La verità è che la felicità non esiste. È un momento, un
brivido, un battito di ciglia.
È una sensazione imprevista, a volte quasi dolorosa.
È una perfezione che sfugge e non resta abbastanza da
riscriverti la vita.
Eppure la cerchi comunque; forse è proprio l’illusione che ti
serve ad andare avanti, quando ti pare che niente abbia un senso.
Hermione vive di perfezioni provvisorie, come chiunque abbia
i suoi anni. Non si aspetta che durino, forse, ma s’illude di poter essere
un’eccezione: ha quindici anni e una ridicola pretesa di unicità.
Hermione non pensa che tutto possa finire, perché non vuole;
perché, nella notte fredda, il suo cuore è caldo come non mai, e potrebbe
sciogliere tutto: la diffidenza, l’insicurezza, l’ombra inquietante che avvolge
Draco – la sua pelle di luna e gli occhi senza colore.
“Ehi… Aspetta…”
È una risata nervosa, la sua, superficiale e stupida.
Vorrebbe darsi un tono, ma quella dell’emozione non è mai una melodia gradevole.
Se ti raccontano di campane che suonano, puoi crederci: il sentimento è sempre
stonato, perché è nella dissonanza che cogli il ritmo della vita.
Il silenzio di Draco è una lingua nuova, che parla al suo
corpo, ai suoi bisogni, alla voglia, a una Hermione che non è più pergamena e
polvere, ma sudore e desiderio.
Una Hermione dal Sanguesporco, dal cuore pulito, dai sogni
umidi.
Seduti su gradoni incrostati di brina, sono una primavera
imprevista in una notte di gelo.
Chiude gli occhi e respira dalla bocca di un ragazzo che mai
avrebbe chiamato amico – amante. Amore.
È il momento più glorioso della sua vita; il riscatto del
bruco che spiega le ali.
Hermione sorride su labbra che non le appartengono e sceglie
le parole con cui si racconterà il passato, quando quest’ora sarà ieri e sarà
nebbia.
È così che viviamo tutti: sognandoci in pagine sfogliate da
altri.
E come si vede, Hermione, tra quelle righe?
Cosa dice di sé e per sé?
Non sentivo il freddo, né la notte – perché la notte ha un
suo profumo, sai?
Non sentivo il rimorso, né la vergogna.
Era inatteso, irreale e dolce, come deve essere l’amore
quando arriva.
Frugavo la sua bocca e mi lasciavo toccare. Le sue mani,
sulla mia pelle nuda, erano ora parte di me. La mia parte migliore.
Sotto invisibili stelle, c’eravamo solo noi: centro di un
mondo che nessuno avrebbe mai potuto rubarci.
Non credevo che la vita potesse essere tanto bella, finché
non mi sono offerta a Draco come una pagina bianca.
Le sue parole, sul mio corpo, erano carezze languide e la
promessa di un futuro che avremmo costruito insieme.
Noi due soli: contro ogni legge e pregiudizio e linea di
sangue.
Assapora quella certezza, Hermione, e gode del calore che le
cola dentro, mentre la musica sfuma e l’eco della festa si spegne poco a poco.
Tutto è lontano, sbiadito e incolore, se paragonato all’iride fastosa che le
invade il cuore, al piacevole tepore della stretta di Draco, al brivido
vischioso di un bacio.
“Adesso… Be’, forse è il caso che ci scolliamo un po’…”
È imbarazzata, eppure divertita da questa strana alchimia che
la fa sentire volitiva e potente.
Draco la guarda – il capo inclinato sulla destra, un sorriso
obliquo. “Se t’impegni, sai essere odiosa, vero?”
“Ho anche questa qualità.”
È un sospiro leggero; un piccolo fantasma lattiginoso che la
notte inghiotte.
Le loro dita strette sono un nodo che ricorda un cuore.
“Non ti senti almeno un po’ in colpa?”
“Per cosa?”
“Lo sai.”
Draco si stringe nelle spalle. L’ultimo quarto di luna sfugge
al sudario nerastro e ne illumina le chiome pallide, la pelle candida, le linee
decise degli zigomi.
Tutto è affilato in lui, perché è il suo coltello; la lama
che le ha trafitto il cuore.
Non fa abbastanza male, tuttavia (almeno le pare): novocaina
dell’illusione, sono i prolegomeni d’ogni passione che valga la pena di vivere.
“L’ha scelta mio padre, non io. Quante volte devo ancora
ripetertelo?”
Mille, vorrebbe dirgli Hermione. Confessa mille volte
che non conta niente e che io, invece, sono tutto.
“Dovresti dirglielo, allora.”
“A chi? A lei? A mio padre? Si vede proprio che non
immagini…”
Hermione rotea gli occhi. “Al contrario… Sappiamo entrambi
che ho il piacere di conoscere Lucius Malfoy fin troppo bene… Comunque… Cambiamo
argomento, vuoi? Ho come l’impressione che potremmo litigare di nuovo.”
Draco le accarezza la guancia. “E pretenderesti di avere
ragione, sì… Sei davvero irritante, se vuoi…”
Non è un insulto, quanto un’ammissione di resa.
“… E bella da morire. Dove ti nascondevi?”
Hermione socchiude le palpebre. “Da nessuna parte. Qualcuno,
infatti, mi ha trovato.”
Pensa a Viktor e il cuore si stringe in una morsa. Meritava
un po’ d’affetto, lui. Meritava almeno il rispetto che nasce dalla gratitudine.
“Io sono qui,” sospira Draco. “E non ho intenzione di…”
“… Mollare l’osso. Lo vedo.”
La voce di Krum, arrochita da una rabbia inumana, è
irriconoscibile.
“Viktor…” mormora con un filo di voce. Lo Czar di Durmstrang,
tuttavia, volge altrove lo sguardo.
***
È un Mangiamorte è un Mangiamorte è un Mangiamorte.
Florian divora corridoi e scale, insensibile all’alito gelido
di mille spettri, come alle ombre sinistre che inghiottono i suoi passi.
Alieno al Ballo del Ceppo e ai suoi echi festosi, è una preda
braccata che dispera di trovare una via d’uscita.
Non ce ne sono, pensa con il cuore in gola.
Non ce ne sono perché ha capito di essere troppo debole per
la parte che voleva recitare.
Non ce ne sono perché l’unica persona cui credeva di poter
chiedere aiuto è…
Un Mangiamorte. Un Mangiamorte. Un Mangiamorte.
Siamo circondati.
Draco deve saperlo.
Perché?
Perché l’affetto, quello vero, sopravvive a tutto: alla
rabbia di un istante, alla gelosia, alla solitudine. Rischiano di morire, loro
due: che importanza può mai avere una ripicca da bambini?
“Allora, Von Kessel? Ci hai ripensato?” sogghigna qualcuno
alle sue spalle, mentre fende una massa indistinta di gale e sete e occhi
brillanti e felicità esibita sino a far male.
Non vede Draco, tuttavia; non riesce a individuarlo.
“Hai almeno due ore di ritardo! Avevi promesso che saresti
stato…”
La voce di Daphne è acuta e carica di un palpabile astio, ma
ogni recriminazione le muore in gola come si prende il disturbo di osservarlo:
la camicia sgualcita pende floscia oltre la cinta, i lunghi capelli neri, madidi
e scarmigliati, lo fanno somigliare a uno spinone rabbioso.
“Dov’è Draco?” sibila rauco.
“Mi piacerebbe saperlo, visto il suo inqualificabile
atteggiamento. Ha rovinato la festa ad Astoria! L’ha piantata in asso per
quella…”
Florian, tuttavia, non è più lì ad ascoltarla, perché il
tempo corre e una clessidra impazzita vomiterà presto gli ultimi grani.
Perché lei? Perché ti sei lasciato corrompere?
Urta un paio di coppie. Furibonda, una rossa lentigginosa gli
assesta una gomitata che avverte appena, concentrato com’è in una caccia senza
speranza.
Sta crollando tutto, pensa sgomento; tutti i sogni e i
progetti di un’estate che pare ora lontanissima colano nello scarico di un tempo
senza sconti e senza alibi.
È la realtà e puzza come mai avrebbe immaginato – forse è
vero che difetta di fantasia; forse è solo un bambino.
L’unica certezza resta il dubbio che Severus Piton gli ha
inoculato: non è pronto per il Rubedo. La scorciatoia che cercava era un
vicolo cieco.
***
Tra il sogno e l’incubo sta un confine fragile, una linea
sottile che ti accorgi di aver valicato quando è troppo tardi: quando – a
ragione – te ne sei già pentito.
La mano di Hermione, nella sua, scivola via madida. Le volge
un’occhiata fugace e, soprattutto, le legge in viso un sentimento che lo
disturba: la vergogna.
Davanti a Viktor si sente nuda e sporca e quel che la
contamina è il desiderio di un ragazzo che prenderebbe a morsi persino la luna.
I Malfoy non accettano altra legge che non quella del
desiderio.
Quel Malfoy, poi, nemmeno arriva a intravederla.
“Non ti preoccupare,” bisbiglia, ma Hermione si è già
sollevata, tremante e fiera al contempo, per sfidare un autentico lupo di
Durmstrang.
“Viktor… Io vorrei…”
Krum la sfiora appena con lo sguardo e la pietrifica.
Draco schiude le labbra, ma il cuore gli ingolfa la gola e un
terrore sordo gli romba nelle orecchie. Non ha assecondato l’amichevole
consiglio: il profilo rapace dell’avversario racconta di un predatore che
non cede alla pietà e non tollera ferite.
Men che mai all’orgoglio.
“Che cosa… Che cosa le hai fatto?” balbetta, indifeso davanti
a qualcuno che è già uomo, già soldato, già pronto, forse, alla guerra con cui
si è trastullato senza immaginarne i costi.
Gli occhi di Krum non lo abbandonano: lo pietrificano, anzi,
quasi appartenessero a un’antica chimera di serpi e rancore.
“Non voglio che corra inutili rischi, lei.”
L’interlinea urla, inequivocabile.
Viktor sa che Hermione ha scelto, come sa che, se solo gli
puntasse contro la bacchetta, gli farebbe da scudo. Viktor ha perso, dunque,
eppure…
Draco sorride ed è una smorfia asimmetrica, estorta
dall’arroganza dell’età e da un sacrosanto terrore. “Lei,” sottolinea con
maligno compiacimento, “è dalla mia parte.”
Krum non muove un muscolo. Della timidezza maldestra che lo
rallenta, quando deve affrontare Hermione, non resta niente: la caccia è il suo
terreno, il suo mondo, un’arena congeniale.
Non ha bisogno d’incantesimi per fargli male e Draco ne è
consapevole: quando il colpo verrà, dovrà anticiparne il cozzo.
Si morde le labbra. Madide, le dita cercano la bacchetta.
“No, non ne sono sicuro.”
La voce di Viktor è bassa e sorda come il ringhio di una
bestia in caccia. Del suo eccezionale controllo di atleta, ne resta a stento
perché non lo agganci al collo e lo trascini nella neve.
Io l’avrei fatto, pensa Draco. A Krum, tuttavia,
assecondare l’impeto non interessa quanto annientarlo. Sul serio.
La vendetta è un veleno che va sorbito e metabolizzato con
pazienza, perché lo si possa sputare in faccia al nemico.
La bacchetta continua a scivolare nel palmo sempre più umido.
“Ti avevo avvertito, Malfoy. Ti avevo detto di giocare
pulito.”
Un passo avanti. Un passo indietro.
“Ti avevo pregato, soprattutto, di lasciarla fuori dai tuoi
loschi traffici… Quali essi siano.”
Draco allarga le braccia: un gesto di sfida – o di resa.
Un modo per fargli capire che le sue parole non lo toccano,
perché ha la coscienza immacolata. Perché è Draco Malfoy.
“E ora hai passato la linea.”
Le ultime parole di Viktor si condensano nell’aria in un
impalpabile, candido sbuffo; solida e spaventosa, la sua ombra incombe oscurando
la luna.
Draco deglutisce a fatica, ma è un soldato di Voldemort, non
un coniglio: ha giurato a se stesso che non avrà più paura.
Krum lo disarma senza muovere le labbra, mentre il suo volto
muta al debole chiarore di un satellite che rende ora spettrale il lucore
lattescente del ghiaccio e della neve.
La mascella si allunga e si arma; le orbite affondano nel
muso e quasi svaniscono, davanti all’imponenza di un grugno da maiale selvatico.
Draco arretra inorridito. Viktor schiude le fauci per
leccarsi le zanne e ride – lo squittio acuto e terrificante di un verro a caccia
di sangue.
Frango. Frango. Frango.
Fissa la terra e suda freddo, ma non è Florian e il suolo non
si apre: è troppo spaventato per trovare in sé la concentrazione necessaria a
indirizzare una fattura senza bacchetta. Cerca con lo sguardo Hermione,
incantevole bambola accarezzata dalla luna – le labbra appena dischiuse, gli
occhi vuoti.
Non potrà aiutarlo. Non questa volta.
“Pensa bene a quello che fai,” mormora. “Vuoi essere
squalificato, Viktor? Vuoi che…”
La terra gli manca da sotto i piedi e una corrente
d’inusitata violenza lo solleva e lo schianta sui gradoni in cui l’ha avuta –
stretta, morsa, leccata.
Uno spruzzo di saliva mista a sangue nebulizza l’aria. Oltre
la nebbia che gli offusca lo sguardo, la vede brillare, baciata da un ultimo
raggio di luna.
Il mostro dalla testa di porco lo afferra alla gola e lo
costringe a rialzarsi.
Sul fondo di quei piccoli occhi colmi d’odio non c’è né
rimorso, né pietà.
“Lei non merita…”
***
“Lasciami indovinare: anche tu sei stato piantato in asso?”
Ron si stringe nelle spalle, scoraggiato eppure dignitoso in
quel brutto vestito da tarme e naftalina. Harry gli porge un calice e mima un
brindisi pieno di sarcasmo autoreferenziale: per essere l’eroe di Hogwarts, di
sicuro non vale granché come anima della festa.
“Questo ballo fa schifo,” mugugna Ron. “L’unica che si sta
divertendo, è Hermione.”
Harry sogghigna, perché c’è, nel tono di Weasley, una punta
di gelosia e possesso che lo rassicura.
Sono una squadra, loro tre: si appartengono per ragioni che
trascendono il sangue e creano vincoli indissolubili.
“Geloso?”
Le orecchie di Ron prendono fuoco. “Io? Perché dovrei? Se le
va di fare la smorfiosa con questo e con quello e…”
“E?” lo incalza divertito Harry.
“… E che fine ha fatto? È da un po’ che è sparita, non ti
pare?”
“Be’… Durante la cena, lei e Viktor…”
Ron arriccia le labbra. “Non sto pensando a Krum. È con
Malfoy che l’ho vista uscire.”
Harry si alza di scatto, obbedendo a un istinto di pancia e
di cuore.
“Non piace nemmeno a me,” bisbiglia Ron. “Andiamo a dare
un’occhiata?”
È già pronto ad annuire, quando intercetta l’ennesima ombra
di una notte che non è forse ben illuminata come credeva.
Florian Von Kessel.
***
“Non dovevi entrare nel mio territorio.”
La bacchetta di Viktor preme alla radice del naso. Chiude gli
occhi, Draco, e trattiene il fiato.
“Smettetela… Basta! Per favore… Basta!” urla una voce che
conosce fin troppo bene.
Viktor nemmeno si volge. “Stanne fuori o ce ne sarà anche…”
Gli occhi di Florian brillano nel buio come quelli di una
fiera; sulle sue labbra, tuttavia, trema un bambino.
“Tutto questo… Tutto questo per una Sanguesporco? L’onore di
Durmstrang… Quello che rappresentiamo… Siete pronti a perderlo per una nata
Babbana?”
“A chi importa del sangue?” sibila Krum.
A me, pensa Draco, ma è troppo tardi.
La perfezione di Hermione era un miraggio; i suoi sentimenti,
l’ennesima, inemendabile macchia.