040. Halves
(Metà)
“Chissà se in qualche posto tu esisti, / da qualche parte mi cerchi, / se come me t’inventi l’altra metà di te.”,
L’altra metà di me, Alessandra Amoroso
Quando la mamma era ancora viva, Riza ogni sera
aveva la sua dose di fiaba della buona notte; giusto un cucchiaino da caffè di
cavalieri, draghi e principesse.
E poi, com’era bella la sua mamma. Bella come una
fata, con i lunghi capelli incantati, d’oro filato dalla paglia, proprio come
nella fiaba del nano bisbetico. Ma perché non li lasciava mai sciolti, i
capelli? Li teneva sempre castigati in una treccia stretta. Una treccia alla
francese.
Piuttosto che tenerli così legati, Riza preferiva
tagliarli corti. Ma diventata donna e cresciuti i capelli anche lei li avrebbe
castigati, tenendoli raccolti sulla nuca con un fermaglio. O meglio, avrebbe
fatto ordine. Perché di questo si trattava, di ordine. Ma questa è un’altra
storia. Anzi, a essere precisi, è l’epilogo di questa.
Una sera, la Riza bambina che si allontanava dai
mostri sotto il letto e le damigelle rinchiuse nelle torri, aveva fatto una
richiesta specifica: voleva la storia di mamma e papà, del loro amore. Anche
perché, a ben pensarci era pure la sua storia.
«Non sta sera, pulcina mia» disse mamma falco
mentre scioglieva la treccia e un dolce sorriso. «Magari un’altra volta».
«Promesso?» le aveva chiesto mentre le mani
profumate di violetta di campo della mamma le rimboccavano le coperte.
«Promesso».
Quella fu l’unica promessa che sua madre non
mantenne e Riza, un po’ per rispetto, un po’ per timore, non chiese mai a suo
padre di raccontarle la storia di come aveva conosciuto e si era innamorato
della compianta moglie.
Questa aveva permesso alla fantasia della bimba di
galoppare insieme ai cavalli e alle aquile delle sue favole. Si era immaginata
tragici incontri, immersi in oceani di romanticismo; situazioni quasi al limite
della realtà. Tanto, sognare non le costava nulla.
Sapeva, in ogni caso, di essere ben lontana dalla
realtà; altrimenti avrebbe conosciuto i parenti di mamma. L’avrebbero accolta
nelle loro grandi e calde braccia per consolarla il giorno del funerale.
Il tempo passava e la fantasia si consumava, come
lo stoppino di una candela; ma l’idea dell’incanto e la magia che lei collegava
a qualunque situazione romantica perdurava, come la cera che cola e si
raffredda in gocce disomogenee sulla bugia.
Si era immaginata l’incontro con la sua metà mille
e una volta. Un principe su un cavallo bianco. Un cavaliere temerario e
incurante del pericolo. Un mascalzone fuorilegge gentiluomo. Era talmente tanto
concentrata su queste figure così nitide nella sua fantasia di ragazzina da non
accorgersi che la sua metà si era presentata a casa sua: i capelli scompigliati
dal vento e le maniche della camicia arrotolate ai gomiti.
E anche dopo il primo incontro era passato del
tempo prima che un accenno di dubbio si insinuasse in lei. Anni passati a
raffrontare il ragazzino, cui suo padre dedicava tanto tempo, con gli eroi
delle fiabe della mamma. Ma nulla coincideva, eccetto il bell’aspetto.
No. Assolutamente no. Roy Mustang non era il suo
principe. Non era certamente il tipo con cui puoi vivere “per sempre felice e
contenta”, non con quell’inclinazione a “in che guaio mi voglio cacciare
oggi?”.
Poi lui se ne era andato, papà si era ammalato,
lui era tornato, papà era morto, e nuovamente Roy se ne era andato.
Eppure, forse per le parole che si erano
scambiati, forse perché il tempo aveva plasmato entrambi affinché combaciassero,
Riza sentiva dentro di lei avanzare la consapevolezza di aver trovato la sua
metà, anche se completamente diversa da quella che per anni aveva impegnato la
sua immaginazione.
La certezza era arrivata alcuni anni più tardi,
quando la principessa era scesa dalla torre per imbracciare la spada. Aveva
combattuto in una guerra. Si era trovata in mezzo al deserto in compagnia dello
stesso uomo con cui aveva cenato tante volte nella quiete della sua casa. Tutti
e due erano riusciti a tornare a casa e a quel punto era chiaro che il destino
avesse intrecciato le loro vite come faceva la mamma con i suoi capelli: in modo
saldo e inestricabile.
Era pomeriggio tardi e il Tenente Colonnello
Mustang aveva fatto chiamare il Sottotenente Riza Hawkeye nel suo ufficio.
«Penso che proporrò di farti diventare mia assistente» le aveva detto. Lei rivide
in quell’uomo in divisa dai lineamenti del volto marcati lo stesso ragazzino
con la camicia e i capelli spettinati che tanti anni prima aveva suonato alla sua
porta. «Mi seguirai?».
Eccola la sua metà perfetta, più simile a un re,
ora che il tempo era passato. «Ho capito. Se questo è ciò che desidera, sono
pronta a seguirla sino all’inferno».
NOTE
FINALI:
Forse la
prima metà c'azzecca poco, ma volevo mettere almeno un accenno alla mamma di
Riza. Inoltre penso che finché si è bambini sia proprio uno dei due genitori
-più la mamma che il papà- quella metà su cui si concentra la maggior parte del
proprio amore. Poi si cresce e ci si cerca un compagno. Il destino ha mandato
tanti segnali a Riza e Roy: è ovvio che siano l'uno la metà dell'altro. Ho
voluto anche soffermarmi sullo spirito così dedito all'incanto di una Riza poco
più che bambina e devo dire di essere particolarmente soddisfatta di questo
theme. Spero perciò che lo gradiate.
Ringrazio
chi legge, chi ha messo questa raccolta tra le seguite, preferite, ricordate e
ovviamente chi mi lascia i propri pensierini (hummingbird royaifan, One Day, Una Certa Ragazza, Silvery Lugia)