorosso e Corvonero. Sarebbe più o meno come dire che un cane ed un gatto vivono sereni, tenendosi la zampetta di notte mentre dormono, ed anche quel caso sarebbe più probabile.

L’unico legame tra me e Pansy Parkinson, è Draco Malfoy. E sarebbe difficile spiegare anche l’accostare il mio nome a quello di Draco, assieme al termine legame.

Draco è morto per tutti. Draco non mi avrebbe mai guardata senza insultarmi. Draco non starebbe mai rischiando la vita e la mente per Hermione Granger.

Sarebbe difficile spiegarlo a chiunque, anche a Ginny. Persino ad Harry.

Così, quando mi hanno detto che era molto più prudente che nessuno sapesse che fossi qui, sono stata d’accordo.

Ho detto che avevo bisogno di qualche tempo per stare un po’ da sola, senza dare alcuna indicazione su dove mi trovassi.

Hanno persino truccato i risultati del concorso a cui dovevo partecipare, facendo credere a tutti che avevo regolarmente sostenuto la prova con risultati eccellenti, in modo da non insospettire nessuno, cosa aberrante per le mie orecchie. Mi hanno garantito che tengono sotto stretto controllo tutte le persone a cui voglio bene, così che Astoria non possa vendicarsi trasversalmente su di loro. Mi hanno anche chiesto precisamente dove si trovi la casa dei miei, così da non tralasciare nessuno.

In generale, sono oggetto delle migliori e più sollecite cure.

Non l’avrei mai detto.

Come non avrei mai detto che, giunta ad un certo punto, questa cosa, invece che infastidirmi, mi procuri solo sollievo. Per tutta la vita, mi sono sempre presa cura di me stessa e degli altri. Ora, avere qualcuno che si prende cura di me in tutto, mi fa sentire protetta. Anche se per farlo, mi hanno praticamente chiuso in una scatola.

Mi hanno sistemato in una stanza che si affaccia sul retro della casa, probabilmente per impedirmi di vedere Draco, qualora dovesse arrivare ed entrasse dall’ingresso principale, forse perché temono che io possa fare qualcosa di stupido vedendolo e rendendomi conto che magari non si ricorda di me… o che è ferito mortalmente ed è tornato solo per dirmi addio… respiro profondamente, asciugandomi la fronte sudata.

Non lo fanno per proteggermi, ovviamente. Se ne fregano di me. Lo fanno solo per rendere onore alla promessa fatta a Draco, come per tutto.

In questo, rientra darmi una delle più camere più belle della casa, rilucente del marmo rosa e della seta delle tende e dei tappeti. Oppure, mettermi a disposizione libri, musica, vestiti, persino una piccola elfa domestica, che ogni giorno mando via con un paio di galeoni. Ho un immenso bagno personale, pieno di boccette dei più costosi bagnoschiuma e profumi, oltre che di una decina di creme diverse. Inutile dire che le ho guardate tutte con fastidio, aprendo solo quello che sembrava il più anonimo dei saponi.

Pansy mi concede persino di andare in giro per casa, curiosando nella biblioteca antica, oppure di girovagare senza meta nel giardino con Serenity. E so perfettamente che, in circostanze normali, mi avrebbe messo alla porta o al più sistemato comodamente nella cuccia del cane, nella calorosa compagnia di pulci e zecche.

Si vede che questa è la sua fantasia proibita, i suoi occhi castani si restringono sempre quando mi vede e le sue narici fremono di fastidio ed irritazione, ma mi lascia fare più o meno quello che voglio. Del resto, non hanno bisogno di controllarmi a vista.

La mia mente sterile, nel corso dei giorni, ha perfettamente inquadrato tutte le abitudini degli avventori di questa casa.

Ed ogni sei ore precise, con i ritmi di un orologio, Raissa fa il giro della proprietà, delimitata da una schiera di altissimi pioppi bianchi, e muove distrattamente la bacchetta, producendo scintille nere e rosse. A tappe, si ferma pensosamente, sussurra qualche parola ed agita la bacchetta con nonchalance, sigillandomi all’interno della proprietà.

Compie quelli incantesimi con una tale facilità, che sembrerebbero banali Appello o Wingardium Leviosa.

Invece, sono Incantesimi Oscuri, persi da chissà quante generazioni. Il loro potere, se mi affaccio alla finestra, è così forte da farmi drizzare i capelli sulla nuca.

Non sono trappole, non sono botole segrete o elettrificazioni che mi farebbero morire fulminata, appena li tocco.

Semplicemente, se mi avvicino al cancello, o alla recinzione, o ai pioppi bianchi, mi svuotano della volontà di tentare la fuga. Sento le forze abbandonarmi, sento qualsiasi volizione venir meno e sento distintamente che sono troppo potenti, anche per cercare di convincermi a forzarli. Tutto qui.

Nei primi giorni della mia prigionia, ho cercato in tutti i modi di scardinarli. In fondo, la mia volontà era stata sufficientemente forte da creare e spezzare uno Zahir, potevo farcela se mi fossi concentrata adeguatamente. Ma stavolta non c’era nulla da fare.

Anche perché, con il passare dei giorni, credo che una parte di me, quella più stanca e provata dagli eventi, abbia semplicemente smesso di provarci.

Vivo dell’inerzia che qualcuno pensi al posto mio, agisca al posto mio, prenda decisioni al posto mio.

Mi dicono quando mangiare, quando bere, quando dormire, ed in fondo, alla mia mente va bene così.

Strano a dirsi, vero? E forse con questo intendevo che la mia mente ha reagito in un modo che non mi aspettavo assolutamente.

I primi giorni sono stati terribili. Non terribili, in un senso pallidamente esagerato di qualcosa di oggettivamente sopportabile.

No.

Terribili in senso stretto.

Mi sono svegliata nella camera che Pansy mi aveva destinato, dopo che Raissa mi aveva addormentato con la tisana, ed erano passate già più di sedici ore. Ero corsa giù, avevo percorso il giardino sempre come un’ossessa, non rendendomi nemmeno conto che sicuramente avevano già pensato a murarmi viva lì dentro. Mi ero fermata alla vista dei pioppi bianchi, come se ci fosse un muro invisibile. Non ce la facevo nemmeno a muovere un passo.

Avevo iniziato ad urlare, a graffiarmi il viso, a rivolgermi a loro con i peggiori epiteti, ma non si erano dati pena nemmeno di uscire dalla casa, avvolta nelle tenebre notturne.

Solo quando, cascata in ginocchio e rannicchiata in posizione fetale, mi ero arresa almeno per quella sera, Raissa era uscita. Mi aveva sollevato con malagrazia per un gomito ed, in silenzio, mi aveva ricondotta in camera mia senza nemmeno dirmi una parola.

Il giorno dopo, ci avevo riprovato, stavolta concentrando tutta la mia volontà nel tentativo di spezzare l’incantesimo. A gambe incrociate, ero rimasta ore ed ore seduta davanti ai pioppi, concedendomi solo il lusso di sbattere le palpebre ogni tanto, mentre convogliavo ogni mio tentativo mentale per forzare la resistenza dell’incantesimo.

Avevo rifiutato il cibo, avevo rifiutato di dormire, avevo rifiutato qualsiasi cosa. Per tre giorni.

Finché avevo capito che la mia volontà era forte, rocciosa, granitica, ma ogni pietra si spezza contro il diamante. E lì, davanti a me, invisibile come un miraggio, c’era una parete di diamante. Sarebbe caduta solo quando Raissa l’avesse deciso. Potevano passare anche mesi interi, fino a quando si fosse saputo qualcosa di Draco, ma io intanto dovevo restare lì.

Avevo anche cercato di convincerli a mandarmi da Harry, o da Ginny, persino da Helder, ma niente.

Raissa scrollava le spalle e Pansy taceva con espressione riverente, al suo cospetto. Credo di aver odiato la parola “promessa”, più di qualsiasi cosa al mondo.

Al quarto giorno, avevo tentato un altro approccio.

Adamar.

Dovevo farlo venire da me. Se avesse percepito che in me c’era qualcosa che poteva interessargli, forse si sarebbe fatto vivo. Ed avrebbe lasciato in pace Draco.

Avevo fatto ricerche nella biblioteca sterminata dei Parkinson, facendomi bruciare gli occhi mentre decifravo lingue antiche e rune di ogni tipo, addormentandomi sui testi polverosi non appena spuntava il sole, e risvegliandomi per ricominciare, quando la luna ricompariva nel cielo. Anche in quel caso, mi avevano lasciato fare.

Dimitri aveva fatto molti tentativi per contattare Adamar ed ancora, a suo dire, ci stava provando, chiuso nel suo castello in Bulgaria. Ovviamente dubitavo che stesse tentando sul serio. In ogni caso ero sollevata che non ci fosse, ma sicuramente potevo riuscirci meglio io, dato che, al contrario suo, volevo davvero trovare Adamar, fermare il rito e far tornare Draco indietro.

Avevo provato con le pozioni, con gli incantesimi, con le antiche rune, con la telepatia. Avevo versato sangue dalle ferite su calderoni ardenti, avevo pianto lacrime su formule ancestrali, avevo tagliato ciocche di capelli ed avevo rievocato ricordi e rimpianti. Ma nulla, nessuna tecnica aveva funzionato.

La sera del settimo giorno, Raissa mi aveva sollevato di nuovo di peso dal pavimento, dove mi ero prostrata in preda allo sconforto, e mi aveva trascinato in camera.

Chiudendo la porta, mentre mi abbandonavo alla stanchezza, aveva sussurrato al buio nero della mia camera: “Adamar non può voler niente da te. Non ti sei mai chiesta perché non ha abbia mai cercato Voldemort? Non voleva nulla da lui… e nemmeno da te. Entrambi avete già dimostrato che le vostre anime sono deboli. Tu con lo Zahir. Lui con gli Horcrux. Non può volere nulla da persone come voi.”. Ancora, ero stata paragonata al mago più crudele di tutti i tempi. Dov’è finita la mia forza?

Quella notte, era stata la peggiore.

Avevo di nuovo sognato Voldemort che mi violentava, come quando ero sotto la maledizione della luna nuova.

Ma stavolta, c’era anche Draco che non faceva assolutamente nulla per fermarlo. Aveva lo sguardo disgustato nel guardarmi, bello e lontano come un dio pagano.  

Avevo trascorso i successivi tre giorni a letto, senza muovere nemmeno il viso, senza nemmeno aprire le tende. Ancora, avevo rifiutato da mangiare. La debolezza mi chiudeva gli occhi e mi faceva precipitare in un oblio paludoso, dove i suoni si confondevano ovattati con i ricordi e dove mi sembrava di vivere mille vite in una.

Poi, un pomeriggio assolato, avevo sentito Serenity piangere dalla camera accanto.

Ero uscita fuori scalza, ero scivolata in camera sua, l’avevo abbracciata ed avevo pianto senza ritegno per ore.

Solo a quel punto, mi ero lasciata convincere a mangiare, a dormire, a prendere in mano un libro che non avesse a che fare con Draco, a vedere un film.

E da quel giorno, mi sono imposta di andare avanti, di alzarmi ogni mattina trascinando il mio corpo alla ricerca di qualcosa da fare, cercando inevitabilmente di sopravvivere.

Non ho più pianto una sola lacrima da quel momento.

Distrazione.

Continua distrazione da me stessa.

Mi prendo cura di Serenity, leggo libri su libri, memorizzo particolari stupidi sugli abitanti della casa.

La mia mente, per resistere, è diventata particolarmente recettiva a tutto ciò che non sia Draco, riempiendosi di cose che io considero inutili, ma che invece sono vitali per colmare i vuoti lasciati nei pensieri, dalla mia imposizione di non pensare a lui e a che cosa gli possa accadere.

Mi sono ritrovata a conoscere con perfetta chiarezza tutte le abitudini di Pansy e Raissa, le mie carceriere.

Raissa che si sveglia la mattina alle sei precise, attiva gli incantesimi di controllo e non fa mai colazione.

Pansy che si alza da letto alle dieci passate, annaffia le sue rose ed immediatamente manda un gufo a qualcuno.

Dopo quel gufo, generalmente o ne arriva un altro, o compare Blaise Zabini.

Si materializza sempre sul retro della casa, poco sotto la mia finestra ed anche se mi vede affacciata, ovviamente non fa il benché minimo cenno di saluto. Corre via, il mantello che si agita alle sue spalle, e sparisce dentro la casa. Poco dopo, sento sempre i suoi passi affrettati sulle scale, mentre raggiunge la camera di Pansy, che è all’ultimo piano.

Ne escono due ore dopo, lei con le labbra rosse e gonfie, gli occhi castani colmi di lacrime, l’andatura incerta. Cammina davanti a lui, non lo degna di uno sguardo e lo accompagna silenziosamente alla porta. Lui esce lentamente, cerca sempre di toccarla prima di andarsene, talvolta una mano, un braccio, una spalla. A volte, se vede che sono soli, le prende il viso tra le mani senza una parola, lei si divincola e singhiozza, e lui se ne va, i passi che riecheggiano nel giardino.

So che Pansy resta immobile davanti alla porta aperta per qualche minuto, fissando i passi che lui ha lasciato nella polvere, mentre i petali di rosa mulinano nell’aria calda.

E poi esce in giardino, coglie una rosa e la calpesta sotto i piedi, con freddezza, come se nemmeno l’avesse curata per mesi o settimane.

Sarebbe impossibile non capire che cosa ci sia tra loro, dopo quella scena avevo facilmente fatto due più due.

Quella strana familiarità che Blaise sembrava avere con la casa, la prima sera che mi portarono qui, quando aveva perfettamente indovinato dove fossero le sigarette nella camera di Pansy. L’arrendevolezza che dimostrava sempre verso di lei. L’aria stravolta che avevano, quando mi ero risvegliata dai ricordi di Draco.

E quattro più quattro fa otto, in qualsiasi lingua del mondo. È stato facile capire anche il resto.

I Parkinson sono caduti in rovina con la guerra, ormai hanno poco più che un nome stantio da difendere.

Sono spariti dalla circolazione, lasciando la figlia in Inghilterra in questa enorme casa a salvare le apparenze di viaggi d’affari, che sono solo mere fughe dai creditori.

Gli Zabini, invece, abili calcolatori che non si sono mai fatti sorprendere come aperti sostenitori di Voldemort, sono all’apice della gloria e della ricchezza.

Non potrebbero mai concretamente volere che il loro unico figlio maschio frequenti la reietta Parkinson.

C’è sempre stato un mondo, che non mi sono mai data pena di vedere.

Ripareremo mai agli errori che abbiamo fatto in anni ed anni?

Lo stupore che provo oggi è emblematico: è come se avessi sempre pensato che loro non amino, che, siccome non fanno di cognome Potter o Weasley, non abbiano diritto di soffrire… pensare che non sono la sola a stare male, è consolante in modo crudele eppure fatalisticamente inevitabile.

Un giorno, quando mi ha sorpresa a guardarla mentre Blaise andava via, Pansy ha chiuso gli occhi, come se non mi volesse nemmeno vedere, come se persino la mia vista le fosse improvvisamente insopportabile. E mi ha detto solo poche parole, che non scorderò mai.

“Draco è il mio migliore amico, lo sarà per sempre… e io spero davvero che torni, sano e salvo. Per tutta la vita, ho desiderato che tornasse ad essere sé stesso e che smettesse di vivere come Danny Ryan, perché quella non è la sua vera vita. O meglio… ho sempre voluto che tornasse da me e da Blaise. Lui non avrebbe permesso che io…”, la sua voce si è spezzata ed ho capito simultaneamente che voleva dire che Draco non le avrebbe permesso di innamorarsi di Blaise, vista la loro situazione. Ha ripreso con forza, guardandomi con odio: “Eppure, oggi, grazie a te, è la prima volta nella vita che spero che ritorni nel vostro sporco mondo babbano… perché, se decidesse di tornare nel nostro, nessuno gli perdonerà mai di amare te… nessuno, Granger, né quelli come noi, né quelli come voi… tu gli hai rovinato l’esistenza, spero che ne sia consapevole…”.

Ho alzato il mento ed ho replicato fredda: “E lui ha rovinato la mia esistenza, se è per questo… ma rovinare qualcosa che già non andava, non è un peccato mortale… è stata la più grande benedizione che mi abbia rovinato la vita, quella patetica vita che portavo avanti ed indietro, Parkinson… e il fatto che tu possa pensare che la sua non fosse altrettanto patetica, è il sintomo chiaro che non ne capirai mai nulla… e quando tornerà, perché lui tornerà, arriverò a cambiare anche tutto il mondo pur di restare con lui, senza bisogno dei consigli di una come te... subite pure il mondo che vivete, io ho smesso di farlo…”.

Da quel momento in poi, Pansy mi ha evitato come la peste. In compenso, Blaise non è più tornato nemmeno una volta.

Non so se sia perché abbia ripensato alle mie parole. Mi piacerebbe pensare che sia per questo, mi piacerebbe pensare che sia per merito mio che lei abbia preso una decisione definitiva, la stessa che le avrebbe suggerito anche Draco stesso. Ma ovviamente è troppo pensare che questo sia concretamente vero.

Spero davvero di averle dato la spinta nella direzione giusta, almeno mi libererebbe da un po’ del senso di colpa che provo, per essere stata così maledettamente piena di pregiudizi nel corso degli anni. Oppure, utopisticamente, io voglio già costruire un ponte con la vita di Draco.

E la voglio affrontare per intero la vita assieme a lui, senza scappatoie.

E se decidesse di tornare ad essere sé stesso, lo sosterrei, gli farò scudo con tutta me stessa.

E vorrei anche che i suoi amici non lo lascino solo, perché sta con me.

Reprimo un singhiozzo a fatica, inclinando il capo, mentre le ginocchia mi tremano. Stare con me implica che lui sia tornato. E lui tornerà, vero? Tornerà da me, vero?

Posso avere un segno qualunque, Dio? Uno qualsiasi?

Corro velocemente al comodino, versandomi un bicchiere d’acqua dalla brocca di vetro anticato che ho sempre vicino al letto. La bevo velocemente, cercando di inghiottire il groppo in gola che mi impedisce di respirare ed imponendomi di stare calma.

Finalmente mi tranquillizzo superficialmente, dicendomi che non so ancora nulla di lui e che non devo pensare che stia andando tutto male.

Andrà tutto bene.

Sospiro a lungo, tornando indietro sui miei passi e chinandomi in silenzio sul lettino di Serenity, che ho preteso immediatamente che portassero in camera mia, appena mi sono ripresa dalla mia paralisi emozionale. Le accarezzo dolcemente i riccioli biondi, mentre le continua a dormicchiare, un pollice in bocca.

Non te lo perdonerò mai, mai e poi mai… non hai lasciato solo me, ma anche Serenity. Se tornerai, non te lo perdonerò mai.

Apro distrattamente le ante dell’armadio, pieno zeppo di abiti costosi e pregiati, che Pansy continua a far portare ogni giorno in camera mia. Sicuramente con i soldi di Draco, figuriamoci se puoi permetterseli lei. Come se me ne facessi qualcosa. Dovevi esserci qui tu, non i tuoi soldi.

Prendo una gruccia a caso, senza nemmeno vedere che cosa ho scelto, tranne per il colore, un bel blu oltremare. I vestiti di colori accesi e vivaci sono tutti ammonticchiati in un angolo, non riuscirei a vedermeli addosso.

Dopo essermi fatta un bagno ed essermi vestita, apro la porta per scendere di sotto. Incrocio Lyria, l’Elfa dei Parkinson, e le chiedo gentilmente di controllare Serenity e di avvisarmi non appena si dovesse svegliare. La casa è ancora in silenzio, sebbene le tende siano già tutte aperte.

Ovviamente Pansy sta ancora dormendo, mentre Raissa forse è in giro a trovare modi per non farmi nemmeno uscire dalla mia stanza.

Scendo in silenzio le scale di pietra bianca ed esco in giardino, chiudendomi la porta alle spalle con un sospiro. Non accenno nemmeno ad avvicinarmi ai pioppi bianchi, già so che sarebbe un’inutile perdita di tempo ed un’ulteriore botta alla mia autostima ed al momento non ne sento estrema necessità.

O non sarà piuttosto che, se dovessi scoprire una falla nell’incantesimo, sarei costretta a prendere una decisione? Dovrei affrontare la realtà finalmente, sapere che è successo a lui… e non voglio. L’ignoranza è la più grande delle beatitudini umane.

Mi siedo per terra, sull’erba umida, chiudendo gli occhi alla luce del sole, ancora tiepida. Il vento stormisce tra le rose, fruscii di velluto nelle mie orecchie e profumo mielato nelle narici. Lo faccio ogni mattina, mi sembra di sentirmi parte della natura, se faccio così…parte dei suoi ritmi giusti e necessari, che hanno un senso profondo, un nocciolo indispensabile da non mettere in discussione mai. Mi dà l’illusione di calmarmi. Svuota la mia mente ancora di più. Sono ombra, luce, acqua, terra.

Divento tutto, tranne che me stessa.

Un brivido mi scuote la schiena, facendomi rabbrividire, mi stringo nelle spalle, riaprendo gli occhi.

“Lo sai anche tu che non tornerà…”.

Gelo su me stessa, alzandomi in piedi di scatto e facendo qualche passo indietro. Rischio anche di scivolare per terra, inciampando, ma riesco all’ultimo a restare in equilibrio. Senza fiato per lo spavento, mi porto istintivamente una mano sul petto, il cuore minaccia di schizzarmi fuori.

La mano di Dimitri resta immobile, ancora protesa verso il punto dove ero seduta io fino a poco fa, come se avesse voluto aiutarmi ad alzarmi. Si raddrizza immediatamente, riassumendo il suo consueto contegno militaresco, con le spalle dritte e la schiena eretta. Mi guarda con espressione indagatrice, trapassandomi da parte a parte. I riccioli neri sono più scarmigliati del solito, ma gli occhi chiari splendono della solita ferrea rigidità e bramosia. Non porta più la giacca con la medaglia, ma solo una camicia bianca su pantaloni grigi. Inclina la testa leggermente di lato, osservandomi, perso in pensieri e fantasie segrete, che non mutano in nulla la sua espressione gelida. 

Da quando è tornato, circa cinque giorni fa, ribattendo che aveva fatto ogni tentativo per cercare di contattare Draco senza riuscirci, ho tentato in ogni modo di evitarlo.

Ma le sue abitudini non sono così scandite, come quelle di Pansy o di Raissa.

Anzi, di notte spesso non dorme, ma di mattina è sempre in giro dalle primi luci dell’alba, come se oggettivamente non gli servisse riposare. Si assenta per lunghe ore, tornando agli orari più disparati, e trascorre la maggior parte del suo tempo in biblioteca, impedendomi quindi anche la più proficua e piacevole delle mie occupazioni.

Ha spesso cercato di avvicinarmi, tenta sempre il contatto con me in ogni modo, sfiorandomi casualmente oppure cercando di intavolare discorsi che celano, sotto abili perifrasi, domande sulla mia magia, sulla creazione dello Zahir e sulla sua distruzione. Ovviamente, al momento, anche solo sentire la parola Zahir mi fa reagire malissimo.

Se sento nominare quella parola, la mia prima reazione è di alzarmi ed andarmene.

Se non avessi creduto al sogno mandatomi da Astoria, Draco forse sarebbe ancora qui. 

A questo, necessariamente, si aggiunge anche la sensazione di pericolo che Dimitri mi comunica, nonostante tutte le rassicurazioni di Raissa. Non sono abituata a uomini così, a uomini il cui potere non sta negli incantesimi che potrebbero scagliarti, ma nella loro mente, colma di conoscenze e di ragionamenti ineccepibili dal punto di vista logico.

Il suo sguardo mi studia come se fossi un curioso esperimento scientifico, che lui si sforza di comprendere in ogni sua parte, come se fossi l’incarnazione di una teoria a cui non hai mai prestato fede, ma che ora si dimostra fisicamente come vera. Forse, stando a contatto con lui, riconosco in minuscola parte quello che gli altri, a scuola, provavano ad avere a che fare con me, quando fingevo in modo verosimilmente perfetto di conoscere ogni cosa ed ogni risposta.

Una sorta di terrore reverenziale, una paura che si stempera in un senso di muta ammirazione e di fascino sottile.

Il gioco del gatto con il topo, con l’aggravante però della preda che resta paralizzata davanti al predatore, inebetita. Io non riesco a fare nulla, quando gli sono vicina.

Annulla le mie resistenze, annienta la mia forza, mi indebolisce. Non c’è nulla di erotico o romantico, in questo. È un bell’uomo, ma non vedo neppure come è fatto.

È la sua mente, che gioca con la mia.

È quasi un flusso di energia continuo che scorre da lui a me, una prova di resistenza continua, un’estenuante lotta sotterranea di sguardi e di parole mozzicate, dove non è previsto che lui perda, dove ogni pronostico sancisce il mio capitolare. Nei suoi occhi, vedo distintamente la mia immagine. Mi vede fragile, inerme, indifesa, bisognosa di lui e della sua protezione.

Il suo sguardo mi spoglia di tutto, in ogni senso. Ritrosia, imbarazzo, terrore, paura, inquietudine, preoccupazione.

È come se, solo guardandomi, mi dicesse decine di cose, mi comunicasse tremila messaggi diversi con l’intento evidente di aprire il mio guscio.

Non c’è nulla di male, se cedi. Sono un uomo potente e ti amerò molto più di quanto faccia Draco. Cosa è Malfoy, in confronto a me?

Non permetterò che Astoria ti faccia del male, la ucciderò con le mie mani e sarai serena.

Sei piccola, sei senza magia, sei prigioniera. Nessuno ti farà una colpa se cedi, se diventi mia.

A Malfoy ci penserò io.

Affidami il tuo corpo, la tua mente, la tua magia… e diventerai una regina.

Tutto solo con uno sguardo, ogni giorno più intenso, ogni giorno più divertito, ogni giorno più sicuro. Ogni giorno che passa senza notizie di Draco, sente che mi sto spegnendo poco a poco. E allora sarà facile, secondo lui, manovrarmi a suo piacimento. E rendermi sua. Non sa quanto si sbaglia…

Reprimendo a stento quel senso pungente di timore che mi comunica, mentre mi rendo conto che è la prima volta che concretamente siamo soli, mi volto di spalle, non degnandolo di uno sguardo ed iniziando a muovermi per tornare dentro. Il mio passo è malfermo, ma lo tengo volutamente lento per non fargli pensare che ho paura di lui.

Anche se, in realtà, vorrei solo mettermi a correre…

Lo sento muoversi velocemente come sempre, assomiglia alla nebbia che avanza in una giornata di novembre. Nemmeno i petali, sparsi copiosamente sul selciato, si spostano al suo passaggio. Sembra muoversi come potrebbe fare solo un alito di vento. Rabbrividisco, sentendolo alle mie spalle.

Le sue braccia mi cingono alla vita, senza violenza, senza forza eccessiva, abbracciandomi da dietro. È un gesto inusuale da parte sua, sembra che si pieghi su di me.

Come se per un attimo, abbia io il potere e non lui…  come se fossi di nuovo io quella forte, e lui quello debole. Come se fossi davvero io la regina, qui.

Poggia il viso contro la mia guancia, la mia schiena si adagia contro il suo petto. Lo sento respirare accanto a me in modo lento, come se aspirasse il mio profumo, come se tentasse di imprimerselo nella sua mente. “Sai di vaniglia…” sussurra, poggiando le labbra sul mio collo. Vado a fuoco, le sue labbra lasciano un segno rovente sulla mia pelle, quando si stacca.

Non mi ha baciato, ha solo appoggiato le labbra. Certo… ancora una sfida… devo essere io a pregarlo di baciarmi… non farà più nulla senza che io non voglia…

Tremo al pensiero che Pansy si affacci e mi veda, mentre mi auguro che Raissa se ne accorga e che mi venga a salvare.

Questo non è da me. Non è da me aspettare di essere salvata e restare inerme.

Non è da me.

Che cosa diamine mi sta succedendo?

Non riesco a scacciarlo… il riflesso di una mente che non vuole pensare, è cercare ansiosamente chi mi annulli del tutto la volontà. Dimitri mi annulla la volontà.

È questo che mi spinge verso di lui.

Dimitri, dopo qualche attimo di silenzio in cui sembra essersi solo bellamente gloriato della mia reazione, mi sussurra tra i capelli in tono persuasivo ma deciso: “Lo sai anche tu che non tornerà… perché lo aspetti ancora?”. Il tono roco delle sue parole è quasi divertito, specie nel sottolineare il perché io aspetti ancora Draco.

In fondo, credo che abbia solo sottolineato che lo sto aspettando, ma intanto lascio che lui mi faccia questo.

La mia mente si sveglia come sotto una cascata gelida. Riprende a pensare tutt’assieme, fluisce il terrore che quello che Dimitri dica sia vero, si spaccano come cocci tutte le mie resistenze, tutte le mie tesi, tutti i miei ragionamenti tesi a dimostrare che Draco tornerà sicuramente, senza ombra di dubbio. Non devo nemmeno pensarci al fatto che lui non torni.

Ed invece no…

Potrebbe anche essere che Draco…

Sussulto improvvisamente, in preda ai brividi, e cerco di allontanare Dimitri, divincolandomi come posso. Mi disgusta tutto di lui, il calore del suo corpo, il suo respiro, la sua pelle. Improvvisamente, un solo secondo in più tra le sue braccia mi farà rimettere.

Innervosito dalla mia reazione, che oramai non si aspettava più, la sua stretta si fa più salda, mentre mi serra le braccia attorno alla vita. Fatico anche a respirare, il mio torace non riesce nemmeno a sollevarsi, figuriamoci a tentare un qualsiasi movimento. In gola, trattengo le urla di panico che vorrei lasciar uscire.

Se Pansy mi vedesse, sarebbe la fine.

Lui respira tra i miei capelli, stringendomi ancora, le sue braccia si chiudono sotto il mio seno. Mi dibatto disperata, come un uccello in gabbia, mentre lui riprende a parlare: “Malfoy non tornerà, piccola Granger, lo vedrai da te… e se anche tornerà, non si ricorderà più nulla di te…”.

Cerco ancora di spingerlo via, non emettendo un solo fiato, la tensione del suo corpo contro il mio che mi suggerisce che, sebbene sia irritato dalla mia reazione, essa lo rende più bramoso della sua conquista. Mi rovescerebbe per terra e mi prenderebbe contro la mia volontà, se potesse. Forse teme solo Raissa e il fatto che io inizi finalmente ad urlare.

La paura mi confonde la vista, mentre con facilità impressionante, come se fossi una bambola di pezza, mi volta su me stessa, portandomi a tiro dei suoi occhi. Una delle due mani lascia libero il mio fianco, mentre trova il mio viso che solleva, mentre cerco di tenerlo rivolto verso il basso. L’altro braccio mi trattiene con forza, mentre continuo a spingere le mani contro il suo torace, cercando di spingerlo via, cosa che non lo impensierisce assolutamente.

La mia mente, atterrita, richiama energia dall’adrenalina che mi intossica il sangue.

Fingere

Abbandono le braccia lungo i fianchi, fingendo spossatezza, mentre fisso i suoi occhi come se mi ipnotizzassero, come se stessi per arrendermi e lui mi incatenasse senza possibilità di remissione, come se le sue parole sussurrate siano la sola cosa che percepisco attorno a me. Come se persino Draco non esistesse più, quando il mio petto squarciato continua a ripetere e ad urlare il suo nome. Si morde il labbro inferiore, soddisfatto, ed accarezza piano i miei capelli, con aria pensosa e riflessiva. Chiudo gli occhi, sperando che non si accorga del tremore delle mie palpebre oppure che lo fraintenda, scambiandolo per desiderio ed eccitazione.

Quando poggia la sua fronte sulla mia, li riapro, mentre mormora ancora, fissandomi dritto negli occhi con tono dolciastro: “Posso aspettare anche tutta la vita che tu lo capisca, posso aspettare anni vedendoti scrutare l’orizzonte, mentre lo attendi. Ma lui non tornerà ed un giorno lo capirai anche tu…”, la sua stretta si fa meno forte, mentre porta le sue mani sul mio viso, attirandolo vicino al suo. Sfiora le mie labbra, bisbigliando suadente: “…e quando quel giorno arriverà, sarai tu stessa ad implorarmi di entrare nel mio letto…”.

Chiude gli occhi, preparandosi a baciarmi. Mi trattiene debolmente, certo di avermi oramai in pugno.

Un formicolio mi solletica la nuca, adesso o mai più...

Con disgusto e con rabbia, mi allontano di qualche centimetro e gli sputo in faccia. Approfitto del suo momento di smarrimento per divincolarmi, faccio ancora fatica a respirare, il vento caldo sembra soffiarmi solo polvere addosso, senza alcuna forma di refrigerio.

Dimitri mi guarda con odio puro, pulendosi il viso con la manica della camicia. Prima che pensi a qualcos’altro, ringhio a denti stretti, stringendo i pugni: “Mettitelo in testa una volta per tutte… io, Draco ce l’ho dentro…  sarò per sempre sua… e se verrà il giorno in cui sarò di qualcun altro, specialmente tua, avverrà solo in un modo: da morta…”.

Non lasciandogli il tempo di replicare, mi volto bruscamente su me stessa, correndo dentro casa, salendo le scale, fino a barricarmi in camera mia, chiudendo la porta a chiave.

Scivolando per terra, dopo giorni, mi concedo il lusso di piangere di nuovo.

 

 

La notte è calata, senza che io nemmeno me ne sia accorta.

Ha sparso il suo velluto nero e lucido sulla valle, avvolgendo ogni cosa in una quiete ovattata ed irreale, pesante come un’attesa sfibrante, come se la stessa terra avesse smesso di respirare e fosse rimasta in apnea, asfissiata. Il caldo continua ad essere opprimente, schiaccia ogni cosa sotto una coltre umida, mentre un caldo vento di scirocco spazza le piante e fa stormire le rose del giardino. Il vento ha un odore di carta bruciata, che mi irrita il naso, porta l’eco di terre lontane riarse dal sole.

Le montagne, all’orizzonte, sembrano giganti guardiani di questa quiete prima della tempesta.

È un caldo anormale, quello che precede un temporale violento, già le nuvole si addensano scure in direzione di Londra, tingendosi di un lieve bagliore aranciato, causato dalle luci artificiali. Londra è alla mia destra, lontana, distinguo solo il baluginare delle luci che rompono la monocromia cobalto del cielo notturno.

Quando inizio a vedere i primi lampi vividi in quella direzione, mi abbraccio le ginocchia.

Seth si sarà messo a correre per casa, cercando di chiudere tutte le finestre, che intanto stanno iniziando a sbattere per il troppo vento. Imprecherà contro quella della cucina, la cui chiusura è difettosa, e maledirà la pioggia che gli bagna la camicia di Fendi. Mediterà di lasciare tutto così e tornerà indietro sui suoi passi, fino a quando April lo rimprovererà e farà sbuffante marcia indietro. Non lo seguo oltre con gli occhi della mia mente, perché so perfettamente che, quando Seth ritornerà in camera sua, sarà solo.

E lui odia essere solo. Dormire da solo è in cima alla classifica delle cose più odiose al mondo, per lui.

E, in pochi giorni, lui ha perso me, Draco e Serenity.

Seduta sul patio della villa di Pansy, cercando refrigerio sulle fresche assi di acero bianco, poggio il mento sulle ginocchia piegate e chiudo gli occhi.

A Seth, ho dato la stessa versione propinata a tutti quanti, lui al telefono ha annuito gravemente, approvando. E mi ha chiesto di Danny, se sapessi come stessero lui e Serenity e se le cose a casa loro, in America, si stessero risolvendo. Mi ha spiegato che l’aveva chiamato una sua amica di nome Pansy, dicendo che era morta una loro vecchia e cara zia e che sarebbero rimasti in America per un po’.

Ho evitato di dire nulla, ogni parola sarebbe stata un’ammissione del ruolo che avevo avuto in quella chiamata. Ero stata io a dire a Pansy di farla.

Ed invece ho cambiato bruscamente discorso e Seth non ha fiatato, pensando che, dopo la mia confessione sui miei sentimenti non corrisposti per Danny, io stessi semplicemente evitando di parlare. Cosa vera, a conti fatti… ma Seth non sa quanto tutto sia cambiato, in poco tempo.

Lui mi ama, Seth. Ha cercato di proteggermi, sempre. Summer è sempre stata la strega che pensavi, ma si chiama Astoria. E ci vuole morti, entrambi.

Bugie, su bugie. E ho smesso di rispondere anche ai suoi messaggi, se non con monosillabi e frasi mozzicate.

Non gli dirò mai una bugia, mai più.

Se lo rivedrò, se un giorno accadrà, gli racconterò tutta la verità, dal principio.

Un’ombra alle mie spalle mi fa trasalire, strappandomi ai miei pensieri. Sono sicura a chi appartenga, dato che ho aspettato ore, chiusa in camera mia, che Dimitri uscisse, ma comunque gli eventi di questa mattina mi impediscono di ignorare il sobbalzo del cuore e la stretta dello stomaco.

Sinceratami che si tratta di Raissa, che si siede accanto a me in silenzio, riprendo a fissare le nuvole che si avvicinano sempre di più.

“Draco potrebbe non tornare mai più…”.

Sgrano gli occhi, sono stata io a parlare. Era la mia voce, era indiscutibilmente la mia voce, le corde vocali vibrano ancora nella mia gola.

Ho aperto le labbra per dire una cosa fredda ed impersonale, una frase fatta del tipo che sta per piovere e che forse è meglio che do un’occhiata a Serenity. Ho aperto bocca solo perché odio il silenzio e perché Raissa, invece, non parla mai, se non interpellata.

Ed, invece, mi è uscita una cosa completamente diversa.

La verità… non più una bugia.

Il pomeriggio è corso tutto tra le pareti della mia camera, tinte prima di luce chiara e poi di un lieve bagliore rosato. Ho contato le ore ed i minuti passare, come se stessi solo allora imparando i numeri ed avessi bisogno di tutta l’attenzione del mondo per memorizzarli, restando cosciente solo per i piccoli suoni inarticolati, che uscivano dalle labbra di Serenity.  

Mi sono lavata la faccia più e più volte, perché gli occhi mi bruciano ancora dopo aver pianto stamattina, e non riesco a farli ritornare limpidi.

E quando Serenity si è addormentata e ho sentito sia Pansy che Dimitri uscire di casa, mi sono spinta fuori dalla porta.

Non ho passato un solo secondo ferma, immobile, come se, smettendo di muovermi, potessi interrompere il battito del mio cuore. O il piede andava avanti ed indietro, mentre leggevo, o le dita della mano tamburellavano ininterrottamente. Vittima febbrile, mi sono calmata solo sedendomi qui fuori, osservando la natura che si preparava al temporale e che mi sembrava vicina a me stessa e ai miei sentimenti. Perché, dentro, da questa mattina, si è insinuato qualcosa, una spina sottopelle come quelle delle rose, se non fai attenzione a coglierle.

Non sono riuscita a capire che cosa fosse, fino ad ora.

Draco potrebbe non tornare mai più.

Gli occhi si inumidiscono all’istante, il giardino davanti a me, illuminato solo da decine di piccole candele tondeggianti sparse sul selciato, diventa liquido anch’esso, tremolando nelle mie iridi. È un pensiero così scontato che fa quasi ridere, eppure, fino a stamattina, fino alle parole di Dimitri, io concretamente non ci ho mai pensato.

La mia mente è risorta e non c’è più nulla, ora, a farla tacere.

Nessun pensiero consolante, nessuna frettolosa rassicurazione, niente di niente.

Draco potrebbe non tornare mai più… o tornare senza alcun ricordo… o tornare morto.

Sospingo il dolore a quel pensiero, lo seppellisco a fondo cercando di ignorarlo, e penso solo alle cose più concrete, più materiali.

Devo occupare la mente, occuparla ora che non è più in grado di restare vuota. Altro meccanismo per impedirmi di impazzire.

Raissa annuisce gravemente, con la coda dell’occhio vedo che ha chiuso gli occhi e ha serrato le labbra rubino.

“Che cosa accadrà a me e a Serenity?” aggiungo, mantenendo calma la mia voce prima che mi dilani la disperazione alla sua mancanza assoluta di reazione.

Non ha detto di no, non ha detto: “Tranquilla, Draco tornerà…”, non mi ha contraddetta.

“Per Serenity, credo che sappiano Blaise e Pansy che cosa fare…” commenta incolore Raissa, le dita che giocherellano con la sua bacchetta.

Una scintilla viola sfugge dalla punta, la seguo mentre vola qualche istante e poi si spegne, cullata dal vento.  

“Certo” sospiro, cercando ancora di reprimere quel nodo che impedisce alla mia voce di non suonare troppo bassa.

Blaise aveva i ricordi di Draco, proprio per mostrarli un giorno a Serenity, qualora a lui fosse capitato qualcosa. La daranno in affidamento a qualcuno di babbano, così da rispettare la volontà di Helena. Potrò rivederla io? Una lacrima ribelle scivola lungo il mio viso, la nascondo con il palmo della mano, prima che Raissa se ne accorga.

“Serenity è giusto che stia qui… il tuo caso è diverso…” sospira Raissa, come se stesse parlando da sola e non più con me. Seguo le sue parole, senza interromperla.

“Ho promesso di proteggerti… questo lo sai…” prosegue lei, sospirando ancora “Ma non posso chiuderti a chiave in una stanza… non è auspicabile per te, ma soprattutto per me. Ho una mia vita… mi pare ovvio…”. Non obietto al suo egoismo, in fondo viene enormemente a mio vantaggio.

“E la situazione con Dimitri sta peggiorando…” sussurra preoccupata, prima di fissarmi dritto negli occhi: “Vi ho visti stamattina…”.

Sussulto, ricordando la paura provata e il terrore che mi stesse per violentare. Mi assale anche l’incertezza, perché Raissa non l’ha fermato?

Riprendo fiato, non volendomi mostrare ancora più debole di quanto già non sia: “Se avessi una bacchetta, gli farei passare tutta la voglia di avvicinarsi a me, ma ovviamente dubito che me la darete…”.

Raissa sorride amara: “Se pensassi che tu, con una bacchetta, potresti fermarlo, te l’avrei già data… non potresti rompere gli incantesimi della proprietà nemmeno volendo… ma il guaio è che, anche se ti dessi la Bacchetta di Sambuco, non riusciresti comunque ad allontanare Dimitri… ogni giorno in più che passa, senza avere notizie di Draco, per lui è una vittoria… stai perdendo la speranza che ritorni ed è giusto. E lui approfitterà della tua debolezza…”.

“Io non starò mai con lui, se è questo che intendi…” borbotto offesa, serrando le spalle. O meglio starò con lui, ma con la forza. La prossima volta non sarà tenero come oggi.

L’angoscia mi inzuppa la schiena di sudore freddo, mentre Raissa tace persa nei suoi pensieri, confermandomi implicitamente che la mia non è semplice paura.

Raissa, alla fine, sospira di nuovo e dice: “Tre giorni… aspetta solo tre giorni. Poi ti accompagnerò io stessa al Ministero e ti affiderò a Potter… è rischioso, lo so, ma lo è molto di più farti restare qui… specie per me…”, non capisco che cosa tema così tanto, ma annuisco pensosamente. In fondo mi sta dando quello che chiedo da settimane. E poi tutto, pur di andarmene da qui. Dimitri la preoccupa. E non la preoccupa solo per me… la preoccupa anche per sé stessa.

“Intanto sarà meglio che tu resti sempre con me, siamo intesi?” soggiunge ancora, alzandosi in piedi “Non ti farà nulla, se ci sono io…”.

Annuisco, alzandomi in piedi a mia volta e scrollandomi la polvere dai jeans chiari.

Però, la dimensione del potere che Dimitri ha su sua sorella continua ad incuriosirmi ed, incapace di trattenermi, chiedo con voce strozzata: “Raissa, io non capisco… ma perché lo temi così tanto? In fondo, lui…”. Un tuono violento interrompe le mie parole, sembra provenire da molto vicino e mi fa sobbalzare, seguito da una folata di vento che spegne alcune delle candele del vialetto. Adesso distinguo appena il viso di Raissa. Non mi sono accorta che il temporale si è avvicinato così velocemente.

“Sarà meglio che vada a controllare Serenity… ha paura dei temporali…” aggiungo velocemente, guardandola. Ha il viso rivolto verso il giardino, gli occhi sono immobili, ma non distinguo la sua espressione. Sembra una statua congelata.

“Raissa…” la chiamo leggermente, scuotendola per il braccio. Lei copre la mia mano con la sua, come se volesse al contempo trattenermi e ricavare forza da me. Continua a restare in silenzio, la sua mano è gelida, il viso è immobile, fisso in un punto che vede solo lei. Dopo qualche secondo, finalmente le sue labbra si aprono. Scuote la testa incredula, fa un piccolo sorriso e poi bisbiglia, lasciandomi la mano: “Non ci sarà nessun temporale stasera… anzi forse potrebbe essere la notte più bella della tua vita…”.

Improvvisamente, inizio a capire. Un calore assurdo si espande nel mio addome, mentre mi volto lentamente, guardando in direzione del vialetto d’ingresso.

 

Capitolo forse un po’ morto, ma necessario!! Sono enormemente di fretta quindi ringrazio velocemente tutti coloro che hanno risposto al mio appello, recensendo la storia, grazie! Sto rispondendo a tutti, ma purtroppo ho sempre il tempo risicato quindi lo sto facendo piano piano…-.- un bacione! Cassie!!

   
 
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