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Autore: LaylaLaRed    26/02/2012    1 recensioni
Name: Charlotte Audrey Holly
Surname: Grimaldi - temporary surname
Perchè sul certificato di nascita di Charlotte Audrey Holly Grimaldi c'è scritto "temporary surname"?
Sta all'erede di Blair Waldorf scoprirlo!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione, Nel futuro
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Aveva smesso di piovere già da qualche ora, e io e Sally ci eravamo fermate ad un venditore di hamburger per comprarne due con i pochi spiccioli che avevo nella borsa.
E anche dopo aver mangiato, Sally continuava a brontolare, ciarlando di avere sete, fame, caldo, freddo, di dover andare in bagno. Insomma, faceva di tutto per farmi innervosire.
Ma io non gliela davo vinta e fingevo di non udirla, pur di non risponderle in malo modo.
“Charlotte?”, mi chiamò mentre camminavamo, “Non credi che dovremmo chiamare mamma?”, domandò.
Una cosa intelligente! Sally Grimaldi aveva detto una cosa intelligente!
Mi bloccai e la guardai, squadrandola da capo a piedi.
Era fasciata da uno splendido vestito Monnalisa Junior, e ai piedi portava Jimmy Choo rosa.
“Uhm…hai ragione. Cerchiamo una cabina telefonica!”, risposi, pensando al mio iPhone scarico.
Quando serviva non c’era mai, e quando non serviva c’era sempre.
Mentre scrutavo furtiva la strada in cerca della cabina, udii un risolino.
Una ragazza poco più grande di me stava scattando una fotografia col suo smartphone, certamente per inviarla a Gossip Girl.
Dopo aver terminato il suo “servizio fotografico”, mi si avvicinò con un foglio e un pennarello in mano, ed esagitata domandò “Principessa, mi fai un autografo?”.
Inarcai un sopracciglio e risi, togliendole il foglio dalle mani, stropicciandolo e gettandolo a terra.
Avanzai senza badare ai suoi sguardi stupiti, e finalmente vidi una cabina argento, moderna, pronta ad accogliere le telefonate dei passanti sperduti.
Sorrisi a Sally, e tirai fuori dal portafogli Balenciaga qualche spicciolo, pronta ad inserirlo. Ma la mia impertinente sorella mi bloccò.
“Che cosa succede ora?”, domandai esausta.
“C’è qualcuno dentro”, replicò candidamente la bambina.
In effetti, all’interno della cabina c’era una donna bionda voltata, che discuteva animatamente al telefono.
Potevo persino udire alcune sue parole “incinta” “lo amo” “bambino”.
Sorrisi compiaciuta e attesi che posasse la cornetta.
Ma quando la figura bionda uscì piangendo, ed ebbi modo di vedere chi era, mi si raggelò il sangue nelle vene.
La mia petulante sorella trillò “Ciao Izzy!”, mentre la ragazza correva via. Le lanciai un’occhiata di fuoco e raggiunsi velocemente la figlia di Serena.
“Isabel”, la chiamai.
Lei si voltò e mi guardò con disprezzo “Che vuoi ora?”, domandò triste.
“Scusarmi”, replicai.
Avevo sbagliato, l’avevo capito. Ero egoista, vile e codarda. Credevo di essere la regina, ma ero solo una povera schiava. Schiava delle mie stesse emozioni.
Feci qualche altro passo e la strinsi nelle mie braccia.
Lei si lasciò cullare dalle mie parole dolci e dopo un po’ ci staccammo.
“Scusami se ho sbagliato. Ti aiuterò, ma devi dirmi tutto. Tutto, senza menzogne”, le dissi, indicando un bar della catena Starbucks vicino a noi.
Lei annuì e raggiungemmo velocemente il piccolo locale.
Era un ambiente caldo e accogliente, con piccoli tavoli in legno e musica rilassante che fuoriusciva dagli altoparlanti.
Sally si sedette accanto ad Izzy, e non proferì parola.
Ci sedemmo ad un tavolo appartato, tentando di non essere viste, e subito domandai ad Izzy “Chi è il padre del tuo bambino?”.
Lei tirò su con il naso, si asciugò le lacrime con un tovagliolo e iniziò a parlare.
“Ti ricordi la serata Memorabilia alla Constance?”, chiese.
Oh, si. Tutti i genitori degli alunni della Constance e del St. Jude, che un tempo erano stati alunni anche loro, erano riuniti per ballare, partecipare a giochi e buffet e spettegolare.
Io indossavo un Valentino personalizzato e mi ero scatenata parecchio quella serata.
Annuii, per incitarla a continuare.
“Bene. Quella sera, dopo aver bevuto qualche drink di troppo, io e un ragazzo, un cameriere alunno del St. Jude, che pagava a rate e che aveva ballato con me, ci rifugiammo nell’aula di francese, ed eccitati…insomma, hai capito. Beh, quando fece per uscire, mi accorsi che aveva dimenticato la giacca, ma non feci in tempo a riconsegnargliela. Su quella giacca era scritto Adam Archibald”.
Come? Adam Archibald? Quello sfigato di Archibald?
Il padre, Nathaniel, era un amico di vecchia data di Blair, e a detta di mia madre non era mai stato molto sveglio. Si era sposato con un’italiana e poi none sapeva più niente. Perciò, una ragazza così chic e in come Izzy, era incinta del figlio di un disgraziato Archibald?
Deglutii, e parlai.
“E’ il figlio di Nate, un vecchio amico di mia madre. Credo che anche tua madre lo conosca. A proposito, cos’è successo con Serena?”, domandai.
Fummo interrotte da un cameriere con un blocco appunti.
Prima che parlò, lo feci io “Cosa ci puoi portare? Due frappuccini”, dissi, senza pensare a mia sorella.
Lui sorrise e annuì con il capo, dileguandosi.
Feci l’occhiolino a Izzy e la incitai a continuare.
“Mia madre ha scoperto che sono incinta, a causa del test che avevo nascosto in camera mia. Maddie, la mia cameriera, l’ha trovato e l’ha buttato. Mia madre l’ha visto e si è infuriata. Ha detto che me la dovevo vedere da sola, che non avrei dovuto tenerlo, o che se l’avrei tenuto lei non avrebbe partecipato alla vita della mia creatura…cose così, insomma. Ma lei non capisce che io già lo amo, lo sento dentro di me”, parlò commossa Izzy, accarezzandosi la piccola protuberanza che spuntava dal suo ventre.
Sorrisi e una lacrima comparì sulla mia guancia.
Nella mia anima, forse, c’era ancora la dolce e sensibile Charlie Grimaldi.
“Oggi ho la prima ecografia, fra poco. Verresti con me?”, domandò mentre ritirava dal cameriere il frappuccino.
“Oui!”, risposi in francese, sorridendo.
Lei svuotò il bicchiere e mi rispose con un gran sorriso, alzandosi dalla sedia.
Terminato il mio frappuccino, ringraziai il cameriere e uscii insieme a Izzy e Sally.
Chiamai un taxi, ed ebbi modo di notare che il guidatore aveva più o meno la mia stessa età, ed era decisamente bello.
“Hey! Portami allo studio ginecologico Pancker, nella ventiquattresima strada!”, urlai rivolta al giovane.
“Oh, certo. E auguri alla mamma”, replicò gentile.
Sorrisi e indicai la mia amica “Lei”, dissi.
Lui si rivolse verso di lei e le sorrise, poi partì.
In pochi minuti arrivammo davanti ad una porta bianca, con la targhetta “Dott.ssa Heidi Pancker, 4° piano”.
Ero brava a far cadere i maschi ai miei piedi, e per non pagare, essendo senza soldi, avrei usato la stessa tattica.
Mi avvicinai al collo del guidatore e sussurrai “Arrivederci, tesoro”.
Lui si allontanò disgustato, e aprì la portiera con il tasto automatico, senza nemmeno chiedere la paga.
Uhm, ci ero riuscita. Più o meno.
Guardai Izzy e scoppiammo a ridere entrambe, poi le strinsi la mano e suonammo il campanello.
Una ragazza dai capelli rossi giunse ad aprirci e domandò “Van Der Woodsen?”.
Izzy annuì e la ragazza ci fece spazio nella stanza dove i clienti attendevano.
“La dottoressa Pancker vi riceve subito”, borbottò, ciabattando fino alla porta dello studio.
Sorrisi alla mia amica, e mi guardai intorno.
Eravamo sole.
Mi voltai verso l’onnipresente fantasma petulante Sally.
“Mentre noi siamo dentro, rimani qui seduta e non avvicinarti a niente e nessuno!”, mi raccomandai.
Dopo pochi secondi di imbarazzante e raggelante silenzio, una donna bionda con le meches castane, gli occhi color miele e il tipico camice bianco, ci accolse.
“Ciao Isabel! Tu devi essere invece la figlia di Blair, nonché migliore amica di Isabel, vero? Charlotte, giusto?”, domandò, stringendoci in un abbraccio.
Annuii e, curiosa, domandai “Come fa a saperlo?”.
Lei rivolse un’occhiata complice a Izzy e rispose “Beh, con fonti come la tua amica e Gossip Girl, non si può non sapere chi è l’attuale regina dell’Upper East Side. E poi, per i primi tre mesi di gestazione, sono stata la ginecologa di tua madre!”.
Le sorrisi compiaciuta ed entrammo nello studio.
Era davvero moderno. Le pareti erano bianche, e tanti strumenti tecnologici erano sistemati attorno al grande lettino azzurro, coperto da un lenzuolo rosa.
“Accomodati. Tu, Charlotte, sistemati accanto a lei”, ci disse mentre si infilava dei guanti in lattice e afferrava un tubetto blu.
“Ora spalmerò sul tuo basso ventre questo gel, che ci permetterà di vedere il bambino e il suo sesso!”, disse entusiasta la dottoressa, rivolta ad Izzy.
Mentre la donna spalmava una sostanza viscida e gelatinosa sul ventre gonfio di Izzy, io le stringevo la mano e mi chiedevo se avessimo presto visto in giro una piccola Izzy o un piccolo Adam.
Dopo qualche secondo, una creatura indistinta apparve sullo schermo nero posizionato sul lettino.
Izzy emise un’esclamazione di stupore e iniziò a piangere, commossa.
Anche io mi commossi, e piansi forse più della mia amica.
“Complimenti, Isabel. Sei madre di una splendida bambina!”, disse la dottoressa, guardando fisso lo schermo.
“Scarlett. Scarlett Charlotte Van Der Woodsen”, sussurrò Izzy, accarezzandosi la pancia.
“Charlotte?”, domandai.
“Si, Charlotte. Perché tu mi sei sempre stata vicina più di chiunque altro. Perché io ti voglio bene”.
  
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