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Autore: Alexandra_ph    11/03/2012    1 recensioni
Questo racconto natalizio è stato scritto a quattro mani nel dicembre 2004. Lo pubblico sotto il mio nick su richiesta della mia socia, ma è firmato ALEX e DESI.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Jennifer Coates, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Casa Roberts - Rosslyn, Virginia
sera della Vigilia

 

Quando alcuni giorni prima durante il loro incontro Bud lo aveva invitato alla festa, l’aveva già informato delle novità accorse al JAG. Non sapeva come definire la sensazione che aveva provato sapendo che parte delle persone con cui aveva lavorato se n’erano andate. Ripensò a Tiner, il giovane Sottufficiale attendente dell’Ammiraglio Chegwidden, l’amico con cui si divertiva a competere scherzosamente, e che aveva ormai intrapreso la strada della sua carriera di avvocato militare; al Tenente Loren Singer, la cui morte, sebbene come persona non gli fosse mai stata particolarmente simpatica, lo turbò molto; ad Harriet, la solare moglie di Bud, dimessasi per portare a termine una gravidanza gemellare. Si chiedeva come facessero ora la mattina senza i suoi sorrisi dolci e confortanti che accoglievano chiunque entrasse negli uffici del JAG. Ed infine ripensò alla notizia che più di tutte l’aveva sorpreso: il pensionamento dell’Ammiraglio. Bud gli aveva raccontato della festa d’addio data in suo onore, che strano effetto gli aveva fatto. Gli dispiacque di non esserci stato in un momento così importante. Dov’era ora il suo superiore? L’avrebbe più rivisto?

Suonò il campanello di casa Roberts pensieroso, ma al contempo felice, perché avrebbe comunque trascorso qualche ora assieme agli altri rimasti. Avrebbe rivisto Mac ed Harm in condizioni più favorevoli rispetto all’ultima volta che si erano incontrati. Era stato mesi prima in Paraguay, dove per poco non ci rimettevano tutti la vita. Per fortuna erano tipi tosti, avevano portato a termine la missione ed erano tornati ai rispettivi incarichi, se non proprio tutti sani, per lo meno salvi.

Si era messo a fissare la decorazione che addobbava l’ingresso quando sentì una voce gioiosa chiamarlo per nome.

“Galindez!”. Il viso allegro di Harriet fece la sua comparsa da dietro il portone e non ebbe neppure il tempo di abbozzare un saluto ché la giovane mamma lo stava già abbracciando contenta di rivederlo. Lo accompagnò al guardaroba e poi lo condusse nella sala dove si teneva il rinfresco.

“Mettiti a tuo agio, sul tavolo laggiù troverai da bere e da mangiare. Ora scusa ma vado a vedere cosa combina Bud in cucina…”, si fermò a guardarlo sorridente e prima di voltarsi per andare dal marito aggiunse, “Non potevo sperare in un regalo più gradito. Anche tu sei di nuovo tra noi a festeggiare il Natale!”

“Grazie, Harriet. Sono felice anche io di rivedervi.” E lasciato solo cominciò a guardarsi attorno. C’erano già alcune persone nella stanza, le loro voci si mescolavano alle dolci note delle canzoni natalizie. Cercò con lo sguardo qualche volto conosciuto; riconobbe il fratello di Bud, che si aggirava con un vassoio pieno di tartine in equilibrio su una mano, e vide il piccolo AJ giocare seduto sul tappeto, intento a spiegare qualcosa all’uomo che gli stava vicino. Si fermò, e come se avesse avuto un’allucinazione sbatté più volte le palpebre… E capì perché l’ultima frase di Harriet gli era suonata strana. Quel “anche tu sei di nuovo tra noi” aveva un significato ben preciso… non era l’unico ad essere tornato tra i vecchi amici, qualcun altro era arrivato prima di lui. L’Ammiraglio Chegwidden gli dava le spalle mentre si destreggiava dando attenzione al bambino e conversando con l’altro militare al suo fianco, che Galindez riconobbe all’istante: era l’uomo da cui dipendeva il suo futuro lavoro, il Generale Cresswell.

Andò verso di loro per salutarli, un po’ timoroso in verità di affrontare Cresswell, ma smanioso di poter stringere nuovamente la mano all’Ammiraglio.

I due uomini si accorsero di lui prima ancora che li raggiungesse e non sembrarono affatto stupiti di vederlo lì. Anzi, pareva quasi che lo stessero aspettando. Cercò di non far caso all’impressione che aveva avuto e li salutò calorosamente.

“Galindez!” proruppe l’Ammiraglio ricambiando la stretta di mano. “Ero stato informato del tuo ritorno, speravo proprio di incontrarti. Ho saputo che hai fatto richiesta di essere reintegrato al JAG.”

“Sì, Signore. La mia collaborazione con la CIA può dirsi conclusa per il momento… Lei come l’ha saputo, Signore?”

“Chiamami AJ, Gunny, ora non sono più io il tuo diretto superiore”

“No, ha ragione…”, abbassò lo sguardo per un attimo, ma lo rialzò quasi subito, come se all’improvviso si fosse reso conto che Chegwidden gli aveva fatto una rivelazione. “Scusi? cosa intende dire?”

“Come, Gordon…” si rivolse al suo sostituto, che nel frattempo era andato a prendere qualcosa da bere per lasciarli parlare da soli. “Non gli ha ancora detto niente?”

“Detto cosa, Signore?” chiese Galindez, che cominciava a sentirsi nervoso.

“Ho valutato la sua richiesta, Sergente” disse Cresswell guardandolo negli occhi. “Le avevo detto che avrebbe avuto una risposta dopo Natale, ma dato che siamo tutti qui e che la mia decisione l’ho presa, non vedo cosa ci sia da aspettare.”

Galindez era sempre più impaziente. Pur mantenendo un’espressione seria e composta, dentro di sé si sentiva in subbuglio.

Il Generale proseguì. “Mi sono informato su di lei, ed ho avuto la conferma di ciò che avevo dedotto dal suo curriculum, e cioè che è un ottimo ufficiale…”

“Grazie, Signore…”, farfugliò, sentendo che non riusciva più a star fermo. Perché non la smetteva di girarci attorno e non veniva subito al dunque? E perché l’Ammiraglio sorrideva compiaciuto?

Cresswell lanciò uno sguardo ammiccante all’Ammiraglio, sorrise e si rivolse al giovane ufficiale che aveva lasciato sulle spine. “Bentornato al Jag, Sergente! Tra due giorni la voglio nel mio ufficio per ufficializzare il suo reintegro.”

Una mano si posò sulle sue spalle dandogli un leggero colpetto. L’Ammiraglio lo stava guardando soddisfatto e orgoglioso.

“Sissignore! Grazie, Signore!”, scattò sull’attenti pronunciando queste parole, e provocò una risata ad entrambi i suoi superiori. Non erano necessarie tutte quelle formalità, ma reagì d’istinto, non sapendo in quel momento come altro comportarsi. Era talmente contento che non si accorse della persona che era appena arrivata.

 

***

 

Non ci aveva impiegato molto a prepararsi, era andata sicura sull’elegante non troppo impegnato. Perché avrebbe dovuto perdere tanto tempo? Non doveva piacere a nessuno, solo a se stessa; e per se stessa i vestiti che aveva scelto andavano più che bene. Aveva deciso di indossare un paio di pantaloni di lanetta grigio topo con la piega sul davanti e di accompagnarli con un dolcevita nero attillato con un ricamo di brillantini sul petto. Una giacca elegante sempre nera e con i bottoni dorati completava il suo abbigliamento.

Le bastò entrare nella stanza del rinfresco e guardarsi attorno per pentirsi della sua scelta. Perché non aveva indossato il tubino nero che aveva comprato qualche mese prima? Scendeva leggero accompagnando la figura del corpo fino alle ginocchia. Semplice, ma più elegante, più femminile. Senz’altro più adatto per far colpo su qualcuno… per far colpo sul giovane militare che da qualche giorno si era impossessato dei suoi pensieri e che ora era lì, alla stessa festa a cui era stata invitata anche lei, e conversava allegro con il Generale Cresswell e l’Ammiraglio Chegwidden. Trovarlo in quel posto la sorprese più ancora della presenza dell’Ammiraglio. Era felice di rivedere il suo superiore, sarebbe andata subito a salutarlo, e perché no? anche ad abbracciarlo, desiderosa di fargli sapere che le mancava e che era grata di aver lavorato per lui. Ma il fatto che con lui ci fosse anche quel giovane ufficiale le impediva di comportarsi nel suo solito modo spontaneo.

Era rimasta immobile esattamente nel punto in cui si trovava appena lo aveva visto. Non si era accorto che era arrivata, e comunque, cosa le faceva pensare che si sarebbe ricordato di lei? Ed anche fosse, perché mai avrebbe dovuto aspettarsi di vederla lì?

La sua vista la turbava, lei invece aveva desiderato incontrarlo di nuovo, ma non si sarebbe mai immaginata di vederlo proprio la Vigilia di Natale a casa Roberts. Non era preparata. Si sentiva sciocca, ma non poteva farci niente, sentiva che se il suo sguardo si fosse posato su di lei, sarebbe inevitabilmente arrossita. Cercò di arginare i suoi pensieri e cominciò a chiedersi come mai anche lui fosse lì. Chi conosceva?

Lo stava ancora fissando quando incontrò i suoi occhi neri. Arrossì. Si sentì colta sul fatto e sorrise imbarazzata, senza riuscire comunque a distogliere lo sguardo.

Lo vide scusarsi con gli uomini che erano con lui e dirigersi nella sua direzione.

Possibile che i suoi desideri si stessero realizzando? Si ricordava di lei?

La raggiunse fermandosi di fronte a lei e guadandola intensamente negli occhi. Sentiva il cuore martellarle nel petto, e si accorse di trattenere il respiro. Sarebbe riuscita a parlare?

“Ciao…”, la profondità della sua voce fece sussultare Jennifer anche in quel momento. “Credevo che non ti avrei più rivista”, quel timbro dolce la avvolse e le provocò un’ondata di  calore che si diffuse nel petto. Che stava facendo? Perché se ne restava imbambolata invece di rispondere?

“Ciao… anche io non pensavo di vederla qui…”, non riuscì ad evitare il leggero tremolio delle sue parole, anche se cercò di parlare mantenendo un tono fermo ed usando ancora, al contrario di lui, il pronome di cortesia, per creare una certa distanza che credeva le avrebbe permesso di sentirsi meno vulnerabile.

Non gli sfuggì il modo in cui gli si era rivolta, ma aveva deciso che voleva entrare un po’ più in confidenza con lei, per cui non cedette al tono formale che sembrava volesse mantenere lei.

“Non ti ho ancora ringraziata per quel giorno, per le informazioni che mi hai dato”. Che stava dicendo? Tra tutte le cose che poteva dirle, proprio una frase così banale e stupida doveva pronunciare?

“Non ho fatto niente di speciale. E comunque… mi avevi già ringraziata.”

La risposta non lo stupì, doveva aspettarsela. Certo che non le sfuggiva nulla, non gliene avrebbe lasciata passare una. Meglio rimediare alla svelta, non voleva dare l’impressione dell’allocco, non a quella ragazza dall’aria sbarazzina e da quei meravigliosi capelli castani. Vinse la tentazione di sistemarle dietro l’orecchio una ciocca che le ricadeva sulla spalla per poter infilare le dita in quei lunghissimi fili sottili e lucenti.

“Sì, ma sono stato comunque maleducato. Non mi sono neppure presentato.”

Jen sentì che l’imbarazzo iniziale stava lasciando posto ad una calda sensazione di benessere. “Questo è vero”, cominciò a rilassarsi. “Perché non rimedi ora?”

Finalmente, gli parve di percepire una maggior apertura nella sua interlocutrice. Sorrideva complice, se lo prendeva in giro significava che dopotutto poteva nutrire qualche speranza.

Stava per fare il saluto e presentarsi come avrebbe fatto con un ufficiale di alto rango quando alle sue spalle qualcuno lo precedette.

“Gunny! Sei proprio tu?”

Si voltò, quasi volesse fulminare con lo sguardo la persona che aveva interrotto la conversazione che dal giorno dell’archivio sperava di avere con quella ragazza, di cui ancora non sapeva il nome. L’avrebbe mai scoperto? Il fastidio che aveva provato per l’improvvisa interruzione sparì appena si rese conto di chi fosse quella voce.

“Capitano! Colonnello! È un piacere rivedervi. Mi hanno riferito del suo incidente, come sta?”

“Bene, Gunny, mi hanno dimesso poco fa. Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?”

E mentre il giovane ufficiale, che a quanto pareva conosceva molto bene tutto lo staff del JAG, forse meglio di lei, rispondeva alle domande di Mac e Harm, Jennifer Coates si allontanò, delusa per non aver ancora saputo nulla sul suo conto. Per saziare la curiosità e l’interesse che provava per lui sarebbe potuta rimanere ad ascoltare la conversazione, ma in quel momento si sentiva di troppo, quasi un’intrusa e senza dire una parola andò a prendere qualcosa da bere.

Era accanto al tavolo del rinfresco e stava sorseggiando la bibita che si era versata senza neppure prestare attenzione a cosa fosse, assorta nei suoi pensieri, quando il terzetto le si avvicinò. Sorrise a tutti e tre, ma distolse quasi subito lo sguardo dall’uomo che aveva sentito chiamare “Gunny”. Quei tre dovevano conoscersi molto bene, ma perché?

Quasi intuendo qualcosa, Harm guardò prima l’uno e poi l’altra.

“Voi due vi conoscete?”, chiese, ricordando che prima di interromperli stavano parlando tra di loro.

“A dir la verità non proprio…”, rispose Jennifer.

“Ci siamo visti qualche giorno fa al JAG, stavo giusto per presentarmi poco fa”, aggiunse Gunny.

“Bè, allora direi di passare alle presentazioni. Gunny, lei è il Sottufficiale Jennifer Coates, l’attendente del Generale Cresswell, ha preso il posto di Tiner. Jen, lui e’ il Sergente d’artiglieria Victor Galindez, è stato un membro del nostro staff prima di far richiesta per entrare in servizio attivo, ma a quanto pare sarà di nuovo dei nostri.”

Harm diede un colpetto sulla spalla del sergente e sorrise, con l’espressione di un bambino che ha appena fatto una buona azione. Poi, mettendo una mano sulla schiena di Mac e sospingendola dolcemente come se volesse guidarla per portarla dovunque fosse andato lui e non perderla un istante, andò a salutare gli altri ospiti, lasciandoli di nuovo soli.

Si fissarono ancora una volta negli occhi, senza saper cosa dire. Tante erano le domande che si sarebbero voluti fare, ora che avevano scoperto i rispettivi nomi avrebbero voluto conoscere di più l’uno dell’altra, ma non sapevano da dove iniziare.

“Piacere”, disse Victor abbozzando un sorriso, “puoi chiamarmi Gunny, come fanno tutti.”

 

***

 

“Perché quel sorriso sotto i baffi?” chiese Mac mentre Harm la spingeva lontano da Jennifer e Galindez, “e perché mi stai allontanando da Gunny così rapidamente? Volevo chiacchierare ancora un po’ con lui…”

“Ma… non hai notato nulla?” chiese lui, con uno sguardo divertito.

“Cosa avrei dovuto notare?” domandò lei con finta aria ingenua.

“Non hai visto come Jen lo guardava? E come Victor se la mangiava con gli occhi?” la voce sorrideva, mentre  ammiccava verso i due giovani.

“Capitano, mi sorprendi! E da quando sei più perspicace di me per queste cose?” chiese lei, divertita e felice da questo momento di complicità che si era creato tra loro, quasi come ai vecchi tempi. Era bello stare con lui così… Chissà se, poco alla volta, sarebbero riusciti a ritrovare la loro amicizia che il suo rapporto con Webb aveva incrinato. Lo sperava davvero.

“Che il Natale mi abbia reso più romantico?” disse Harm, guardandola negli occhi. Dio, quanto era bella! Aveva voglia di essere solo con lei, vederla aprire la porta di casa sua e trovare la sorpresa che le aveva preparato. Chissà come avrebbe reagito? Si sentiva agitato, come un bambino all’arrivo di Babbo Natale.

“A quanto pare l’atmosfera natalizia non rende romantico solo te…” disse Mac, toccandolo su un braccio e indicandogli con un cenno Jen e Victor che si erano allontanati dal buffet ed ora, in un angolo appartato, sembravano assorti in una interessante conversazione, a giudicare dai loro sguardi. Anche se lei era convinta che le parole che si scambiavano in quel momento non avevano grande importanza… i sentimenti che trasparivano dai loro occhi erano decisamente più importanti.

Sorrise dolcemente pensando a quanto sia bello e speciale il momento dell’innamoramento: quel guardarsi misterioso che fa battere il cuore, quello scoprirsi incatenati con gli occhi e con il desiderio di voler andare oltre, senza ben sapere dove e quando… immaginare uno sfioramento, il primo bacio, il primo abbraccio…

Si voltò verso Harm e sentì il cuore batterle forte, come la prima volta che lo aveva visto, dieci anni prima. Possibile? Possibile che fosse tutto ancora come allora?

Lui le sorrise, con quel sorriso che le rubava il cuore ogni volta e lei comprese che sì, per lei tutto era come allora: quel legame di sguardi che era nato tra loro fin dalla prima volta esisteva ancora, nonostante tutto.

“Credo sia ora di andare in chiesa” la voce di Harm la distolse dai suoi pensieri. Si guardò attorno e osservò che tutti si stavano preparando per uscire. Vide Victor mentre aiutava Jennifer ad indossare il cappotto e sorrise all’idea che, forse, quella notte avrebbe portato con sé un nuovo amore.

“Perché sorridi?” un sussurro al suo orecchio le fece scendere un brivido lungo la spina dorsale. Voltò appena il capo e si trovò le labbra di Harm talmente vicine che dovette trattenersi dallo sfiorargliele con un bacio. Lui si spostò appena e le porse il cappotto che aveva recuperato, per aiutarla ad indossarlo.

“Pensavo all’amore…” rispose infilandoselo e ringraziando il suo cavaliere con un sorriso. Poi aiutò lui ad indossare il suo e gli si avvicinò un poco per sistemargli il risvolto… Quanto avrebbe dato perché in quel momento lui la abbracciasse e la baciasse…

Harm le sorrise e le sfiorò il volto con una carezza dolcissima; poi la prese per mano e uscirono assieme agli altri per partecipare alla funzione.

 

  
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