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Autore: Duir    20/07/2006    2 recensioni
...può un uomo costringere un suo simile a fargli da schiavo? Indubbiamente si......ma può un uomo costringere un mutante a fargli da schiavo? Indubbiamente no.....e se si trattasse di una donna? ps. volevo dire che non ho mai letto i fumetti e che mi baso su quanto ho appreso dai due film.....perdonate se ogni tanto faccio di testa mia :P
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Lo specchio oramai è stato infranto. Il male infine è riuscito a penetrare anche l’ultimo serraglio di purezza in cui il mondo potesse sperare. D’ora in poi, nulla sarà più come prima, nessun’anima potrà più essere sicura d’un riscatto finale. Anche gli angeli soccomberanno per mano dei Figli delle tenebre! Uno per uno cederanno e la loro castità sarà plagiata dalle nere ombre, che come serpi inietteranno il veleno dell’odio e della guerra nei loro cuori. Voi umani temete l’avvento del Giudizio Universale? Stolti, perché averne paura se lo avete alimentato voi, con le vostre paure e la smania di potere che serbate nei vostri cuori! Perché temere la morte se voi stessi uccidete gli altri uomini per il colore della loro pelle o per i possedimenti che hanno? Lo specchio è stato infranto ed ora le tenebre caleranno su di voi!” Queste le parole celate nel piccolo volume, che da qualche ora se ne stava chiuso sul tavolino di cristallo della piccola biblioteca. Sigillate nel silenzio composto di una stanza vuota, odorosa di pioggia e della muffa dei vecchi volumi che la circondavano tutta; parole tanto vere quanto menzognere, colme di risposte e di bugie. Solo un piccolo libro, che forse avrebbe potuto svelare e in tal modo far accadere molto prima gli eventi, oramai impressi nel futuro di tutti quanti loro. Nel frattempo la tempesta ora era diventata qualcosa di agghiacciante: non più soltanto acqua scrosciava dalle cateratte dei cieli, ma strali di fuoco scendevano dalle nubi rossastre e sibilando colpivano le torrette della villa, spegnendosi nei rigagnoli che scendevano copiosi dalle grondaie. Tuttavia, nulla in questo momento poteva distrarre la mente di chi con calma ed estremo controllo sondava le vite di umani e mutanti, in cerca di risposte. Nei sotterranei, accomodato alla sua postazione, Xavier perlustrava ogni centimetro della zona, alla ricerca di un debole segno che gli indicasse dove ora giacevano Logan, Bobby e Rogue. Tuttavia, sapeva bene che solo se essi fossero stati ancora vivi sarebbe riuscito a localizzarli e magari anche a mettersi in contatto telepatico. Uno dopo l’altro, gli spettri luminosi delle auree scarlatte dei mutanti presenti nella zona scorrevano sotto i suoi occhi, mentre nella sua mentre si susseguivano le immagini di tutti possibili luoghi in cui i tre ragazzi avevano o potevano aver fatto una sosta. Una stazione di servizio si aprì dinanzi ai suoi occhi, colma del rumore delle automobili, delle imprecazioni degli automobilisti accaldati e nevrotici, dell’odore pregnante della benzina. Una ragazza dai lunghi capelli castani corse verso la toilette delle donne, per poi sparire alla vista. Lentamente l’immagine sbiadì e diede il passo ad una seconda, una valle, nel cui mezzo giaceva un lago dalle acque placide e cristalline. Una diga visibilmente danneggiata nella sua imponente struttura, circondava le sponde alberate, dando alla zona un’aria malinconica di struttura in degrado. Poi, com’era venuta anche quest’immagine scomparve. Xavier prese un profondo respiro e si tolse l’elmetto per un istante. Nonostante fosse a parecchi metri sotto terra, anche lì poteva sentire il rombo sordo dei tuoni e lo scrosciare della pioggia, accompagnata dagli sferzanti fischi delle meteore, che come stelle cadenti scendevano da un cielo surreale. Ma non vi erano desideri questa volta, solo tanta paura e una debole speranza di poter ritrovare quei ragazzi in tempo. Approfittando della sua solitudine, Xavier si abbandonò per un attimo a quel sentimento di rimprovero che giaceva nel suo cuore sin da quando aveva ceduto alle parole di Logan. Quel “si” gli rincresceva attimo dopo attimo, mentre la voce argentina di Rogue risplendeva ancora vivida. “Non si preoccupi professor Xavier! Logan è insuperabile quando si tratta di sopravvivenza nei boschi!”, queste le ultime parole d’ella, seguite dall’"è vero!” concitato di Bobby e dai loro sguardi colmi di speranza, per quel permesso tanto agognato alla fine della scuola; al che, di lì a pochi istanti era arrivato Logan, che come al solito aveva già programmato tutto da solo, con in spalla il suo sacco, rivolgendo loro una frase provocatoria: “Allora i vostri bagagli dove sono?” e poi guardando in tralice Xavier aveva continuato “Se non vi sbrigate me ne vado da solo, capito sfaticati! E badate di prendere tutto, che non vi presto nulla, ok?”. Quindi era entrato nello studio e con la solita noncuranza aveva mollato lo zaino dall’aria vissuta su una delle impeccabili poltrone, aspettandosi probabilmente un “buona fortuna” o qualcosa di simile. Poi, notando l’aria contrariata del professore aveva tirato la solita boccata di sigaro, alzando gli occhi al cielo, con fare infantile, per rimanere poi di stucco quand’egli aveva accettato a dar loro il permesso, con l’ultima raccomandazione di stare molto attenti e di ritornare indietro al minimo accenno di temporale. Per tutto il tempo, Logan aveva disperatamente lottato contro la sua mente, per non far pensieri traditori e c’era pienamente riuscito. Con un’ultima sbuffata di fumo dolciastro, il ragazzo si era infine congedato, biascicando un “grazie” e condendo il saluto con l’atto di portare due dita alla fronte, in tipico stile marines. L’ultimo suono che ristagnava ora nella mente di Xavier era quello dei potenti motori dell’x-Jet e i saluti spensierati di allievi e insegnanti. Non si sorprese al che una lacrima iniziò a solcargli il volto magro e incavato, ma non era quello il momento di farsi confondere dalle emozioni e dal rimorso. Prendendo un ennesimo profondo respiro, si rimise in testa l’elmetto, chiudendo gli occhi e cercando di ritrovare il contatto, perduto qualche minuto prima. Nuovamente le sagome rossastre dei mutanti scorsero dinnanzi a lui, riempiendo la stanza, che ora si era fatta enorme e sconfinata. Si concentrò sul ricordo dell’ultima immagine che aveva visto, Alkali Lake e lasciò che la sua mente si estraniasse dai tediosi sentimenti che quella vista rievocava; ed ecco che, un bosco, con gigantesche conifere invase tutta la stanza: le pareti ora erano una distesa di alberi verdi e palpitanti, il pavimento un suolo muscoso e odoroso d’erba bagnata, tipico delle foreste lì attorno. Il grido di un’aquila risuonò alto, tra le nuvole bianche e morbide, seguito dalle risate di qualcuno. Ma certo! Erano loro! Era sulla strada giusta, solamente ancora non poteva vederli. Ma era sicuro che quelle energie positive appartenevano a loro tre e per di più erano anche molto vicini. Ma all’improvviso, qualcosa si interpose tra la visione e la sua mente: una presenza estranea, racchiusa in un’aura fortissima lo colse alla sprovvista. Non era un mutante, questo era certo, si trattava di qualcos’altro, di un’entità superiore, la cui energia cresceva a dismisura. Lottando per non perdere il contatto telepatico, Xavier si vide trasportato in quella che pareva un’enorme bolla rossa, la cui superficie era solcata da innumerevoli diramazioni, che davano al tutto l’aspetto irrazionale di un tessuto percorso da capillari vivi e pulsanti. In mezzo a quella specie di enorme cuore, la vide, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, il vestito rosso macchiato d’argento. Avvinghiata a lei c’era una creatura bianca come un fior di loto, le cui enormi ali piumate vibravano nel tentativo di liberarsi da quell’abbraccio mortale. Il suo corpo evanescente, pareva divenir ancor più inconsistente man mano che subiva i colpi della rivale, che, come un ragno con la preda, la serrava sempre più stretta; la creatura angelica si dibatteva disperatamente, scalciando, lanciando acuti stridii, ma nulla pareva arrestare le malvagie intenzioni dell’altra donna, evidentemente decisa a farne giustizia sommaria. Alla fine l’angelo cedette e fu scaraventato via con gran disgusto, privo completamente di energie e forze vitali. Ma immediatamente, veloce come il pensiero una seconda creatura angelica si era ora materializzata ed aveva iniziato un’ennesima lotta costellata di lampi azzurri e scarlatti, di urla terrificanti e stridii furibondi, di sangue celeste e dannato, che schizzava ad ogni colpo andato a segno. Fu così che Xavier apprese il perché, quella sera, alle nove esatte, il tempo si era fermato, chi fossero le due creature che a molti chilometri di distanza tramavano un disegno subdolo e spietato e come il Male volesse ancora una volta impossessarsi della terra e dei suoi abitanti. Tuttavia, sta volta non si sarebbe trattato della solita battaglia fra forze mutanti, coalizzate alla meno peggio contro gli umani: ora tutte le razze e le etnie del mondo correvano un unico pericolo, quello di scomparire per rinascere a loro volta generatori di morte. Xavier rimase ancorato al sedile, troppo scosso per procedere oltre: mai nella sua vita aveva percepito pensieri che l’avessero basito al punto, da provocargli un simile orrore. Quella con cui era entrato in contatto non era nemmeno concepibile come una serie di pensieri, era energia negativa allo stato puro, che cresceva percettibilmente dentro quel bozzolo sanguigno. Improvvisamente, la donna dai capelli corvini si fermò e voltandosi di scatto verso Xavier gli rivolse uno sguardo feroce. In quegli occhi di giada egli allora vide schiere di persone cadere sotto la violenza di demoni e diavoli, vide fiamme nere cingere i loro corpi e tramutarsi quindi in striscianti tentacoli irti di spine, che penetravano dentro di loro, sigillandoli in bozzoli neri, mentre ovunque echeggiavano urla e inutili preghiere. Infine, fu la volta di una creatura dai luminosi occhi e dalle grandi ali scure, che si levò al di sopra di tutto quell’inferno, per poi oscurare col suo volo l’abominevole visione. Perduti i contatti, Xavier rimase nella penombra della stanza, tremando ancora per quanto aveva visto, per quello che aveva udito, fissando ancora il punto in cui poco prima c’erano le due creature che lottavano; sentiva il cuore pulsargli nelle tempie, mentre esausto seguitava a cedere e ad avviarsi verso l’ascensore. Giunto al piano superiore, si diresse verso la piccola cucina dove altri tre cuori battevano frenetici, vogliosi di risposte, della verità su tutto quanto stava succedendo. Un tuono, simile più ad un grido di battaglia li fece trasalire e le loro menti allora slittarono all’unico pensiero che in quel momento era importante: -Dove sei Logan-, sussurrò tra sé Ororo, stringendo la tazza di caffè fumante. Mai come in quel momento si era resa conto di quanto importante fosse per lei quel ragazzo: in tutti i litigi, gli attriti e gli scontri che aveva sempre avuto con lui, solo ora che egli era lontano, sperduto chissà dove, poteva comprendere che quei modi bruschi e spesso arroganti erano il suo modo di dirle “ti amo”, “non ti lascerò mai”, “perdonami!”. Una lacrima iniziò a solcarle il volto, al pensiero che forse non lo avrebbe rivisto mai più, che mai più nella sua vita avrebbe potuto scontrarsi con quegli occhi scuri, intrisi della crudele passione di una mente priva di memoria, colmi di un passato ermetico e doloroso. L’intensità dei suoi pensieri fu tale, che anche Jean ad un tratto, non sopportando più il dolore dell’amica, si sciolse in un pianto inconsolabile. Ancora una volta Scott intervenne con la sua dolcezza di amante e amico fidato, abbracciando Jean e porgendo un cenno di conforto ad Ororo, la quale gli sorrise tra le lacrime, nonostante la convinzione che Logan fosse ormai spacciato, diventasse sempre più forte. -Non dobbiamo cedere! Il professor Xavier ce la sta mettendo tutta! Vedrete che con l’ausilio di Cerebro li troverà!- Esclamò Scott, ostentando fiducia, nonostante la voce tradisse la sua ansia ed il suo dolore. Anch’egli, infatti, nonostante le costanti contese soprattutto per Jean, voleva bene a Logan e il solo pensiero di non rivederlo lo paralizzava. In quanto a Bobby e Rogue, tutti e tre condividevano ora il rimorso per aver loro concesso di andare in campeggio con l’avvicinarsi di una tempesta. Alle parole di Scott seguì un lungo e insopportabile silenzio, finchè Ororo, colta da un improvviso attacco di rabbia non iniziò a disperarsi e a piangere in preda ad un forte attacco d’ansia. –Ororo! Non fare così! Non è il momento di cedere al panico!- intervenne pronta Jean, ritrovando improvvisamente il suo controllo. Ororo seguitò a urlare, come colta da un irragionevole terrore, tanto da costringere Scott a tenerla ferma per non ferirsi con i frammenti della tazza che, nell’impeto le era esplosa tra le mani. –Ororo! Rilassati! Va tutto bene!- La calda voce di Jean le rimbombò nella testa ed ella la sentì scendere nel petto, per poi diffondersi in tutto il corpo. Infine, dopo un’ultima convulsione, Ororo si lasciò andare tra le braccia di Scott. In quel mentre un altro tuono, preceduto da una folgore, esplose fuori nel giardino oramai devastato. Sconcertati i due ragazzi la portarono nel salottino accanto alla cucina, coricandola sul divano. –Ha solo perso i sensi, nulla di grave- si affrettò a dire Jean, mentre faceva cenno a Scott di alzarle le gambe. Lentamente, Ororo riaprì gli occhi, riacquistando sensibilità del suo corpo, delle braccia, delle gambe, della testa, riguadagnandosi la quotidianità del luogo, la familiarità dei volti. –Jean… Scott…ma cosa…chi…- -Va tutto bene, sei solo svenuta. Evidentemente questa tempesta è molto più forte delle altre e questo ti ha creato uno scompenso-. Ororo si portò una mano alla fronte, scostando un ciuffo di capelli dagli occhi e fu allora che la sentì: la stessa voce che aveva percepito quando era in quella sala a leggere, lo stesso grido malvagio, gli stessi pensieri crudeli e taglienti come la lama di una spada. Ancora un tuono, ancora una folgore, ancora strali infuocate e sibili malefici al di fuori della casa. -“…nessuno si salverà! Voi mortali non potete nulla contro quello che vi aspetta! L’inizio della fine è cominciato, non avrete nessuna via di scampo! Il destino del mondo si compirà sta notte!”-. Paralizzati dalla paura, Jean e Scott rimasero a guardare Ororo, che ora, ridestatasi, li fissava con i suoi occhi bianchi, mentre le venefiche parole erano scandite dalle sue labbra sottili. –Quale destino?!- riuscì infine a spiccicare Scott, sconvolto; la donna volse rigidamente il capo verso di lui, sibilando: -“Il vostro! Ogni essere vivente vedrà il suo vero destino, il vero compito per cui è stato creato su questa terra miserevole!”- disse Ororo a denti stretti. –Qual è questo destino?!- urlò allora Scott, scotendola, nel vano tentativo di farla rinsavire. Con un movimento fulmineo, Ororo lo prese per la gola, stringendogli il collo con forza. Il ragazzo emise un gemito soffocato, mentre la vista gli si annebbiava. –Lascialo andare, maledetta!- gridò Jean, scagliandosi contro di lei e premendole i palmi delle mani sulla testa; nei pochi istanti che seguirono vide un mare di fuoco, celato da una nebbia sulfurea. In lontananza, accerchiata da alte fiamme scure, si ergeva una fortezza dalle imponenti torri contorte, comunicanti tra loro per mezzo di scale di pietra, innumerevoli ponti e ballatoi, su cui centinaia di orrende creature facevano una ronda spietata. Dietro, sul culmine di una montagna di ossa umane, si ergeva un immenso castello, scavato in un gigantesco blocco di roccia nera, il cui ponte levatoio era custodito da colossali demoni con la testa di serpe, muniti di falci corrose dal sangue di chissà quante vittime. –“Sei tanto ansiosa di conoscere quanto vi aspetta, donna? Il fatto di essere una mutante non ti salverà, non ne uscirai viva, nessuno di voi resisterà!”- -No! Tu menti! Vattene dalla mente di Ororo!- -“Stolta! Neghi l’evidenza? Non sai cosa vi aspetta! Potrete pure combattere, ma non vincerete mai! Noi siamo troppo potenti!”- -Noi? Siete più di uno allora?- -“Siamo talmente tanti che non potete nemmeno immaginarlo! Non potete fare nulla per contrastarci!!”-. L’orrida voce scandiva le atroci parole con una calma ed una convinzione tale, che Jean quasi si vide sul punto di cedere. –Non è possibile! Se c’è qualcosa che possiamo fare, noi lo attueremo!-. Ororo la fissò ancora, con quegli occhi allucinanti e la bocca le si storse in un sogghigno: - “…si, effettivamente c’è una cosa che potete fare…”- -… e di che si tratta?! Parla dannazione!-. La voce ebbe un attimo d’esitazione e poi esplose in una lacerante risata di scherno: -“Morire!”-. Quindi com’era venuta si sciolse. Mentre la mano sinistra lasciava andare Scott, la fanciulla cadde nuovamente riversa sul divano rosso cardinale. Jean si portò le mani alla fronte, ansimando per lo sforzo e l’angoscia di quanto aveva visto. Il tossire di Scott la fece voltare e con sollievo lo vide alzarsi. –Che… che diavolo…- iniziò il ragazzo, ma venne interrotto dalla voce profonda che proveniva dalla soglia. -Esatto Scott -: Xavier era giunto con estrema velocità dalla stanza di Cerebro ed ora se ne stava sulla porta con fare più perplesso che scosso, fissandoli entrambi con i suoi occhi di ghiaccio. Lasciando che Jean si prendesse cura di Ororo, Scott gli si avvicinò, massaggiandosi il collo ancora dolente. –Cosa vuol dire professore?- -Che sta volta Magneto non c’entra-, rispose pacato l’uomo. –Venite, portiamo Ororo nella sua camera. Poi vi narrerò quanto mi è accaduto nella stanza di Cerebro-. Presa delicatamente la ragazza dal divano, i quattro si diressero ai piani superiori, verso gli appartamenti di Xavier.
  
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