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Autore: Nanecch    16/01/2012    2 recensioni
Jane Sun è un'investigatrice che ha solo quattordici anni;
è molto intelligente e giovane per fare questo lavoro,
riesce sempre a risolvere i casi (anche quelli molto difficili) che le procura il suo collega Fill Jonson.
Però casi non li risolve praticamente MAI il suo collega.
Questo libro non è solo un giallo, ma parla anche d'amore, di tristezza e di morte.
Che cosa succederà a queste due persone? Eppure ci sarà anche qualcuno a mettergli i bastoni fra le ruote!
Intanto i due ragazzi continuano a svolgere senza tregua il loro lavoro.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quarto Capitolo: Un nuova ragazzo, un nuovo nemico

Quarto Capitolo: Un nuova ragazzo, un nuovo nemico

 

Io ero nel mio ufficio, lì, da sola, seduta su una sedia a guardare fuori dalla finestra: ormai era mezzanotte passata.

Sentii dei passi e, pensando fosse Fill, non mi voltai a guardare ma domandai: “Cosa ci fai qui, di sera a tarda notte?”

Il presunto Fill non rispose, rimase in silenzio, avanzando.

“Ah, che scema, tu non sei Fill…” la persona si fermò di colpo e stette ferma ad ascoltare.

“…quando mai la smetterai di pedinarmi…” mi alzai dalla sedia e cominciai a camminare verso la persona, vidi un volto giovane e da teppistello, aveva dei capelli bruni ed era un ragazzo alto e anche un po’ carino, ma non era una persona come tutte le altre.

“…fratello?”

Il ragazzo mi guardò con aria imprecisa, sembrava che non sapessi chi fossi poi dopo si è messo a formulare frasi senza senso, per poco me ne stavo andando per quanto mi annoiassi.

“Sei sempre la solita, sorellina, io vengo qui e tu non mi saluti nemmeno? Molto scortese da parte tua”

“Vieni al dunque” replicai io.

Cominciò a spiegare: “Conosci la mia fidanzata? E’ morta

“Al mondo ci sono sempre persone che muoiono, ogni minuto che passa, non posso salvarle tutte” risposi.

“Non mi riferivo a questo, voglio che tu risolva un caso per me” “MAI” dissi io mentre parlava.

Lui si avvicinò e mi sussurrò qualcosa, qualcosa che mi terrorizzò. Stetti immobile, come se qualcuno mi avesse ghiacciata: mio fratello era l’unico che riusciva a farmi questo effetto.

Dopo caddi a terra con le gambe che non mi sentivo più, come se non facessero più parte del mio corpo.

“Che ne dici…ora ci stai?”

 

~~~~~~

 

Fill dormiva, nessuno avrebbe potuto svegliarlo dal quanto dormiva, tranne la sua sveglia che, proprio alle 8:00 in punto suonò.

Come tutte le mattine Fill si alzò dal letto, andò in bagno, fece colazione, si vestì e andò al lavoro perfettamente in orario ma, quando arrivò in ufficio, sentiva che c’era qualcosa di strano, di insolito: io non c’ero.

Dopo un’ora arrivai, Fill mi andò subito in contro per darmi la solita tazza di the mattutino ma, non ero sola: c’era mio fratello con me.

“Come va ragazzo? Io mi chiamo Jack, tu come ti chiami?” chiese mio fratello, rozzo come sempre; Fill mi guardò ma io, da quando ero entrata in ufficio guardavo il pavimento, quindi non ricambiai lo sguardo con lui.

“Io mi chiamo Fill, Fill Jonson, chiamami pure o Fill o J” rispose un po’ offeso visto che non lo degnai di uno sguardo, ma comunque sorrise.

Poi presi la parola e, sempre guardando in basso riferii: “Mi spiace Fill ma, tu non sarai più il mio collega da ora in poi.” Dissi io a Fill con aria fredda e indifferente.

“Ma, come mai così di colpo? Non mi guardi neanche in faccia, come faccio a sapere se stai dicendo la verità? Dai, non è che hai so-“ strinsi i pugni, quindi strinsi anche la mia gonna visto che ero con le braccia distese verso la schiena, delle lacrime mi scesero sulle guance e caddero sul pavimento, la mia testa guardava sempre lì e interruppi Fill urlando: “Se ho detto così è così! Non lo capisci?! Sono il tuo capo quindi devi eseguire i miei ordini se non vuoi essere licenziato quindi stai zitto per favore e accetta la realtà!”

Mi misi a piangere però non lo feci notare a nessuno perché appena finii la frase corsi in bagno e stetti lì per dieci minuti: cinque minuti per piangere e cinque minuti per non far vedere che avevo pianto, poi uscii dal bagno con la testa in basso e vidi Fill che mi aspettava.

“Jack ti aspetta nel tuo ufficio, se vuoi dopo discutiamo”

“Non chiamarlo per nome!” replicai alzando la voce. “Poi, non sono più una tua collega, smettila di parlarmi in modo amichevole, da adesso mi dovrai dare del LEI e chiamarmi per cognome!”

Fill mi guardò sbalordito mentre io, intanto, mi diressi verso l’ufficio, entrata in quella stanza vidi mio fratello: lo guardai, poi lo presi dalla maglietta senza guardarlo negli occhi e dissi sottovoce: “Perché… perché mi hai fatto fare quelle cose? Perché?! Poi ti chiedi perché ti odio?” Lui mi guardò come se dicesse Io sono il superiore, smettila di rompermi le scatole o finirà male, poi mi fece vedere una siringa ma non me ne fregò minimamente così gli diedi un pugno.

“Questo è per quello che mi hai fatto ieri sera” poi glie ne diedi un altro.

“Questo è per come mi hai trattata” poi gli diedi il terzo e ultimo pugno.

“E questo… questo è per avermi fatto comportare male con Fill!”

Stavo per correre via quando lui mi prese il braccio e esclamò: “Forse dimentichi qualcosa, il TUO caso” poi mi fece rivedere la siringa e questa volta me la infilò nel braccio e la pigiò.

Che stupida pensai.

 

~~~~~~

Un Salto nel Passato:

La sera prima

 

 Lui si avvicinò e mi sussurrò: “Se non lo fai finirai per farti del male, e io non voglio”

“Non me ne frega niente” risposi io sempre a sottovoce.

“Bene e se facessi del male anche a delle persone a te care?” replicò sempre anche lui sussurrando, poi mi pizzicò qualcosa: una siringa.

Stetti immobile, come se qualcuno mi avesse ghiacciata: mio fratello era l’unico che riusciva a farmi questo effetto con quella maledetta siringa.

Dopo caddi a terra sulle ginocchia, con le gambe che non mi sentivo più, come se non facessero più parte del mio corpo.

“Che ne dici…ora ci stai?” domandò di nuovo mio fratello.

Stavo tremando dalla paura, poi ripresi il comando delle gambe e mi alzai, la mia mente però, non apparteneva più a me, sembravo ubriaca, infatti, mi aveva drogata.

“Certo, Jack” risposi io, anzi, quella non ero io, era un’altra persona che si impadronì del mio corpo.

“Bene, allora che ne dici se magari…” cominciò a sbottonarmi la mia camicetta.

“Un suo desiderio per me è un ordine” risposi stupidamente io cominciando a fare la stessa cosa con lui.

Di notte mi svegliai, io, non drogata e vidi in che guaio mi fossi cacciata, all’inizio non capivo niente ma dopo ho preso gli abiti e me ne sono andata.

Per strada (era ormai tarda notte), mio fratello mi chiamò e mi comunicò: “Non ti ricordi cosa era successo prima?”

Io ripensai a cosa mi aveva detto prima di essere stata drogata: “Cosa dovrei fare?”

“Semplice, stai con me e non dire a nessuno che sei mia sorella e risolvi il mio caso” rispose.

“Non ci penso nemmeno! Non ti approfitterai più di me come hai fatto prima!” urlai.

Lui mi rispose che aveva messo una bomba in casa Fill, io gli chiesi come avesse fatto Segreti del mestiere rispose lui; allora di cambiai idea e accettai ma dopo lui aggiunse: “Ah, un ultima cosa, non devi più essere collega di Fill o gli succederà peggio di una bomba, una morte lenta e dolorosa” poi chiuse la chiamata.

Che stupida pensai.

 

  
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