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Autore: marig28_libra    07/02/2012    3 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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note: come già avevo anticipato nella parte precedente, il cap 5 sarà molto lungo...ho deciso, perciò, di suddividerlo in sotto capitoli ( piuttosto che in macrosequenze)...

I dorati tripodi rischiaravano, con le loro carezzevoli fiamme, le sontuose stanze del Grande Tempio . Il sole era ormai sprofondato nello sguardo del sonno e la sera iniziava a versare dal suo calice i colori neri e brillanti delle tenebre.
Nella sala principale di quel sacro edificio, un uomo assiso sul trono attendeva Sion. Una lunga ed elegante tunica di velluto grigio avvolgeva il suo corpo statuario. Una maschera cerulea e un elmo rosso gli celavano totalmente il viso.
Nessuna persona conosceva l’ identità del Sommo Sacerdote di Atena. Un’aurea di solenne e rispettoso mistero lo circondava.
La gente lo ammirava e lo adorava con devozione e deferenza per la nobiltà del suo animo, la rettitudine con la quale reggeva lo scettro del comando, l’austerità dei suoi principi…tutto pareva in lui il riflesso e l’emblema della perfezione e dell’integrità morale.
Sì…così sembrava.

  - Vostra altezza, è giunto il Maestro Sion – annunciò una guardia.

  - Bene…che venga condotto qui, nella sala reale.

Pochi minuti dopo comparve .
Non appena furono soli, il Sacerdote si alzò dal trono e si avvicinò a lui facendo un profondo inchino.

  - Grande Maestro Sion, sono lieto di rivedervi, finalmente, dopo tanto tempo.

  - È un onore anche per me…Saga dei Gemelli.

Solo il maestro di Mu conosceva l’identità di quell’uomo: il più potente cavaliere d’oro, il più maturo, il più straordinario. A soli quattordici anni aveva conquistato l’armatura inseguito ad una serie di prove durissime… Nessun altro adolescente avrebbe potuto sostenere un simile addestramento…Soltanto egli era stato in grado di farlo.

   - Sono trascorsi nove anni da quando mi avete affidato la sacra missione di sostituirvi come Gran Sacerdote…

   - Sì…Mu all’epoca era un bambino di sei anni e io dovevo assolutamente iniziarlo all’addestramento vero e proprio… nella prima fase degli esercizi, più semplice e meno impegnativa, riuscivo ad assentarmi di tanto in tanto dal tempio grazie ai miei poteri..

   - Poi si è rivelato di vitale importanza abbandonare temporaneamente la vostra carica.

   - Infatti. Come sarei stato capace di essere sia Gran Sacerdote ad Atene sia Maestro in Tibet? Era assurdo…per tale ragione scelsi te. Sapevo che mi sarei potuto fidare di un cavaliere retto e dotato di intelligenza e senno. Non si trovano così spesso giovani della tua sostanza…

Più che felicitare l’animo, quelle parole di sincera stima ferivano aspramente il cuore…in realtà Saga non si sentiva veramente degno di meritare la fiducia di Sion. La sua coscienza era come la vela di una nave ridotta continuamente a brandelli dagli artigli della tempesta…sui laghi dell’animo non galleggiavano solo ninfee ma anche fiori ruvidi …fiori velenosi …fiori di lurido catrame…

   - Ma-maestro Sion sono…contento che voi nutriate una così intensa ammirazione nei miei confronti…

  - Saga, secondo te quale altro ragazzo, a diciassette anni, sarebbe riuscito a non essere annientato dalle gravi responsabilità che porta il potere?

Il giovane tacque cupo per un istante. Una terribile cicatrice si era riaperta. La marea del passato avvolse ogni sentiero della sua mente.

   - Aiolos…Aiolos sarebbe stato perfettamente in grado di compiere la mia missione…era dotato di pura nobiltà…era…unico…avreste potuto scegliere anch’egli…

Sion aggrottò la fronte fissando il pavimento.

   - Aiolos era impegnato nell’ addestrare il fratello minore Aiolia…era divenuto maestro…- tacque per un breve istante- certo…era sempre stato considerato un uomo di capacità e valore grandi fino a che … fino a che non tradì il santuario e Atena. Accadde proprio durante il tuo primo anno di reggenza…

Calò un silenzio pesante come una tenda di velluto nero.
Soltanto il crepitio delle fiaccole dei bracieri sussurrava.
Col capo chino, indietreggiando nella penombra delle colonne, Saga si tolse la maschera e l’elmo.
Nonostante il suo viso fosse avvolto in parte dall’oscurità Sion riusciva a leggere il turbamento che lo scuoteva.

   - Fu…fu…terribile.

  - Rimasi sconvolto come te…contavo ciecamente su Aiolos…non avevo mai, nemmeno una volta sola, percepito del male nel suo cosmo…la mia ammirazione nei suoi confronti era sconfinata…- Sion fece una pausa per riprendere con dolorosa amarezza – …non sono riuscito e non riesco ancora a comprendere il perché di quel suo spregevole atto…usare questo termine pensando a lui mi addolora moltissimo…è così incredibile…troppo inverosimile…

Saga continuava ad ascoltare senza dire una parola: avvertiva un coltello rovente che gli squarciava il cuore…desiderava che Sion la finisse…

  - Talvolta mi domando se è mai possibile penetrare e conoscere veramente a fondo i labirinti degli animi delle persone…ci illudiamo di avere la verità tra le mani ma in realtà ci adagiamo su comodi giacigli…abbiamo paura di scavare dentro gli altri e…anche dentro di noi…siamo creature fragili e codarde…ci costruiamo tanti visi…

Il cavaliere dei gemelli fissò con disprezzo e timore la maschera cerulea che usava indossare…cosa s’illudeva di fare? Nascondersi al prossimo? A sé stesso?
I suoi occhi verde scuro, dalla forma un po’ allungata, luccicavano come lanterne funebri su un mare notturno.
Sion li vedeva angustiato. Le ombre non gli potevano celare il riflesso di uno spirito… lacerato.

  - Saga…scusami…non volevo far emergere ricordi di sofferenza…Aiolos era un tuo grande amico…

  - Sì…un amico…che ho condannato.

  - Purtroppo sei stato costretto a farlo.

Costretto? Costretto? No… non sono stato costretto…
Un’ombra di inchiostro l’aveva ghermito…un’ombra che non gli faceva ricordare un fatto estremamente importante…
Aveva commesso un’ empia azione di cui non rimembrava nulla…
Dentro di lui qualcosa si muoveva...
No.
Dentro di lui qualcuno si muoveva.

  - …Perché? – mormorò ad un certo punto. Sion lo guardò perplesso e inquieto.

  - Perché?! - insisté stavolta.

  - Saga! Cosa…

  - Perché devo giudicare? Spiegatemelo… Perché io dovrei far giustiziare quel ragazzo, quello che giorni fa ha ucciso il suo maestro…Ohen…ditemi,che diritto ne ho? È lecito che io possa dare la morte?! Vi pare un’azione giusta, buona e pura?

Il maestro di Mu era privo di parole. Continuava a guardare Saga che camminava avanti e indietro nell’ombra come lo spettro di un uomo dannato. La sagoma della sua lunga chioma pareva la criniera di un leone ferito e confuso.

  - Io, dovrei valutare…valutare le persone che sbagliano, giudicarle…Io! Che cosa disgustosa…

  - Saga! Che ti prende?!

  - Ah! Tra l’altro dovrò anche mettere alla prova, esaminare…esaminare…ma vi rendete conto?! Esaminare io che non sono neanche in grado di vedermi veramente allo specchio?!

  - Per amor del Cielo! Calmati!

  - No, Maestro Sion... Per quale motivo ho il dovere di far rischiare la vita a Mu, a Camus, ad Aiolia, ad Aldebaran e a Milo? Come riuscirò a starmene qui mentre loro forse potranno essere massacrati?

  - La Prova Della Triade Templare è, ahimè, uno degli ostacoli più duri e pericolosi che un cavaliere d’oro deve affrontare..lo sai benissimo…hai già sottoposto Shaka, Aphrodite, Shura e Death Mask a questo…

  - Sì…loro hanno visto la morte in faccia, lì nei templi della Grecia Orientale…ora tocca agli altri qui in Occidente…dove il sole tramonta e dove vorrei tramontare anch’io…

  - Per quale motivo stai dicendo tutto questo?

  - Sapete una cosa? Atena è una dea vergine, luminosa, saggia e crudele- Saga era immobile nelle tenebre e rideva tristemente- sì…noi cavalieri siamo i suoi servi…siamo un branco di rematori che guardano le stelle fredde e intoccabili…proprio così…non siamo altro che dei miseri rematori e io lo sono più di tutti…

  - Saga!

Il cavaliere dei Gemelli spalancò i suoi occhi . Avrebbe desiderato avanzare di scatto verso Sion uscendo dalla penombra. Ma non lo fece. Restò sonnambulo, con la testa ricolma di vento

  " Chi sono, Maestro Sion?! " avrebbe voluto urlare afferrandolo per le spalle e scuotendolo con espressione folle e disperata.
Il venerando Tibetano, intanto, monitorava quegli atteggiamenti assorti, mortiferamente silenti
I lineamenti nobili e raffinati del giovane erano colpiti da tuoni interiori, lo sguardo verde cupo farfugliava criptato tra le ciglia nere e le belle labbra tremano leggermente ma tremavano.
I lunghi capelli blu ,erano insolitamente scarmigliati e cascavano un pò davanti agli occhi .
Il Maestro era impigliato in quella visione

  - Io non..non voglio…decidere…non voglio decidere nulla…

  - Saga…l'incertezza sta raggomitolata negli angoli più bui pronta a balzare

Il cavaliere lo fissò corrugato.

   - Ti ho…affidato delle responsabilità enormi… eri poco più che un ragazzo, appena fuori dalla soglia dell'età adulta...Anche quando si cresce, tuttavia, ci si sente sempre fuori dalla soglia di qualcosa

Saga divenne improvvisamente freddo e tetro.
Fece con tono arido:

   - Vi assicuro che a venticinque anni tutto seguita a traballare…e le soglie da cui si resta esclusi si moltiplicano all'infinito

Scostandosi i capelli e distogliendo lo sguardo da Sion uscì con una lugubre calma dalla sala del trono.

  - Ci rivedremo a breve Maestro …vi auguro una serena buonanotte…col prossimo e con voi stesso.

 

Sion scese lentamente l’enorme scalinata che collegava le Dodici Case.
Saga era riuscito a far tremare vertiginosamente i pilastri del suo animo fermo e ponderato... Aveva insinuato dentro di lui la viscida serpe del sospetto e del dubbio. Il dubbio atroce, imprevedibile e bruciante.
Il suo cuore non era riuscito veramente a vedere a fondo? Non aveva davvero percepito nulla?
Come diavolo poteva essere possibile?!
Gli aghi dell'angustia crivellavano la mente e le memorie del passato.
L’uomo aveva commesso un grosso sbaglio, forse il più grave e tragico errore della propria esistenza?
Si era fidato di Saga consegnandogli le redini del governo del tempio…sì…si era fidato di lui...
Nel cosmo di quel giovane pareva avessero sempre luccicato bagliori di lealtà, affidabilità e…

purezza.

Purezza. Purezza…
Quella parola danzava evanescente come tanti granelli di polvere che annegano nel buio.

Gemelli. Gemelli…

Un segno dai colori indefinibili. Una città bianca e soave che si specchia su un fiume che ne riflette le case macchiate e malate .
L’elmo dell’armatura di quella costellazione era piuttosto particolare: magnifico e inquietante manufatto, recava su un lato un viso che sorrideva perfido e sull’altro un viso sereno e mesto che fissava l’eterno.
Il volto di Saga era sotto la fronda di un salice, era sotto tentennanti rami di foglie che lasciavano passare schegge di luce: fili di sole tenui che si spezzavano nell’ombra.
Un suono ridestò Sion dalle proprie elucubrazioni.
Era il verso di una civetta.
Si voltò alla sua destra dove c’era un albero rinsecchito e morto. In cima scorse il piccolo rapace dai grandi occhi gialli…non era l’animale sacro di Atena? Una creatura che sapeva leggere le pagine della notte?
Non era l’emblema della conoscenza più profonda?
Il Maestro di Mu abbozzò un debole sorriso.

  - Piccola civetta…non potresti rivelarmi qualcosa?

L’uccello rimase muto senza cessare di fissarlo col suo sguardo acuminato.

  - Desidererei comprendere più a fondo…

Nessuna risposta.

   - Ho ricevuto da Atena il dono della giovinezza corporale e della longevità…vivo ormai da più di cent’anni…dovrei aver acquisito la giusta sicurezza, temperanza…sapienza…eppure nutro ancora dubbi…

Si udiva soltanto il sottile e vago canto di un grillo solitario.

   - Vuoi farmi rimanere così? Privo di indizi, di vie da seguire?

La civetta spiccò il volo gettandosi nella marea delle tenebre.

   - Bene…a quanto pare sei la verità che seguita a fuggire…lasci che ti si veda ma mai che ti si afferri…

Sion contemplò la Casa del Sagittario vuota e vitrea come l’esoscheletro di un’ape.

   - Sì…dopotutto solamente tu non hai timore di navigare nell’oscurità. Non puoi perderti…non sei un essere umano.

Proseguì scendendo stavolta i gradini più in fretta.
Aiolos…Aiolos…era stato realmente un traditore? E Saga? Cosa nascondeva? Che custodiva dentro di sé?
Sion provava frustrazione e senso di impotenza.
Camminava febbrilmente, quasi per scaricare l’agitazione che stava per mutare in ira.
Perché non si era mai accorto del cuore tormentato del Cavaliere dei Gemelli?!
Si fermò di colpo.
Era giunto alla Casa della Bilancia.

   - Doko…- mormorò abbattuto- anche il tuo tempio vuoto e addormentato…non c’è il tuo astro a scaldare questo luogo, né tantomeno la tua mano a sostenermi come i tempi defunti e andati…

Un pallido e sfrangiato filo di incenso che si fondeva con l’aria. Tale era la malinconia che si anelava in quel posto.
Fiumi dai letti asciutti e screpolati. Tali si mostravano gli anni ormai usurati e periti.
Il passato era sempre parso a Sion uno specchio talmente opaco e polveroso da parere un oggetto surreale. Tutto era così distante, onirico…
Da quando, tuttavia, era giunto ad Atene, un vento tremendo stava scrollando gli strati di sabbia che gli coprivano la memoria…non era mai successa una cosa simile…
I giorni antichi erano morti, non esistevano più...però…per quale imperscrutabile motivo riuscivano ad emergere come se fossero ancora vivi e capaci di parlare?
Prima Briseis, Hymen e adesso Doko, il saggio cavaliere della Bilancia.
Era da un’eternità che Sion non lo vedeva. Sapeva che si era ritirato ,da una miriade di anni, sui picchi dei monti di Goro-ho, in Cina, e che ora stava addestrando un apprendista cavaliere di nome Shiryu…
Due grandi occhi verdi come le chiome degli alberi estivi, folti e scarmigliati capelli rosso scuro, un viso dai lineamenti pronunciati ma belli…
Ecco che sulla tela del cuore di Sion si spruzzarono i colori del grande e migliore amico.
Erano cresciuti insieme considerandosi fratelli. Avevano in tenera età condiviso il destino della solitudine e dello smarrimento di chi rimane orfano. Non possedendo più alcuna famiglia, non sapendo quali prove serbasse la sorte, non era rimasto loro che combattere insieme…

Un tremendo temporale versava le proprie lacrime di rabbia sulla città di Lindo.
Tuoni, fulmini e lampi urlavano e borbottavano nel cielo fumoso di nembi.
In un grande, austero e scrostato orfanotrofio due bimbi, nella loro fredda cameretta, non riuscivano a prendere sonno.

  - Sion…dormi?

  - No…non riesco, Doko…

  - Ti fa paura il temporale?

   - Sì…un po’…

   - Pure a me…

  - Ma solo un po’?

  - Sì…solo un po’.

Il violento boato di un lampo fece vibrare spaventosamente le sporche vetrate della stanza.
Terrorizzati i piccoli si rifugiarono di scatto sotto le coperte bucherellate e vecchie del loro letto.
Non appena la bufera parve per un attimo placarsi, Sion mise cautamente fuori la sua testolina bionda.

  - ehi…Doko…stai bene?

Anche l’amichetto , emergendo dalle lenzuola con la capigliatura un po’ selvaggia e scomposta, si scoprì il viso…

   - Beh…diciamo di sì…il tuono non è entrato dentro…

   - Meno male che siamo qui!

   - Già…più o meno…

I due si guardarono attorno: le pareti della camera erano piene di muffa agli angoli, l’intonaco era grigio e deturpato, il soffitto era alto, buio e colmo di ragnatele.
Non c’era un camino, ma solo qualche scarna candela pronta giusto per donare qualche guizzo di luce.

   - Sion, ti piace questo posto ?

   - No...mi fa schifo.

   - Anche a me…voglio tornare in Cina.

   - E io in Tibet…però…

   - Però?

   - Nelle nostre vecchie case…non c’è più nessuno…

   - È vero...

   - Tu sai dove andremo?

   - Ho sentito che ci porteranno ad Atene…

   - Perché?

   - Dicono che siamo…i prescelti di Atena, i suoi cavalieri… ma che significa?

   - Io non lo so…sicuramente centrano i nostri poteri…

   - I nostri strani poteri?

  - Beh…sì.

Per un attimo tacquero per sentire lo scroscio della pioggia.

   - Doko…io e te non siamo normali, giusto?

   - Direi proprio di no…

   - Uffa…io queste due macchie sulla fronte le odio! Ho provato a lavarle via ma non ce l’ho fatta…

   - A me invece spunta fuori un disegno sulla schiena!

   - Davvero? Che cosa?

   - La testa di una tigre!

   - E che fa? Va e viene?

   - Sì…alcune volte c’è e altre volte no.

   - Io so anche muovere le cose senza toccarle!

   - Lo faccio pure io!

I due bambini si misero a ridere dopo tanto tempo che non ci riuscivano .

   - Siamo proprio strani, Doko!

   - Già! Ah!Ah!Ah!

Improvvisamente però Sion divenne triste.

    - Senti…io ora ho paura di un’altra cosa…che non è il temporale…

    - E qual è ?

    - Atene.

    - Cioè?

    - Che ci succederà?

    - Non lo so…

Anche sul visetto di Doko comparve un’espressione mesta.
Dopo un po’ di silenzio, tuttavia, sorrise di nuovo.

    - Sion!

    - Eh?

    - Diventiamo fratelli!

Il biondino lo fissò attonito con un senso di piccola gioia.

    - Sì! Siamo già amici ma ora non ci resta che essere anche fratelli!

    - Allora…ci aiuteremo?

    - Certo! Così la paura non ci farà più paura!

Gli occhi scarlatti di Sion incontrarono quelli verdi di Doko.

    - Amici e fratelli?

    - Amici e fratelli!

I due bimbi si diedero affettuosamente la mano.
La pioggia piano,piano divenne sempre più dolce fino a che le sue gocce non mutarono in un lieve e caldo tamburellare sui vetri umidi.

Sion volse lo sguardo alla volta stellata della sera. La costellazione della bilancia sembrava che luccicasse più del solito. Erano gli inizi di ottobre.
Da lì a quasi due settimane sarebbe giunto il compleanno di Doko.
Stranamente il lontanissimo autunno che trascorse, all’età di cinque anni, in orfanotrofio, si mostrò carico di tempeste.
Il clima della Grecia si conservava mite e soave per la maggior parte dei mesi dell’ anno.
Il cuore purtroppo non si preservava sereno nel rincorrersi ciclico delle stagioni. Era perennemente somigliante alla volta delle nuvole.
Alcuni giorni turchese, alcuni giorni sbiadito, alcuni giorni carbonizzato.

   - In tutto quest’irrefrenabile alternarsi di nero e di bianco, di freddo e di caldo, di sole e di luna tu, Doko, riuscivi meglio di me a stare in bilico su una lama…- sussurrò Sion – dicevi sempre che in realtà non eri equilibrato ma percorrevi la ricerca dell’equilibrio…

Rise con avvilimento.

    - Amico mio, con quale coraggio affermavi queste sciocchezze se sei colui che ha il potere e la volontà di distribuire armi agli altri cavalieri d’oro? Non per nulla sei l’ago della bilancia che interpreta il desiderio di Atena…non per nulla mi hai sempre salvato in qualunque situazione…io ero molto più impulsivo, imprudente, incosciente…chi c’era a farmi riflettere sulle stupidaggini che commettevo se non tu? Io ero un emerito idiota...avevo ferito numerose volte la mia Briseis e non riuscivo a capire…Siamo coetanei, ma a quell’epoca il fratello maggiore eri tu. Grazie a te sono diventato ciò che sono.

Sion ammirò il portale della Casa della Bilancia.
Sulla sommità ne vide il maestoso simbolo.
Nell’animo si vide l’effige della solitudine.
Non poteva esprimere i propri dubbi a Mu. Era il suo Maestro e anche se i maestri, come egli stesso disse, erano capaci di errare non doveva denudare debolezze e timori.
Era una guida…che comunque non aveva ottenuto la facoltà di conoscere tutte le vie della terra.

   - Sai Doko, mi sovviene una piccola poesia che scrissi quando avevo quattordici anni…non pensavo di ricordarla ancora…faceva così:

Come il deserto io taccio,
contemplando un’arida duna,
mi chiedo cosa faccio,
quando m’illumina la luna.
Il buio mi spaventa
e ogni volta che vedo il domani,
il dubbio m’arroventa
e la certezza mi sfugge dalle mani.
Non so più qual è il mio sentiero,
né la mia prossima azione.
Non m’accompagna alcun pensiero
poiché non ho destinazione.

   
 
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