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Autore: callistas    25/11/2011    26 recensioni
Per chi aspettava, eccomi tornata come promesso.
Allora, non voglio anticiparvi niente, ma voglio dirvi che questa storia è la prima cosa seria che ho scritto.
Ci sarà una gran voglia di uccidere qualcuno e incoraggiare chi è sempre rimasto nell'ombra.
Ho cercato - davvero, ci ho provato - a mantenere l'identità del personaggio originale, ma dopo un pò sono riuscita a cadere ancora nella trappola infame dell'OOC.
E' una DracoxHermione, una coppia che adoro.
Vedremo il loro rapporto evolversi grazie a qualcosa che accade a Hermione. La tematica è trita e ritrita, ma ho voluto intasare il sito anche con una mia personale visione delle cose.
Spero possa piacere.
Se sì, commentate.
Se no, commentate.
Se forse, commentate.
In ogni caso, fatemi sapere che ne pensate.
W la democrazia!
Un bacio a tutti i passanti, callistas.
Genere: Commedia, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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26 - Verità Nascoste Vedo che l’aggiornamento di mattina è stato apprezzato, ma non fateci l’abitudine: avevo un impegno improrogabile all’ora in cui di solito posto, che mi dispiaceva lasciarvi marcire di curiosità fino a sera. Tra l’altro, l’ho fatto con il mio pc portatile sul lavoro, che se mi beccavano, potevo dire addio al mondo.
Guardate cosa mi fate fare!! >__<
Ma ne sono contenta. Mi avete fatto di quelle recensioni fantastiche e quindi grazie!

Dunque, in questo capitolo vedremo Hermione con una crisi di panico. Deve incontrare i suoi nonni, quelli di cui Albert le aveva accennato quel sabato quando lei era tornata a Hogwarts sulle rive del Lago Nero.
Non ci saranno grandi dialoghi o intoppi, semplicemente sarà una presentazione di Hermione ai genitori dei genitori (scusate il gioco di palabras!). Il tutto condito da un sano humour.
O almeno così mi piace pensare.

Prima di lasciarvi alla lettura, voglio dirvi che questo non è un capitolo qualsiasi, no.
Questo è IL capitolo, quello attorno al quale ho basato l’intera storia.
Lo dedico a tutte voi, che morivate dalla curiosità di scoprire a chi Hermione aveva mandato il gufo, ma ad una persona in particolare.
Barbarak.
A fine capitolo spiegherò il perché, anche se la diretta interessata lo potrà capire da sola.









VERITA’ NASCOSTE
VERITA’ NASCOSTE

A Barbarak,
la mia perversione ti sta rovinando quella
mente brillante che ti ritrovi…
sigh!

A Preston Manor, invece, Hermione era una corda di violino. Per l’occasione, avrebbe conosciuto i suoi nonni, sia materni sia paterni. Non sapeva proprio che tipi aspettarsi. Dopo quella breve spiegazione in riva al Lago Nero di Albert, Hermione non aveva saputo più niente che li riguardasse, anche perché aveva dovuto far fronte a una serie di situazioni decisamente più scomode e complesse che non aveva avuto un solo minuto libero per dedicarsi alla sua famiglia.

Era in camera sua e stava cercando di rendersi presentabile, quando entrò suo fratello.
“Ehi, sei pronta?”
Hermione si girò di scatto.
“Cosa? E’ già ora?” – chiese terrorizzata.
“No, manca ancora un’ora all’arrivo dei nonni.”
La riccia sospirò di sollievo.
“Sei nervosa?” – chiese Albert, sedendosi sul suo letto.
“Un po’… e se non gli piaccio?”
“Sì, come no…” – ironizzò Albert. Il ragazzo si alzò e andò dalla sorella e le andò dietro, mettendole le mani sulle spalle e il mento sul capo. – “Ti abbiamo cercata così tanto.”
Hermione sospirò, guardando il fratello riflesso nello specchio.
“I nonni erano disperati quasi quanto mamma. Non puoi non piacergli!”
“Sarà, ma ho paura…”
“Di cosa?”
Hermione scrollò le spalle.
“Non lo so. Ho paura e basta.”
Albert l’abbracciò.
“Io aspetterei di conoscerli prima di dare giudizi affrettati…”
“Sì, forse hai ragione.” – disse la ragazza.
“Togli pure il forse.” – fece lui, modesto.
Hermione rise, fin quando non giunse l’ora di uscire da quella camera e tirare fuori le metaforiche palle.

Scendere quelle scale per andare a conoscere i suoi nonni non fu mai così difficile come in quel momento. Sentiva i piedi ancorati a terra e faticava a mettere un piede davanti all’altro. Si era fermata un paio di volte, chinandosi sulle ginocchia e respirando, sotto lo sguardo divertito di Albert.
Ma lui l’aveva sempre aspettata.




“Vedrai mamma! È perfetta!”
Myra non stava più nella pelle. Era così ansiosa che Hermione si presentasse che era molto tentata di correre e trascinarla giù per i capelli.
Eloise ed Elaine, rispettive madri di Myra ed Elthon erano forse più in agitazione di lei. Finalmente avrebbero riabbracciato la loro nipotina e se non fosse per il fatto che quella donna era già ad Azkaban circondata da Dissennatori – che in questo caso le facevano da guardie del corpo e non da carcerieri – avrebbero provveduto loro stesse a infliggerle la giusta punizione per quel torto.
Continuarono a chiacchierare mentre ai piani alti, qualcuno stava avendo una crisi di panico.




“Oh Merlino! Ma ti pare possibile?” – si chiese Albert, mentre Hermione si era accucciata dietro una colonna e sembrava non voler più proseguire. – “Hermione, ti alzi?”
La riccia scosse il capo, con gli occhi spalancati. Se si fosse vista dall’esterno, avrebbe giurato che quella codarda non fosse lei!
Albert, scuotendo la testa, si diresse da lei e cercò di capire cosa potesse mai spaventare la temeraria Hermione in quel modo. Si sedette accanto a lei per terra.
“Mi dici cos’hai da aver paura?”
“Albert, ti prego…” – tremava, per fino.
“Guarda che stai andando a conoscere i tuoi nonni, mica a limonare con un Dissennatore!”
Paradossalmente, lo avrebbe preferito. E se non fosse stata abbastanza bene educata? Se avesse fatto qualche gaffe? Se avesse fatto una battuta che nessuno avrebbe capito? Se…
“Hermione, ti fuma il cervello.” – ironizzò il fratello.
“Voglio tornare indietro…”
“Non te lo permetterei. Tu adesso scendi e vieni a conoscere i nonni!”
Hermione lo guardò, spaventata e Albert s’intenerì.
“Dai, fuori il rospo. Cosa c’è?”
“Non… non conosco…”
“Cosa? Cosa non conosci?” – chiese lui, perplesso.
“… il… il galateo…”
Albert credette di aver capito male e quando sentì Hermione partire in quinta con una filippica su quale coltello andava usato per il pesce, quale per la carne, se si cominciava dall’interno o dall’esterno e se il flute era solo per lo champagne, il ragazzo dovette fare violenza su se stesso per non riderle in faccia e chiedersi se sua sorella non fosse uscita dall’uovo di Pasqua.
Alla fine non resistette e le rise in faccia, mentre lei lo guardava con gli occhi a pluffa.
“Perché diavolo stai ridendo?”
“Tu… tu…” – non riusciva a smettere di ridere, mentre Hermione era sul punto di piantargli la bacchetta tra gli occhi. – “Ok, ok… scusa… oh Merlino!” – disse, prendendo un bel respiro per calmarsi. – “Prima di sparare tutte queste cretinate, puoi scendere e venire a conoscerli?”
Hermione sembrò rifletterci su. Effettivamente…
“No.” – disse lei, decisa.
“Hermione, dai… sei esagerata. Cazzo, hai affrontato Tu-Sai-Chi e hai paura di quattro vecchietti?”
Si sentì così stupida, dopo che suo fratello le aveva detto quella frase. Merlino santo, era vero! Lei aveva combattuto contro Voldemort!
A fatica, si alzò in piedi e il fratello la seguì. Le prese  la mano, per tranquillizzarla.
Lei, gliela stritolò.




“Oh, eccola finalmente!”
Sei paia d’occhi si puntarono come fanali su di lei che si sentì un tantino sotto osservazione. La presa sulla mano di Albert aumentò a dismisura. Il ragazzo dovette reprimere un latrato a fatica.
Man mano che scendeva, Hermione studiò i nuovi arrivati. Beh, avevano delle facce simpatiche.
Pregò gli dei che non fosse solo un’impressione.

“Mamma, papà…” – disse Myra, andando dietro a Hermione e mettendo le mani sulle sue spalle. – “Lei è Hermione. Hermione, loro sono…”
“Sì, so chi sono.” – la interruppe la ragazza, emozionata. – “Albert me ne ha parlato.”
I quattro guardarono Hermione con un sorriso.
“Ciao tesoro…” – disse una bella donna. Era anziana, ma questo dato di fatto era irrilevante. Era bellissima e solare. – “Io sono Eloise e lui è mio marito Percival.”
“Ciao Hermione.” – lo salutò l’uomo.
La ragazza sentì gli occhi bruciare.
“Io sono Elaine e lui è Alphred.”
Elaine si presentò, inizialmente, con una stretta di mano, per poi abbracciare la nipote.
L’aria era carica di emozione, nessuno fiatava e tutti avevano il cuore in gola.
“Ciao Hermione!”
La ragazza si girò di scatto verso l’unico uomo a cui non aveva ancora stretto la mano.
Alphred, invece, fu un altro paio di maniche.
Era più vecchio di Elaine di venticinque anni. All’epoca, il loro matrimonio diede scandalo, perché si pensò che Elaine fosse rimasta incinta fuori dal matrimonio e che per ovviare a quella scomoda situazione, i suoi genitori l’avessero fatta sposare per “riparare al danno”. Invece, con sommo stupore di tutta la comunità, Elaine non era incinta, semplicemente si era innamorata di una persona più grande di lei e questa ricambiava.
E nonostante nonno Alphred avesse avuto la bellezza di novantacinque anni, sembrava, dall’atteggiamento perennemente gioviale, che ne avesse solo settanta.
Ciò fece sorridere Hermione.
“Sono proprio felice che sei tornata a casa! Non dovevi scappare in quel modo, sai?” – disse lo sdentato vecchietto.
Calò un silenzio innaturale. Hermione, spaesata, guardò sua madre e suo padre, invocando aiuto, ma vide i due scuotere la testa, rassegnati.
“Demenza senile.” – sussurrò Albert al suo orecchio. – “Ha i suoi momenti buoni, ma ci sono anche quelli no. Sopporta stoicamente come faccio io.”
La riccia sorrise e annuì.
“Allora? Perché sei scappata?” – insistette il nonno, curioso.
“E assecondalo.” – ventriloquò il giovane Preston.
“Ecco, io…”
“Papà, vuoi un bicchiere di Brandy?” – intervenne Elthon, a favore di Hermione, che sospirò sollevata.
“Brandy? Figliolo, tu si che mi conosci! Non come quella sciagurata di tua madre!”
Elaine alzò gli occhi al cielo, ma non si arrabbiò, non si arrabbiava mai con suo marito. E anche se lei aveva i suoi bei settant’anni, l’amore che provava per lui non era mutato di una sola virgola.
“Alphred, smettila! Il dottore dice che non…”
“Ha! Figurati che mi faccio mettere sotto da un dottore, io!” – disse, agitando il bastone da passeggio come una clava.
Hermione rise, perché suo nonno era proprio simpatico. Già sentiva di volergli bene.
“Sì, certo…” – lo assecondo Elaine.
“Vogliamo accomodarci a tavola?” – propose Myra.

L’attimo successivo, erano a tavola, mentre gli elfi servivano il pranzo. Chiacchierarono a lungo su Hermione, sulla sua situazione scolastica, su come Hogwarts fosse cambiata dai loro tempi e di tutte quelle cose che la facevano coinvolgere nei discorsi, pur di sentire la sua voce.
Myra traboccava di felicità, scambiandosi di tanto in tanto qualche occhiata con il marito che, a stento, tratteneva la sua.
Fu una bellissima giornata, ma anche quella passò e gli ospiti dovettero accomiatarsi.
“Grazie del pranzo, Myra.” – fece Elaine.
“Grazie a voi. Conto di farne più spesso pranzi così.”
Hermione sbiancò e si toccò la pancia. Con tutto quello che aveva mangiato quel giorno, s’immaginò già una mongolfiera nel giro di pochi mesi.
Si salutarono e poi ognuno nella propria camera per riposarsi.









Il Natale passò e arrivò anche il giorno in cui Ginny dovette trasferirsi da Hermione per aiutarla con i preparativi.
E con se stessa.

La portò in giro per i migliori negozi di alta sartoria, lasciando l’amica con la bocca aperta ogni volta che Hermione rifiutava un abito i cui zeri erano pari alle dita delle sue mani e le cui stoffe erano le più preziose che avesse mai potuto anche solamente sognare.
Provarono giorno dopo giorno ogni sorta di abito, corto, mezzo lungo e lungo, optando per un abito tradizionale fino alle caviglie.
Il vestito che aveva immaginato non rendeva giustizia sul corpo dell’amica. Più in carne dopo aver trascorso pochi giorni alla Tana, il vestito era riempito nei punti giusti.
Era aranciato cangiante e stava benissimo con i suoi capelli. Lo abbinò con sandali argento e una parure di gioielli che la ragazza avrebbe dovuto fare un’assicurazione sulla vita in caso di smarrimento.
Mercoledì, mentre Ginny era impegnata a parlare con Myra e Albert dei suoi genitori, Hermione ricevette la risposta che tanto attendeva. Si allontanò con una scusa, lasciando i tre parlare fitti fitti.
Uscì nel patio e lesse la missiva.
Fu lieta di costatare che per la seconda volta le aveva concesso di agire come meglio credeva e si ripromise che una volta parlatogli a quattr’occhi, sarebbe stata anche l’ultima.
Il neo della questione è che l’incontro fu programmato per venerdì alle 17.00
Il giorno del suo debutto.









Quel venerdì mattina, il giorno del suo esordio, Myra sembrava impazzita. Impartiva ordini contraddittori agli elfi, mandandoli in confusione più di quanto non fossero già. Albert e Elthon si erano offerti di aiutarla, ma era una cosa che doveva organizzare la padrona di casa.
Hermione, invece, era in camera sua agitata per ciò che avrebbe dovuto fare.
A pranzo mangiò pochissimo e i commensali credettero che fosse per lo stress di quella sera.




Quando la casa iniziò a essere abitata, Hermione decise che era il momento.
“Hermione, sei pronta?”
La riccia si girò di scatto. Ma come? Era già ora? Ma se erano solo le cinque meno dieci?!
“Adesso?” – chiese lei, infatti.
“Sì.” – fece Myra.
Hermione imprecò tra i denti. Cavolo, doveva andare via!
“Io… ecco, io… non sono pronta.” – inventò lei sul momento. – “E poi ho un terribile mal di testa e non voglio che mi rovini la serata. È un problema se scendo direttamente stasera?”
“Ma certo che no.” – fece Myra, contenta che Hermione sentisse quella festa come importante. – “Allora riposati, mi raccomando.”
Hermione annuì sollevata.
“Grazie. Stasera mi scuserò personalmente con loro per il ritardo.”
“Non ti preoccupare. Buon riposo.”
Quando la porta si chiuse, Hermione capì che non poteva più aspettare. Girò su se stessa e si smaterializzò.









“Grazie per avermi ricevuta con così poco preavviso.” – fece Hermione, stringendogli la mano.
“Tutto, per la mente brillante del trio.”
Hermione sorrise, ricordando quanto quei giorni fossero ormai distanti.
“Ti prego, siediti.”
Hermione obbedì.
“Mi ha molto sorpreso la tua lettera, Hermione. Stasera c’è un ricevimento in tuo onore o te lo sei dimenticato?”
“Impossibile, con Myra nei paraggi.” – scherzò lei.
L’uomo sogghignò.
“Vero. Hermione…” – si fece serio. – “… quello che mi chiedi è rischioso, lo sai?”
“Anche quello che ti ho chiesto per il signor Malfoy lo era, ma sembra che si sia risolto tutto per il meglio, o sbaglio?”
L’uomo si massaggiò il mento, perplesso.
“Non posso lasciarti da sola…”
“Non mi farà del male.”
“Tuo padre lo sa?”
“No.”
L’uomo si mosse a disagio sulla sedia. Questo cambiava le cose, però.
“Mi avevi detto che gliene avresti parlato!” – sbottò l’uomo.
“Lo so e mi dispiace.” – rispose lei, contrita. – “Ho fatto in modo che non lo venisse a sapere. Il loro unico desiderio è che io mi dimentichi di quella donna e sono sincera: lo voglio anch’io. Ma per farlo, devo parlare con lei. Da sola.”
“Se tuo padre lo venisse a sapere…”
“… sarà mia premura assumermi ogni responsabilità. Ti prego… è l’ultima volta che ti chiedo un favore di questa portata.”
L’uomo, vista la decisione della ragazza e il suo contributo alla fine della guerra, annuì.
“E sia.”
Hermione sorrise.
“Ma lascerò una guardia fuori dalla porta. Non voglio rischiare inutilmente.”
“Grazie! Grazie davvero!”
“Andiamo.”
Kingsley Shacklebolt, Primo Ministro della Londra Magica, prese Hermione per mano e la smaterializzò ad Azkaban.
Da Jean.




Myra aveva detto a Elthon che Hermione non si sentiva bene. Effettivamente, la ragazza era sempre strana negli ultimi giorni. Era nervosa e scattava come una molla per un nonnulla. La beccava a sorvegliare il cielo a qualsiasi ora del giorno e immaginò che aspettasse posta da qualcuno.
Prima di andare a prepararsi per la cerimonia, Elthon passò dallo studio per metterlo in ordine. Sicuramente, in tarda serata si sarebbe appartato lì con alcune persone per parlare di politica e affari. Gli alcolici erano nel loro mobiletto, le poltrone adeguatamente sistemate e una lettera sulla scrivania.
“Una lettera?” – si chiese, entrando nella stanza.
Quando vide che il sigillo era dell’ufficio di Kingsley l’aprì di fretta, temendo una sommossa, ma il suo contenuto fu ben peggio di una rivolta ad Azkaban.
Prese della Metropolvere e la gettò con ferocia nel caminetto.
“Ministero della Magia!”




“Eccoci arrivati, Hermione. Io devo andare, adesso. Ti prego, fa attenzione.”
“Nemmeno in mille vite mi sdebiterò con te Kingsley, grazie.”
L’uomo sospirò. Non era ancora convinto di quello che stava facendo, ma gli occhi supplici di una ragazza che si era vista smembrare la famiglia in quel modo ebbero il sopravvento sul suo cuore di padre.
“Ci vediamo stasera, allora.” – fece l’uomo, cercando di sdrammatizzata.
“Guarda che se non ti vedo vengo a cercarti.” – rispose lei, ma con le gambe molli.
L’attimo successivo, al posto di Kingsley, ci fu solo il vuoto.
Hermione guardò la porta della stessa cella in cui era stata la prima volta in cui Jean aveva ammesso/non ammesso la verità.
L’aprì e la donna seduta al tavolo intenta a giocherellare con le dita, si alzò di scatto.
“Hermione!”
“Mamma.”




“DOV’E’?”
Vedere Elthon Preston furente come in quel momento fece ringraziare ogni presente all’ufficio del Ministero di non essere il destinatario di tale furia.
“DOV’E’ IL PRIMO MINISTRO?”
“N-nel suo… studio…” – azzardò un impiegato, aggiustandosi gli occhiali sul volto.
Con il fuoco negli occhi, Elthon fece marcia indietro e tornò nella direzione da cui era venuto, facendo una leggera virata. Spalancò la porta con un calcio, lasciando inebetiti i passanti, che scapparono a una sua occhiataccia. L’ufficio era vuoto e si preparò per fare una carneficina per quell’informazione sbagliata, quando un familiare bop gli fece capire che l’uomo era appena apparso nella stanza.




“Hermione, come sono felice di vederti!” – Jean fece per andarle incontro, ma Hermione si scansò. – “Hermione?”
Era sicura di quello che stava per fare, non aveva nessun dubbio. Posò con cura la borsetta di Witch-Witch sul tavolo, in bella mostra.
Jean osservò quell’accessorio. La pelle doveva essere autentica e dalle cuciture fatte a mano, doveva essere costata una fortuna.
“Sei venuta per sbattermi in faccia la tua ricchezza?” – chiese la donna, neutra.
Hermione non rispose subito. Scostò con eleganza la sedia e vi si sedette sopra, accavallando elegantemente le gambe. La donna rimase stupita da tutta quella compostezza. La sua Hermione non avrebbe mai badato a simili stupidate.
“Mi rispondi?” – fece lei.
Hermione controllò di non avere peli sulla giacca che aveva indossato e finalmente si decise a guardare la donna in faccia.
Seguì un lungo attimo di silenzio.
“Sei cambiata.” – osservò la prigioniera.
“E tu non hai più piaghe in bocca.” – osservò la ragazza.
In quel momento non riuscì a trovare più niente in comune con quella donna, era quasi infastidita dalla sua presenza, ma se voleva ricominciare tutto d’accapo, se voleva vivere la sua vita secondo le proprie regole, doveva imporsi calma e affrontare il passato una volta per tutte.
L’aveva promesso a Draco.
Istintivamente, Jeans si toccò la bocca.
“Mi hanno medicata.”
“Ancora bugie?” – chiese lei. – “Le piaghe da Veritaserum possono guarire solo ed esclusivamente dicendo la verità. Se l’hai detta a qualcuno o l’hai ammessa da sola nella tua squallida cella non ha importanza. Quello che conta per me, adesso, è sapere perché.”




“Come mai qui, Elthon? Non hai un ricevimento a cui assistere?” – chiese il Primo Ministro, cercando di rimanere il più calmo possibile.
Elthon sembrava Remus Lupin quando si trasformava in un licantropo. Gli mancavano solo la bava alla bocca e il pelo, ma la ferocia era pressoché identica.
“Non giocare con me, Kingsley! Perché l’hai portata laggiù?”
“Non so di cosa…” – si ritrovò sospeso nell’aria.
Kingsley si dimenò tra le braccia di Elthon, che lo reggevano a qualche centimetro da terra.
“La-lasciami… aiu-to…”
Prima di commettere qualche pazzia, l’uomo lo lasciò, facendolo crollare a terra.
“Sei forze impazzito?” – urlò l’aggredito, guardandolo malissimo.
Elthon si girò di scatto e il Primo Ministro si pentì di aver aperto bocca.
“IO? IO SAREI IMPAZZITO? PORTI MIA FIGLIA AD AZKABAN SENZA IL MIO CONSENSO E IO SAREI IMPAZZITO?”
L’uomo sgranò gli occhi.
“Co-come lo sai? È stata un corrispondenza privata!”
“Copia della posta che arriva a casa da questo ufficio viene automaticamente depositata nel mio ufficio.”
Il Primo Ministro si diede mentalmente dello stupido per non esserselo ricordato prima.
“Perché, King?” – era deluso. – “Perché alle mie spalle?”
Kingsley si rimise in piedi, appoggiandosi al tavolo della scrivania. A quel punto, mentire o tergiversare, sarebbe stato del tutto inutile. Si aggiustò la cravatta e assunse una postura più ritta. Si schiarì la voce e si preparò a spiegare il motivo che l’aveva indotto a concedere una simile occasione a Hermione.
“Me lo ha chiesto Hermione.”
“Dovevi dirle di no! O avvisarmi!”
“Per impedirle di farlo, immagino.”
“Ma certo! Non voglio che veda più quella donna!”
“Non puoi impedire a una persona come Hermione Granger di fare ciò che si sente di fare. L’ho capito a mie spese.”
Elthon era furioso.
“PRESTON, MALEDIZIONE! LEI E’ MIA FIGLIA!” – poi, si bloccò. – “Come sarebbe a dire che l’hai capito a tue spese.”
Ma l’uomo sembrava intenzionato a non scucire un’informazione di più.
“Non spetta a me dirti questo.”
“Così come non spettava a te consentire o meno a quell’incontro! C’è almeno qualcuno con lei a proteggerla?”
“No. Ha voluto andare da sola.”
Elthon si sentì in grado di uccidere.




“Perché cosa, Hermione?” – giocò Jean.
Sapeva cosa stava facendo. Jean era molto brava in questo, ma non sapeva che quella che aveva davanti non era più Hermione Granger, la ragazzina ligia alle regole che non disobbediva mai, una Grifondoro fino nel midollo. Quella che aveva davanti era Hermione Preston, una Serpeverde fino al midollo.
“Ti piace fare domande stupide?” – la vide contrarre la mascella, indispettita. – “Va bene. Voglio sapere perché mi hai rapita. Che tu non potessi avere figli si sapeva…” – frecciò lei, lasciandola fastidiosamente sorpresa. – “… e ringrazio Merlino di questo.” – le fece l’occhiolino. – “Altrimenti non so in che razza di famiglia sarebbe potuto crescere.”
“Ti contraddici da sola, tesoro.” – ammiccò lei. – “Tu sei cresciuta con noi.”
“E avrei dovuto?” – ribatté lei, prontamente.
“Sei cresciuta male? Ti abbiamo forse dato insegnamenti sbagliati?”
“No. Così come non me ne avrebbero dati Myra e Elthon.”
Jean ghignò.
“Non riesci proprio a chiamarli mamma e papà, vero?”
Hermione tacque.
“Lo immaginavo. Tu consideri me e Scott ancora come i tuoi veri genitori. Finora hai solo usato belle parole, ma da qui a metterci i fatti, credo che passerà ancora molto tempo.”
Hermione guardò l’orologio. Erano le cinque e mezzo. Aveva ancora tempo.
“Ma non perdiamoci in chiacchiere inutili…” – fece Jean, non dandole tempo di ribattere. Era una tortura psicologica molto valida. – “… mi hai chiesto perché. Ebbene…”
Hermione era con il fiato bloccato in gola. Finalmente avrebbe saputo perché lo aveva fatto.
“… non sopportavo quell’aura di beatitudine che tua madre aveva in faccia ogni volta che entrava al San Mungo.”




“Signore, ho ordine dal Primo Ministro in persona di non far passare nessuno.” – fece la guardia, a disagio.
“Fammi passare o giuro che questo sarà il tuo ultimo giorno di lavoro!”
“Signore, non posso. Sono davvero spiacente. La signorina sta…”
“E’ MIA FIGLIA! DEVO ESSERE CON LEI!”
La guardia era una specie di direttore del carcere, chiamata appositamente per presiedere a quell’incontro e garantire la sicurezza sia del prigioniero sia dell’ospite.
Forse sarebbe stato licenziato, ma in quanto padre poteva comprendere lo stato d’animo del suo superiore. Aveva ritrovato sua figlia dopo diciassette anni e saperla nella stessa stanza di colei che l’aveva rapita, doveva essere stato un colpo troppo duro da sopportare.
“Signore, non posso farla entrare nella stanza…”
“IO DEVO…”
“… ma posso farla assistere al colloquio da una stanza di sicurezza. La signorina Preston non vedrà lei, ma lei potrà vedere cosa succede. Mi segua.”
Non era proprio quello che avrebbe voluto, ma almeno poteva intervenire se qualcosa fosse accaduto lì dentro. Seguì la guardia che lo scortò in una stanzetta piccola, dotata di una parete che gli permise di osservare quell’interrogatorio. Se Hermione si fosse girata dalla sua parte, avrebbe visto solo un muro di mattoni.




“Jean, sono felice! Jean, non vedo l’ora che nascano! Jean, Jean, Jean!” – fece la donna, imitando la felicità di Myra. – “Insopportabile. Così, mi sono presa un po’ della sua felicità, in fondo… me la meritavo, no?”
I suoi occhi erano identici a quelli di Bellatrix Lestrange.
“Con tutto quello che ho dovuto fare per seguirla nella gravidanza…” – disse, come se fosse stata costretta, come se rapire una bambina fosse stato il giusto prezzo da pagare per aver dovuto seguire Myra Sinclaire in Preston durante la gravidanza.
Hermione non si scompose. Rimase ferma nella stessa posizione ad ascoltarla attentamente.
“Fu bellissimo portarti a casa, quel giorno.”
Hermione ebbe un fremito di disgusto.
E anche Elthon.
Di nuovo, generalità.
“Appena varcata la soglia di casa, sorridesti. Era il segno che aspettavo.” – era sognante.
“Una domanda.” – fece Hermione, alzando la mano, come se stesse per porgerla a un suo insegnante. – “Come hai fatto con le pratiche burocratiche? Sai, l’iter, quelle cose lì…”
Jean la guardò con lo sguardo di chi aveva appena fatto una domanda idiota e Hermione s’infastidì parecchio.
“Essendo un’infermiera, ho fatto tutto da sola. Ho prodotto gli incartamenti necessari, li ho fatti firmare e poi ti ho adottata.”
“Rapita, vorrai dire. Usa i termini corretti.”
La donna mosse la mano, come per scacciare un insetto molesto.
“Tu eri destinata a stare con me, Hermione.” – si avvicinò e s’inginocchiò davanti a lei, prendendo le mani della ragazza nelle sue. – “Ehi!, ti ricordi la prima volta che mi hai detto che mi volevi bene? Oh, eri così tenera…”




Elthon si ritrovò a scivolare a terra, a cadere sempre più in basso, lungo la parete di vetro che gli consentiva di vedere l’ennesimo scempio che quella donna – e per Merlino, perché?!? – e Hermione stavano facendo della sua vita.
Il cuore minacciava di uscirgli dal petto.
Seduto con la schiena appoggiata al vetro, Elthon Preston sembrava una bambola rotta. Aveva lo sguardo dirottato a terra, gli occhi spalancati e venati di rosso.
La guardia, Jack Pierson, dovette uscire. A certi spettacoli preferiva non assistere.
Elthon riusciva a vedere solo la crepa della mattonella e sentire i discorsi di quella pazza. Perché Hermione era andata da lei? Perché non glielo aveva detto? Possibile che per lei, lui e Myra non contassero ancora niente?
Il capo pesava quanto un macigno.




“… hai allungato le braccia e mi hai detto “Mamma, ti voglio tanto bene!” No, Hermione. Tu eri stata destinata a me. Io dovevo essere tua madre e lo sono stata. Non sono forse stata una brava genitrice?” – le chiese, chiedendole quasi una conferma. – “Ti ho insegnato la via della giustizia e della verità, non puoi negarlo. Myra e Elthon non avrebbero saputo educarti come ho fatto io. Troppo ricchi, troppo superficiali… troppo perfetti. Ti avrebbero solo rovinata.”




Mai Elthon si sentì privo di forze come in quel momento. Nemmeno quando passava le notti a non dormire per cercare la figlia si era sentito così fiacco.
Aveva smesso di piangere molti anni fa, quando le ricerche stavano iniziando ad essere infruttuose. Si era detto che gli servivano tutte le energie possibili e sprecarle piangendo non sarebbe stato di certo di alcun aiuto. Così, aveva ingoiato rospi interi pur di non cedere alle lacrime di frustrazione per non essere in grado di trovare il suo tesoro prezioso, ma in quel preciso istante, sentì che tutto il dolore, l’amarezza e la spossatezza di quegli anni si stavano facendo sentire tutti insieme.
E forse, non sarebbe stato così forte da trattenerli ancora.




“Eppure loro dicono di avermi cercata da sempre.” – disse Hermione, con la faccia di chi stava per credere di nuovo a quelle bugie.
Jean, soddisfatta, le sorrise.
“Chiediti una cosa, tesoro… quando si cerca veramente qualcosa o qualcuno, si fa di tutto per trovarla e se il desiderio di riuscirci è più forte di qualsiasi ostacolo, allora si verrà premiati, riuscendo nell’impresa. Non è forse quello che ti ho sempre insegnato? Sì, ti hanno cercata… ma non ti hanno trovata perché forse non volevano trovarti veramente.”




Elthon chiuse gli occhi.
E pianse.




“So che è dura per te da accettare, ma alla fine ho avuto ragione io. Non ti volevano veramente bene come te ne ho voluto io. Come te ne voglio io.”
Hermione alzò gli occhi al cielo, in una muta richiesta di aiuto.
Poi, lasciando tutti decisamente perplessi, scoppiò a ridere. Si alzò in piedi e si spolverò la gonna.
“La cosa che mi riesce difficile accettare, è di aver sprecato diciassette anni di vita con te.”




I singhiozzi avevano coperto di poco le parole di sua figlia. Aveva visto passare tutta la sua vita davanti agli occhi: la felicità di Myra nell’annunciargli la gravidanza, lo sgomento nell’apprendere che erano due gemelli, l’euforia di Elthon che usciva alle ore più improponibili della notte per soddisfare le voglie astruse della moglie, aveva sentito un pugno allo stomaco quando sua moglie gli aveva detto che si erano rotte le acque e lui – che diavolo gli era passato per la testa in quel momento non lo seppe dire – che gli aveva risposto “Chiudi i rubinetti”. Aveva sentito il ghiaccio nelle vene quando aveva capito di che acque si trattasse, la smaterializzazione al San Mungo, il parto, la felicità e poi l’angoscia.
Un’angoscia durata la bellezza di diciassette anni.
A tutto questo stava pensando Elthon Preston quando sentì qualcuno ridere all’interno della stanza.
E quel qualcuno era sua figlia.
Fu come se una forza invisibile avesse sollevato Elthon di peso e lo avesse letteralmente smaltato contro la parete. Cosa stava accadendo?




“Hermione?” – la chiamò lei, stranita.
“Via della giustizia?” – la canzonò lei. – “Via della verità? Menzogne e solo menzogne, ecco cosa mi hai insegnato! Se davvero fossi stata destinata a te, perché non sono cresciuta dentro di te? Qualcuno forse si è reso conto che non avrebbe fatto un bell’affare nel concederti un utero fertile?” – vedendo la sua sorpresa, Hermione continuò, sicura di sé. Prese la sua borsetta, e con un gesto deciso l’aprì, estraendo un foglietto. – “Preston Manor…” – si girò verso Jean, che aveva un sorriso soddisfatto sulle labbra. – “… scusa, volevo dire, casa mia…” – si corresse, godendo della faccia della donna, che da soddisfatta passò a infastidita. – “… è dotata di un’immensa libreria, praticamente il mio sogno.” – snocciolò lei, come se il fulcro della questione fosse la biblioteca e non quello che vi avesse trovato all’interno. – “Così, ho letto un po’ di libri e ho trovato questo.” – le mostrò un rotolo di pergamena. Lo srotolò e iniziò a leggere la parte che aveva ricopiato dai testi che aveva trovato e che facevano al caso suo. – “Incanto Illusio.” – iniziò.
Stranamente, Jean iniziò a sudare freddo.
“Consente a chi lo evoca di creare una forte barriera di protezione attorno alla propria persona e attorno ad altre, se necessario.” – si fermò e guardò Jean, sorridendole con fare ammiccante. – “E tu ne avevi bisogno.” – sentenziò. Poi riprese a leggere. – “E’ un incantesimo di magia oscura molto potente, che necessita di una grande forza di volontà e…” – la guardò dritta negli occhi e lesse il terrore nei suoi occhi, benché non lo palesasse. – “… la sottomissione volontaria a un potere oscuro.” – piegò il foglietto e lo ripose accuratamente nella borsetta.
Era a dir poco furente.
Con se stessa.
“Mostrami le braccia, Jean.” – ordinò Hermione.
La donna obbedì, sollevando le maniche del maglione.




Elthon seguì quel dialogo come un affamato.
Aveva scartato quell’incantesimo perché aveva dato per scontato che Jean non avesse i contatti necessari per evocare una simile magia.
Come aveva potuto essere stato così stupido e sprovveduto? Così superficiale?
Che razza di Auror era?




Con un fluido movimento, Hermione sfilò la bacchetta dai capelli e la puntò contro le braccia di Jean.
“Marca Revelio!”
Troppo tardi. Jean non fece in tempo a sottrarsi all’incantesimo, che ne venne investita in pieno.
Hermione non seppe dirsi se essere soddisfatta o nauseata dal fatto che la donna che si era spacciata per sua madre non era nient’altro che una schifosa Mangiamorte.
Il Marchio Nero iniziò a prendere lentamente forma sul suo avambraccio sinistro, lasciando Hermione impassibile e Elthon decisamente sconvolto. Lui, Capo degli Auror, con anni di servizio sulle spalle aveva appena avuto la dimostrazione che vecchiaia non era sinonimo di saggezza e conoscenza.
Una ragazza di diciassette anni, sua figlia!, aveva scoperto ciò che lui in tutto quel tempo non era riuscito a fare.
Jean si guardò il marchio e schioccò la lingua sul palato.
“L’avevo detto che eri fin troppo intelligente… bene. Ora che sai chi sono, cosa intendi fare? Uccidermi?”
Hermione la guardò e sorrise con aria di scherno.
“Ucciderti e facilitarti il compito? Oh, no… non è nella mia natura. Non più, almeno.” – disse, con un sorriso. – “Se non sbaglio… ci sono dei tuoi colleghi di lavoro, qui…” – disse, riferendosi ad altri Mangiamorte.
Il collegamento, per Jean ed Elthon, fu inevitabile. Solo che se Jean era diventata cadaverica al pari di Malfoy, Elthon aveva sentito il petto gonfiarsi di orgoglio.
“… e sai…” – disse, fingendo preoccupazione. – “… potrebbe scapparmi il fatto che hai parlato con qualche Auror… che ne so? Mio padre?”
Ignara che dietro una delle quattro pareti vi fosse proprio Elthon, Hermione continuò.
“Così come so che una volta al mese avete diritto all’ora d’aria. In un cortile… l’unica donna… in mezzo a tanti uomini… una traditrice… scenario apocalittico, non trovi?” – scherzò lei con la stessa vocetta leziosa che ricordava tanto la Umbridge.
“Non… non lo faresti! Sono tua madre!”
Hermione si girò molto lentamente, affinché nulla di quello che avrebbe detto potesse venire facilmente dimenticato.
“Myra è mia madre ed Elthon è mio padre e tu… tu sei morta.
Se il senso di quella frase doveva essere metaforico o letterario – o tutti e due – né Hermione, né Jean, né Elthon lo seppero mai dire.
Qualcosa in Jean scattò. La disperazione del momento o il terrore di poter venire uccisa dai Mangiamorte presenti. Si avventò su Hermione, con follia omicida.
“Se non ti posso avere io, non ti avrà nessuno!”




Elthon venne paralizzato dal terrore per una frazione di secondo. L’attimo successivo strinse nella mano la bacchetta, sgomento che Hermione avesse avuto il riflesso pronto e immobilizzarla con un incantesimo non-verbale.




“Risparmia le energie, Jean. Ti serviranno per difenderti.”
La donna era stata incarcerata da catene invisibili.
“Adesso però devi dirmi perché hai preso il Marchio Nero e se pensi che non te lo farò dire con le cattive, beh… ti sbagli di grosso.” – la minacciò lei.
“Lo hai detto tu quando hai letto dell’Incanto Illusio. Bisognava assoggettarsi a un potere superiore!”
Sembrava una di quelle invasate che proclamavano il Manifesto di Hitler sulla razza ariana, l’unica e sola razza che poteva esistere.
E le sembrò di rivedere Bellatrix Lestrange.
“Ti ho tolta dai Preston per la professione di Elthon. Un purosangue Serpeverde che diventa Capo degli Auror, ha!, questa era una barzelletta!” – assottigliò gli occhi quando le catene si strinsero maggiormente attorno al suo corpo, ferendola. – “Gli ho promesso che ti avrei tenuta lontana da loro!”
Hermione corrucciò le sopracciglia, non capendo a chi si stesse riferendo. Poi, quando il collegamento arrivò, fu lei a sbiancare. La bacchetta tremò nelle sue mani.
“Tu… cosa?”
“Sì, bambina. Voldemort aveva visto che un giorno tu gli avresti dato molto fastidio e purtroppo è stato così. Speravo che farti credere di essere una mezzosangue ti avrebbe impedito di metterti contro di lui, che lo avresti temuto a tal punto che non avresti osato alzare un dito per contrastarlo. Maledetto il giorno in cui mi dicesti di essere finita a Grifondoro!”
Un gesto feroce del braccio e Jean finì contro la parete, semisvenuta.
“Po-Potter e la sua mania di e-eroismo…” – Jean si mise carponi. – “… ti ha contagiata, e ti ha fatto partecipare alla sua guerra…”
Hermione la liberò dall’Incarceramus.
“Una volta che il Signore Oscuro avrebbe ottenuto la vittoria, ti avrei detto la verità e lo avresti affiancato! Il Lord Oscuro aveva grandi progetti su di te, Hermione!”
Un brivido le corse lungo la spina dorsale.
“Avrebbe fatto di te la sua serva più fedele e io sarei stata ricompensata con grandi poteri e ricchezze!”
La pazzia di quella donna era pari a quella di Bellatrix Lestrange.




Le otto erano passate da molto, ormai, ma non aveva ancora finito.
Mancava poco.




Era letteralmente senza parole. Aveva vissuto per tutto quel tempo con una Mangiamorte e non lo aveva minimamente sospettato. Si sentiva immensamente stupida.
Ma era venuto il momento di dire basta, di fermare quello scempio che quella donna stava facendo della sua vita, nonostante non ne fosse una diretta partecipante.
“Hai fatto i conti senza l’oste, Jean. Tom Riddle è morto, i suoi fedeli imprigionati o uccisi, le sue idee stanno lentamente scomparendo e tu… tu tra non molto raggiungerai nonna Madline. Adesso tornerò a casa, da mia madre e da mio padre. Mi dimenticherò di te e mi rifarò una vita, costruita non più su verità nascoste, ma solo sulla verità. Una verità che mi hai sempre negato. Addio Jean. Spero tu possa morire tra atroci sofferenze.”
Rimase con la bacchetta sollevata per un istante, chiedendosi riattivare l’Incarceramus o lasciarla andare.
In un impeto di rabbia, assecondò i suoi più bassi istinti. La scaraventò con forza inaudita contro la parete, notando un piccolo rigagnolo di sangue formarsi per terra.
Guardò il corpo di quella donna steso immobile a terra. Il sangue formò una piccola pozzetta, niente che – purtroppo – avrebbe potuto compromettere la sua vita. Riavvolse la mente come un registratore, rivivendo tutti i momenti trascorsi con lei e con Scott, le gite fuori porta, i rimproveri, i premi… tutto falso.
Non sentiva niente. Non provava rimorso per quello che aveva fatto: quanti Mangiamorte aveva ucciso durante la battaglia?
Lei non faceva differenza, anzi. Era stata la peggiore tra loro, una degna erede della pazzia di Bellatrix Lestrange.
Uscì e si chiuse dietro la porta con innaturale calma.
La guardia non c’era. E forse era un bene. Non voleva farsi vedere in quello stato. Si passò una mano sugli occhi e sentì le mani tremare.
Le massaggiò leggermente e lo sguardo le cadde sull’orologio. Erano le otto e mezzo e la cerimonia era già iniziata.
Doveva sbrigarsi.
Prese un enorme respiro e quando alzò gli occhi, sentì tutto il sangue fluire fuori da lei.









Note di me:

A questo punto, il lettore potrebbe pensare che l’autrice abbia seri problemi mentali.
A questo punto, l’autrice risponderebbe con un semplice, ma d’effetto, “Te ne sei accorto solo ora?”
Beeeeeeeeeeeeeeeeeene! Fatto anche questo.
Credo sia superfluo commentare, in primis, il titolo del capitolo. Tutta questa storia, nata a Dicembre dell’anno scorso, puntava proprio a questo momento.
La Verità Nascosta, oltre a tutte quelle che ci andavano dietro, era questa.
Ma procediamo con ordine.

Il pranzo dai nonni. Hermione ha affrontato Lord Voldemort eppure ha paura di quattro vecchietti, uno dei quali affetto da demenza senile. Tutto sommato il pranzo è andato bene, Hermione ha capito che il galateo non era necessario e che tutte le paure – infondate – fino a prima di conoscere i nonni erano sciocche.

Finalmente si è scoperto a chi Hermione ha mandato il gufo.
Kingsley Shacklebolt, il Primo Ministro della Magia.
Lui è l’unico che può concedere l’autorizzazione necessaria per far visita a certi prigionieri, oltre al Capo degli Auror ma sappiamo, anche se non l’ho detto esplicitamente, che Elthon non avrebbe mai concesso il permesso alla figlia per far visita alla donna che ha provocato tutto il loro dolore.
Così Hermione ha agito di nuovo mossa dall’istinto e ha fatto bene.
Jean è una Mangiamorte. Ha preso il Marchio Nero da Voldemort in persona per lo stesso motivo di Lucius Malfoy: la ricchezza e il potere. La Profezia di Voldemort su Hermione è una faccenda secondaria che, vi dico fin da ora, non spiegherò. Richiederebbe l’aggiunta di scene extra e io penso che il lettore abbia voglia di vedere gli sviluppi tra Draco e Hermione.
Cosa che voglio vedere anche io. >___>
Quindi, credo di essermi meritata un avanzamento di grado: da Stronza, passerei a Stronza Masochista e il prossimo livello, nonché ultimo, sarà quello di Stronza Masochista Sadica Bastarda.
E capirete da sole quando sarà.
Voglio precisare una cosa:
“Ti ho tolta dai Preston per la professione di Elthon. Un purosangue Serpeverde che diventa Capo degli Auror, ha!, questa era una barzelletta!” – assottigliò gli occhi quando le catene si strinsero maggiormente attorno al suo corpo, ferendola. – Gli ho promesso che ti avrei tenuta lontana da loro!”
Hermione corrucciò le sopracciglia, non capendo a chi si stesse riferendo. Poi, quando il collegamento arrivò, fu lei a sbiancare. La bacchetta tremò nelle sue mani.
“Tu… cosa?”
Questa è la parte finale del capitolo tra Jean e Hermione. Come ho già detto, voglio precisare una cosa, e cioè la parte che ho evidenziato in rosso.
A questo punto il lettore può pensare che se una persona prende il Marchio Nero è implicito e ovvio considerare che sia stato Voldemort a marchiarlo.
Sì, è stato proprio così.
Ciò che però può sembrare dalla reazione di Hermione, è che la ragazza non lo avrebbe mai sospettato. In realtà, ho giocato di nuovo sul fattore “perdersi in un bicchiere d’acqua”, lo stesso che ho usato per descrivere la reazione di Hermione nel capitolo 23 Il Ballo di Natale.
Hermione sa che il Marchio Nero è una prerogativa di Voldemort, eppure in quel momento il cervello si resetta e va alla ricerca di motivazioni astruse e assurde per giustificare un evento palese come il sapere che il sole nasce a est e tramonta a ovest.
Spero di essere stata chiara, in caso contrario, andate a rileggere le spiegazioni finali del capitolo 23 per quanto riguarda il ballo.
Comunque sia, rimango a disposizione per eventuali chiarimenti in più.

Copia della corrispondenza che esce dall’ufficio di Kingsley si deposita sulla scrivania di Elthon.
Grazie a questo espediente, l’Auror viene a sapere delle intenzioni di Hermione e purtroppo la raggiunge a conti fatti. Non si esime, però, dal dirne un Espresso al Primo Ministro per aver preso una decisione così importante al posto suo.
King dice una cosa di Hermione Granger, che verrà spiegata nel prossimo capitolo dove, FINALMENTE, ci sarà ‘sto cazzo di ballo! >_<

Una volta raggiunta la figlia, Elthon si ritrova ad assistere impotente al dialogo tra le due, venendo a scoprire l’assurda verità.
Ci rimane malissimo perché lui è il Capo degli Auror che si vede superato in astuzia dalla figlia.

Tanti passaggi mancano ancora per chiudere questa storia, ma con la calma e la pazienza di cui voi siete dotate, sono sicura che li vedremo insieme.
Spero di essere stata sufficientemente esauriente – esaurita x_x – nelle spiegazioni. In caso contrario, libere di chiedere.
Sempre tramite l’apposita recensione. ù_ù

A Barbarak.
Sei malefica! ^___^
Non hai propriamente indovinato a chi Hermione aveva mandato il gufo, ma ci sei andata più che vicina.
Vicinissima!
Ho sempre sospettato che fossi una lettrice attenta ai particolari e con l’ultima recensione me ne hai dato conferma.
Sei una grande!

Detto ciò, vi lascio allo spoiler. ^____^

“Li hai scioccati.” – rise lei, mentre si scambiava l’ennesimo bacio con il suo nuovo fidanzato.
“Una mia prerogativa.” – disse, restituendole il suo peccato.
“Mamma stava per svenire.”
“Oh, e tuo padre voleva castrarmi.” – ironizzò lui.

Di chi si starà parlando? A voi le supposte!
Besitos! ^o^
  
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