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Autore: LoonyW    14/02/2012    7 recensioni
Durante l’anno prima della grande battaglia di Hogwarts, Neville, Luna e Ginny, insieme all’intero Esercito di Silente, hanno dovuto affrontare molti guai. In primis, l’arrivo dei Carrow, sostenuti dal nuovo regime e, almeno all’apparenza, dal preside stesso.
Ma non ci sono state solo torture, in quell’anno.
Tra nuovi ragazzi costretti a frequentare Hogwarts per la prima volta, piccole ribelli, Slytherin anticonvenzionali, misteri tra le mura, colpi di testa e lotte continue, la resistenza dovrà affrontare, oltre alle costanti punizioni dei Carrow, anche la responsabilità che comporta continuare a lottare.
Avrebbero potuto arrendersi, ma hanno scelto di resistere.
[Altri personaggi: Seamus Finnigan, Calì Patil, Hannah Abbott, Michael Corner, ES]
(Revisione della storia in corso)
Genere: Generale, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Astoria Greengrass, Ginny Weasley, Luna Lovegood, Neville Paciock, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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- Questa storia fa parte della serie 'The resistance. '
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A tavola, il silenzio si era condensato come un banco di nebbia.
L’unico rumore era quello attutito delle posate d’argento.
«Dove sei stata ieri sera?» chiese la voce fredda di suo padre.
Astoria cercò di mantenere la calma, mettendo su un’espressione rilassata e sincera, per quanto possibile.
«Da Sally» inventò, sperando di suonare sicura.
Il braccio di suo padre ebbe un fremito nervoso, mentre sua madre rivolse una fugace occhiata al marito.
«Astoria..» cominciò sua madre, con voce forzatamente calma.
La ragazza alzò lo sguardo su di loro, sforzandosi di apparire serena, di non crollare proprio quando le cose stavano per andare bene, quando ce l’aveva fatta.
«..dicci la verità» mormorò suo padre a denti stretti «dove sei stata?»
Daphne continuava a tenere lo sguardo fisso sul piatto, facendo finta di mangiare. L’aveva scoperto. Era ovvio. E l’aveva detto anche a loro, sicuro.
«è la verità» ripeté con ostinazione Astoria «sono stata da lei. Le avevo promesso che sarei andata a trovarla durante le vacanze e..»
«Adesso basta!» la interruppe il padre, alzandosi con tanta veemenza da farla sussultare «ci prendi per stupidi, ragazzina? Sappiamo benissimo che non esiste nessuna Sally, non pensare di essere più furba di noi»
Astoria tremava. Non aveva scampo, era sola, abbandonata a sé stessa e alle sue sole forze.
«Evidentemente non ti abbiamo insegnato un minimo di buon senso» ringhiò suo padre, sbattendo un pugno sul tavolo che fece tremare piatti e posate «cosa diamine credi di fare? Vuoi finire come Sirius Black? È questa la fine che spetta ai ribelli, ragazzina!»
Non era vero, e lei lo sapeva. Sapeva che c’era ancora una speranza, che continuava a brillare anche dentro le mura di quella prigione, ed era la loro resistenza.
La forza che resisteva alle minacce, al dolore, alle avversità, perfino alla morte: l’amore puro, disinteressato.
Ma loro non potevano capire.
«Astoria..» mormorò sua madre con voce flebile «lo stiamo facendo per te.. per il tuo bene, bambina»
I suoi occhi lucidi la fecero indugiare, riflettere per un attimo su quello che aveva deciso la notte precedente.
Sua madre scoppiò in singhiozzi, e suo padre le strinse le spalle, guardando la figlia minore con amarezza «è questo che vuoi? Far del male alla tua famiglia?»
Daphne continuava a tacere. Forse, molto nel profondo, era pentita di ciò che aveva fatto. O forse no.
«Voi non capite» mormorò Astoria a denti stretti «non è la mia strada quella che avete scelto per me»
«Non puoi decidere tu qual è la tua strada!» sibilò suo padre «come ti abbiamo cresciuta? Non ti rendi conto che le nostre strade sono già decise dal momento in cui nasciamo? La tua è la nostra, Astoria! La strada da seguire è quella della propria famiglia!»
In realtà, Astoria si era imposta di non ribattere, di lasciar correre e di far finta che le stesse tutto bene. Al momento dei fatti, però, non era riuscita a sopportare neanche una delle parole che le era scagliata addosso.
Si alzò dalla sedia, così velocemente da mandarla a terra. Madre, padre e sorella sussultarono.
«OGNUNO di noi può scegliere la strada che VUOLE!» strillò inferocita, tanto che la guardarono ad occhi sbarrati «Io PRETENDO la mia libertà come la pretende un qualunque essere vivente e pensante! Voi non potete costringermi!»
«ORA BASTA!» la interruppe suo padre, alzando la voce per sovrastare i suoi strilli «Evidentemente la situazione ci è sfuggita di mano. D’ora in poi prenderemo provvedimenti seri, ragazzina. Non pensare di poter fare di testa tua, finché vivrai sotto questo tetto e sotto la nostra tutela»
Astoria frenò un sorriso beffardo.
Sua madre era rimasta a guardarli, come in trance, con gli occhi ancora lucidi e le labbra tremule.
«Tra due giorni tornerai a Hogwarts, e allora tua sorella ti seguirà notte e giorno e spierà ogni tuo movimento. Ti affiderò personalmente ai Carrow. Sono stato chiaro?» tuonò suo padre.
Astoria, con loro sorpresa, sorrise, facendo cenno di sì col capo, mentre sua sorella la guardava come se fosse improvvisamente diventata pazza.
Sembrava sotto effetto di algabranchia, in effetti.
«Tilby, portala di sopra. E chiudi la porta come si deve» sbraitò suo padre rivolto a un’anziana elfa che da tempo serviva la famiglia Greengrass.
Astoria non ne fu neanche sorpresa. Sapeva che sarebbe successo. Sapeva che sarebbero finiti a questo. Però, loro non sapevano cosa lei aveva in mente.
L’elfa le si avvicinò timidamente. Astoria si alzò senza una parola, precedendo l’elfa lungo le scale buie e fredde di Greengrass manor.
«Sono sicura che il padrone cambierà idea, signorina, è solo un po’ di malumore..» cercò di rincuorarla Tilby.
«Non preoccuparti, Tilby, sto bene» le assicurò la ragazza, contenendo le urla che le stavano salendo su per la gola.
«Mi dispiace, signorina, ma devo farlo. Gli ordini sono ordini» mormorò Tilby dispiaciuta davanti la porta.
«Nessun problema. Buonanotte, Tilby» la rassicurò lei.
«Domani le porterò della cioccolata bianca, signorina» disse la voce di Tilby dall’altro lato della porta, mentre la chiudeva con un incantesimo.
«Grazie, Tilby» rispose Astoria, sforzandosi di mantenere un tono calmo per un ultimo minuto.
Attese che i passi dell’elfa si spensero giù per le scale, poi, con il briciolo di calma repressa che le era rimasto, prese la bacchetta, insonorizzò la camera, e si sedette sul letto.
Poi arrivò l’urlo, forte, devastante, che fece tremare impercettibilmente i vetri, e Astoria scoppiò in lacrime definitivamente, con il respiro rotto dai singhiozzi che non riusciva a contenere. Insieme a lei, la lampada saltò in aria, spezzandosi in minuscole schegge di vetro che si sparpagliarono per la stanza.
Aveva compresso nel suo fragile corpo le miriadi di emozioni provate dall’inizio dell’anno, aveva sottoposto quel povero cuore al peso sproporzionale di sentimenti talmente contrastanti tra di loro da non sapere cosa ci facessero insieme nello stesso posto. E ora non ce la faceva più.
Il miscuglio di felicità, dolore, paura, senso di costrizione e speranza che lottava dentro di lei era esploso. Scaraventò un pugno contro il muro, urlando per il dolore che si era appena procurata da sola.
Forse sperava che il dolore fisico le facesse dimenticare quello interiore.
Ma lei era così: non riusciva a tenere dentro troppo a lungo quello che provava, finiva per scoppiare come una bomba ad orologeria. Lei era fatta di slanci improvvisi, scoppi di emozioni, alti e bassi, ma non di costrizioni, non reggevano con lei. Doveva esternare ciò che provava, altrimenti i risultati erano quelli.
Nel buio della stanza, la fioca luce della Luna illuminò il comodino, sul quale giaceva la lettera di Helena.
Si sporse sul letto per raccoglierla.
“Sai che puoi venire quando vuoi.
 Casa mia è casa tua e non farti scrupoli di coscienza o quant’altro.
Terrò sempre un letto pronto e un posto in più a tavola, nel caso decidessi di scappare da quell’inferno.
Smettila di reprimere tutto, non ti fa bene. Vieni qui e sfogati. Ho comprato un sacco da box, sarebbe un divertimento vederti scaraventargli pugni.
Muoviti, con affetto,
Helena.
Basta aspettare, quello era il momento adatto. I piani andavano attuati, e subito.
Astoria radunò le poche cose a cui teneva di quella casa fredda, buttando tutto nel baule a casaccio, insieme a qualche vestito.
Liberò la civetta Maddy dalla sua gabbia «Portami da Helena. Sai dove si trova»
Recuperò due galeoni che teneva dentro il cassetto per ogni evenienza, e aprì la finestra.
Evidentemente, i suoi non avevano minimamente pensato all’eventualità che lei decidesse di scappare. Poveri illusi.
Si trovava al terzo piano, calcolò Astoria, quindi se avesse deciso di buttarsi senza provvedimenti sarebbe finita direttamente al San Mungo e addio alla fuga programmata/improvvisata. Nessuno le avrebbe creduto se avesse inventato che era semplicemente caduta. Figurarsi.
Ammorbidì il terreno con un incantesimo, sperando che bastasse a non farle rompere qualche costola da tre piani di distanza.
Fuori faceva freddo, stava per nevicare di nuovo.
Indossò il cappotto, e guidò il baule dolcemente a terra con un Wingardium Leviosa.
Diede un’ultima occhiata malinconica alla stanza, sperando vivamente di non essersi appena procurata una prigionia a vita, e saltò.
Si ritrovò per un attimo stordita dal volo, con qualche fianco ammaccato, ma essenzialmente bene.
Si rialzò barcollando, consapevole che ormai era fatta.
Attraversò l’immenso parco della villa, diretta verso il capanno delle scope.
Non era ancora maggiorenne, quindi non poteva smaterializzarsi, la traccia era ancora impressa su di lei, quindi non poteva effettuare nessun tipo di incantesimo, e le passaporte erano magie troppo avanzate per lei.
In teoria, era sempre stata una frana nel volo. Decisamente pessima. Da lancio di pomodori. Eppure, in quella fredda notte di inizio Gennaio, Astoria legò il proprio baule a una delle scope, e si librò nel cielo, con un colorito verdastro che non prometteva niente di buono.
Tremava, e non solo per il freddo.
Forse per la paura di cadere, forse per l’adrenalina, forse per quella residua speranza che la stava spingendo a ribellarsi.
O forse perché sapeva che se i suoi genitori l’avessero presa prima di tornare a Hogwarts, bene, il suo destino sarebbe stato:
a) monaca di clausura in un convento scozzese.
b) rinchiusa per sempre nelle segrete di Greengrass manor ad ammuffire.
c) scegliersi il pino più vicino e gettarsi una corda al collo come facevano i babbani nei film tragici. (o usare la bacchetta direttamente, magari sarebbe stato più veloce e indolore)
Non era mai stata nella Londra babbana da sola, e non sapeva bene come muoversi.
Improvvisamente si rese conto che chiunque avrebbe potuto vederla, così scagliò su di sé un incantesimo di disillusione.
Continuava a seguire la civetta nella notte, sperando che tutto andasse bene fino all’ultimo, chiedendosi se si erano già accorti che non c’era più.
Forse se ne sarebbero resi conto solo il giorno dopo, e allora sarebbe stato tardi. Se non avesse praticato nessun tipo di magia, la traccia sarebbe stata completamente inutile. Nessuno l’avrebbe localizzata, e il giorno dopo sarebbe tornata a Hogwarts.
Maddy planò verso una casetta in un vasto quartiere di periferia.
Il cuore di Astoria accelerò, consapevole.
Ecco, gli atterraggi non erano il suo forte, infatti si schiantò a terra, provocando un gran fracasso a causa del baule.
Non passò un secondo, che una figura esile si era già affacciata alla porta.
«Che entrata scenica» sghignazzò Helena correndo a rialzarla.
Astoria si assicurò di non avere nulla di rotto, poi incontrò gli occhi chiari dell’amica, che le sorrideva.
«Sapevo saresti arrivata. Me lo sentivo. Vieni dentro, è già tutto pronto»
La Greengrass rimase allibita per un attimo, stordita dal volo, dalla paura e da quanto aveva fatto, realizzando qualche istante più tardi. E scoppiò a piangere tra le braccia dell’amica, che la strinse, senza una parola.
«Grazie..» mormorò Astoria tra le lacrime.
Helena sorrise «Dovere, amica mia»
«Vi conviene venire dentro, se non volete prendervi un raffreddore» trillò una voce sulla soglia della porta.
La madre di Helena era esattamente identica alla figlia. A mala pena si notava la differenza di età. E per giunta era anche in evidente dolce attesa.
«Sì, mamma» rispose Helena, sollevando l’amica e prendendo il suo baule.
«Finalmente ti conosciamo, Astoria. Helena parla sempre di te» le sorrise cordialmente la signora.
Astoria sorrise a sua volta, stringendola la mano, ancora scossa.
Dalla porta si affacciò un uomo, che Astoria ricollegò al nuovo compagno della madre, risposatasi dopo il divorzio.
«Ti stavamo aspettando!» esclamò l’uomo, sulla cinquantina, una folta barba rossastra e mezzo calvo. «molto piacere!»
Astoria strinse la mano, sorridendo trafelata, ancora incredula davanti a tanta cordialità.
Non aveva mai conosciuto un clima così disteso, familiare, caldo, accogliente. Le sembrava tutto nuovo, tutto diverso, più pulito.
«Lui è George, Astoria, e io sono Miranda, non serve chiamarci per cognome» le disse la signora, mentre George portava di sopra il suo baule.
Helena strinse Astoria per una spalla, mostrandole un po’ di sostegno in quella situazione del tutto nuova ed estranea per lei.
«Credo che tu abbia bisogno di un the, cara» dichiarò Miranda, tornando dentro a trafficare in cucina. «Venite dentro, prima di ammalarvi!» le richiamò.
«Subito!» le urlò di rimando la figlia «Hey?» esclamò ad Astoria, ancora in stato di sub trance.
«è..è così…» mormorò la fuggitiva, cercando le parole.
«Ora è casa tua, questa. E lo sarà fin quando vorrai, non importa quello che succederà per la guerra» stabilì Helena, portandola dentro, al caldo –sia  corporeo che affettivo-.
«Ecco qui. Bevi, cara, hai bisogno di riposare» disse Miranda, porgendole una tazza di the caldo mentre Helena la faceva accomodare su un divanetto.
L’abitazione era grande meno della metà di Greengrass manor, sicuramente più informale e disordinata, eppure le sembrava già che quel luogo le appartenesse, che fosse degno di essere chiamato “casa”.
«Grazie» disse di nuovo Astoria, sorseggiando la bevanda, che la scaldò davvero. E sapeva che in quell’unica parola c’era tutto il significato di quello che provava, non serviva nient’altro.
Maddy si stava già sistemando le penne in una nuova gabbietta, vicino al gufo della famiglia di Helena.
Miranda le lasciò sole per parlare, concedendo loro un po’ di intimità.
«Allora…» cominciò Helena bevendo un po’ di the «come hai fatto?»
«Sono scappata»
«….»
«cioè, intendi come sono scappata?»
Helena mormorò un ‘si’ strozzando le risate.
«Mi avevano chiusa in camera dopo una.. emh, piacevole discussione. Mi hanno detto che a Hogwarts mi terranno sotto controllo tramite mia sorella e i Carrow e che devo cambiare atteggiamento se non voglio fare una brutta fine. Quando mi sono ritrovata da sola in camera ho capito che era ora di levare le tende.»
«Tu odi le scope..» osservò Helena pensosa.
«non ne parliamo..» mugugnò Astoria.
«Non importa più, ormai. Ora sei qui, non possono trovarti» decretò Helena facendo spallucce «andrà tutto bene»
Sembrava facile crederle, ma non lo era. Non finché avrebbe ricordato quello che suo padre le aveva minacciato, non finché era costretta a vivere all’ombra di una famiglia che era contro di lei.
«Sembrate davvero felici» disse Astoria.
«Lo siamo. Certo, abbiamo anche brutti momenti, ad esempio è meglio che tu non ci sia quando litigano per il disordine, ma sostanzialmente va bene.»
«Non ti manca tuo padre?» chiese Astoria, mordicchiandosi le labbra.
«No» rispose secca Helena. Argomento delicato, quello.
Era l’unica cosa su cui Helena non fosse una gran chiacchierona. Non le aveva mai detto molto, quindi Astoria aveva intuito in gran parte.
Aveva fiutato l’odore di maltrattamenti in casa, prima che la madre decidesse di lasciare l’ormai ex marito. Ma non si era mai spinta a chiedere nulla, per discrezione.
Si udì un leggero toc toc alla finestra.
Astoria sussultò, spaventata. Non potevano averla già trovata. Non era possibile.
E infatti era solo un piccolo, anzi minuscolo, gufo arruffato che stringeva una lettera nel becco.
Helena aprì la finestra, e quello schizzò nell’aria come un indemoniato, andando a sbattere da tutte le parti.
Sembrava leggermente su di giri.
A fatica, riuscirono a farsi consegnare la lettera (in realtà, lo avevano distratto con dei biscotti).
 
“Helena ci ha appena avvisati della tua fuga tramite il galeone.
Complimenti, saresti una vera Gryffindor! Okay, non era di certo un’offesa, sei anche un’ottima Slytherin per la tua specie, eh…
Siamo tutti fieri di te, e anche se manca un giorno prima di tornare, sappi che le nostre case sono sempre a tua disposizione.
Ah, se avessi conosciuto Sirius! Lui sì che sarebbe stato fiero di te! E, tra parentesi, era anche un gran pezzo di fig..liolo (*coff coff*)
Ti porterò una sua foto da giovane. Fidati, la terrai per sempre sotto il cuscino.
Siete ufficialmente delle Gryffindor in incognito. Cioè, dai, quale Slytherin farebbe cose del genere? A parte voi, intendo. Avete sbagliato Casa, senza dubbio. Forse hanno confuso il Cappello Parlante. Bah.
Ci vediamo tra due giorni –uno e mezzo, o forse meno- e ci racconti tutto, piccola Slytherin degenere. D’ora in poi ti chiamerò Slythendor. Ti piace il tuo nuovo nomignolo? Suona bene.
Notte Gryffindor mancate, fatevi valere.
Ginny.
 
Helena stava ancora ridendo per il “gran fig..liolo”, ma Astoria si era incantata a quelle piccole cinque parole “Siamo tutti fieri di te”, e sentì le lacrime pungerle gli occhi, di nuovo.
Un sorriso le illuminò il viso, diverso in qualche modo, e capì che davvero non serviva nient’altro che qualcuno accanto per vivere, come lei non aveva bisogno che di loro, e quel po’ di speranza che li mandava avanti nel buio.
 
 
Note: la mia piccola Astoria, come cresce! Scherzi a parte, mi sto affezionando così tanto a lei in particolare che la sento come una figlia.
E sì, Astoria sarebbe una piccola Sirius, in pratica, che scappa di casa, la cucciola! Argh, basta, sto divagando.
Sirius era un gran f…igliolo, lo sappiamo tutti.
Spero mi torni presto l’ispirazione per il prossimo capitolo, dato che questo era pronto da una settimana ma stavo aspettando che mi venisse qualche idea per il prossimo.. però, siccome le Muse non ne hanno voluto sapere, ho deciso di postare oggi.
Un saluto a tutti! :D
  
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