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Autore: callistas    18/11/2011    18 recensioni
Per chi aspettava, eccomi tornata come promesso.
Allora, non voglio anticiparvi niente, ma voglio dirvi che questa storia è la prima cosa seria che ho scritto.
Ci sarà una gran voglia di uccidere qualcuno e incoraggiare chi è sempre rimasto nell'ombra.
Ho cercato - davvero, ci ho provato - a mantenere l'identità del personaggio originale, ma dopo un pò sono riuscita a cadere ancora nella trappola infame dell'OOC.
E' una DracoxHermione, una coppia che adoro.
Vedremo il loro rapporto evolversi grazie a qualcosa che accade a Hermione. La tematica è trita e ritrita, ma ho voluto intasare il sito anche con una mia personale visione delle cose.
Spero possa piacere.
Se sì, commentate.
Se no, commentate.
Se forse, commentate.
In ogni caso, fatemi sapere che ne pensate.
W la democrazia!
Un bacio a tutti i passanti, callistas.
Genere: Commedia, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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25 - Il confronto Puntuale come la morte!
Beh, speriamo che la Signora con la Falce mi permetta di finire di postare questa storia, almeno…
Prima di lasciarvi al capitolo, voglio dirvi solo una cosa…

GRAZIE!

Se qualcuno conosce una parola che possa esprimere al meglio tutta la gratitudine che sto provando in questo momento me la faccia sapere.

Non voglio annoiarvi più del previsto, perché tanto vi aspetto in fondo. ùoù

Bacioni, callistas.









VERITA’ NASCOSTE
IL CONFRONTO

Candy si allontanò senza fare rumore con un sorrisetto divertito sulle labbra. Quei due sciocchi avevano silenziato la stanza, ma si erano dimenticati di sigillare la porta. Era bastato socchiuderla, affinché tutta la loro frustrazione uscisse fuori.
Era contenta che almeno Blaise avesse avuto la forza di uscire da quel tunnel, se lo meritava proprio.
Quando lo aveva conosciuto tre anni addietro andandoci a letto e rovinando definitivamente la sua storia con Jason, Blaise era un ragazzo molto diverso. Le donne erano solo un mezzo per soddisfare il suo piacere, come avessero dovuto ritenere un onore essere desiderate da lui. Era abbastanza cattivo negli scherzi e la faceva sempre franca.
Poi, era cambiato.
Candy, invece, non era caduta nel baratro della disperazione di chi era stata considerata alla stregua di un oggetto, visto e considerato che sapeva a cosa (chi) stava andando incontro. Si era semplicemente limitata a osservarlo durante il suo processo di trasformazione. Lo aveva visto mutare lentamente e si era rallegrata per lui.
Adesso il suo processo era finalmente completato.
Sarebbe toccato a lei, ma l’unica persona che voleva al suo fianco le aveva detto addio tre anni fa e da allora non si erano più parlati.
Tornò indietro, ma nel girare l’angolo si ritrovò a terra.
“Ahia…” – fece, massaggiandosi il sedere.
“Scusa, ti sei fatta male?”
Quella voce non l’avrebbe mai dimenticata. Mai. Quando si girò, sorpresa, vide il suo ex ragazzo, sorpreso forse quanto lei.
Jason si affrettò ad aiutarla a rimettersi in piedi.
“Ehm… ti… ti sei fatta male?”
“No, ho il sedere duro, io.” – scherzò lei.
Scherzare.
Era l’unico modo che aveva per affrontare quella situazione. Si spolverò la gonna e rialzò lo sguardo.
“Sono contenta di averti visto.” – disse, sincera. – “Passi il Natale dai tuoi?”
“Sì…” – fece lui, a disagio. In quel momento Jason ebbe come la sensazione di aver commesso un grosso errore nell’averle detto addio così prematuramente quella volta, senza aver fatto niente per fermarla, ma era stato un colpo troppo duro e la sua reazione fu più che altro dovuta a un orgoglio maschile ferito.
“Bene. Scusa ma devo tornare dalle altre.”
Scusa, ma devo scappare a piangere.
Candy lo salutò con un sorriso e girò subito la testa.
“Candy?” – la fermò lui.
Lei si girò di scatto, quasi non avesse aspettato altro da tre lunghi anni.
“Sì?”
Ecco, si era bloccato e lei sapeva che faceva sempre così quando doveva dirle qualcosa di veramente importante. Ma l’aveva sempre aspettato. Aveva sempre rispettato i suoi tempi.
Jason la guardò. Sembrò strano riuscire a capirsi con un solo sguardo anche a distanza di tre anni.
“Ti chiedi… ti chiedi mai come sarebbe tra noi… adesso?” – il sorriso di lei fu un’improvvisa ondata di caldo tropicale in una giornata invernale come quella.
“Oh, tutti i giorni, Jas.”
Il ragazzo sospirò. Da quanto non si sentiva chiamare così?
“Candy?”
“Dimmi.”
“Hai… voglia di… parlare un po’ con me?”
La ragazza non impiegò un solo istante a relegare le sue amiche in un angolo, che la stavano dando per dispersa, e andare da lui.
“Ti va bene qui?” – chiese lei, indicando uno scomparto vuoto.
“Sì, qui va bene.” – disse, entrando nello scomparto e chiudendosi dietro la porta.
Per sicurezza, Candy la sigillò e la impeturbò.




La faccia di Ginny era un’unica massa rossa. L’unica cosa che faceva capire a un estraneo dove si trovava la faccia erano le sclere degli occhi.
Per il resto era un enorme punto rosso.
Blaise, invece, costernato e sgomento per essere riuscito a dire quello che da più di un anno covava dentro di sé, si appoggiò, spossato, al vetro. Aveva gli occhi spalancati che fissavano un punto ai piedi della ragazza.
“Cosa?” – alitò lei, sconvolta.
Però, si rese conto, fu come essersi liberato di un masso sul cuore. Certo, non lo avrebbe mai corrisposto perché era troppo innamorata di quell’essere inutile di Potter che la trattava peggio di uno straccio vecchio per cambiare idea così, su due piedi, che decidere di scegliere lui e farsi rispettare da lui.
A Ginny, la verità non parve mai così chiara come in quel momento.
Blaise non voleva niente da lei.
Blaise voleva lei.
Imbarazzata come mai lo era stata in vita sua, la rossa non seppe che altro dire.

Ma questo è suonato!
Come diavolo ha fatto a innamorarsi di me? Con che coraggio, poi? Merlino, sembro uno spaventapasseri! Ma sta bene?
Però ora mi spiego i suoi appostamenti, i suoi agguati, il fatto che abbia accettato con remissività il fatto di dovermi dare delle ripetizioni… lo aveva fatto per stare… con me?
Perché mamma mi ha fatta idiota?

“Sono innamorato di te.” – disse Blaise. Negare o ritrattare non sarebbe servito a niente.
Sentirselo dire così apertamente, così direttamente, le fece venire una vampata di calore tipica della menopausa.
“Ma… TU NON SEI NORMALE!” – urlò Ginny, facendolo spaventare. – “Innamorato di me? Scherzi, vero?” – chiese la rossa con una mano sulla fronte, testimone della sua assoluta e indubbia incredulità.
“Lo trovi tanto strano?” – chiese lui.
“Strano? E’… è fantascienza!”
“Perché?” – scattò subito lui. – “Perché sono un Serpeverde e tu una Grifondoro?”
Ginny, da quando aveva avuto modo di conoscerlo meglio per via delle ripetizioni di Pozioni, era riuscita ad andare oltre quello stupido pregiudizio. E quando se lo sentì sbattere in faccia in quel modo così aggressivo – e ingiusto – non ci vide più.
Toccò a lei parlare.
“No! Perché io sono un cesso e Candy una strafiga!” – certo, quando si arrabbiava il suo linguaggio passava in modalità scaricatore-di-porto on, però era meglio parlare chiaro, senza giri di parole. Di quelli ne avevano fatti fin troppi, per non parlare del tempo perso a causa di essi.
Blaise la guardò, allucinato. Era solo quello il problema?
“Perché anche se sono di discendenza purosangue, la mia famiglia non ha il becco di un quattrino! E perché dovevi essere veramente in ultima fila quando Merlino ha dato fuori il cervello!” – sbottò, profondamente convinta di ciò che stava dicendo.
“Aspetta un attimo.” – disse il moro. Si girò e aprì il finestrino. – “Le tue stronzate non ci stanno tutte qui dentro!”
Una sventagliata di aria fredda invase lo scomparto. I capelli di Ginny iniziarono a svolazzarle intorno, mentre lei non sapeva più dove mettere le mani per cercare di riportarli a terra.
“E’ per questo che non dovrei innamorarmi di te?” – urlò, per sovrastare il rumore del vento.
Ginny continuò a lottare con i suoi capelli.
“Credo siano motivazioni più che sufficienti!” – urlò lei, mentre i capelli le finivano in bocca.
“NO!” – urlò Blaise.
Ginny lasciò andare i capelli quando vide Blaise avanzare verso di lei e afferrarle le braccia.
“Ho solo sentito delle scuse patetiche! Se non ti piaccio perché non sono il tuo tipo, mi sta bene, ma non tirare fuori queste stronzate! Preferisci stare con uno che non ti tratta con il rispetto che meriti? Preferisci piantare in asso tutte le attività che ti rendono felice solo per essere più femminile agli occhi di Potter? Apri gli occhi, Ginevra! Guardati per quello che sei veramente!”
La domanda era lì, bloccata nella sua gola.
“Sei… sei una bellissima ragazza. Non occorre essere necessariamente fisicamente belle per piacere a un ragazzo. Il più delle volte la determinazione e la sicurezza in sé sono componenti più che sufficienti per… per farmi innamorare di te.” – disse, portando la discussione su toni più calmi e personali.
Si staccò da lei e andò a chiudere il finestrino. Si appoggiò un attimo ad esso per cercare di riprendere un po’ di calma.
Ginny era, per la prima volta in diciassette anni, rimasta senza parole. Il che equivaleva a un miracolo o, più comunemente, a un’assenza di argomentazioni sufficientemente valide da portare come tesi a favore delle proprie motivazioni.
Il vero motivo per cui Blaise non poteva innamorarsi di lei era un altro. Molto più semplice ma, ovviamente, il più serio.
“Non puoi innamorarti di me.” – aveva risposto la ragazza. Ravviò i capelli all’indietro in un gesto che scioccamente sperava le facesse guadagnare un po’ più di tempo.
“Perché?” – chiese Blaise. Non era disposto a cedere, non più. Si era giocato tutto: la reputazione, i suoi sentimenti… e se la ragazza che ora gli stava in fronte pensava di poterlo liquidare con un semplice “non puoi innamorarti di me” allora non aveva capito niente o meglio: non aveva capito quanto un Serpeverde potesse essere testardo quando si impuntava su qualcosa.
Ginny scosse la testa. Voleva dirlo, ma allo stesso tempo non lo voleva fare. Se si fosse confessata, mostrando il cosiddetto fianco, si sarebbe privata di ogni difesa e temeva che agli occhi di Blaise potesse risultare come una scusa, ma se non lo avesse fatto, sentiva come se si sarebbe mangiata l’occasione del secolo.
Tentennò ancora qualche istante prima di trovare il coraggio Grifondoro per – metaforicamente – mettersi a nudo.




“… non parlavamo nemmeno più, Jas.” – disse Candy, con un sorriso mesto.
“Perché immagino che tu con Zabini abbia parlato, quella volta.”
Candy divenne una statua di pietra.
“Scusa…” – fece lui. – “… colpo basso. Scusami…”
“Non ti preoccupare.”
Lo faceva sempre. Lui la feriva, e lei lo perdonava, ma non voleva più andare avanti così. Quando le prese la mano, Candy sentì una scossa partirle da quel punto e correre lungo tutte le terminazioni nervose.
“C’è… una cosa che non ti ho mai detto…”
Candy lo guardò confusa.
“Cosa?”
“E…” – le lasciò la mano, facendola sentire persa. – “… credo che ti arrabbierai.”
“Cosa c’è?” – chiese lei, cercandolo con lo sguardo.
Jas prese un pezzo di carta dall’interno del mantello. Non se ne separava mai. Lo aveva protetto con un incantesimo, affinchè la carta non subisse gli effetti del tempo.
Glielo porse.
E lei lo prese.
“Cos’è?” – chiese, srotolando il foglio.
Era una carta diversa dalla pergamena. Era di un bianco accecante, che in quel momento le diede fastidio. E c’era solo un posto in cui si usava quel tipo di carta. Lo guardò, spaventata e l’aprì, incurante di poterlo rovinare.
Lesse avidamente tutto il contenuto, sentendo la terra franarle sotto i piedi.
“Mi dispiace…” – lo sentì dire.
Ma poi, fu come se le orecchie si fossero chiuse, come quando vi entra l’acqua e non sentì più niente se non il rumore del suo cuore che cadeva a pezzi, amplificato.




Anche se ne avesse avuto l’occasione, Ginny non ne avrebbe approfittato per scappare. Era vicina alla porta: bastava uno scatto da grande giocatrice di Quidditch qual era stata e avrebbe potuto evitare di affrontare quel discorso.
Ma non lo fece. Non era una codarda, o almeno, così le piaceva pensare. Così, fece l’unica cosa intelligente che il suo cervello le suggerì da quando si era messa con Harry: prese posto su un sedile e si preparò ad affrontare un discorso che fino a quel momento aveva avuto sempre e solo con il suo inconscio.
Blaise la imitò. Dovette serrare le labbra per impedirne il tremore che denotava felicità per quella fiducia.
“Quando mi sono messa con Harry, ho realizzato i miei sogni. Tutti.”
Il labbro di Blaise smise di tremare. Divenne serio e serrò la mascella fino a quasi spezzarsi i denti.
“Perdonami, ma non mi interessa molto di Potter. Vorrei…”
“Vuoi sapere perché non puoi innamorarti di me o no?” – chiese brusca.
Il moro annuì.
“Allora zitto e fammi parlare.” – disse, sottolineando quel verbo.
Blaise sperò che quel piccolo alterco non avesse rovinato le sue intenzioni di aprirsi con lui, perché se non lo faceva, lui non avrebbe mai potuto sapere cosa passava nella sua testa che le faceva fare un’affermazione forte come quella di prima.
Ginny annuì e cercò dentro di sé la sicurezza per ciò che stava per rivelargli. Aprì e chiuse le mani, denotando timore.
“E’ dall’età di dieci anni, quando ho visto per la prima volta Harry a King’s Cross, che mi sono innamorata di lui. Nella mia mente di bambina avevo già progettato tutto: l’amore, una bella casa, tanti bambini e pranzi domenicali con tutti i miei amici. Peccato che non ho fatto i conti con la mia timidezza. Non riuscivo a stare nella stessa stanza dove c’era lui senza arrossire o balbettare. Se mi chiedeva qualcosa mi pietrificavo letteralmente e se Ron mi chiedeva di dirgli qualcosa per suo conto, mi riducevo a spedirgli dei gufi perché non riuscivo a guardarlo in faccia.” – un sorriso mesto le increspò le labbra, nel ripercorrere a voce alta la sua vita da quando era entrata a Hogwarts.
Blaise non la interruppe mai.
“Con il passare degli anni e il fatto che Harry passasse da noi le estati e le vacanze di Natale, sono riuscita a farmi un po’ più di coraggio e a parlargli senza balbettare, scoprendo alla fine che non era altro che un ragazzo come tutti, forse con qualcosa in più, visto il suo legame con Tu-Sai-Chi.” – si schiarì la voce. – “Ciò che non sapevo, ma che tutti ovviamente avevano capito prima di me, era che anche a Harry io piacevo, ma dato che Ron era il suo migliore amico, si era sempre trattenuto per paura di rovinare l’amicizia con lui. Allora per provocare una sua reazione, ho iniziato a uscire con altri ragazzi, ma niente: sempre fermo sulle sue posizioni.” – disse, battendo le nocche della mano destra chiusa a pugno sul palmo aperto della sinistra. – “Facciamo un salto in avanti.” – disse, per prepararlo ad affrontare un diverso lasso temporale. – “Settimo anno.” – disse, introducendo l’anno in cui l’amicizia tra Blaise e Ginny aveva iniziato a formarsi. – “Siamo tutti preoccupati perché di Hermione non si hanno notizie. Abbiamo chiesto in giro, ma nessuno sa dirci niente. Veniamo a sapere da lei stessa, una volta tornata a Hogwarts, che sua madre non è sua madre ma una donna che l’aveva rapita. Le sono stata vicina, o almeno così mi piace pensare, ma Ron e Harry hanno iniziato a comportarsi in modo strano.” – Ginny non lo vide perché lei stessa aveva gli occhi puntati sul pavimento, ma Blaise aveva iniziato a muoversi nervosamente sul sedile opposto. – “Tutto ciò in cui avevano sempre creduto era diventato… come posso dire?… diverso, cioè… se prima l’idea di un’aggressione li avrebbe fatti andare alla ricerca del colpevole per punirlo, adesso sembra solo un atto dovuto.”
Blaise capì immediatamente il riferimento all’aggressione di Pansy. Non sapeva di questa cosa e un pungolo di odio bussò al suo cuore, ma così com’era arrivato, così sparì. Sapeva il motivo che spingeva i due a comportarsi in quel modo, ma non era quello il momento né il luogo per parlarne.
Soprattutto la persona…
“Mi dicevo che era un momento, che erano nervosi, che stavano ancora cercando di superare i traumi della guerra… ma più passava il tempo, più mi rendevo conto che difficilmente le cose si sarebbero aggiustate.”
“Allora perché ti sei messa con lui?” – chiese istintivamente il moro.
Ginny serrò gli occhi, cercando di trattenere la frustrazione per essere stata interrotta.
“Blaise, ti prego!”
Fu solo davanti a quella disperazione che Blaise si morse la lingua, maledicendosi per averla interrotta.
“Non interrompermi o non riuscirò più a dirti quello che devo!”
“Scusami.” – si affrettò a rispondere il moro. – “Scusami… ti prego, va avanti…”
Per la seconda volta, Ginny dovette andare alla ricerca del coraggio perduto.
“Mi sono messa con Harry per dimostrare a me stessa che non era cambiato niente.” – disse, dando voce al suo tormento interiore. – “Volevo dimostrare a tutti che Harry era sempre il solito, che se si comportava così era solo perché era ancora sotto sopra per la guerra. Volevo dimostrare a me stessa che il bambino che ho visto crescere e trasformarsi in uomo non era cambiato così drasticamente. E volevo dimostrare a Hermione che il Trio c’era ancora. Hermione…” – lì si interruppe e prese un enorme respiro, guardando in alto per evitare che le lacrime scendessero. – “… li ha sempre sostenuti, sempre!”
Blaise annuì. Ricordava perfettamente la sfuriata di Hermione nell’ufficio di Silente. La riccia aveva buttato fuori tutto il suo rancore, doverosamente celato dietro una stoica pazienza e un’amicizia che pensava sarebbe saltata fuori nel suo momento del bisogno.
Purtroppo non fu così.
“E quando è toccato a lei ricevere, le hanno voltato le spalle.” – una lacrima le sfuggì lo stesso. – “E quando mi sono messa ugualmente con lui, in quel momento non me n’è fregato un accidenti di niente!” – urlò, scoppiando finalmente a piangere. Piantò lo sguardo a terra, con le mani strette a pugno tanto da far sbiancare le nocche. Le lacrime le bagnavano i jeans. – “Non mi importava di Hermione e nemmeno degli altri! Volevo essere felice! Io! Io e basta! M’importava solo di me!” – si chinò sulle ginocchia e prese il volto tra le mani, piangendo disperata.
Blaise la guardò, impensierito.
“Le… le ho piantato un coltello nella schiena! Le ho fatto una vigliaccata che non pensavo di essere in grado di farne una! Ho!, ho-ho addirittura giustificato Harry! Non ti puoi innamorare di me! Faccio schifo come persona! Non-non sono neanche un e-essere umano!” – singhiozzò lei, sconquassata dal pianto.
Per una frazione di secondo, ma proprio per la durata di un battito di ciglia, Blaise fu tentato di alzarsi e andarsene, poi, inorridito da quel pensiero, l’abbracciò di scatto e la tirò a sedere sul pavimento.
Ginny si aggrappò a lui, piangendo ancora più forte. Le massaggiò la schiena, cercando in quel modo di calmarla.
“Va tutto bene, dai… tranquilla…”
Dopo essersi calmata, operazione che richiese svariati minuti, Ginny si staccò da lui, imbarazzata per aver finalmente esposto le sue motivazioni. Prese le distanze da lui. Blaise la guardò, confuso.
“Adesso lo sai.” – disse, guardandolo fugacemente per un attimo per poi tornare a guardare il pavimento, improvvisamente fattosi interessante. – “Per quello che mi riguarda…” – ecco la bomba finale. – “… mi merito Harry.”
Blaise sgranò gli occhi, allucinato da quell’ammissione.
“Mamma mi ha sempre detto che tutto il male che facciamo, prima o poi ci torna indietro.” – piantò gli occhi arrossati in quelli di Blaise. – “E a me è toccato Harry.”
“Merlino, ma… ma ti senti?!” – chiese allucinato. – “Come fai a dire una roba del genere? Non… non augurerei Potter nemmeno a… a… a Potter!” – esclamò, strappando un sorrisetto a Ginny. Voleva dire al suo peggior nemico, che mai come in questo periodo si identificava perfettamente proprio con Harry Potter. – “Scusa e con tutto quello che ho fatto io cosa dovrebbe tornarmi indietro?” – chiese, giustamente il ragazzo.
“Ma tu non conti.” – rispose lei, senza collegare il cervello alla bocca. – “Tu sei sempre stato stronzo, cosa vuoi che ti capiti?”
Cadde un’indescrivibile cappa di silenzio dopo quelle parole. Blaise la guardò, chiedendosi se dovesse prenderlo come un complimento, oppure come un inoppugnabile offesa, ma dopo tutto quello che Ginny gli aveva confessato, lo prese per ciò che era: la reale situazione dei fatti.
Ginny invece lo guardò, chiedendogli tacitamente se aveva detto veramente quelle parole. La ragazza si portò una mano sugli occhi, indignata da se stessa.
“Capisci perché non puoi innamorarti di me?” – cercò di buttarla in vacca e, dalla risata che scatenò nel moro, pensò di esserci riuscita.
Stirò le labbra in un sorriso tirato e imbarazzato, mentre osservava la bocca di Blaise.
Arrossì per i pensieri che ci aveva fatto sopra e abbassò lo sguardo.
“Non si può dire che tu non sia sincera.” – osservò il moro.
“Non si può dire che non sia un’egoista.” – rispose Ginny.
Adesso, toccò a Blaise parlare.
“Senti… ti sei comportata male con Hermione, e allora?”
“Come e allora?” – in pratica aveva puntato tutto su quell’argomento, sulla sua vigliaccheria e il suo egoismo per farlo desistere dall’amarla e lui le diceva “e allora”?
“Sì, e allora?” – chiese, con una scrollata di spalle. – “Hai sbagliato e mi sembra che tu ti sia punita abbastanza per questo. Tu e Hermione vi siete riavvicinate, vorrà pur dire qualcosa, no?”
“Sì, ma…”
“E poi non è tipico di voi Grifondoro porre rimedio agli errori che commettete?”
“Sì, ma…” – ritentò lei.
“E poi per quello che mi riguarda non ho cambiato idea.”
“Sì, ma…”
“Tu credi veramente che per un tuo gesto sbagliato, possa cambiare i miei sentimenti a comando? Forse avresti più ragione tu di non parlarmi, visto che tra i due lo stronzo io sono sempre stato io.” – disse, con un ghigno divertito.
Sì, ma… questo è quello che Ginny avrebbe voluto dire, ma non trovava niente con cui ribattere le tesi del ragazzo. Sospirò.
Ora che Blaise gli aveva spiegato – come si fa con un bambino cocciuto – le sue argomentazioni, le sembrò che tutti i suoi discorsi sul meritarsi Harry, perché lei aveva fatto del male alle persone, fossero sbagliati e privi di logica. Non riusciva più a trovare sensate le motivazione che gli aveva fornito per farlo desistere dall’amarla.
E quindi?…
Quando Ginny sentì le mani grandi di lui portarle indietro i capelli, si sentì a casa. La tirò verso di sé, contento che non l’avesse rifiutato.
Si sentì finalmente protetta, rispettata.
Amata.
Avvertì tutte quelle sensazioni che, solo poco tempo prima, si era imposta di provare per Harry, mentre con Blaise le venivano naturali come respirare.
Sentì anche il cuore del ragazzo battere forte forte e sorrise.
Batte per me, pensò Ginny, abbracciandolo.
Un piccolo pensiero, molto veloce, s’insinuò nella sua mente.
Avrebbe fatto volentieri l’amore con lui…

Avevano iniziato a strofinarsi a vicenda. A Ginny piaceva il profumo di Blaise. Era forte, ma non fastidioso.
Ecco. Adesso si metteva pure a fare i paragoni con Harry.
Harry usava Magician Tresor, una fragranza che ricordava molto il profumo che c’è in un bosco dopo che ha appena piovuto. All’inizio le piaceva, ma poi aveva iniziato a stancarla. Blaise, invece, doveva usare una fragranza, anzi, più di una, degna del suo conto alla Gringott, perché ogni volta che si avvicinava a lui per parlargli, sentiva sempre una nota in più. Che fosse agrumata o speziata, Blaise cambiava sempre.
E non stancava mai.
Per non parlare del profumo della sua pelle che mischiata a quello delle fragranze la stava inducendo a mordergliela. Però non si precluse il fatto di annusargliela.
Blaise sorrise. Era arrivato in Paradiso?
“Se fai così, potrei perdere il controllo.”
Ginny si staccò di scatto da lui, ma Blaise serrò la presa sui suoi fianchi, per impedirle di allontanarsi.
“Ah-ah-ah… dove vai?”
“Scusa…” – fece lei, imbarazzata.
Blaise le rimise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sembrò che Ginny si fosse resa conto solo in quel momento, dopo attimi di pura beatitudine, di essere un vero disastro.
“Senti…”
E dopo aver fatto una capatina in paradiso venne l’ora di tornare sulla terra, dove c’era il mondo reale.
“… io… ti ho detto quello che sento per te, ma tu?”
Ginny lo capì al volo. Si schiarì la voce.
“Io… devo affrontare una cosa alla volta, adesso.” – disse, staccandosi. Voleva essere onesta. Non voleva dirgli “sì, anch’io ti amo” nonostante di fondo ci fosse un’attrazione molto forte. Ora che stava iniziando quella risalita, voleva fare le cose per bene.
Blaise la lasciò andare e annuì. Aveva ragione.
“Devo dirlo a Harry, prima.”
A quel nome, Blaise serrò i pugni.
“Lui si è sempre comportato correttamente con me e io non voglio essergli da meno.”
Blaise si trattenne per puro miracolo. Se solo avesse saputo quello che Potter le aveva fatto: lo avrebbe mollato davanti a tutta la scuola, pur di fargli fare una figura di merda! Ma tacque. Se quel cretino aveva un briciolo di palle, le avrebbe usato la stessa gentilezza che lei voleva usare a lui.
“Una volta arrivati a casa, troverò un momento e gli parlerò.”
“Prima della festa di Hermione?” – chiese lui, sorpreso.
“Sì. Tirarla per le lunghe sarebbe inutile.”
Blaise se ne sorprese. Le soluzioni erano due: o aveva una voglia pazzesca di stare con lui, o non vedeva l’ora di farla finita con Potter.
Pregò fosse la prima, anche se nemmeno la seconda gli diede poi tanto fastidio…
Le prese dolcemente la mano e la tenne nella sua. Avevano un’ora circa a disposizione prima di separarsi. Di certo non si sarebbe messo a parlare del tempo…




“Perché non me lo hai mai detto?” – urlò lei, con le lacrime agli occhi.
Jason non fece nulla per giustificarsi. Aveva lasciato che il suo rapporto andasse alla deriva per non dirle quella cosa e si era reso conto di aver fatto la cazzata più grande della sua vita quando aveva capito che a spingerla tra le braccia di Zabini era stato lui stesso.
“Mi dispiace…”
“Non so cosa farmene delle tue scuse! Dovevi dirmelo! Avrei… avrei capito! Ti sarei rimasta vicina! Sei uno stupido!”
Lo sguardo mortificato di lui fu un calmante naturale. Non voleva inveirgli contro più del necessario, perché la situazione era già abbastanza complessa e grave di per sé. Ma continuò a piangere, perché sperava che con lei Jas fosse sincero.
Evidentemente non era così.
“Pensavo fossi diverso, Jason.”
“Volevo che ti rifacessi una vita, Candy.”
Lo schiaffo che arrivò fu imprevisto.
Da tutti e due. Lei ritrasse subito la mano, pentita per ciò che aveva fatto, ma non per il motivo, lui si portò la propria alla guancia. Era la prima volta che riceveva uno schiaffo.
“Io volevo che la mia vita fosse con te, stupido! Per anni ho creduto che tu ti fossi stancato di me!”
Jason la guardò sconvolto.
“Così sono andata a letto col primo venuto. Ma perché non me lo hai mai detto? Cosa pensavi? Che ti avrei lasciato?”
“Non lo so cosa credevo…”
Candy rilesse quel pezzo di carta. Ancora non poteva crederci.
“… ma pensavo fosse la cosa migliore.”
“Migliore per chi?” – abbaiò lei. – “Migliore per chi?”
“Candy, mi dispiace!” – urlò lui. – “Va bene? Mi dispiace! Avevi il diritto di rifarti una vita, ok? L’ho fatto per te!”
La ragazza negò con la testa, sconvolta.
“Oh, no… no, no, no, no… non ci provare a dire che lo hai fatto per me! Con che diritto hai scelto per me? Come ti sei permesso di prendere delle decisioni che mi riguardavano… senza consultarmi? Hai sempre fatto così! Prendi una decisione e me la devo far andare bene, NO!” – urlò, con gli occhi che mandavano scintille. – “Finora ti è andata sempre bene, ma stavolta hai esagerato. Non dovevi farmi una cosa del genere! Mi hai davvero delusa, Jason.” – aprì la porta dello scomparto e andò alla ricerca di un posto isolato, lontano da tutti, mentre Jason fissò con sguardo perso il referto medico dove lei lo aveva lasciato.









King’s Cross era colma di genitori che erano venuti a riprendere i figli. Draco, Theo, Pansy e Daphne scesero dal treno e salutarono lì i fratelli Preston, i cui genitori non erano ancora arrivati.
Ginny, Harry e Ron scesero dal treno e corsero incontro ai signori Weasley.
Ginny, notò Harry, aveva uno sguardo strano, diverso. Più vivo. Ma non se ne curò. In quel momento, doveva pensare a come far passare quelle due settimane in attesa di rivedere la sua Romilda.

“Allora, come ti senti?”
Hermione guardò Albert con un sorriso emozionato.
“Non lo so… voglio dire… sono già stata in quella casa, con loro… ho conosciuto te, ma… non so dire cosa proverò una volta che saremo tutti insieme.”
Albert andò a sedersi vicino a lei e le mise la mano sulla sua. I suoi occhi brillavano.
“Vedrai. Starai bene. A te piace il Natale, vero?”
Hermione sorrise.
“Oh, sì… molto.”
“Bene!” – fece, entusiasta. – “La villa è addobbata con mille decorazioni, tante luci… e tanti regali!”
La ragazza sorrise. Albert guardò fuori dalla finestra e vide che i suoi genitori erano arrivati. Balzò in piedi.
“Coraggio, sono arrivati.”
Hermione prese un enorme respiro e si alzò.
Forza e coraggio, si disse.









Preston Manor sembrava essere il centro ricreativo dove Hermione andava a trascorrere le vacanze di Natale quando ancora era una mezzosangue.
L’idea di andare in quel posto la eccitava sempre perché era pieno di luci colorate, che variavano dal rosso, al blue, al bianco… per non parlare delle stelle filanti che rischiavano, da tante che erano, di far inciampare gli ospiti.
“Sono contenta che siate a casa.” – fece Myra, andando a posare la sua stola sul divano. – “Ma penso che sarete stanchi. Andate a darvi una rinfrescata. Il pranzo verrà servito tra una mezz’ora.”
“Dai, vieni!” – Albert la prese per mano e insieme fecero le scale di corsa.
La donna dovette fare violenza su se stessa per non piangere. Si girò verso il marito, raggiante come non mai.
“Sarà il Natale più bello che trascorreremo!” – fece lei, eccitata come una bambina.
Elthon le sorrise e la guardò mentre dava ordini agli elfi di servire con particolare cura quel pranzo. Poi andò nel suo studio a leggere la posta arrivata.

Le lettere erano state divise a seconda del mittente. Aveva messo gli amici intimi da una parte, i parenti dall’altra, gli eccentrici da un’altra parte e gli stronzi, beh… quelli li avrebbe volentieri messi nel cestino.
Ma sua moglie era stata categorica: TUTTI dovevano essere presenti.
Inclusi i Malfoy.
Avevano questionato a lungo sulla loro presenza.
Ci fu un tempo in cui lui e Lucius erano inseparabili, così uniti da sembrare fratelli. Poi il biondo aveva preso altre strade, decisamente troppo lontane dal suo modo di vedere e l’amicizia si era sfaldata. Con Narcissa aveva sempre mantenuto ottimi rapporti. Era una donna di alta classe, a prescindere dai vestiti che adornavano il suo corpo, e si era sempre mantenuta neutrale in quella faccenda, a parte il suo primo e unico contributo durante la guerra, che alla fine gli rivelò la vera natura della donna. Anche se gracilina e di esile aspetto, Narcissa nascondeva la forza di un esercito di Troll quando si trattava della sua famiglia.
Da ciò che il Ministro gli diede di sapere, anche Lucius aveva avuto una parte positiva in quella battaglia. Quando il Signore Oscuro sembrava essere in vantaggio, Lucius si staccò dalla lotta e corse a cercare Draco con sua moglie.
Poi, ci fu il veto anche per lui che era il Capo degli Auror.
Mentre passava le varie lettere per decidere quale leggere per prima, incappò in una calligrafia dolorosamente familiare. Con qualche esitazione, l’aprì con il taglia carte e la lesse.

Non ti sembrano passati anni dall’ultima volta che ti ho scritto?
A me sì.

Elthon sorrise, sentendo gli occhi pizzicare. Si schiarì la voce.

Immagina la mia sorpresa quando ho ricevuto un invito da parte di tua moglie ad assistere a un evento importante. Non pensavo di rientrare ancora nella cerchia delle persone che puoi frequentare, signor Capo degli Auror.

Elthon sorrise ancora. Quando aveva confidato a Lucius – quasi una vita fa – che il suo sogno era quello di raggiungere quella carica, il biondo amico non aveva smesso un secondo di rivolgersi a lui con quell’appellativo.

Comunque, immagino che tu abbia discusso a lungo con Myra riguardo la nostra presenza a questo tuo ricevimento. Non intendo partecipare, se la mia presenza sarà in qualche modo di tuo poco gradimento, ma se per un oscuro, no… oscuro forse non è una parola che posso usare così facilmente…

Elthon rise di gusto. Anche in certe situazioni, il sarcasmo di Lucius non sarebbe mai morto.

diciamo arcano motivo tu dovessi ancora volermi presente, sarò onorato di poterci essere.

Il tuo vice Capo degli Auror

Ah, quanti ricordi, quanta nostalgia dei tempi passati. Perché Lucius aveva dovuto cambiare? Perché bramare qualcosa che non avrebbe mai potuto dargli vere soddisfazioni? Aveva tutto ciò che un uomo poteva desiderare dalla vita: una bella moglie, un erede maschio, visto che ci teneva particolarmente, ricchezza e potere.
Perché aveva dovuto volerne di più?
“Ti manca?”
L’Auror sussultò. Merlino, non si era nemmeno accorto che era entrata!
“M-Myra!”
La donna rise piano.
“Signor Capo degli Auror… ti fai mettere nel sacco da tua moglie?”
Ancora quell’appellativo… Elthon le sorrise e cercò di nascondere con nonchalance la lettera sotto il pacco di pergamene nuove. Myra lo vide e gli prese la lettera dalle mani.
“So che ti manca, Elthon.”
L’uomo si ritrasse come un riccio.
“Non so di cosa tu stia parlando, Myra.”
La donna, non contenta che suo marito tentasse di nasconderle le cose, gli prese il volto tra le mani e lo guardò.
“Sto parlando di Lucius, Elthon. Del tuo migliore amico.”
“Un tempo, forse. Ora è cambiato tutto.” – disse, scostandosi dolcemente dalla sua presa.
“Oh, non fare lo sciocco, Elthon!” – si stizzì lei. – “Sai benissimo che è cambiato, altrimenti non mi avresti mai concesso la possibilità di mandargli un nostro invito!”
Era così. In qualità di Capo degli Auror, Elthon presiedeva a ogni incontro con Lucius per il prelievo dei suoi ricordi e delle sue intenzioni ed era risultato sempre pulito.
E non c’era modo di scampare o modificare l’esito di quegli esami.
“Elthon! Sai benissimo che ha abbandonato ogni forma di magia oscura, eppure ti ostini a tenere in piedi quel muro che ti sei costruito!”
“Ah, adesso l’avrei costruito io?” – chiese, sgomento. – “Chi è che da un giorno all’altro ha deciso di passare al lato oscuro? Quel muro se l’è costruito Lucius da solo e ha fatto anche un ottimo lavoro. Non faccio altro che rispettare le sue volontà!”
“Parli come se fosse morto!”
“Per me è come se lo fosse!”
Myra si zittì all’istante.
“E’ stato il padrino di Albert!” – disse, con tono di voce alto. – “Ha sempre saputo quali erano i miei sogni e le mie ambizioni e mi ha tenuto buono finchè gli sono servito! Mi ha usato per avere informazioni sul Ministero!”
“Ma si è pentito! Perché non riesci a vedere anche questo?”
“Quello che vedo è un uomo che pur di evitare Azkaban farebbe di tutto, ecco quello che vedo! Per me Lucius non è cambiato di una virgola!”
Myra preferì non insistere sull’argomento. Farlo, avrebbe significato oltrepassare una linea di confine che avrebbe inevitabilmente rotto qualcosa.
E trascorrere il primo vero Natale da quando Hermione era scomparsa in un clima gelido non era nei suoi piani.
“Come preferisci, Elthon. Non ne parleremo più. Ma sappi che sei nel torto più marcio.”
La porta si chiuse delicatamente, come solo Myra sapeva fare, ma nel silenzio del suo studio fu come se fosse esplosa una bomba.

Hermione aveva ascoltato tutto, nascosta dietro una colonna di marmo nero.
Il suo sguardo era fisso a terra e giocherellava con un piede.
Non è vero che il signor Malfoy non era cambiato. Lo era veramente.
Perché è stata lei a far sì che quel cambiamento avvenisse.
Si spostò dalla colonna alla quale era appoggiata e si diresse verso la sala da pranzo, fingendo che nulla fosse successo.

Come previsto, fu un pranzo chiacchierato, ma era evidente che qualcosa tra i due coniugi non andava. Hermione, che aveva assistito a tutto il discorso, ne conosceva il motivo, mentre Albert sembrava tranquillo.
Dopo pranzo i ragazzi salirono nelle proprie stanze a disfare i bauli.
Hermione era preoccupata. Non sapeva se dire a Elthon quello che riguardava Lucius Malfoy. Da quello che aveva sentito, e che mai avrebbe sospettato, loro due erano come Harry e Ron.
Un Mangiamorte e un Auror… da non credere.
Poi, però, pensò a lei e Draco e sorrise.
Quando anche l’ultimo maglione fu messo a posto, la ragazza andò al balcone. L’aria fredda l’aiutò a pensare.
Dal venerdì successivo, tutto sarebbe cambiato per lei. Avrebbe conosciuto volti nuovi e molti di quei volti l’avrebbero guardata diversamente.
Un po’ come aveva fatto Draco.
Si alzò il collo del maglione e si abbracciò. Preston Manor era una distesa bianca, immacolata e senza l’ombra di un’impronta che ne poteva intaccare la perfezione.
Voleva iniziare l’anno nel miglior modo possibile.
Rientrò, percependo un immediato sollievo nell’entrare a contatto con l’aria calda della sua camera. Andò alla scrivania e scrisse una pergamena all’unica persona che poteva aiutarla.









Una tazza di cioccolata le volò davanti agli occhi. Sorrise stranita e quando vide il mittente di quell’amore di bevanda, sorrise ancora di più.
“Grazie.”
Ah!, le coccole della mamma! Non ci avrebbe rinunciato nemmeno tra un milione di anni!
“Prego. Allora Ginny, come va?”
La rossa seppe che sua madre stava per iniziare uno di quei discorsi donna-donna. Un po’ li temeva ma un po’ la facevano stare meglio, perché anche se Molly Weasley non era una ragazza della sua età, la rossa sapeva che su sua madre avrebbe sempre potuto contare.
Proprio perché era la sua mamma. Unica e insostituibile.
“Bene. Ho migliorato i voti in Pozioni.” – disse.
E le era anche grata perché se non fosse stato per lei, Blaise non si sarebbe dimostrato il ragazzo splendido che in realtà era.
Molly sorrise felice. Solitamente, quando chiedeva a un professore che uno dei suoi figli si facesse aiutare per migliorare i voti in qualche materia in cui non propriamente eccellevano, si ritrovava a fare i conti con musi lunghi e insoddisfazioni croniche.
Ginny era il suo piccolo e ultimo capolavoro. Non l’aveva mai delusa una sola volta, dimostrandosi sempre all’altezza della situazione.
“Sono contenta. Chi ti ha assegnato Severus?”
“Blaise Zabini.”
Molly non si scandalizzò.
“Un Serpeverde, immagino.”
Ginny annuì e fece ridere la madre. Molly le tirò via i baffi di cioccolato, facendola arrossire.
“Sì. Hanno una specie di immunità con quel professore.” – sbuffò lei.
“Sono un po’ preoccupata per te, Ginny.” – fece Molly, più seria.
“Perché?” – chiese, evitando il suo sguardo.
“Sei troppo magra. Mangiavi regolarmente a scuola?”
La rossa annuì.
“Sì.” – evitò accuratamente di dirle che Harry le aveva fatto notare che aveva messo su un paio di chili. Non era un caso da Wizengamot, e comunque nemmeno si vedevano.
Però il ragazzo era riuscito a farglielo notare, arrivando a tristi risultati ben noti.
In quel momento, entrarono Harry e Ron dal giardino, con le scarpe infangate per via della neve pestata. Molly, che non sapeva ancora niente, li guardò sorridenti, lieta che il piccolo Harry avesse finalmente una vita felice. Si rattristì solo un po’ quando li vede salire le scale senza degnarla di uno sguardo.
Ginny andò su tutte le furie. Nessuno poteva permettersi di ignorare in quel modo sua madre, nessuno!
“Dove vai?” – chiese Molly, vedendo sua figlia alzarsi come un tornado.
“A dirgliene quattro.”
La donna le sorrise gentile.
“Ma dai, non fa niente…” – ma quando la donna vide il volto troppo serio della figlia, il suo cuore captò che doveva esserci dell’altro sotto.
“Non fa niente un corno!” – esclamò lei. Fece gli scalini due a due e mentre si avvicinava alla camera del fratello, dove ovviamente li avrebbe trovati, non riuscì a credere che il momento di cui aveva parlato a Blaise fosse già arrivato.
Aprì la porta e se la chiuse alle spalle, incuranti della loro parziale nudità.
“Ginny! Che diavolo!” – esclamò Ron, coprendosi il pube con il maglione.
Ginny lo guardò con compassione.
“Puoi anche scoprirti che tanto non hai niente da nascondere.”
Ron arrossì, mentre Harry capì che qualcosa non andava.
“Che ti prende, Ginny?” – chiese il moro.
“Mi prende che non mi piace che entriate in casa senza salutare mamma.” – sbottò lei.
Che strano… vedere Harry a torso nudo non le faceva più provare quelle farfalle nello stomaco che aveva sentito tempo addietro. L’immagine del torace diafano di Harry fu sostituito da uno decisamente più scuro.
E più tonico, a giudicare dagli addominali che aveva abbracciato in treno…
“E’ solo quello il problema?” – chiese Harry, buttando sul letto il suo maglione. Pensava peggio.
“A dire il vero…” – fece lei, bastardamente. – “… ci sarebbe dell’altro. Ti mollo, Harry.”
La Tana rischiò di venire rasa al suolo da un urlo apocalittico.









Hermione guardò il gufo allontanarsi con la sua lettera, sperando che la persona alla quale era indirizzata accontentasse quella sua richiesta. Aveva scritto che le serviva una risposta, e possibilmente un colloquio, entro quel venerdì. Chissà se l’avrebbe accontentata un’altra volta.
Poi, una volta di fronte a lui, gli avrebbe promesso che sarebbe stata l’ultima.
“Hermione, sei qui?”
La ragazza si girò di scatto e sorrise a Myra.
“Ciao.” – la salutò lei. – “Mi cercavi?”
“Sì. Volevo sapere se per le prove con la tua amica sei a posto.”
Cavoli! Quasi se n’era dimenticata!
“Ho già un’idea di quello che vorrei che indossasse, ma devo vederglielo addosso per vedere come sta.”
“E quando verrà a stare qui?”
“Verso martedì, nel tardo pomeriggio. Grazie per il tuo permesso.”
Myra le sorrise.
“Non devi ringraziarmi. È un avvenimento molto importante. Come ti senti?”
“Nervosa.” – disse lei.
“Anch’io mi sentivo così, quando è stato il mio momento.”
“Dove si è svolto?” – chiese lei.
Myra ne approfittò per scambiare quattro chiacchiere con la figlia.
“A casa mia, ovviamente. Tua nonna era così agitata che in quella settimana le spuntarono i primi capelli bianchi.”
La riccia rise. Sua nonna, è vero… li avrebbe conosciuti a breve. Chissà che tipi erano…
“E… e la tua Accompagnatrice chi era?”
“Credo tu la conosca. Fu Narcissa Black, la madre di Draco Malfoy.”
Hermione, inspiegabilmente, arrossì. Chissà se Narcissa era al corrente di ciò che era successo al marito, se sapeva che era stato merito suo se ora non si trovava ad Azkaban.
Ah!, aveva troppe questioni per la testa. Doveva risolverle una alla volta o sarebbe impazzita.
“Sì, la conosco. Di vista.” – precisò lei. – “Tu, invece? La conosci da tanto?”
“Sì. È stata la mia migliore amica a scuola. Siamo finite entrambe a Serpeverde, poi…” – il suo sorriso s’intristì. – “… hanno preso strade diverse dalla nostra.”
Hermione annuì. Adesso capiva anche da chi avesse preso la vena diplomatica…
“A chi hai mandato il gufo?”
Hermione parve confusa, ma poi capì e sgranò gli occhi.
“A… a Ginny!” – esclamò.
“E… ha un cognome questa Ginny?”
“Sì, si chiama Ginevra Molly Weasley.”
Myra sembrò lieta di quella notizia.
“Oh, che coincidenza! Ho mandato un invito anche a loro! Arthur è un vero mattacchione quando si tratta di aggeggi babbani!”
“Conosci anche loro?” – chiese, stavolta stupita.
“Certo!” – disse, come se fosse ovvio. – “All’epoca, oltre a Narcissa, lei era la mia migliore amica.”
La riccia strabuzzò gli occhi. Non ce la vedeva proprio Molly in mezzo a due Serpi come Myra e Narcissa. Non che lei fosse brutta e loro due bellezze divine, ma Molly aveva una bellezza particolare, che stava tutta dentro e che nessuno, se non Arthur, era stato in grado di cogliere.
“Da-davvero? Tu… tu eri amica di una Grifondoro?”
“Lo trovi strano?”
“Atipico.” – rispose lei, piatta.
“Oh, tesoro… all’epoca le cose erano molto diverse. Voldemort era solo una voce di corridoio infondata e sebbene tra Grifondoro e Serpeverde non corressero grandi amicizie, c’era molta più tolleranza. Poi i tempi sono cambiati.”
Cambiati?, pensò sconvolta la riccia dalla rivelazione. Stravolti, casomai!
“Tu che sei di Grifondoro non hai mai stretto amicizia con qualche Serpeverde, a parte Albert?”
“Ecco… a questo proposito…”
“Sì?”
“Stasera devo dirvi una cosa.”
“Cosa?”
Hermione esitò.
“Preferirei dirvelo a cena, quando ci saremo tutti. È un problema?”
“No, certo che no. Ti va una tazza di the?”
“Sì, volentieri, grazie.”
Le due uscirono dalla stanza e Hermione diede un’ultima occhiata al punto in cui il suo gufo era sparito.









“Hai capito bene.”
“Così? Da un giorno all’altro?” – fece Harry, mentre Ron boccheggiava.
“No, non è da un giorno all’altro.” – fece lei, stizzita. Ma come si permetteva di giudicare così volubili i suoi sentimenti? – “Sai benissimo che è praticamente da quando stiamo insieme che non facciamo altro che litigare. Non so te, ma io sono stanca, e poi…”
Lo sguardo di lei fece scattare un pensiero nella testa di Harry.
“Hai un altro?” – chiese lui, di getto.
“Sì, c’è un altro ragazzo, ma…”
“MI HAI TRADITO?” – sbottò Harry.
“Se mi facessi parlare, io…”
“No, non voglio sentire più niente! Come hai potuto? Io ti amo!”
E si rese conto quanto quelle parole non sortissero più il loro effetto.
“Mi dispiace, Harry. Ma io non ti amo più. Sì, c’è un altro, ma non ti ho mai tradito con lui.”
“E chi è? Voglio il suo nome!”
“Prima voglio che tu ti sbollisca, poi te lo dirò. Mi dispiace…” – uscì, sinceramente dispiaciuta per l’accaduto.
Quando Harry e Ron rimasero da soli, il rosso guardò l’amico.
“Non credo che tu possa fare tanto la parte dell’offeso, eh?”
Harry scrollò le spalle.
“Almeno siamo pari.” – disse solamente.









A cena, Hermione aveva chiesto la parola. Si diede della stupida quando la chiese, perchè aveva alzato la mano come se fosse ancora a scuola. I suoi genitori e Albert risero per quella deformazione professionale.
Imbarazzata, l’abbassò.
“Ecco… devo dirvi una cosa.” – guardò fugacemente suo fratello, che le fece l’occhiolino.
“Cosa?” – chiese Elthon.
“Io… ho cambiato casa.”
Myra ed Elthon si guardarono perplessi. Come sarebbe a dire che aveva cambiato casa? Lei viveva lì con loro e… quando compresero, la guardarono allibiti.
“Tu… cosa?” – chiese Myra. – “Perché? Dove sei andata?”
“Con me.” – rispose Albert, spaparanzato sulla sedia.
I coniugi Preston erano a dir poco allibiti. Dopo che Elthon era venuto a sapere che Hermione aveva frequentato Hogwarts, aveva preso ogni sorta di informazione su di lei sull’archivio presente a scuola. Aveva visto che la sua media era la più alta dell’istituto e che era una Grifondoro.
Quindi fu molto sorpreso nell’apprendere che aveva cambiato casa.
“Ma… perché? È forse successo qualcosa?”
“Avevo bisogno di cambiare.” – spiegò Hermione. – “A Grifondoro non riuscivo a sostenere i cambiamenti che stavo affrontando e così mi sembrò opportuno cambiare casa.”
“Sì, ma… perché a Serpeverde?” – chiese la donna.
Hermione sorrise ad Albert, che le restituì il sorriso.
“Per Albert.” – rispose lei. – “Se dovevo cambiare casa era meglio che ne scegliessi una dove poter contare su qualcuno. E Serpeverde era l’unica che rispondeva a questa descrizione.”
Piovvero domande a raffica e Hermione, pazientemente, rispose a tutti, continuando a mangiare tranquillamente.









Tutti, nessuno escluso, trascorsero un Natale felice.
Anche alla Tana. Harry sembrava aver accolto con fin troppa eleganza quello smacco, con grande sospetto di Ginny. Era troppo rilassato, troppo contento… qualcosa bolliva nel calderone, ma non avrebbe mai immaginato cosa.









Note di me:

Dunque. Si potrebbe quasi dire che questo è stato un capitolo di transizione.
Quasi, ho detto.
Anche se non succede nulla di eclatante *fa la modesta* qualcosa inizia a smuoversi, ma andiamo per ordine.

Candy.
Ritrovandosi a girovagare per il treno, Candy assiste al confronto tra Ginny e Blaise. E’ contenta per il moro, che finalmente è riuscito a superare il suo più grande blocco. Ha preferito non star lì a origliare con pop-corn e coca cola, ma dare ai due la giusta intimità per chiarirsi fino in fondo.
Nel sentirli risolvere i loro problemi, Candy non può fare a meno di pensare al suo: Jason.
Con cui casualmente si scontra.
Anche loro parlano e Candy inizia a capire perché Jason ha assunto certi atteggiamenti con lei.
Ovviamente, tali motivazioni verranno debitamente spiegate più avanti.
*callistas costringe il lettore a continuare a seguire la storia*

Ginny.
Ohhhhhhhhlllè! Arriviamo alla nostra cara pulzella.
Reazione carina, no? ^_^
Credere che Blaise abbia fumato un cannone solo perché le ha confessato di essere innamorato di lei. Mi sono divertita un sacco a scrivere questa scena, soprattutto quando Blaise apre il finestrino. ^__^
La scherzosità del momento (si dice così?) però viene sostituita dal “momento serietà! momento serietà! momento serietà!”. Ginny sente di non meritare Blaise per via del comportamento assunto con Hermione, sente di essere una persona orribile e non vuole correre il rischio che un giorno Blaise si svegli, accorgendosi di aver sbagliato a scegliere lei e di poter rimpiangere Candy. Spero di essere stata abbastanza chiara nell’esprimere questi concetti, chiari nella mia mente, ma di difficile stesura quando si è trattato di metterli nero su bianco.
Lascio a voi le ulteriori considerazioni…

Una volta a casa, Ginny ha un confronto con la mamma. Alzi la mano chi non ha paura quando si intuisce un clima diverso tra mamma e figlia.
*callistas alza la mano!*
Personalmente, io amo la mia mamma – mammella in intimità – la adoro, ma non riesco ad avere con lei il classico dialogo in cui le confido i miei problemi e lei mi da la soluzione, nemmeno fossimo in una pubblicità del Mulino Bianco. Eppure quando ho bisogno di lei, la mamma è sempre lì, pronta a indossare l’armatura e difendere la prole. Ogni tanto me la immagino imbalsamata in un’armatura di metallo con sopra l’elmo una piuma che svolazza e nella mano destra una lancia con il vessillo della guerra.
Sono cretina, vero?
Tranquille… era una domanda retorica. -.-

Finalmente il Miracolo è avvenuto.
E Miracolo con la “m” maiuscola. Ginny ha scaricato Harry con la scioltezza di chi non vedeva l’ora, anche se mentre saliva le scale non se ne rendeva ancora conto.
Un hip-hip urrà per Ginny!

Harry e Ron.
Mettiamo insieme Gianni e Pinotto per evitare di sprecare troppe parole.
Ron ha fatto un’obiezione giusta, l’unica in tutta la storia dall’inizio fino alla fine. E Harry gli da l’unica risposta che ci si può aspettare: così siamo pari.
Eccerto… aspetta che Ginny sappia cos’hai fatto, poi ne riparliamo.

Preston Manor e i suoi abitanti.
Qui si inizia a intravedere un pezzo della storia futura dai pensieri di Hermione quando sente Elthon parlare con Myra di Lucius Malfoy.
Cos’avrà mai fatto Hermione per Lucius da poter sostenere, senz’ombra di dubbio, che Lucius è veramente cambiato?
Lo scoprirete solo al Ballo delle Debuttanti anzi: della Debuttante, visto che c’è solo Hermione.

Elthon è furente con Lucius, nonostante la sua lettera gli abbia provocato un magone grande come Hogwarts. Myra cerca di rabbonirlo e fargli capire che se fosse stato veramente arrabbiato con il vecchio amico, lui non avrebbe mai concesso la sua presenza a quella festa.

Hermione manda un gufo.
A chi?
Sono aperte le scommesse.

Ma ora… spoilerino!

Elthon chiuse gli occhi.
E pianse.

Ops… che sarà successo da indurre il Capo degli Auror a piangere?
Mah… la prossima volta lo scoprirete.

Besitos!
  
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