Quarta
Goccia –
Bordello
Sottilissime
volute di fumo ondeggiarono flessuose attorno
al suo viso, lo sfiorarono appena con pudica sensualità, e
si dissolsero con
eleganza, fondendosi con l’aria.
Ah,
se solo le sue ragazze avessero imparato da quelle spire
voluttuose.
Nella
sua casa di piacere venivano radunate giovani
provenienti dai ceti sociali più diversi: non era raro che,
ad una cortigiana
bene addestrata, si accompagnasse una rozza contadina venduta dai
genitori
senza soldi.
Il
cinese rovesciò i moncherini di tabacco battendo per tre
volte il narghilè sullo
spigolo del
bancone.
I
clienti entravano nel suo locale per essere intrattenuti
da donne sofisticate, non per essere fissati come stupratori da delle
gatte
selvatiche.
Fortunatamente,
nel suo ammaliante esercito, splendevano
alcune perle di rara bellezza.
Era
proprio una delle sue gemme ad avere attirato il ritroso
signore appena entrato.
«Bentornato»
lo salutò cortese, badando bene di non
chiamarlo per nome: meglio non ricordare ai clienti di avere una
reputazione,
al di fuori delle porte intarsiate di quell’edificio. Non
erano in molti a
gradirlo.
L’uomo
non gli rispose; si limitò a scoccargli
un’occhiata
fredda da dietro gli occhiali.
La
pipa ruotò su se stessa, indicando le scale.
«Conoscete
la strada. E’ libero, adesso» lo
informò,
socchiudendo gli occhi scaltri.
Il
rumore dei passi sui gradini fu la risposta alla sua
informazione.
Quel
cliente era silenzioso in modo davvero singolare.
Non
lo aveva mai sentito emettere un verso, come se ogni
minimo orpello di quel posto lo disgustasse.
«Eppure
continua a tornare qui…» rifletté,
appoggiando
l’imboccatura d’oro alle labbra.
«Possibile che basti una perla perché anche un
simile cavaliere si getti nel fango?»
Lau
si strinse nelle spalle.
Bastava
che pagasse il tempo trascorso con il suo fiore esotico.
I
tormenti altrui non erano affar suo. Solo i soldi.
Quinta
Goccia –
Prezioso
Passò
le dita sulla seta bronzea delle guance, si lasciò
intrappolare dal dolce magnetismo delle iridi ambrate.
Farlo
lavorare in un postribolo era come lasciare che un
diadema sprofondasse nella melma di un porcile.
Il
tessuto liscio del kimono
produsse un morbido fruscio quando il ragazzo fece perno sulle
ginocchia per
cingergli il collo con le braccia.
Amber
era molto apprezzato tra i frequentatori del bordello:
le terre orientali in cui era nato avevano lasciato il loro ricordo
nella
fisionomia esile del ragazzo, nei suoi occhi a mandorla e nel suo
accento
cedevole. I signori di Londra trovavano estremamente attraente
l’idea di poter
assaggiare la cultura nipponica nel loro piovoso paese, senza
intraprendere
faticosi viaggi in nave.
L’esotica
bellezza del giovane e la sua raffinatezza, così
diversa dal rigido galateo inglese, avevano fatto sì che la
lista dei suoi
clienti si allungasse a dismisura.
Serrò
le dita sui suoi fianchi, infastidito da quei
pensieri.
«C’è
qualcosa che ti preoccupa, vero?» notò in un
inglese
ammorbidito dalle tonalità residue della sua lingua madre.
«Sei teso…»
«Ho
deciso di partecipare alla sfida del Conte»
replicò
William, passando le dita tra i lunghi capelli mogano del ragazzo.
Le
ampie maniche del kimono
volteggiarono quando il giovane lo scostò bruscamente.
«La
sfida del Conte? E’ una pazzia!» esclamò.
«Sai
di cosa si tratta?» si sorprese William. «Non
è una
notizia che dovrebbero conoscere le persone
oneste…»
Una
tristezza rassegnata si cosparse sulle labbra di Amber
quando questo le tirò in un sorriso spento.
«Dimentichi
che io non sono un comune cittadino. Me l’ha
raccontato un cliente» rispose, pettinando le ciocche lucenti
con le dita.
William
sistemò gli occhiali, indignato. Chi era lo
sconsiderato che faceva girare una simile voce nei quartieri di piacere?
«Cosa
ti ha raccontato esattamente?» volle sapere,
inchiodando con i suoi occhi quelli del ragazzo perché non
potesse sfuggirgli.
«Il
Conte ha detto che chiunque riuscirà ad ucciderlo
diventerà il suo erede. E, in quanto tale, potrà
appropriarsi di tutti i suoi
possedimenti» Amber sospirò e sistemò i
capelli raccogliendoli sulla spalla
destra. «Ma è un suicidio: il servitore del Conte
è un diavolo d’Inferno.»
«Il servitore?»
Will aggrottò la fronte per la sgradita sorpresa. Due della
Corporazione Ovest
non avevano fatto ritorno la sera prima, perciò si era
sparsa la voce che il
Conte si fosse dotato di un piccolo esercito personale per insaporire
la sfida.
«Pare
che sia un solo uomo a fargli da guardia» riferì
Amber.
William
spinse gli occhiali verso la radice del naso,
meditabondo.
Sapeva
che, per vincere il Conte, doveva studiare un piano
di attacco eccellente… ma non si aspettava una simile
novità.
Una
mano di velluto gli si appoggiò sulla guancia.
«Will-san,
perché vuoi quel premio così
disperatamente?»
Sesta
Goccia –
Luna Rossa
Le
stelle notturne disegnarono una trapunta di riflessi
argentati sui suoi capelli.
Lau
Tare inspirò a fondo, gonfiandosi i polmoni di aria
gelida.
«Non
dovrebbe fidarsi dei sentimenti di un ragazzo che vende
se stesso» rifletté, rivolto alla luna.
«Chi vende il proprio corpo, vende
anche la propria fedeltà.»
Il
vento serale sembrò annuire, gonfiando la seta della sua
veste.
«Evidentemente, il suo bel faccino è l’arma
migliore per
dissolvere il raziocinio umano.»
Sogghignò,
sardonico.
Aveva
fatto bene ad accettare Amber nel suo locale.
Altrimenti
non avrebbe mai potuto sapere quella
cosa.
«Oh»
osservò, facendo girare il narghilè
con un gioco di dita. «La luna è ancora
rossa…»
Nel
suo vero mestiere,
era essenziale saper decifrare i segnali, anche i più
piccoli. Anche quelli
apparentemente inesistenti.
L’astro
immacolato ricambiò il suo sguardo, candido.
La
superficie perlacea poteva ingannare gli altri, ma non
lui: anche quella sera, la luna grondava sangue.
«Mi
chiedo chi sarà, questa notte, ad essere accompagnato
dal Conte dello Stige» si domandò.
La
luna restò muta, ma Lau non ci fece caso.
Non
era da lei che aspettava risposta.
«Davvero
spietato…» esalò, accendendo la lunga
pipa.
Ma
nemmeno la volta celeste seppe a chi si stesse
rivolgendo.
Settima
Goccia –
Ritorno
Lo
avrebbe liberato.
La
decisione era germogliata assieme alla consapevolezza di provare
qualcosa per la prostituta orientale.
Era
per quel motivo che voleva i tesori del Conte: con
quelli avrebbe potuto pagare il riscatto a Lau e liberare Amber.
Che
senso
avrebbe, Will-san? Anche se tu sciogliessi i lacci che mi legano al
padrone di
questo posto, non sarei comunque libero.
William
si fermò a lato della strada, ricordando le parole
del giovane.
Lavori
come i
nostri, Will-san, marchiano l’anima. Anche se io risultassi
un cittadino comune
sulla carta, per il resto del mondo sarei un rifiuto che scimmiotta un
essere
umano.
Amber
sapeva essere davvero demotivante, quando si
impegnava.
Will-san,
se
andrai dal Conte morirai. Preferisco che tu possa venire a trovarmi
mentre sono
prigioniero piuttosto che saperti morto nel tentativo di farmi uscire
da qui.
Non
lo aveva toccato nemmeno quella volta.
Non
voleva prenderlo su quel letto, in quella stanza, come
tutti coloro per cui Amber non era altro che un bel corpo accogliente.
Lo
avrebbe rispettato, al contrario dei clienti che pagavano
per abusarne.
Era
il primo passo per far capire ad Amber di essere ancora
un uomo, e non un oggetto.
Si
fermò per un istante davanti alla porta di casa, in
ascolto.
Rapido,
si chinò ad estrarre la pistola dalla fondina
nascosta sulla caviglia, ed entrò con uno scatto, puntando
l’arma alla sua
destra.
«Questa
è violazione di domicilio» notificò
alla persona che
teneva sotto tiro.
«E
questo è tentato omicidio, Will» rise
l’ombra,
componendosi nelle sembianze di un ragazzo dai lunghi capelli vermigli.
«Non
sei cambiato affatto. Pragmatico come sempre.»
William
impiegò qualche secondo ad accordare la realtà
con i
suoi ricordi.
Il
rubino dei capelli e lo smeraldo degli occhi erano quelli
che rammentava, e perfino la voce da teatrante, lievemente arrochita
dal tempo
che era passato.
Ma
era impossibile che lui fosse ancora vivo. La
Corporazione Est aveva divulgato la notizia secondo la quale Rubino era
stato
condannato per tradimento e ucciso dal Corvo, un anno prima.
L’altro
parve intuire i suoi pensieri: con un movimento
ancheggiante si portò fuori dal mirino puntato alla sua
testa, e scivolò di
fianco a lui.
«L’Inferno
non è un posto movimentato come dicono, così sono
tornato.»
Grell
inclinò la testa per appoggiare la nuca alla spalla
del collega e ghignò:
«Hai
sentito la mia mancanza, Will?»
Ottava
Goccia -
Informazioni
«Ma
che sorpresa! Pensavo non abbandonaste mai la vostra
bottega!»
La
risata raspò la gola dell’uomo
nell’uscire.
«Posso
ancora muovermi, al contrario della gente che mi
viene affidata» replicò il becchino.
Lau
liberò nell’aria una consistente spirale di fumo
prima
di concedergli l’onore di una risposta:
«A
cosa devo la vostra visita?»
«Ho
bisogno di alcune informazioni» dichiarò
Undertaker.
«E
per quale motivo le venite a cercare qui?»
«Perché
voi, Lau Tare, siete l’informatore più fornito di
tutta la malavita inglese»
Quell’affermazione
convinse il cinese a distogliere
l’attenzione dalla sua pipa, che venne infilata nella cintura
elastica.
«Non
vi si può proprio ingannare, signor becchino» si
congratulò Lau, infilando le mani nelle maniche della tunica
orientale.
Un
sorriso vagamente sadico torse le labbra ceree dell’uomo.
«Non
si vive per tanti anni nella Gilda senza imparare
qualcosa» recitò.
«Cosa
volete sapere?» domandò Lau.
«Chi
è il servo del Conte?»
Gli
occhi del cinese si schiusero per fissare il becchino
dai loro recessi onice. Uno scintillio malizioso accese la loro
superficie
tenebrosa prima che Lau replicasse:
«Mi
dispiace, signore. Questa informazione è troppo
preziosa.»
La
delusione decolorò il volto pallido del tetro individuo.
«Oh,
via, non fate quella faccia» lo rincuorò
canzonatorio
Lau. «Non posso rivelarvi la sua
identità… ma posso svelarvi molti altri
segreti su quella magione.»
Un
ciuffo di frangia argentata si scostò, rivelando un
occhio smeraldino dilettato dal sospetto.
«E
voi come li avete appresi?» chiese, avvicinandosi al
profilo pulito dell’orientale.
«Non
rivelo mai le mie fonti, signor becchino» ribatté
sicuro Lau, allontanandosi nella stessa misura in cui il becchino si
era
avvicinato.
Vincere
contro Lau Tare era un’impresa persa in principio:
era nato e cresciuto nel mondo delle spie, e non avrebbe commesso
neppure uno
dei passi falsi che avevano portato tanti alla gogna. Svelava i segreti
altrui
senza pietà e custodiva i propri gelosamente: qualunque
notizia poteva
decretare la vita o la morte di una persona. Solo il meglio informato
poteva
penetrare le corazze dell’avversario e vibrare il colpo
mortale.
«Vi
basterà fare le domande giuste» lo
incoraggiò Lau.
Il
cinese raccolse con una mano le pesanti pieghe della
tenda scarlatta alla loro destra, rivelando una stanza nascosta dal
panneggio
rubino.
«Seguitemi»
lo invitò, sparendo nella penombra della camera.
Il
becchino lo seguì, pregustando il divertimento.
Era
soprattutto grazie a Lau Tare che la noia non lo aveva
ammuffito in quel tempo di attesa.
Nona
Goccia - Biglietti
La
ceralacca nera si raffreddò nel marchio del Conte dello
Stige.
«Hai
completato il censimento?»
«Sì,
Lord.»
«Molto
bene. Allora sai qual è il tuo lavoro.»
Il
suo servitore si caricò delle lettere che giacevano sulla
scrivania e si defilò nei corridoi della villa.
Ciel
attese che anche l’ultimo eco fosse svanito prima di
lasciare che la stanchezza lo vincesse. La poltrona lo
abbracciò materna quando
le ginocchia cedettero.
La
sua guardia era un uomo capace, altrimenti non lo avrebbe
voluto al suo servizio. Ma non poteva dire di fidarsi di lui: quei suoi
silenzi
lo mettevano a disagio.
Nessuno
progettava omicidi ad alta voce.
Per
questo il suo mutismo a volte lo inquietava.
Doveva
fare molta attenzione a nascondere il suo timore:
quell’uomo era un demonio, e non avrebbe esitato a sfruttare
i punti deboli
altrui, nemmeno quelli del suo stesso padrone.
Scosse
la testa, pensando ad altro.
Dopo
che una sfilata di novellini era stata macellata sulle
gradinate della sua villa, aveva deciso di prendere quella sfida tra le
sue
mani.
Che
fossero gli assassini più valenti a rivaleggiare per le
sue ricchezze.
E
non avrebbero potuto sottrarsi in alcun modo alla
competizione che aveva in mente per loro.
«Come
sempre, amica mia, sto per farti avere delle prede
succulente. Spero che apprezzerai.»
Un
alito artico gli sfiorò il braccio.
Come
sempre, la Signora con la falce era d’accordo con lui.
Mille
gocce di
sangue
Per
vederne
scorrere altre mille.
E
altre mille
ancora.
Mille
gocce di
sangue…