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Autore: RobTwili    20/02/2012    23 recensioni
Alexis sta scappando, non sa nemmeno lei da cosa. A due esami dalla Laurea in Medicina alla Stanford-Brown, decide di mollare tutto e tutti e fuggire lontano.
Attraversa l’America e approda nel Bronx.
Il sobborgo della Grande Mela non le offre un caldo benvenuto e subito si rende conto che non tutta l’America è come l’assolata Los Angeles.
Ryan ha sempre vissuto nel Bronx, sul corpo e sul cuore i segni di una vita vissuta all’insegna delle lotte tra bande e dell’assenza di una famiglia su cui poter contare.
Alexis comincia a cadere in quel vortice che Ryan crea attorno a lei. Vuole a tutti i costi salvarlo, portarlo sulla retta via; non c’è infatti qualche legge che costringe una ragazza ad aiutare chi è senza speranze?
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eagles don't gain honestly'
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YSM
 
 
All’ordine di Ryan di andare a casa mi irrigidii: una parte di me era curiosa di sapere la verità, l’altra però continuava a ricordarmi che dovevo anche fare la spesa.
Il lavoro avrebbe aspettato, sapevo di avere i soldi necessari per poter pagare l’affitto per un altro paio di mesi, ma la spesa… dovevo mangiare.
«Che c’è?» sbottò Ryan, probabilmente notando la mia indecisione. Alla sua domanda Brandon, Dollar e Sick si fermarono, guardandomi.
«Ecco… io… la spesa» bofonchiai, guardando i miei piedi senza aggiungere altro. Sembravo una stupida, un momento prima lo minacciavo per sapere che cosa succedeva e quello dopo mi lamentavo perché volevo fare la spesa.
«Ti decidi? Prima rompi le palle e fai la saputella per sapere e dopo vuoi fare la spesa» mi punzecchiò, irritandomi. Era la verità, lo sapevo, ma sentirla dire da lui, con quel suo tono che mi urtava…
«Senti, vorrei mangiare qualcosa, ok?». Feci un passo verso di lui, cercando di fronteggiarlo. Impossibile, visto che gli arrivavo sì e no al petto. Ancora meno possibile quando i ragazzi dietro di me cominciarono a sghignazzare per il mio gesto. «Ok» sospirai, abbassando le spalle e accantonando una volta per tutte l’idea di affrontare Ryan, «andiamo a casa».
«Ryan, dovrebbe mangiare. Può scomparire se non lo fa». Alla battuta di Brandon, Ryan non riuscì a rimanere serio, tanto che un fastidioso ghigno si disegnò sul suo viso. Gli avrei volentieri rotto il labbro un’altra volta, senza aggiustarglielo subito dopo, però.
«Dollar, Sick, siete in grado di fare la spesa?» ordinò, guardandoli. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo strano che mi inquietò, soprattutto perché ci aggiunsero una pacca cameratesca sulla spalla subito dopo.
«No» strillai, con un po’ troppa enfasi. Non mi fidavo di Sick, non dopo le sue battute di pessimo gusto. «Io… grazie ma credo di potermi arrangiare. Potrei andarci oggi pomeriggio, non c’è nessun problema» continuai, aggiungendo anche un timido sorriso per sembrare più convincente. Speravo davvero che Sick e Dollar seguissero il mio consiglio.
«Cosa ti piace?» chiese Dollar, causando una risata di Sick.
«Non sono cose da chiedere, la sbatti al muro e fai quello che piace a te, Doll» spiegò Sick, facendo ridere tutti. L’unica che non trovava divertenti le sue battute ero io? C’era qualcosa di squallido e perverso nel suo pensare sempre al sesso.
«Mi piace tutto, davvero» mormorai, ignorando Sick, che continuava a guardarmi in modo strano. Eravamo fermi in mezzo al marciapiede e nessuno sembrava prestarci attenzione; solo un paio di ragazzi avevano borbottato qualcosa, prima di allontanarsi velocemente dopo un’occhiataccia di Ryan.
«Bene, se le piace tutto, questa ragazza piace anche a me» sogghignò Sick, avvicinandosi di qualche passo a me. Istintivamente indietreggiai, spaventata dal suo sguardo e dal ghigno che c’era sulle sue labbra.
«Sick, dacci un taglio» ordinò Ryan, causando uno sbuffo infastidito del suo amico, che tornò indietro. «Muovetevi, voi andate a fare la spesa, ci vediamo a casa» terminò, accendendosi una sigaretta e cominciando a parlare con Brandon, mentre si avviavano verso casa. Non si preoccuparono nemmeno di me, tanto che fui costretta a correre per raggiungerli.
Non riuscivo a capire, però, di che cosa parlassero; il loro tono di voce era basso e ogni tanto lanciavano occhiate verso di me, come se non volessero farmi capire che cosa si stavano dicendo.
«Entri in casa o rimani tutto il giorno sul pianerottolo?» sbottò Ryan, distendendosi con un sonoro sbuffo sul divano del suo appartamento.
Mi guardai attorno, sospettosa, come se qualcuno ci avesse seguiti; Brandon invece era tranquillo, gironzolava per la cucina, in cerca di qualcosa.
«D’accordo» bofonchiai per incoraggiarmi. Era dalla sera prima che volevo sapere chi erano e il motivo per cui erano circondati da  un alone di mistero; perché per ogni minima cosa bisognasse avere il consenso di Ryan per parlare e come mai tutti avessero paura di loro.
Mi chiusi la porta alle spalle, rimanendo in piedi, imbarazzata: non sapevo dove sedermi, non sapevo nemmeno se potevo farlo.
«Allora? Tutta questa curiosità e cattiveria, dov’è sparita?» sghignazzò Ryan, appoggiando i piedi sul bracciolo del divano e portandosi un braccio dietro alla testa per stare più comodo.
Disteso sul divano, con la sigaretta tra le labbra, era l’immagine della tranquillità. L’esatto opposto di come mi sentivo io in quel momento.
Mi sembrava di essere entrata nella tana del lupo; sapevo che era sbagliato pensarla in quel modo, visto che la sera prima mi ero svegliata proprio in quella stessa stanza dopo l’aggressione, ma c’era una sensazione di paura che non se ne voleva andare.
«Alexis, puoi sederti, non ti mangiamo» scherzò Brandon, sistemandosi nell’altro divano, di fianco a Ryan.
Camminando lentamente mi avvicinai a loro, sedendomi in un angolo per non disturbare nessuno.
«Che cosa vuoi sapere?» domandò Ryan, aspirando una boccata di fumo prima di alzare lo sguardo per incrociare il mio.
Cercai di farmi un po’ di coraggio respirando profondamente, poi sputai la mia domanda senza prendere fiato: «chi siete?». Di nuovo, sì. Perché volevo veramente saperlo ora che Ryan sembrava disposto a dare qualche risposta.
«Cazzo, Brandon. Si è incantato il disco. Deve essere la decima volta che fa questa domanda» ironizzò, aggiungendoci quel suo ghigno che mi faceva arrabbiare.
«Ryan, dai. Hai detto che le avresti spiegato» mormorò Brandon, ammonendolo con lo sguardo.
«Sì, hai ragione» ammise sollevandosi a sedere e appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Be’, siamo gli Eagles». Mi stava scrutando, in attesa di una mia reazione, era evidente. Eppure continuavo a rimanere immobile, sperando che potesse aggiungere qualcosa in più. Anche Brandon non si muoveva; il suo sguardo che saettava da me a Ryan. L’unico movimento era il fumo rilasciato dalla sigaretta che Ryan stringeva tra le sue dita.
«Chi?» mormorai talmente a bassa voce che non ero nemmeno sicura mi avessero sentita. Ci riuscirono, però, visto che Brandon non fu in grado di trattenere una risata e Ryan spalancò le labbra, sorpreso.
«Non prendermi per il culo, lentiggini» sbottò, portandosi poi la sigaretta alle labbra e socchiudendo gli occhi.
«Non ti sto prendendo in giro, dico davvero». Ero stizzita, si poteva capire anche dal tono della mia voce. Perché non lo stavo prendendo in giro e mi infastidiva il suo accusarmi.
«Non sai chi sono gli Eagles? Dove cazzo vivevi? In spiaggia?». Aspirò un’ultima boccata di fumo dalla sigaretta prima di spegnerla sul pavimento e lanciare il filtro sotto al divano. A quel gesto rabbrividii, schifata. Quella casa era un porcile. Chissà cosa c’era sotto a quel divano.
«Senti, io abitavo a Los Angeles, se la geografia non è il tuo forte non è colpa mia, ok? Si dà il caso che sia dall’altra parte degli Stati Uniti, quindi prendi un atlante e impara qualcosa, oltre alle parolacce». Incrociai le braccia sotto al seno per sembrare più arrabbiata; spostai addirittura lo sguardo da lui, indignata.
«Che cazzo c’entra? Los Angeles, Houston, New York… dovresti saperle certe cose. Ma forse non vi insegnano a vivere, al college» si vantò, irritandomi ancora di più.
«Se devi dire bugie e offendere puoi anche stare zitto. Avevi detto che mi avresti spiegato, perché non lo stai facendo?» incalzai, stringendo i pugni per cercare di scaricare la rabbia che sentivo.
«Immagino che questa ragazza non sappia ancora nulla, no? Perché se sa qualcosa ed è ancora seduta su quel divano per fronteggiarti in quel modo significa che è stupida». A quelle parole cominciai a guardarmi attorno, cercando di capire chi avesse parlato.
Era una voce che non avevo mai sentito, profonda; parlava lentamente e in modo cantilenato con un forte accento texano.
«Come sempre sei la voce della verità, JC». Ryan non riusciva a togliersi il suo ghigno divertito dalle labbra, ma ero sicura che non fosse rivolto a quell’uomo che era appoggiato allo stipite della porta tra la cucina e il corridoio.
«Perché sono più vecchio e conosco le donne meglio di te. L’incantevole piccolo elfo con un labbro rotto è?» domandò, avvicinandosi divertito a me e guardandomi curioso. Sembrava fossi un animale che non aveva mai visto, qualcosa di nuovo che attirava la sua curiosità.
«Lentiggini» sbottò Ryan, irritandomi ancora di più. Possibile che dovesse chiamarmi in quel modo ridicolo e assurdo solo perché avevo qualche lentiggine sparsa sul volto? Soprattutto, quando si era accorto che le avevo?
«Alexis» chiarii, ignorando lo sguardo di Ryan su di me. Il mio nome era Alexis, non lentiggini.
«Ed è nel nostro salotto perché...». JC –come lo aveva chiamato Ryan– ammiccò verso di me, sistemandosi di fianco a Ryan sul loro divano.
«La nostra nuova vicina, quella dell’aggressione di ieri sera JC» spiegò Brandon, alzandosi per andare verso il vecchio frigo che c’era nella loro cucina. Lo aprì e si prese una birra, togliendo il tappo con i denti.
«Ecco dove l’avevo già vista». Mi indicò con l’indice, prendendo una sigaretta dalla tasca e accendendosela.
Ero quasi sicura che non avessero mai fatto un corso sulla prevenzione del cancro ai polmoni; sembravano delle ciminiere, appena uno finiva di fumare una sigaretta, cominciava l’altro. Era una cosa assolutamente folle.
«Sì, era quella svenuta sul divano, con il volto ricoperto di sangue. Ora, riprendiamo il discorso, lentiggini». Ryan tornò a guardarmi, aspettando qualcosa.
«Non mi chiamo lentiggini. Il mio nome è Alexis» ribattei, piccata dal suo nomignolo idiota.
«Lo so, lentiggini». Un ghigno sardonico sul suo volto. Improvvisamente capii: voleva farmi perdere la pazienza, questo era il suo obbiettivo. Dovevo resistere.
«Bene, l’importante è che tu lo sappia. Ora, potresti dirmi cosa sono questi Eagles?» tagliai corto, sperando che non capisse il mio gioco. Meno corda gli davo meno rischiavo di scoppiare perché troppo irritata.
«Siamo una gang». Si zittì, guardandomi di nuovo come se si aspettasse qualche reazione da parte mia.
«Gang tipo… gang di strada?» domandai, per nulla convinta.
Non sapevo niente di quell’argomento, ne avevo solo sentito parlare ai TG, quando le gang di strada venivano associate a sparatorie, rapine o traffico di droga.
«Sì, quello» ribatté Ryan, incrociando le braccia al petto e portando la schiena ad aderire allo schienale del divano.
«Quindi siete… pericolosi? È questo che state cercando di dirmi?». Una domanda che non era rivolta solo a Ryan, ma anche a Brandon e JC.
Stavano dicendo che erano pericolosi perché volevano spaventarmi? Farmi scappare dalla mia nuova casa?
«Perché dovremmo essere pericolosi? Appena sei arrivata ti hanno picchiata, qui non sei a Beverly Hills, lentiggini» ironizzò Ryan, ridacchiando.
Quindi era tutta una questione del chi si conosceva prima?
«Se io fossi capitata nello stesso palazzo di quelli che mi hanno aggredita sareste stati voi i cattivi?» bofonchiai, stringendo le dita a pugno per non far vedere quanto in verità stessi tremando.
«Cattivi. Non ci sono cattivi o buoni, solo diversi punti di vista». Quella frase mi fece rabbrividire.
Stava dicendo che anche loro avrebbero picchiato una donna solo perché credevano fosse dell’altra gang?
«Anche voi mi avreste picchiata?». Un sussurro, perché mi mancava anche la voce.
Non riuscivo –e soprattutto non volevo– pensare a cosa avrebbero potuto fare. Perché Dollar, con il suo sorriso storto non mi sembrava il tipo di ragazzo che picchiava le persone, nonostante quella cicatrice facesse capire che non viveva una vita facile.
«No. Le donne e i bambini non si picchiano, sono gli altri stronzi che lo fanno». A quella confessione di Ryan mi tranquillizzai un po’.
Speravo che non mi facessero del male, visto che mi avevano salvata la sera prima.
«Non è ancora scappata, questo significa che è stupida» sbottò Ryan, rivolto a JC e a Brandon.
Indignata per quella affermazione, mi indispettii e mi sentii in dovere di spiegare il mio comportamento: «Sinceramente sto solo cercando di capire la situazione, perché siete due bande?». Perché non una sola? A cosa servivano poi due bande?
«Due bande? Forse non ti è chiaro, il Bronx è il covo delle bande. Ci siamo noi, ci sono i Misfitous e infine ci sono tutte le altre bande che credono di poter competere con noi ma non si azzardano nemmeno a provarci». Si accese una sigaretta, finendo la frase con le labbra socchiuse per non farla cadere a terra.
«Perché questi nomi?». Eagles, Misfitous… erano nomi strani.
«Non hai capito il perché? È ovvio, basta guardarci. Pensa a quelli che ti hanno aggredita, visualizza le loro facce». Ryan disegnò un cerchio immaginario attorno al suo viso con le dita.
Non risposi, troppo impegnata a reprimere un conato di vomito al ricordo di Dead, il ragazzo con i capelli neri che mi aveva tirato il pugno.
«Te lo spiego io» intervenne JC, sorridendomi forse per cercare di tranquillizzarmi. «Noi siamo tutti americani, per questo ci chiamiamo Eagles, lo sai che l’aquila è il simbolo degli Stati Uniti, no?». Annuii lentamente, ricordando una lezione di Storia Americana del liceo.
L’aquila è il simbolo ufficiale degli Stati Uniti perché la sua essenza è nella forza e nel coraggio. Nell’Antica Roma e in altre remote culture militari, l’aquila ha sempre simboleggiato il comando e il controllo, e ha rappresentato l’abilità di salire sopra a tutti i nemici. La sua vista perfetta, i suoi artigli possenti, e l’apparenza maestosa indicano superiorità morale. L’aquila vola più in alto di qualsiasi altro uccello, e quindi è il simbolo dei più alti valori spirituali.
Sapevo che in qualsiasi disegno l’aquila nordamericana era disegnata ad ali spiegate, mentre reggeva un ramo d’olivo con una zampa e tredici frecce con l’altra. Le tredici penne della coda rappresentavano l’unità delle Tredici colonie originarie.
«E gli altri?» domandai, cercando di pensare a qualche collegamento con quel nome strano.
«Misfitous è l’unione di Misfit e Promiscuous». Disadattato e promiscuo. Perché c’era anche qualcuno che non era americano tra di loro? Improvvisamente ricordai il volto del ragazzo latino, uno di quelli che aveva riso quando avevo dato l’indirizzo, fece capolino nella mia mente tanto che fui attraversata da un nuovo brivido.
«Perché Eagles?». Sì, riuscivo a capire che c’era qualcosa legato all’America, ma perché non un nome che ricordasse la bandiera americana?
«L’Aquila nordamericana rappresenta le più alte aspirazioni e un potere indomabile. Esattamente come siamo noi. Credi sia facile entrare negli Eagles? Solo i più coraggiosi e temerari hanno l’onore di sventolare il flag rosso». Alla sua frase ricordai quello che Dollar aveva chiesto quella stessa mattina.
Flag.
Che cos’era?
Non feci nemmeno in tempo a porre la domanda che la porta si spalancò, facendo entrare una ragazza che sembrava uscita dal calendario porno di qualche officina meccanica: seno visibilmente rifatto, capelli ossigenati acconciati in dreadlocks, trucco pesante e corpo ricoperto da tatuaggi.
«Che cos'è questa cosa?». Non salutò nemmeno, si avvicinò a me, piegandosi per guardarmi in viso. Quando il suo sguardo percorse il mio corpo, fece una smorfia schifata che mi innervosì.
«La nostra nuova vicina, è una persona» rispose Brandon. Dal suo tono di voce sembrava divertito. Che cosa ci fosse di divertente in una Barbie di plastica che cercava di formulare una frase però non riuscivo a capirlo.
«Mi avete sostituita? Ho la febbre per due giorni e quando torno trovo una... cosa a sostituirmi?». Si raddrizzò, fintamente offesa dalla mia presenza.

Io l’avevo sostituita in cosa?
«Sta zitta Butterfly. Non ti abbiamo sostituita. È la vicina» borbottò Ryan, nella voce quel tono che di solito usava per dare qualche ordine ai ragazzi.
«La vicina? Da quando avete una vicina?». Era arrabbiata, ma non riuscivo a capire il perché.
Non avevo assolutamente fatto nulla di male, ero lì mentre cercavo di capire che cosa fosse successo.
«Io… io mi sono trasferita ieri» spiegai, mostrandomi gentile con lei.
«Non ha nemmeno tette. Potevate almeno sostituirmi con una che avesse tette. È tutta secca, cazzo». Inviperita prese una sigaretta e cercò di accendersela, ma era così arrabbiata che l’accendino non funzionava. Riuscì nella sua impresa solo alcuni tentativi dopo.
«Butterfly, ti abbiamo già detto che è la nostra vicina» sibilò Ryan. Potevo vedere i muscoli della sua mascella tesi, come se stesse trattenendo un attacco di rabbia improvviso.
«Come cazzo hai fatto proprio tu, che vai pazzo per le mie tette a fartela? Cosa strizzavi?». Si avvicinò a Ryan puntandogli due dita contro; proprio le due dita che tenevano la sigaretta.
«Butterfly…» mormorò Brandon, forse per farla smettere.
Io non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo; o meglio, non volevo credere che Butterfly credesse veramente che io avevo fatto sesso con Ryan.
«C’è un malinteso…» cominciai a dire, sperando che la smettesse di urlare con quella sua voce stridula: mi stava urtando i nervi.
«Sta zitta, tette secche. Non puoi nemmeno parlare, tu. Hai scopato con il mio Ryan? Immagino anche che Sick sia stato il primo della lista, no? Ma come cazzo hanno fatto con una che non ha tette?» bofonchiò di nuovo, irritandomi.
Era tutta una questione di tette, secondo lei?
«Senti» strillai all’improvviso, alzandomi in piedi e stupendo tutti con il mio gesto, «io almeno ho le tette vere, ok? Piuttosto di averle finte preferisco non averne». In un gesto seccato indicai i due palloni gonfiati che aveva al posto del seno e provocai una sua risata isterica.
«Queste, tette secche, sono un dono di Madre Natura». Si prese il seno tra le mani, per farmi capire a cosa si stava riferendo.
«Ah, si chiamava così il tuo chirurgo?» ribattei prima di rendermene conto. Quella mia battuta causò una risata di Brandon e JC; Butterfly, però, digrignò i denti, avvicinandosi pericolosamente a me.
«Senti, troietta, sei l’ultima arrivata e non hai il diritto di scoparti i miei ragazzi, ok? Sono anni che da sola li soddisfo tutti, appena ne hanno voglia. Quindi adesso alzi il tuo culo secco da qui e te ne torni da dove sei venuta. E per la cronaca, la prossima volta che offendi le mie tette e mi dici che non sono vere, ti rompo quel bel nasino che hai. E adesso Ryan, andiamo a scopare, perché ne ho voglia». Si avvicinò a Ryan prendendogli una mano e tirando il suo braccio perché potesse alzarsi.
«Non è il momento Butterfly» bisbigliò, ritirando il braccio perché lei la smettesse di infastidirlo.
«Oh, è così, no? Hai appena finito con lei e hai paura di non riuscirci con me? Ti ricordo che sono Butterfly, e tu meglio degli altri sai il significato del mio nome. Però, capisco, ce l’hai davanti e in questo momento non hai voglia, ma andiamo in camera tua». Ammiccò verso di lui, mentre non riuscivo a togliermi quell’espressione schifata dal volto.
Perché da quello che avevo capito, Butterfly era la loro… valvola di sfogo. Ma non era quello a impressionarmi, piuttosto che lei li soddisfacesse tutti.
«Apri quelle fottute orecchie e prova a usare il cervello. È la nostra nuova vicina, e adesso vattene perché nessuno ti ha chiamata». Lo scatto improvviso di Ryan mi fece sobbalzare; anche Butterfly si spaventò, tanto che rimase immobile per qualche istante. Sembrava voler decidere che fare.
«Insomma mi stai dicendo che questa sera non scoperò con te? Bene ne ho altri dieci qui, sono sicura che ne troverò uno» sogghignò, posando il suo sguardo su Brandon.
«Non ci siamo capiti». Ryan si avvicinò a lei, prendendole il mento tra il pollice e l’indice e costringendola a tenere le sguardo puntato nel suo: «Adesso tu te ne vai, perché questa sera nessuno te lo darà. Ed è un ordine, chiaro?» sibilò, talmente sicuro di se stesso che rabbrividii per la paura.
«Vaffanculo, ok? Non chiamatemi per la prossima settimana, perché non vedrete la mia figa nemmeno se mi pagate» strillò Butterfly, camminando velocemente verso la porta e sbattendola dopo essere uscita.
«Tanto domani sarà qui a pregare qualcuno che la fotta, sai che ogni tanto pensa di essere una Signora» ridacchiò Brandon, come se la scena a cui avevo assistito fosse normale routine per loro.
«Dove eravamo rimasti prima che Butterfly ci interrompesse?» chiese Ryan, sedendosi sul divano e prendendo la bottiglia di birra che Brandon aveva aperto qualche minuto prima.
«Eagles e Misfitous» precisò JC, il ritratto della tranquillità appoggiato allo stipite della porta.
«E lei è ancora qui» continuò Brandon, sorridendo in modo strano. Sembrava ridere di qualcosa che io non potevo capire. Qualcosa che però faceva ridere JC e Ryan.
«Questo conferma la mia ipotesi, è stupida». All’affermazione di Ryan mi indispettii, alzandomi in piedi pronta a tirargli uno schiaffo.
«Non sono stupida, sto solo cercando di capire» spiegai, irritata dal suo continuo prendermi in giro anche davanti agli altri.
«Allora quello che forse ti serve per capire in che situazione siamo è dirti che noi siamo gli Hard-cores degli Eagles? Così hai un po’ più di paura?» scherzò, credendo di rendere le cose più chiare.
«Se la smettessi di dire parole a caso e spiegassi un po’ meglio, magari riuscirei a capire, non credi?» replicai, esausta da quel continuo botta e risposta; non volevo cedere, non volevo dargli la soddisfazione di vincere.
«Non sa nemmeno cosa sono gli Hard-cores. Ma dove cazzo viveva in un telefilm per bambini?» si rivolse a Brandon e JC, che cominciarono a ridere, guardandomi stupiti. «Gli Hard-cores sono i componenti principali della banda, quelli che indossano il flag o compiono crimini come facciamo noi, fin qui mi segui o devo farti un disegnino?» chiese, strafottente.
Non volevo dargli la soddisfazione di non aver capito, così annuii, lasciandolo continuare senza interrompere la sua spiegazione, anche se quel ‘compiono crimini’ mi aveva sconvolta.
«Poi ci sono gli Associates, come JC, sono membri della band ma raramente sono coinvolti nelle risse o in qualche altra situazione. Ora, se il tuo cervellino californiano ce la fa a mantenere tutte queste informazioni, io procederei con gli altri due gruppi, che ne dici lentiggini, ce la puoi fare?» mi provocò, ammiccando verso di me.
«Vai avanti» lo esortai, stringendo le mani a pugno per contenermi.
«Ok, lentiggini, continuiamo perché voglio vedere tra quando scapperai da quella porta. Ci sono i Peripherals, con cui tu hai deciso di scusarti e parlare, ok? Quelli dei bar, che dicono di essere degli Eagles solo per avere la nostra protezione e qualche favore. Infine, lentiggini, ci sono i Gonna-be. Come… ragazzi, ha mai visto Liam o Shake? Be’, loro erano Gonna-be fino al mese scorso. Sono le reclute, quelle che provano a entrare nella nostra banda. Non tutti ci riescono, perché non accettiamo tutti quelli che ci chiedono di poter entrare, devono superare delle prove». A quelle parole Brandon e JC annuirono convinti; concordavano pienamente con le parole di Ryan.
«Prove?» domandai, stupita. Che tipo di prove?
«Che facciamo?».
 Il fatto che Ryan chiedesse un parere a Brandon mi stupì; credevo fosse lui il ‘capo’ della banda.
Brandon fece spallucce, massaggiandosi ripetutamente il mento ricoperto dal pizzetto. Quella risposta sembrò soddisfare Ryan.
«O facciamo la Roulette Russa oppure chiudiamo il Gonna-be in ascensore con tre dei nostri e deve uscirne vivo dopo venti piani». Spalancai gli occhi, completamente scioccata.
Uscire vivo?
Quindi c’era la possibilità che qualcuno morisse dentro a quell’ascensore?
«Possono anche morire?» chiesi allibita, rabbrividendo per quella possibilità.
«Se non sono abbastanza forti da sopravvivere alla prova per entrare negli Eagles, quante possibilità hanno secondo te, dopo? Quanto credi possa resistere un membro della gang?».
Stavo per chiedere se quindi anche loro erano in pericolo, ma fui interrotta dal rumore di una chiave che girava; la porta si aprì e Dollar e Sick entrarono, ridendo complici.
«Oh, siete qui. Alexis, ti abbiamo messo la spesa in cucina» spiegò Dollar, dirigendosi verso il frigo e prendendo una birra.
«In cucina? Ma se le chiavi di casa ce le ho io» borbottai confusa, aprendo la borsa per cercarle.
«Sì, abbiamo scassinato la porta, ma non preoccuparti, è un lavoro fatto bene e poi l’abbiamo richiusa. Nessun problema. E non ho nemmeno guardato nel tuo cassetto della biancheria perché Dollar non me l’ha permesso». Sick ammiccò verso di me, una smorfia triste sul suo viso. «Ryan, abbiamo flaggato al supermercato, spero non ti dispiaccia. C’erano un paio di Misfitous, quello con la cresta e quell’altro biondo che fuma sempre che hanno cercato di avvicinarsi a noi, e avevano il flag in bella vista». Il tono di voce di Sick era magicamente cambiato, non c’era più quella nota divertita e quasi eccitata che aveva quando parlava con me; era serio.
«Che pezzi di merda. Avete fatto bene, ci sono stati problemi?» si informò Ryan, muovendosi irrequieto sul divano; portò le mani sotto al mento, sorreggendosi il volto.
«No, siamo usciti poco dopo che loro sono entrati, ma ci hanno visti» spiegò Dollar, sedendosi di fianco a me e circondandomi le spalle con un braccio. «Come stai?». Ammiccò e non riuscii a trattenere una risata isterica e divertita. Perché Dollar mi faceva ridere, il suo continuo provarci, nonostante gli avessi chiaramente detto che non mi interessava, era comico.
«Cos’è il flag?» domandai, guardando Ryan e subito dopo Brandon.
«Questo» mormorarono entrambi, prendendo un fazzoletto rosso dalla tasca. Era un fazzoletto vecchio e sporco, potevo vedere del sangue rappreso sulla stoffa. «Questo è il flag, lo facciamo vedere quando siamo sicuri di avere tutto sotto controllo, quando siamo sul nostro territorio, che va dall’inizio della strada al murales che trovi nel prossimo incrocio, quello con l’aquila ad ali spiegate» continuò Ryan, riponendo il fazzoletto rosso e sporco in tasca.
«Anche i Misfitous hanno un fazzoletto rosso?». Indicai con il mento il pezzo di stoffa che aveva appena messo via, ma qualcosa lo fece ridere.
«No. Il flag cambia colore a seconda della banda. Noi ce l’abbiamo rosso, come il sangue che hanno versato quelli che non ci sono più. È quello che vedi qui sopra». Allungò il fazzoletto verso di me, indicando una delle tante macchie che c’erano sopra.
Versato sangue? Quelli che non c’erano più?
«Sono morte tante persone?» farfugliai, spaventata.
«Meno di quelle che sono state uccise».
Ryan sorrise orgoglioso, gonfiando il petto fiero e portando il fazzoletto rosso al petto, all’altezza del cuore.
«Uccise? Voi, voi avete ucciso?». Sentii un nodo formarsi in gola tanto che la mia voce diventò stridula.
«Chi interferisce con noi non merita di vivere». Il tono solenne con cui parlò mi spaventò: credeva davvero in quello che diceva. Per lui era normale uccidere le persone?
Funzionava così lì, nel Bronx?
«Io-io-io devo andare, vi lascio 50 dollari per la spesa, grazie» balbettai, prendendo i soldi con mani tremanti dalla borsa.
«Alexis, aspetta» disse Dollar, mentre appoggiavo i soldi sopra al tavolo della loro cucina.
«Doll, fermati». Un ordine, ecco che cosa era. Riuscivo a capirlo dalla voce di Ryan e anche da Dollar, che si era fermato in mezzo alla stanza, lasciandomi andare.
Attraversai il pianerottolo di corsa, cercando le chiavi di casa nella borsa e riuscendo ad aprire la porta solo dopo svariati tentativi perché la mia mano tremava troppo.
Entrai, richiudendomi la porta alle spalle e appoggiandomi al legno per sostenermi: non riuscivo più a sentire le gambe, spaventata com’ero.
I miei vicini di casa erano dei killer. Uccidevano persone e andavano in giro con un fazzoletto rosso per marcare il territorio; facevano a pugni per derubare la gente e non si vergognavano nemmeno di dirlo.
Cercai di respirare lentamente, pensando che non avrebbero mai potuto farmi del male. Ero la loro vicina, non potevano uccidermi, tutti avrebbero dato la colpa a loro, no?
E se anche la polizia fosse loro alleata? In fin dei conti come potevano non essere in prigione dopo aver ucciso?
Spalancai gli occhi, talmente scioccata da non riuscire nemmeno a piangere e notai le buste della spesa sopra al tavolo.
No, mi rifiutavo di credere a quello che avevano detto; mi avevano aiutata a fare la spesa, mi volevano aiutare a trovare un lavoro, non potevano essere degli assassini.
Mi avvicinai al tavolo per sistemare la spesa, cercando di non pensare a chi ci fosse a meno di venti metri da me.
 
Non avevo il coraggio di incontrarli, ecco perché dalla mattina prima, cioè da quando Ryan mi aveva parlato, non ero uscita; nemmeno per urlare contro a Dollar e Sick per quel loro acquisto idiota che di certo non mi serviva. Ero quasi sicura fosse opera di Sick: esattamente i prodotti di cui lui aveva bisogno.
Però volevo cercarmi un lavoro ed ero decisa a sfidare la sorte: la sfortuna si era già abbattuta su di me più e più volte, quante possibilità avevo di incontrare Ryan o uno di loro sul pianerottolo mentre uscivo?
Abbassai lentamente la maniglia per non fare rumore, pochi passi, forse dieci e poi avrei sceso i gradini velocemente, sì; strinsi la maniglia tra le dita, accompagnando la porta verso lo stipite perché non facesse rumore.
Ci ero quasi riuscita quando una voce dietro di me mi fece sussultare. «Usciamo, lentiggini?». Chiusi definitivamente la porta, rinunciando a fare silenzio, visto che ero stata scoperta.
Non risposi, tenni semplicemente lo sguardo basso, evitando di guardare Ryan negli occhi. La verità era che avevo paura di lui, ora che sapevo quello che faceva.
«Palle girate, lentiggini? Sai che il saluto non si nega nemmeno ai cani?» sghignazzò, forse perché credeva di farmi cedere. Ma non ci riuscì, tanto che il mio piede era già sul primo gradino quando qualcosa mi strattonò il braccio, costringendomi a invertire la rotta. «Che c’è? Ora non sono nemmeno degno del tuo saluto?» rimbeccò, in attesa di una risposta.
Mi feci coraggio e alzai lo sguardo, incrociando il suo, azzurro e limpido. C’era un nuovo taglio sul sopracciglio, sembrava profondo. Istintivamente mi alzai in punta di piedi per controllare meglio, ma quando capii il mio gesto ritornai con i piedi per terra, guardando la porta del loro appartamento alla mia sinistra.
«Puoi anche parlarmi, sai? Mi hai detto che non ho un linguaggio carino e l’ho capito, eviterò di dire parolacce quando ti vedo, ti sta bene?» mi prese in giro, credendo forse che non riuscissi a cogliere la sua ironia.
«Ciao, ora posso andare?» domandai, indicando con un gesto del capo le scale dietro di noi.
«Così tanta fretta? Sembravi curiosa ieri, la piccola lentiggini si è spaventata dei grandi ragazzi che ha per vicini?». Un ghigno impertinente sul suo viso e la fila di denti bianchi in bella vista.
«A proposito di ragazzi, nella spesa c’è qualcosa che non uso». Mi ricordai della confezione di preservativi che avevo trovato dentro al sacchetto della farmacia e portai la mano in borsa, per cercare le chiavi di casa. In pochi passi entrai, andando in bagno e prendendo la confezione dal mobiletto. «Tieni, serviranno a te» sbottai posando la scatola nella mano di Ryan, dopo essere tornata nel pianerottolo.
«Taglia M? Mi sottovaluti, lentiggini, di un paio di taglie, aggiungerei». Quella frase di poco gusto mi fece rabbrividire, indignata.
«Fottiti, Ryan» esplosi, cercando di mettere tutto il disprezzo che provavo per lui in quelle due parole.
«Ohh, andrai all’inferno se usi queste brutte parole, lo sai lentiggini?». La situazione era così divertente per lui? Perché sembrava davvero divertito da quello che stava succedendo.
«Hai ragione, vaffanculo». Sorrisi ironica, avvicinandomi alle scale per scendere.
«Ti sbagli di nuovo lentiggini, non è proprio quel tipo di posto quello in cui mi piace andare di solito» strillò, mentre scendevo le scale velocemente.
Non meritava nemmeno una risposta, non con una battuta del genere.
Chiusi il portone alle mie spalle, respirando l’aria fresca e satura di smog attorno a me.
Mi sarei arrangiata, non mi serviva Ryan per trovare un lavoro, mi bastava la mia cartina… che naturalmente avevo lasciato nel loro appartamento la mattina prima.
«Cazzo» sibilai, aprendo il portone e salendo i gradini a due a due.
Bastava bussare piano, sperando che Ryan fosse in bagno o a dormire. Erano in dieci in quell’appartamento, forse di più, avevo una possibilità su dieci che fosse lui ad aprire la porta.
Anche Sick sarebbe stata una possibilità migliore, sì.
Bussai piano, probabilmente non mi aveva sentito nessuno; eppure, qualche secondo dopo udii il suono di passi da dietro la porta: il rumore del chiavistello che si apriva e uno spiraglio di qualche centimetro.
Poi una voce.
«Sì, lentiggini?».

 
 
 
 
 
 
Salve ragazze! Ecco il quarto capitolo!
Prima di tutto ringrazio preferiti/seguiti/da ricordare e chi ha il coraggio di commentare. Siete tutte vive alla fine di questo mattone così palloso? Sì, bene! Allora vi faccio addormentare con le spiegazioni di quello che ho scritto!
Dunque, ci sono un sacco di informazioni dentro e posso garantire che sono tutte vere. Per quanto riguarda la storia del flag, i colori diversi e il significato... mi sono basata su un'intervista che avevano fatto a un ex componente di una gang del Bronx. Ho omesso alcune cose perché saranno più utili in futuro e non aveva senso scriverle ora. In ogni caso, i nomi che io ho cambiato in Eagles e Misfitous sono 'Bloods' e 'Crips'. Il nome Misfitous (connubio tra Misfit e Promiscuous l’ha inventato SidRevo mentre cercavamo di scervellarci per trovare un nome pauroso). Avevo cercato di farvi capire questa differenza sottolineando più volte che c’erano dei messicani tra l’altra gang…
Anche la prova d'entrata è vera: i Bloods sono soliti chiudere in un ascensore chi vuole entrare con tre dei loro componenti. Se dopo 20 piani il ragazzo riesce a sopravvivere può entrare nella gang e ricevere il flag. Per quanto riguarda la Roulette Russa... so che alcune gang usano anche questo metodo, quindi l'ho inserito.
Per quanto riguarda Ryan e il suo spiegare che ci sono diverse bande... è vero anche quello, ci sono tipo una decina di gang, ma solo i Bloods e i Crips si contendono il primato per 'cattiveria' nel Bronx.
Butterfly... ecco, in internet non ho trovato riferimenti alle donne dei componenti della gang, ma qui mi è stato utile il telefilm 'Sons of Anarchy'. Le 'ragazze ufficiali' dei componenti si chiamano 'Signore' (Old Ladies in lingua originale) e da questo deriva la frase che dice uno degli Eagles. Se una è la Signora di qualcuno, non può essere sfiorata da nessun'altro della gang, perchè va contro il regolamento che c'è tra di loro. Però, siccome di solito ci sono poche Signore, è 'usanza' che abbiano alcune 'signorine gentili' che soddisfano i loro bisogni come la buona samaritana di Butterfly :D
Hard-Cores e tutte le altre definizioni sono vere, non le ho inventate e le loro descrizioni sono tutte esatte, cioè, mi sono basata su interviste e libri...
Basta, direi che non c’è altro e credo di essermi dilungata anche troppo in queste note finali… scusatemi per il ritardo!
Alla prossima settimana.

 

   
 
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