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Autore: callistas    24/02/2012    24 recensioni
Per chi aspettava, eccomi tornata come promesso.
Allora, non voglio anticiparvi niente, ma voglio dirvi che questa storia è la prima cosa seria che ho scritto.
Ci sarà una gran voglia di uccidere qualcuno e incoraggiare chi è sempre rimasto nell'ombra.
Ho cercato - davvero, ci ho provato - a mantenere l'identità del personaggio originale, ma dopo un pò sono riuscita a cadere ancora nella trappola infame dell'OOC.
E' una DracoxHermione, una coppia che adoro.
Vedremo il loro rapporto evolversi grazie a qualcosa che accade a Hermione. La tematica è trita e ritrita, ma ho voluto intasare il sito anche con una mia personale visione delle cose.
Spero possa piacere.
Se sì, commentate.
Se no, commentate.
Se forse, commentate.
In ogni caso, fatemi sapere che ne pensate.
W la democrazia!
Un bacio a tutti i passanti, callistas.
Genere: Commedia, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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39 - Ti aspetto dove tutto è iniziato Allora.






Onestamente, è tutto quello che mi viene da dire, cioè niente.
Il che, è tutto un dire.
So solo che questi otto mesi che abbiamo passato insieme sono stati i più divertenti che io abbia mai trascorso. Volevo solo farvi notare una cosa: questa storia è a quota 703 recensioni, non avete la più pallida idea di cosa significhi questo per me.
Voi siete stati la mia fonte d’ispirazione, perché con i vostri commenti, le vostre osservazioni e i vostri modi di dire nel vostro dialetto mi hanno fatta ridere e talvolta ispirata per altre storie.
Ma questa è, come si dice, un’altra storia. ^_^

Ufficialmente, la storia sarebbe finita qui.
Ufficiosamente, ho messo un paio di capitoli extra.
Ma prima di questi due capitoli, voglio che vi gustiate questo, quello conclusivo.

Buona lettura, callistas.









VERITA’ NASCOSTE
TI ASPETTO DOVE TUTTO E’ INIZIATO

I giorni passavano e gli esami si avvicinavano lenti, ma inesorabili.

Era Maggio inoltrato e un piccolo ma caldo sole, illuminava le giornate degli studenti che, capita l’antifona degli esami, passavano il loro tempo chiusi in biblioteca o nelle proprie sale comuni a ripassare. Si crearono veri e propri gruppi di studio, basati sulla necessità di passare per lo meno con la sufficienza e che quindi facevano in modo che la casa di appartenenza di quello o l’altro studente passasse decisamente in ultimo piano.
Tassorosso, Corvonero, Serpeverde e Grifondoro si univano allo stesso tavolo e cercavano di studiare assieme, senza venire alle mani.
Specie le ultime due case.

Il gruppo di Hermione era composto di elementi di tutte e quattro le case: Grifondoro per forza, perché c’erano Ginny e Harry. Con quest’ultimo, Hermione aveva recuperato buona parte del rapporto. Da parte del moro non c’erano più stati episodi di egoismo acuto e ciò aveva in parte aiutato Hermione a passare il tempo e a svagare la mente dalla sua storia ormai finita con Draco.
Ron era rimasto sempre lo stesso. Ultimamente aveva legato tanto con ragazzi di Tassorosso e Corvonero, mantenendo sempre quell’atteggiamento da sbruffone che aveva indotto Hermione a prendere le distanze da quella casa. Sembrava essersi dimenticato di Harry e di sua sorella che, nonostante tutto, non poteva impedirsi di soffrire per aver perso un fratello.
Ovviamente, non era nel gruppo di Hermione.
La riccia beccava spesso Harry guardare il vecchio amico con uno sguardo addolorato e ogni volta il dubbio che potesse tornare sui suoi passi la spaventava a morte. Poi Harry si girava verso di lei e con quel suo sorriso fiducioso, quello che tante volte le aveva riservato durante la ricerca degli Horcrux, la rassicurava, mimandole sempre la frase “ti voglio bene”.
Eppure Harry non poteva non ripensare a tutti i momenti vissuti fino a quell’anno, a tutte le punizioni scontate quasi con allegria, ai compiti copiati, agli allenamenti di Quidditch… con nostalgia.
Era sempre stato un ragazzo dal perdono facile, lui. Quando durante il Torneo TreMaghi Ron aveva creduto che Harry vi si fosse iscritto solo per accrescere la sua fama e quando aveva abbandonato lui e Hermione durante il viaggio per raccogliere quei maledetti Horcrux, Harry lo aveva sempre perdonato.
Ma in quel momento, dopo quello che aveva saputo, non se l’era sentita di perdonarlo per l’ennesima volta e il suo motivo era lì, che lo guardava spaventata, che si chiedeva il motivo di quello sguardo addolorato.
Ma lei non avrebbe mai saputo la verità, non dopo tutto il male che aveva dovuto sopportare anche a causa sua. Almeno quello glielo doveva.




Durante una pausa tra una materia e l’altra in cui tutti gli studenti del gruppo erano usciti per mangiare qualcosa, sgranchirsi le gambe e arieggiare il cervello, Hermione era rimasta in aula per controllare alcune nozioni.
“Ehi, tu non vieni fuori un po’?”
Hermione si girò e sorrise.
“No, devo controllare un paio di cose.”
“Dai, almeno apri la finestra. C’è aria viziata.”
Con un incantesimo non verbale, Hermione fece ciò che Harry le aveva suggerito. Una piacevole brezza tiepida le arrivò alle spalle. Chiuse per un istante gli occhi e sorrise, beandosi di quel tocco e del profumo di sole e primavera che le invase i sensi.
“Dai, tu esci un po’, te lo meriti. Ti stai impegnando in questo periodo.”
“E vorrei ben vedere!” – esclamò lui, facendola ridere. – “Non ho intenzione di stare qui dentro un altro anno.”
Lo guardò sorpresa.
“Non ti piace Hogwarts?”
“No, non è quello. E’ che non riuscirei ad affrontare altri basilischi, tornei o pietre che garantiscono la lunga vita.”
Hermione rise.
“Dai, quei tempi sono passati.”
“Già…” – fece Harry con un sospiro. Fissò per qualche istante il pavimento e poi rialzò lo sguardo. – “Senti, posso chiederti una cosa?”
“Dimmi.” – Hermione era tornata a correggere il compito di Pansy. Certo che se quella ragazza non imparava a scrivere problema con la “p”, avrebbe dato di matto!
“Mi dici perché Malfoy continua a fissarti?”
La piuma si bloccò a mezz’aria. Harry non poteva aver detto quello che aveva detto! Era impossibile e illogico! Si girò lentamente.
“Come hai detto?”
Il ragazzo estrasse dalla sua borsa una mela e la addentò. Se non poteva uscire per raffreddare il cervello, allora avrebbe mangiato dentro.
“Malfoy.” – ripeté. – “Continua a fissarti. Perché?”
Hermione sorrise, materna.
“Avrai sicuramente le allucinazioni da troppo studio. Capita a chi non ne è abituato.”
“Ha-ha-ha.” – fece il moro, per nulla divertito. – “Allora?”
“Allora cosa?” – anche se continuava a leggere il tema di Pansy, non riusciva ad andare oltre alla quinta riga.
“Malfoy. Continua a guardarti. Mi dici il perché?”
Hermione abbassò le spalle e si girò.
“E come faccio a saperlo?”
“Dimmelo tu…”
“Io non…”
“… dato che lo fissi anche tu.”
Il suo volto divenne scarlatto in un secondo. Harry gongolò nell’essere riuscito a prendere in castagna la sempre preparatissima Hermione Granger.
“Non so di cosa tu stia parlando.” – si rigirò verso il compito e, per non farsi vedere in volto, si girò pure con la sedia.
Il rumore che Harry provocava mentre addentava la mela fu una specie di tortura cinese.
“Sicura?”
“Sì.” – disse, dandogli le spalle.
“Allora dimmelo guardandomi negli occhi.”
Hermione cacciò un urlo quando se lo trovò improvvisamente davanti.
“Ma vuoi farmi morire?”
“No. Voglio farti rispondere. Coraggio!”
“Io non…” – ma gli occhi grandi e curiosi di Harry la fecero capitolare. – “Io non… non…”
“Non?” – la sfidò gentilmente lui.
“Non lo so…” – soffiò, abbassando lo sguardo.
“E io te lo richiedo. Sei sicura di non saperlo?”
“Harry, lascia perdere.” – lo sentì ridere, come se le avesse raccontato un aneddoto divertente.
“Non lo farò. C’è qualcosa tra voi due?”
La semplicità e la calma con cui pronunciò quella domanda la fecero riflettere.
“Da come lo chiedi, sembrerebbe che non t’importi se la risposta fosse affermativa.”
“Infatti è così.”
Hermione sgranò gli occhi e lo guardò di scatto.
“Nel senso che mi importerebbe, ma non ne farei una tragedia.”
“Harry, sicuro di star bene?”
“Oh, mai stato meglio.” – disse, appellando una sedia e sedendosi su di essa al contrario davanti a Hermione. – “Allora? Cosa bolle nel calderone?”
Hermione guardò per un attimo fuori dalla finestra.
“Bolliva.” – disse, usando il passato. – “Ma è tutto finito.” – disse, con un sorriso triste.
“Puoi riprovare quando sarai lontanamente sincera, almeno con te stessa?” – chiese lui.
“Harry, non ho voglia di parlarne.”
“State insieme?” – insistette lui.
“Stavamo.” – si ritrovò a dire lei. Si era buttata contro lo schienale della sedia e guardava il soffitto.
“E… non state più?”
“No.” – disse, riassumendo una posizione più composta.
“Perché?”
“Harry, non mi…”
“Perché?”
Hermione sbuffò. Era peggio di un trapano quando ci si metteva!
“Perché non teneva a me quanto io tenevo a lui. Tutto qui. L’interrogatorio è finito, adesso?”
“E ti sei fatta mollare così, senza dire niente?”
Hermione corrucciò un sopracciglio. Cosa? Aveva capito bene? Adesso la colpa era sua?
“Prego?”
“Scusa, ma io conoscevo una ragazza, sai… si chiamava come te e ti assomigliava molto, ma… aveva decisamente più palle. Non avrebbe mai permesso alle persone di farla star male.”
Hermione si zittì. Non è che quello che aveva davanti era Blaise e aveva preso la Polisucco?
“Harry, un rapporto va mandato avanti in due. Da sola potevo fare gran poco.”
“Ma hai tentato, almeno?”
Hermione non rispose.
Aveva tentato? Beh, all’inizio sì. Lo aveva pregato di non lasciarsi andare a se stesso e ai rimorsi che gli rodevano la coscienza, ma poi quando lui si era trovato di fronte a suo padre, l’aveva solo aggredito.
E gli aveva detto di odiarlo.
Solo allora si rese conto di quanto pesanti dovevano essere state le sue parole.
“No, non hai tentato.” – si rispose Harry.
“Senti, è lui che ha scaricato me! Non il contrario! È colpa mia adesso?” – strillò lei, alzandosi dalla sedia.
“Non ho detto questo. Premetto che potevi avere di meglio dalla vita, ma…”
“LUI E’ IL MEGLIO PER ME!” – urlò, fuori da ogni comandamento. – “Mi faceva stare bene! Mi capiva! Mi aiutava senza che glielo chiedessi! Ma ha preferito gettare la spugna senza nemmeno provarci!”
“Hai poco da fare la predica, sai? Non avete tentato in due. Prenditi la tua parte di colpe.”
“Ma si può sapere che diavolo?…”
“Io me le sono prese tutte, per esempio.”
Hermione si zittì.
“Ho mandato a puttane la storia con Ginny. Non incolpo nessuno se non me stesso.”
Era sorpresa dal tono calmo e pacato con cui ne parlava.
“Ma tu, invece, stai scaricando su quell’ossigenato tutte le responsabilità. E questo non è da te. E poi…”
“E poi?” – chiese lei.
Harry si avvicinò a lei, lentamente. Fu lo sguardo a metterla in allerta.
“Ha-Harry?”
“E poi solo un pazzo non ti vorrebbe al proprio fianco.”
Sgranò gli occhi quando sentì le braccia di Harry avvolgerle la vita. Si aggrappò ai suoi avambracci, facendo pressione affinché si staccasse.
“Harry staccati!”
Fece per chinarsi, quando ad un tratto entrò Draco, aprendo la porta con un calcio che la levò dai cardini.
Hermione si girò di scatto e Harry guardò con un ghignetto soddisfatto il biondo.
“Ho forse interrotto qualcosa?” – sibilò a denti stretti.
Sotto il mantello aveva impugnato la bacchetta, con un Sectumsempra pronto sulla punta per tagliuzzare Potter.
Hermione si staccò immediatamente. Non riusciva proprio a capire che diavolo avesse da fare tutte quelle scene!
“Se anche fosse non sarebbero affari tuoi, furetto.” – rispose Harry.
Il biondo era sul punto di esplodere.
“Credete sia possibile mantenere un certo decoro durante le ore di studio?” – fece il biondo, dicendo la prima cosa che gli venne in mente.
Hermione si sentì oltraggiata. Lui… osava parlare di decoro a lei? Lo squadrò quasi fosse feccia e piantò i suoi occhi in quelli di lui.
E poi, la vendetta venne in automatico.
Prese Harry per mano e lo condusse fuori.
“Vieni, Harry. Cerchiamo un posto più tranquillo.” – disse la riccia.
Harry, dapprima sorpreso, si aprì in un bel sorriso.
“Sì, Mione. Andiamo.”
Peccato che non fosse inverno: avrebbero fatto una bella sauna…




“Stronzo, egoista, egocentrico! Ma come si permette! Fa le scenate! Lui a me? Ma come osa? Non sono una proprietà! Oh, ma la prossima volta gli stronco le gambe!”
Harry guardava Hermione fare su e giù per l’aula più vicina che avevano trovato e imprecare contro il biondo Serpeverde. Non gli era passata nemmeno per l’anticamera del cervello di provarci con l’amica, anche perché, a Harry, Hermione non interessava in quel senso. Aveva semplicemente intravisto una ciocca bionda dietro la porta e aveva deciso di prendere in mano la situazione.
“Tutte e tre, mi raccomando. Che non si sa mai…” – disse il moro.
Hermione si fermò di scatto e lo fulminò con lo sguardo.
“E tu! Razza di cretino!”
Harry si chiese se magari non avesse esagerato.
“Come diavolo ti è saltato in mente di volermi baciare?”
Harry cercò di salvare il salvabile.
“Perché? Volevi che ti baciassi?” – chiese innocentemente, nella perfetta imitazione del gatto con gli stivali di Shrek.
La strafottenza della sua innocenza la lasciò senza parole.
“NO CHE NON LO VOLEVO, IDIOTA!” – urlò un secondo dopo.
I capelli di Harry veleggiarono all’indietro.
“Tu volevi baciarmi!”
“Assolutamente no, Hermione! Ma come ti saltano in mente certe idee?” – chiese, sbattendo fulgidamente le ciglia.
“Tu mi hai abbracciato in quel modo!”
“Quale modo?”
L’urlo che cacciò lei rese sordo Harry e ruppe qualche tubatura nelle fondamenta.
Inutile dire che quando era rientrata per fare lezione di gruppo, aveva un diavolo per capello: per Draco, che aveva osato far valere su di lei un cartello di “proprietà privata”, quando in realtà non ne aveva nessun diritto e Harry per la sua maledetta innocenza che saltava fuori sempre nei momenti meno opportuni.
Fu un ripasso brutale, perché a ogni domanda posta, Hermione rispondeva con malagrazia, spaventando i ragazzi.
A fine lezione, Hermione si era calmata, mentre tutti erano scappati lontano, sperando che gli esami arrivassero in fretta perché facevano male alla psiche di Hermione.
Si era ritrovata da sola a sistemare alcuni compiti che doveva correggere, quando rientrò Draco dalla porta. Hermione si girò di scatto, dapprima sorpresa, ma poi riabbassò lo sguardo.
“Scusa, ho dimenticato il libro di Pozioni.” – si diresse al suo banco e lo prese. Era decisamente più calmo.
Hermione ricordò con nostalgia quando anche lei aveva dimenticato lo stesso libro prima della lezione con la Sprite.
Quanti secoli erano passati…
“Posso chiederti una cosa?” – chiese, con strana gentilezza.
“Dimmi.”
“Non ho capito il capitolo sulla trasformazione in Animagus.”
Hermione, con i capelli che le ricoprivano il volto, chiuse gli occhi. Era sul punto di piangere. Perché quando l’avvicinava lo faceva solo per i compiti? Perché sembrava volerle stare il più lontano possibile? Era stata davvero così poco importante per lui?
Quando riaprì gli occhi, vide per un attimo tutto sfocato, ma lei era brava a nascondere le sue emozioni, quindi le furono sufficienti solo un paio di respiri a pieni polmoni per riprendere il sangue freddo.
“Sì, dimmi.”
“Qui.” – le indicò il capitolo, facendo in modo che lei si avvicinasse a lui.

L’ho lasciata andare come un perfetto cretino.
Lei mi ha aiutato in tutti i modi possibili che un essere umano possa conoscere e io l’ho lasciata andare. Si è intromessa nella mia vita, l’ha sconvolta, le ha ridato nuovi colori, mi ha ridato una famiglia vera… e io le rendo il favore scegliendo di non combattere per lei.
Mi sta lontana, rifiuta i miei sguardi. E come posso biasimarla? L’ho ferita troppo profondamente perché delle semplici scuse possano bastare.
Ma ho già in mente un modo per farmi perdonare. Non so se funzionerà, ma io ci voglio provare e se non sarà sufficiente, ritenterò, ritenterò e ritenterò ancora. L’ho promesso a Elthon.
E a me stesso.
Quando ho visto i tentacoli di Potter su di lei ho capito che i miei dubbi stavano rischiando di rovinare l’unica cosa bella che mi sia capitata da quando sono nato. Al posto di Potter poteva benissimo esserci qualcun altro, e magari lei, più debole, avrebbe ceduto.
E io l’avrei persa.
Fortuna che sono arrivato in tempo.

“… per la trasfigurazione. Hai capito?”
“Sì, grazie.”
Un sorriso stanco fu la sua risposta. Si girò e continuò a mettere a posto le sue cose.
Draco la guardò mentre sistemava le sue cose e Hermione poteva benissimo percepire il suo sguardo sulla sua nuca. Continuò come se niente fosse.
“Hai…”
Hermione irrigidì le spalle.
“… hai parlato con tuo padre?”
Hermione chiuse gli occhi. Per il ricordo che Draco le aveva fatto riaffiorare e per l’ennesima conferma che lei, per lui, contava esattamente come all’inizio della sua avventura a Hogwarts.
“Sì…” – rispose lei che, inconsciamente, si perse nei ricordi.

“Possiamo parlare?”
Elthon aveva impiegato giorni a entrare in camera di sua figlia, non per la presenza di chissà quale incantesimo di protezione, ma perché temeva le parole che, sotto la spinta della rabbia, potevano uscire fuori. Sapeva però che avrebbe dovuto affrontarlo.
Hermione era intenta a leggere un libro. Era da poco rientrata dal San Mungo e le era stato ordinato il massimo del riposo. Quei babbani avevano fatto un buon lavoro, salvandola in tempo, però c’erano certi lividi che avrebbero necessitato maggior tempo per guarire.
Non alzò nemmeno gli occhi sul padre.
“No.” – rispose secca.
“Hermione, per favore.”
La riccia chiuse il libro con uno scatto infastidito, lo gettò nell’altra metà del letto e si alzò. Voleva mettere il massimo della distanza tra sè e suo padre.
“Hermione…”
“Lasciami in pace!” – sbottò lei, mentre usciva dalla sua camera. Percorse il corridoio, lo stesso che l’aveva vista protagonista di quell’attacco di vigliaccheria acuta quando a Natale doveva conoscere i suoi nonni e Albert l’aveva consolata, pregandola di conoscere il “nemico” prima di giudicarlo.
Nemmeno quel pensiero riuscì a stendere il suo volto tirato.
Scese le scale velocemente, ma suo padre era sempre dietro di lei.
“Hermione fermati!”
“Smettila di dare ordini!” – urlò lei, d’un tratto, girandosi con l’odio negli occhi.
Elthon si bloccò a metà scalinata. Sapeva benissimo quale inflessione sua figlia volesse dare a quella frase.
“Qui non siamo al lavoro! Siamo a casa! Cos’è? Hai voluto trovarmi per dare ordini anche a me?”
“Questo non lo devi dire!” – disse Elthon, scendendo di un paio di scalini.
Hermione, inconsciamente, fece lo stesso, alimentando la distanza tra di loro. Elthon piegò gli occhi per il dolore che quel gesto gli aveva inferto.
“No?” – lo sfidò lei. – “Ti sei messo in mezzo a qualcosa che non doveva riguardarti!”
“Adesso tu non mi riguardi più?” – chiese sbigottito.
“Tu…” – non sapeva neanche cosa dire, tanta era la sua rabbia. – “… tu mi hai impedito di essere felice!” – urlò. Da quando era tornata, aveva faticato tanto per trattenere le lacrime in presenza dei suoi genitori, ma ora che il confronto era arrivato, le fu impossibile mantenere quel proposito.
“Mi dispiace…”
“Ti dispiace? Doveva dispiacerti prima! Dio!” – si mise le mani nei capelli. – “Ma ti rendi conto? Sei arrivato a minacciarlo con la bacchetta per non vedermi! Lo hai fatto sentire sbagliato, come se non fosse stato sufficiente quello che ha dovuto passare fino a questo momento!”
Myra arrivò in quel frangente. Si mise da una parte ad ascoltare ciò che i due dovevano dirsi.
Elthon serrò la mascella. Doveva chiarire quel punto con Hermione e per farlo c’era solo un modo.
“Non che lui si sia fatto in quattro per difendere la vostra storia.” – disse, colpendo ampiamente sotto la cintola.
Quel colpo basso lo percepì anche Myra, che guardò il vuoto con occhi spalancati.
Hermione invece lo guardò, chiedendosi se effettivamente avesse pronunciato quelle parole.
“Come?”
Elthon scese le scale con passo lento e Hermione invece, rimase ferma lì, impalata e incredula.
“Non mi sembra che abbia dimostrato che a te ci teneva, tanto da mettersi contro di me pur di stare con te.”
“Posso… posso sapere cos’è che pretendi dagli altri, tu?” – chiese Hermione, sputando quel “tu” con rancore. – “Vuoi circondarti di persone perfette? Perché allora temo che dovrò lasciare questa casa! E stavolta lo farò di mia spontanea volontà!”
“Adesso basta!” – tuonò Myra, interrompendo quello scempio.
“Myra, stanne fuori! È tra me e lei!” – fece Elthon con lo sguardo fisso in quello di Hermione, che non abbassò mai il suo.
“Sì, stanne fuori!” – confermò Hermione.
“Non voglio circondarmi di persone perfette.” – disse Elthon. – “Solo di quelle di cui posso fidarmi e a cui affidare la mia famiglia quando io non ci sarò più.”
Hermione rimase sgomenta.
“Cioè… era una specie di test? Ma dove diavolo vivi? Chi credi di essere?” – urlò, dandogli uno spintone con entrambe le mani. – “Dovevo essere io a decidere! Draco doveva parlarne con me! Io dovevo aiutarlo a non sentirsi più sbagliato! Tu invece hai mandato tutto all’aria!”
Elthon la prese per le braccia e chinò il volto fino ad arrivare all’altezza del suo.
“Diciassette anni, Hermione!” – fece Elthon, rosso per lo sforzo di trattenere le lacrime, mentre la scuoteva, credendo scioccamente di poter far uscire da lei tutto quell’odio con dei semplici scossoni. – “Diciassette anni a non sapere dove fossi!”
Hermione si zittì e iniziò a piangere.

Myra, dal fondo delle scale, sospirò di frustrazione. Sì, era una cosa loro, ma sperava che Elthon non ci andasse giù troppo pesante.
Senza fare troppo rumore, tornò da dov’era venuta.
Con il cuore pesante.

“Non hai fatto in tempo a tornare a casa, che già avevi trovato un ragazzo!”
Hermione pensò che quelle erano le stesse parole di Albert, ma se per il fratello era riuscita a soprassedere nel giro di poco, con suo padre sentì che sarebbe stato più difficile. Forse perché con Albert aveva legato quasi subito, perché aveva la sua età e perché era stata fiducia a prima vista, ma con suo padre… era troppo diverso. Suo padre si era fatto forte della sua autorità di Capo degli Auror e aveva minacciato Draco con la bacchetta, gli aveva usato parole troppo forti, troppo dure e troppo indirizzate verso Lucius – vera meta del suo rancore – per poterlo perdonare così facilmente.
Eppure, quando lo sentì tirare in ballo il lasso di tempo in cui erano stati forzatamente separati, il suo inconscio la zittì, permettendo al genitore di sfogarsi come forse non aveva ancora fatto.
“So che non ne ho il diritto, ma vorrei segregarti in casa fino a recuperare tutti quegli anni persi! Vorrei limitare i tuoi spazi vitali a Preston Manor ma so che non posso!”
“Allora perché diavolo hai…”
“Perché ti avevo visto ancora lontana da me!” – di scatto, l’abbracciò.
Hermione pianse tutto quello che non aveva pianto da quando era tornata e a sua volta l’abbracciò. Per la sua storia con Draco e per non aver tenuto sufficientemente in considerazione la paura di suo padre.
“Ho parlato con Draco, mentre tu eri tra i babbani.”
Hermione spalancò gli occhi.
“Abbiamo chiarito. Adesso sta a voi decidere se andare avanti o fermarvi.” – gli era molto difficile parlare in quel modo, eppure doveva farlo, se voleva riavere la fiducia di sua figlia.
Che strana che era la vita… all’inizio, quando l’aveva trovata e portata a Preston Manor, Hermione non si fidava di loro, era schiva e cercava di evitarli il più possibile. Poi da lei stessa era partita la volontà di conoscerli e avevano vissuto un bel periodo, tranquillo e sereno, e Hermione era riuscita a tornare a scuola e conoscere anche suo fratello. Poi era tornato il periodo di crisi alla festa del Primo.
Poteva Elthon sperare che anche quella volta la volontà di perdonarli partisse ancora da Hermione, o doveva essere lui stavolta a fare il primo passo?
“Draco sa come la penso su come si è comportato, ma sa anche cosa deve fare per rimediare a questo casino.”
Hermione si staccò dall’abbraccio e lo guardò. Poteva fidarsi o anche quello era un “test”?
“Hermione io ti voglio bene.”
La ragazza continuò a piangere. Nessuno glielo aveva mai detto così apertamente. Certo, i suoi amici glielo avevano fatto capire in molti modi, ma non glielo avevano mai detto a voce alta.
“So che adesso non mi capisci, e spero davvero che tu non debba mai sapere cosa si prova nel perdere un figlio per diciassette anni, ma se ti fossi trovata nei miei panni, cos’avresti fatto?”
Avrei segregato mia figlia in casa per stare con lei, fu l’immediato pensiero di Hermione, che chinò il capo.
Aveva capito, ancora una volta.
“Io però sono cresciuta. Anche se non era vera, ho vissuto la mia vita, ho fatto scelte… e Draco era una di quelle.”
Elthon annuì, lieto di essere tornato sulla stessa lunghezza d’onda.
“Sì, certo, lo capisco.” – aveva allentato la presa, ma aveva sempre le mani sulle sue braccia. – “Puoi perdonarmi, Hermione?”
Con il labbro tremulo, Hermione annuì soltanto.
A Elthon non servì altro. Si sarebbe impegnato con tutto se stesso per recuperare il vecchio rapporto con Hermione, ma l’importante era partire da una base solida come il perdono. Senza di esso avrebbe potuto fare ben poco. L’uomo la tirò verso di sé e l’abbracciò.
“Ti voglio bene anch’io, papà…” – disse Hermione, scoppiando a piangere.
E scoprì anche, che dirlo, non era poi così difficile…

Harry ha ragione. Questa non sono io.
Non mi sono mai arresa davanti a niente e a nessuno. Non ho permesso a Malfoy di ferirmi in passato, ma gliel’ho permesso adesso.
Ha preso il mio cuore e ci è passato sopra con le scarpe.
Dio se fa male!
Non è giusto. Chiedevo solo di essere amata, è forse osare troppo? Ho preteso qualcosa che magari non è previsto nel mio destino?
Se sì, che qualcuno me lo dica, perché avverto perfino dei conati di vomito, certe volte, da tanto male che sto.

Hermione lo sentì girarsi per uscire.
E chissà cosa le saltò in mente, si girò e diede battaglia.
“SEI UNO STRONZO!”
Per poco Draco non si capottò per terra. Si girò sgomento.
“Ma… ma sei impazzita?” – Merlino solo sapeva quanto aveva sperato in una sua reazione. Certo, non era quella prevista, ma almeno era un inizio.
“Io sarò anche impazzita, ma tu sei uno stronzo!”
“Invece di insultare, spiegati!”
“Che c’è di difficile da capire nella frase “Sei uno stronzo”? Cos’è? Problemi di comprendonio?”
“Comprendo solo che hai problemi mentali! Perché sarei uno stronzo?” – chiese, anche se lo sapeva benissimo. Doveva farla parlare il più possibile.
Hermione spalancò gli occhi.
“Mi sono messa con un’idiota? Oh, povera me!” – esordì, platealmente. – “Sarebbe come chiedermi perché sono intelligente!”
“E la risposta sarebbe?” – frecciò lui.
Ma non si può cogliere Hermione Preston impreparata, è come andare contro natura.
“Perché io ho un cervello e tu no!”
“Scusa, dov’era il tuo cervello quando ti sei smaterializzata in quel vicolo e sei stata pestata a morte?”
Sì, e il tuo Draco? Dov’era il tuo cervello quando le hai fatto ricordare quell’episodio della sua vita?
Hermione si ritrasse, come scottata. Lo guardò, chiedendosi se l’aveva colpita davvero così in basso. E Draco se ne accorse.
“Scusa…” – abbassò lo sguardo, conscio di aver esagerato.
Hermione si girò e con un paio di mosse rimise tutto nella borsa. Se la mise a tracolla e uscì, non senza essergli passato accanto e averlo volontariamente urtato.
“Il mio cervello era andato a farsi fottere.”
Draco si girò di scatto e la vide piangere.
“E tutto perché TU ce lo hai mandato e con un biglietto di sola andata.”
“Io… ho sbagliato.” – ammise lui.
“No… tu hai voluto sbagliare.” – poi, uscì, lasciando Draco con un macigno sul cuore.




Tra l’indifferenza più varia nonché freddezza da parte di Hermione, arrivò il giorno prima degli esami. Le prove sarebbero durate due giorni: il primo sarebbe stato dedicato tutto alla teoria, il secondo alla pratica.
Ogni studente sembrava essere diventato credente tutto d’un colpo: le Sale Comuni erano state trasformate letteralmente in tempi votivi a Merlino, chiedendogli la grazia e l’intercessione per poter passare quegli esami, anche con la sufficienza.
Ma almeno di passare.

Draco continuava a pensare alle parole che Hermione gli aveva rivolto l’ultima volta, che non fossero le spiegazioni delle materie degli esami.

“No… tu hai voluto sbagliare.”

Come se lui non avesse visto l’ora di cogliere gli attacchi di Elthon per battere in ritirata, lasciare Hermione e scaricare la colpa sul padre di lei, per aver colpito così in basso e aver minato la sua autostima.
Accampato in un un posto ben preciso della scuola, Draco percorse con la mente tutto ciò che era successo dall’inizio dell’anno.

Ricordò che gli era sembrato molto strano che la Granger non fosse in stazione per prendere l’Espresso. Si era detto che forse, per una volta, per la prima volta in assoluto, la perfetta Caposcuola Hermione Granger si era addormentata e, di conseguenza, svegliata in ritardo. Quando però non la vide a scuola, trovò questo fatto decisamente insolito.

La sua assenza era durata circa due settimane, giorno più, giorno meno. Si sentì come… sollevato quando la vide, perché significava che tutto era tornato nell’ordine in cui doveva essere. Draco non aveva la benché minima idea di quanto bisogno – anche fisico, quasi da farlo star male – avesse della stabilità. Ne aveva passate talmente tante, che le uniche cose a cui ambiva erano studiare e giocare a Quidditch. Per il resto, poteva cadere anche il mondo.
Poi, l’inaspettato.

Albert Preston decide di rompere il suo già precario equilibrio mentale, confessando che la Granger in realtà era la sorella rapita appena nata e che se era mancata da scuola per tutto quel tempo era perché si era auto segregata in camera sua, senza mai uscire.
Poi era tornata. E un altro mattone del suo equilibrio era caduto rovinosamente a terra.

Inutile dire che se anche vestiva con la classica divisa da Grifondoro, chiacchierava con i suoi amici e seguiva le lezioni, tutto il suo essere gridava che la voleva vedere a Serpeverde.

Un altro mattone cadde quando la vide prendersi cura di Pansy nello stesso modo in cui si sarebbe presa cura dei suoi amici. Non aveva fatto distinzioni di sorta, aveva teso la mano e Pansy l’aveva afferrata, si era dimostrata superiore, aiutando una ragazza che solo fino a cinque minuti prima l’aveva insultata e umiliata.
La vera natura delle persone si capisce in piccoli, ma significativi momenti.

Un altro mattoncino cadde alla loro prima lezione in coppia alle serre. Era stato un momento intimo, tutto loro, benché fossero rimasti in silenzio per tutto il tempo. Avevano collaborato e portato a termine il compito senza ostacolarsi, come se lavorassero insieme da una vita e avessero acquisito la capacità di non intralciarsi a vicenda.

Tanti altri momenti si erano susseguiti e tanti altri mattoncini erano caduti e benché non fossero situazioni eclatanti, erano tutte costellate di silenzi e non-dialoghi. Tanti piccoli momenti, che insieme formano qualcosa di buono, di unico.

E quando lei lo aveva baciato, durante la riunione per l’organizzazione del Ballo di Natale, aveva sentito l’ultimo mattoncino cadere a terra, l’ultimo baluardo del suo equilibrio si era rotto.
Perché lei era questo: era l’imprevisto, l’inaspettato, la sfida. Anche il solo fatto di guardarla negli occhi era qualcosa che aveva il potere di sconquassargli le budella, che si attorcigliavano tra di esse, facendogli venire i crampi allo stomaco. Lei era la sua occasione di dimostrare al mondo che lui poteva essere migliore, che poteva essere Malfoy e Draco allo stesso tempo. Lei aveva il potere di metterlo sempre in discussione, di non dare mai niente per scontato, di farlo sentire giusto quando tutti gridavano che era sbagliato.
Lei era tutto questo.
E sempre lo sarebbe stato.









Hermione era seduta sul davanzale della sua finestra e pensava. Le parole di Blaise e Harry le ronzavano ancora nella mente e lei era stanca. Era come quando le entrava in testa il ritornello di una canzone e non riusciva più a levarselo dalla mente.
Era snervante.
Blaise e Ginny erano intervenuti poco in quella situazione e di questo ne era grata. Non aveva voglia di psicanalizzarsi ancora, perché se lo avesse fatto avrebbe ammesso, non più solo nella sua testa, che amava ancora Draco. E non ne aveva nessuna intenzione. Quell’ammissione avrebbe richiesto energie che in quel momento non possedeva assolutamente.
In quel momento, entrò Daphne.
“Hermione! Che ci fai lì sopra?” – chiese la bionda, chiudendosi la porta alle spalle.
“Niente…” – mormorò la riccia.
Daphne le si avvicinò lentamente. Da quando aveva saputo – letteralmente per sbaglio – della parentela che la legava al suo amico Albert, la bionda aveva iniziato a guardare la riccia con occhio diverso.
Un po’ come aveva fatto Draco a suo tempo.
Si era ritrovata parecchie volte a chiedersi come poteva stare, cosa poteva provare e più ci provava e meno riusciva a darsi una risposta. Piano piano, con l’esuberanza che nessuno, se non i suoi amici più fidati, conosceva, si era fatta spazio nel cuore di Hermione, costatando di essere fortunata ad averne trovato uno anche se piccolo, visto che tutto il suo cuore era occupato da Draco.
“Pensi ancora a lui, non è vero?” – le chiese, materna.
“No.” – disse, troppo velocemente. – “Sì… forse… non lo so…” – si prese la testa tra le mani e la scosse ripetutamente.
“Gioia, vorrei dirti che fai bene a fare così, ma invece stai rovinando tutto.” – disse Daphne, accarezzandole la testa.
Hermione era stanca di ripetere alla gente che quello che aveva rovinato tutto era Draco non lei, quindi si limitò a sentire, ma senza veramente ascoltare.
“Non vedi come Draco sta male?”
“Sinceramente? No.” – rispose lei. – “Non mi cerca, non fa nulla per tentare di avvicinarsi a me. A volte mi sembra di essere tornata ad essere la mezzosangue per lui.”
“E’ perché sa di aver sbagliato.” – disse lei.
“E non può venire a dirmelo come tutte le persone normali?” – sbottò lei.
Daphne rise.
“Stella, è di Malfoy che stiamo parlando, l’ultima persona sulla faccia della terra che puoi definire normale.”
Hermione sorrise debolmente. Su quel punto aveva perfettamente ragione.
“Cosa c’è di sbagliato nell’ammettere di aver sbagliato?” – chiese, incartandosi con le parole.
“Tu come ti senti quando sai di aver commesso un terribile errore e per porvi rimedio devi chiedere scusa a qualcuno?”
“Piuttosto mi butto giù da…” – si bloccò e capì dove Daphne l’aveva condotta. – “E’ diverso.” – disse subito, per giustificarsi.
“Perché?”
“Perché… perché… perché è stato lui a mollare, non io!”
“Hermione, ancora con questa storia? Come può Draco dimostrarti di aver capito il suo errore, se tu continui a trincerarti dietro a questa cosa?”
“Il punto è che non lo vuole dimostrare!”
“Gliene hai mai dato l’occasione?” – obiettò Daphne, seria.
Hermione ci rifletté sul serio. Onestamente?
No.
Gli aveva negato qualsiasi approccio, se non solo per i gruppi di studio del pomeriggio, per il resto aveva innalzato una barriera resistente quanto le protezioni su Hogwarts ai tempi di Lord Voldemort.
“No, eh?”
Hermione iniziò a piangere. Solo in quel momento – proprio grazie a quella stanchezza che aveva abbattuto tutte le sue imposizioni mentali – capì ciò che aveva fatto. Draco aveva rovinato tutto, ma lei non era stata da meno: gli aveva chiuso in faccia tutte le porte.
Rimase abbracciata alla bionda per un tempo interminabile, poi, Daphne, decise di provare a tirarle su il morale.
“Dai, alzati. Ti faccio un gioco.”
“Daphne ti prego… non sono in vena…” – fece Hermione, sfinita da tutta quella situazione e dalle rivelazioni da essa derivate.
“Dai, vedrai che ti sentirai meglio. Me lo faceva sempre mia nonna e mi aiutava tanto.”
Hermione non ribatté. Lasciò che Daphne facesse quel benedetto gioco, almeno forse se la sarebbe levata di torno più in fretta.
“Cosa sono?” – chiese Hermione, molto poco interessata.
“Sono delle carte. Semplici carte. Adesso io penso a una frase nella mia mente. Su questi foglietti andranno a stamparsi le parole e poi si mescoleranno. Tu devi rimettere insieme la frase.”
Hermione sospirò. Vide Daphne concentrarsi e poi con un sorriso le diede il via per iniziare.
Hermione prese svogliatamente un foglietto.
“si…” – lo mise da una parte e ne prese un altro. – “… che…” – un altro ancora. – “… tutto…” – ne prese un…
Ripescò quello che aveva scartato. Lo fissò come se avesse davanti una reliquia.
“Hermione?” – Daphne la fissò perplessa. Perché si era incantata?
“Oh mio Dio…” – esalò la riccia. – “OhmioDio! OhmioDio! OhmioDio!” – continuò a ripeterlo aumentando sempre di più il tono di voce, mentre correva per la stanza alla ricerca di qualcosa.
Daphne iniziò a spaventarsi.
“Hermione, cosa…”
“Zitta!” – urlò lei.
Daphne era sempre più allibita. Ora Hermione si era messa a frugare nel cestino. Tirò fuori di tutto: cartine, pergamene stracciate, piume rotte…
“Daphne, aiutami!” – urlò lei.
La bionda scattò sull’attenti e andò da lei.
“Cos’è che stai cercando?”
“I foglietti!”
“Ma… sono là!” – rispose Daphne, indicando i suoi foglietti con il braccio teso.
Hermione si girò di scatto.
“Ma no! Non i tuoi! Questi!” – urlò, assordando la bionda, mentre teneva in mano il suo tesoro.
“Hermione vuoi spiegarti?”
La riccia sembrava aver vinto alla lotteria.
“Questi…” – e le mise sotto mano ben sei foglietti. – “… me li ha mandati qualcuno.”
“E chi?”
“Non lo so! Ho continuato a ricevere dei mazzi di rose rosse ogni settimana per sei settimane. Poi hanno smesso.”
“E chi te li ha mandati?”
“Non lo so!” – febbrilmente, Hermione dispose a terra i sei foglietti e spiegò il tutto all’amica. – “… ma c’era sempre un biglietto allegato. Non capivo, perché non era una frase, ma…”
“… ma una sola parola.” – fece Daphne con un sorriso.
“Devo comporre questa frase!” – disse. Sarebbe stata una frase molto semplice, se Hermione avesse messo da parte per un secondo l’agitazione.
Daphne l’aiutò e quando videro il risultato, Hermione sentì la terra franarle sotto i piedi. La bionda la guardò con un sorriso, mentre lei invece era terrorizzata.
“Che aspetti? Va da lui, no?”
“Io… non so se…”
“Preston, esci da ‘sta cazzo di stanza e va da Draco!”
Come se fosse stata seduta sulla corrente, Hermione si alzò di scatto e uscì dalla porta. Se ne fregò di essere in canottiera e culotte e senza scarpe.
Draco aveva l’assoluta precedenza!
Daphne osservò divertita e orgogliosa quei sei fogliettini che componevano, ora, una frase di senso compiuto.

Ti aspetto dove tutto è iniziato.

“Eh sì, Malfoy…” – fece la bionda, scuotendo con orgoglio la chioma bionda. – “… tu sei proprio l’ultima persona di questo mondo che si potrebbe definire normale…”
Daphne Greengrass aveva l’aria di chi aveva appena scoperto che la terra era tonda e non piatta e che quella scoperta avrebbe lasciato ammutolite non poche persone. Rimise nel cestino le carte stracce e con del magi-scotch recuperato da un cassetto, incollò quei foglietti che avevano contribuito a far tornare le cose alla loro normalità.
Sorrise nel pensare che aveva usato di nuovo quella parola.
Normalità.
In fondo, chi poteva dire cosa fosse o meno normale? C’erano situazioni che avevano dell’assurdo, ma era un assurdo così… assurdo!, che alla fine poteva essere scambiato per normale.
Draco e Hermione erano l’ennesima potenza dell’assurdo.
E quindi, la cosa più normale di questo mondo.




Corse come una dannata salendo gli scalini due a due. Girò la testa, prima a destra e poi a sinistra, sperando di vedere il biondo per i corridoi. Come da copione, non lo trovò.
Poco male, si disse. Andrò nell’aula di Trasfigurazione.
Fu lì che aveva avuto il primo contatto con il biondo. Spalancò la porta e si guardò attorno. Un dubbio l’assalì. Come faceva Draco a sapere che lei aveva risolto quel piccolo indovinello? Quel dubbio sparì subito, perché era ovvio che avesse escogitato un sistema che lo avvisasse che lei ce l’aveva fatta.
O almeno così sperò.
Fu il quarto d’ora più lungo che avesse mai aspettato, ma di Draco nessuna traccia.
Poi, l’illuminazione e l’ovvia sequela di improperi diretta a se stessa per non esserci arrivata prima.
“Le serre, cazzo!”
Non era stato fuori dall’aula di Trasfigurazione, ma alle serre, quando la Sprite l’aveva accoppiata con Draco per la lezione sui Tuberi Salterini!
Uscì in giardino di corsa. L’erba le solleticava la pianta dei piedi, ma era l’ultima cosa di cui si stava preoccupando. Arrivò trafelata alle serre e anche lì si slogò il collo per vedere se riusciva a scorgere una chioma bionda.
Aspettò anche lì qualche minuto, ma fu come se qualcosa dentro di lei le dicesse che quello non era il luogo giusto.

Draco aveva seguito ogni suo passo.
Aveva sorriso perché era riuscita a ricomporre quella frase. E anche se non aveva capito subito il luogo che intendeva lui, non se la prese più di tanto, anzi. Sapeva che ci sarebbe arrivata e quando lo avrebbe fatto lui sarebbe stato lì ad aspettarla.

I minuti passavano e Hermione dovette rientrare al castello. La temperatura iniziava a rinfrescarsi e la sua tenuta non era delle più adatte per affrontare il freddo.
Abbracciandosi, ripercorse a ritroso la strada, dandosi infinite volte della stupida.
Quando abitava con i Granger, guardava le soap opera con quella donna e sognava un amore da favola come quello, ricco di imprevisti ma che con la forza dell’amore si riuscivano a superare sempre.
Si emozionava sempre quando l’uomo o la donna arrivavano subito alla soluzione, perché in quel modo dimostravano che il loro amore viaggiava oltre i confini della realtà, che si elevava a un livello superiore, quasi mistico.
E lei non possedeva quel tipo di amore, perché se ne avesse avuto anche solo una piccola parte avrebbe capito al volo dove Draco si trovasse. Alzò lo sguardo al cielo e vide la luna iniziare a spiccare nel cielo blu.
Che bella che era, quella sera. Piena e gialla, colorata dal riflesso della luce solare.
Il pensiero più assurdo che potesse mai avere in quel momento le diede la soluzione a tutto.
“Oddio… domani iniziamo con Astronomia.” – mise un piede sul primo scalino e si bloccò.
Sentì una forte ondata di gelo pervaderle le membra, partire dai piedi e arrivare fino al cervello, paralizzandolo.
“Oddio… oddio…” – iniziò a correre come una disperata.

Come aveva potuto essere così stupida?
Dove cazzo aveva il cervello quando ne aveva realmente bisogno?
Le sue gambe si muovevano da sole, come se avesse le ali ai piedi.
Corse fino a che arrivò alla porta che, una volta aperta, le avrebbe rivelato la verità. L’aprì con molta esitazione e sbirciò all’interno.
“Dra-Draco?” – entrò e iniziò ad ispezionare la Torre di Astronomia. Camminò, girando nel contempo su se stessa per cercare la figura del biondo. – “Draco?”
Lo sconforto si fece risentire. Aveva sbagliato anche quella volta?
“Noooo…” – pigolò lei, iniziando a piangere. Nascose il viso tra le mani, lasciando che la sua stupidità uscisse con le sue lacrime.

Non seppe dire quanto tempo aveva passato a piangere, appollaiata sul pavimento, ma iniziava a sentire freddo e non c’era niente in giro che l’aiutasse a scaldarsi.
Compreso che anche quel posto era sbagliato o che Draco se ne fosse già andato, Hermione si alzò, barcollando. Doveva essere stata inginocchiata a terra per parecchio se le gambe le dolevano in quel modo. Si spolverò le ginocchia e si girò.
“Dicono che tu non faccia mai aspettare qualcuno che ha bisogno del tuo aiuto.”
Fermo, davanti a lei a bloccarle la via, c’era Draco Malfoy, mai così bello come in quel momento.

Lo shock fu inevitabile.
Pensava di avere le traveggole.
“D-Draco… sei tu?”
“Sono io.”
“Draco!” – fece per correre da lui, ma si spaventò a un suo cenno di rimanere ferma dove si trovava. – “Draco?”
“No, ferma.”
“Perché?”
L’ipotesi che lui l’avesse fatta venire lì per dirle chiaro e tondo in faccia che non voleva più avere niente a che fare con lei strisciò dentro le sue membra come un serpente.
Il biondo si schiarì la voce.
“Dra…”
“Troppe volte sei venuta tu da me.”
Si sentiva infinitamente ridicola ad affrontare un discorso serio come quello in culotte e canottiera!
“Ho perso il conto di tutte le volte che mi sono maledetto per averti lasciata andare così facilmente, quella sera. Ho permesso che i miei errori si mettessero tra me e te e… cazzo se ho sbagliato. Però tuo padre ha ragione, Hermione.”
La riccia chiuse gli occhi. Era stato bellissimo sentirsi chiamare per nome dopo tutto quel tempo.
“Meriteresti di meglio, meriti solo il meglio che la vita e le persone possono offrirti…”
“Draco, no. Tu non…”
“Eppure non posso fare a meno di pensare di voler essere io quel meglio, per te.”
Hermione sgranò gli occhi.
“Sono egoista, Hermione. Troppo. L’idea di perdere l’unica cosa che mi fa stare bene mi fa andare di matto. Quando ti ho visto abbracciata a Potter, io…”
“Harry non conta niente per me! Non… non in quel senso!” – si affrettò a spiegare lei.
Il sorriso che le rivolse le sciolse il cuore e se fino a pochi attimi prima aveva provato un gelo fuori da ogni limite, adesso sentiva solo caldo.
“Mi fa piacere sentirtelo dire. Non hai idea della violenza che ho dovuto fare su me stesso quando ti vedevo appartarti con gli altri ragazzi.”
Hermione arrossì. Allora l’aveva vista? E lei che pensava il contrario!
“Ma sapevo che per riportarti da me, dovevo andarci con i piedi di piombo. Riprenderti con la forza sarebbe stato pericoloso, così mi sono… limitato a tenere alla larga i tuoi spasimanti.”
Hermione spalancò la bocca.
“Tu hai fatto… cosa?”
Draco fece le spallucce.
“Ho convinto la fauna maschile a starti alla larga.”
Hermione non seppe dire se essere incazzata o felice per quell’intromissione, anche se forse propendeva più per la seconda.
“Io non ti posso promettere che momenti come quello non ce ne saranno più, anzi. Ce ne saranno eccome.”
“Sarò lì Draco!” – esclamò lei, senza farlo finire. Aveva detto fin troppo e lei per troppo tempo era stata zitta, ma ora era il suo turno di parlare. – “Merlino mi fulmini adesso se mi comporterò ancora come una nevrotica! Abbiamo sbagliato entrambi, e insieme possiamo riuscire ad affrontare ogni cosa. Solo… non lasciarmi più…” – pigolò lei.
Draco andò da lei e l’abbracciò.
Le tempestò il volto di baci, le asciugò le lacrime con le labbra, l’avvolse nel suo mantello – la protesse – e registrò nella mente quel sapore salato che, giurò su se stesso, Hermione non avrebbe più dovuto saggiare.
Non credette di esserne capace, ma con il bacio più dolce che Hermione ricevette mai da lui, Draco suggellò con se stesso la promessa che niente e nessuno, da quel momento in poi, l’avrebbe separato da Hermione.








Note di me:

Allora, come detto all’inizio, la storia ufficialmente è finita qui.
Ma siccome che – non si dice – io non sono la Stronza che per tutti questi mesi avete professato io fossi, ho deciso di inserire due contenuti extra, come si vede nei dvd dei film.

Bene!
Spero che la storia fin qui sia piaciuta e per darvi prova della mia buona volontà e che i due contenuti extra non sono uno scherzo, vi metto qui un altro spoiler.

“Molto bene. Chi mi sa dire il motivo per cui sono finiti al fresco?”
“Perché lei era l’accusa.” – affermò Hermione, con un sorrisetto.

Questo è tosto, eh? ^___^

Un bacione, callistas.
  
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