Casa
Roberts - Rosslyn, Virginia
sera della Vigilia
Quando alcuni giorni prima
durante il loro incontro
Bud lo aveva invitato alla festa, l’aveva già informato delle novità
accorse al
JAG. Non sapeva come definire la sensazione che aveva provato sapendo
che parte
delle persone con cui aveva lavorato se n’erano andate. Ripensò a
Tiner, il
giovane Sottufficiale attendente dell’Ammiraglio Chegwidden, l’amico
con cui si
divertiva a competere scherzosamente, e che aveva ormai intrapreso la
strada
della sua carriera di avvocato militare; al Tenente Loren Singer, la
cui morte,
sebbene come persona non gli fosse mai stata particolarmente simpatica,
lo
turbò molto; ad Harriet, la solare moglie di Bud, dimessasi per portare
a
termine una gravidanza gemellare. Si chiedeva come facessero ora la
mattina
senza i suoi sorrisi dolci e confortanti che accoglievano chiunque
entrasse
negli uffici del JAG. Ed infine ripensò alla notizia che più di tutte
l’aveva
sorpreso: il pensionamento dell’Ammiraglio. Bud gli aveva raccontato
della
festa d’addio data in suo onore, che strano effetto gli aveva fatto.
Gli
dispiacque di non esserci stato in un momento così importante. Dov’era
ora il
suo superiore? L’avrebbe più rivisto?
Suonò il campanello di casa
Roberts pensieroso, ma
al contempo felice, perché avrebbe comunque trascorso qualche ora
assieme agli
altri rimasti. Avrebbe rivisto Mac ed Harm in condizioni più favorevoli
rispetto all’ultima volta che si erano incontrati. Era stato mesi prima
in
Paraguay, dove per poco non ci rimettevano tutti la vita. Per fortuna
erano
tipi tosti, avevano portato a termine la missione ed erano tornati ai
rispettivi incarichi, se non proprio tutti sani, per lo meno salvi.
Si era messo a fissare la
decorazione che addobbava
l’ingresso quando sentì una voce gioiosa chiamarlo per nome.
“Galindez!”. Il viso allegro
di Harriet fece la sua
comparsa da dietro il portone e non ebbe neppure il tempo di abbozzare
un
saluto ché la giovane mamma lo stava già abbracciando contenta di
rivederlo. Lo
accompagnò al guardaroba e poi lo condusse nella sala dove si teneva il
rinfresco.
“Mettiti a tuo agio, sul
tavolo laggiù troverai da
bere e da mangiare. Ora scusa ma vado a vedere cosa combina Bud in
cucina…”, si
fermò a guardarlo sorridente e prima di voltarsi per andare dal marito
aggiunse, “Non potevo sperare in un regalo più gradito. Anche tu sei di
nuovo
tra noi a festeggiare il Natale!”
“Grazie, Harriet. Sono felice
anche io di
rivedervi.” E lasciato solo cominciò a guardarsi attorno. C’erano già
alcune
persone nella stanza, le loro voci si mescolavano alle dolci note delle
canzoni
natalizie. Cercò con lo sguardo qualche volto conosciuto; riconobbe il
fratello
di Bud, che si aggirava con un vassoio pieno di tartine in equilibrio
su una
mano, e vide il piccolo AJ giocare seduto sul tappeto, intento a
spiegare
qualcosa all’uomo che gli stava vicino. Si fermò, e come se avesse
avuto
un’allucinazione sbatté più volte le palpebre… E capì perché l’ultima
frase di
Harriet gli era suonata strana. Quel “anche tu sei di nuovo tra noi”
aveva un
significato ben preciso… non era l’unico ad essere tornato tra i vecchi
amici,
qualcun altro era arrivato prima di lui. L’Ammiraglio Chegwidden gli
dava le
spalle mentre si destreggiava dando attenzione al bambino e conversando
con
l’altro militare al suo fianco, che Galindez riconobbe all’istante: era
l’uomo
da cui dipendeva il suo futuro lavoro, il Generale Cresswell.
Andò verso di loro per
salutarli, un po’ timoroso in
verità di affrontare Cresswell, ma smanioso di poter stringere
nuovamente la
mano all’Ammiraglio.
I due uomini si accorsero di
lui prima ancora che li
raggiungesse e non sembrarono affatto stupiti di vederlo lì. Anzi,
pareva quasi
che lo stessero aspettando. Cercò di non far caso all’impressione che
aveva
avuto e li salutò calorosamente.
“Galindez!” proruppe
l’Ammiraglio ricambiando la
stretta di mano. “Ero stato informato del tuo ritorno, speravo proprio
di
incontrarti. Ho saputo che hai fatto richiesta di essere reintegrato al
JAG.”
“Sì, Signore. La mia
collaborazione con la CIA può
dirsi conclusa per il momento… Lei come l’ha saputo, Signore?”
“Chiamami AJ, Gunny, ora non
sono più io il tuo
diretto superiore”
“No, ha ragione…”, abbassò lo
sguardo per un attimo,
ma lo rialzò quasi subito, come se all’improvviso si fosse reso conto
che
Chegwidden gli aveva fatto una rivelazione. “Scusi? cosa intende dire?”
“Come, Gordon…” si rivolse al
suo sostituto, che nel
frattempo era andato a prendere qualcosa da bere per lasciarli parlare
da soli.
“Non gli ha ancora detto niente?”
“Detto cosa, Signore?” chiese
Galindez, che
cominciava a sentirsi nervoso.
“Ho valutato la sua richiesta,
Sergente” disse
Cresswell guardandolo negli occhi. “Le avevo detto che avrebbe avuto
una
risposta dopo Natale, ma dato che siamo tutti qui e che la mia
decisione l’ho
presa, non vedo cosa ci sia da aspettare.”
Galindez era sempre più
impaziente. Pur mantenendo
un’espressione seria e composta, dentro di sé si sentiva in subbuglio.
Il Generale proseguì. “Mi sono
informato su di
lei, ed ho avuto la conferma di ciò che avevo dedotto dal suo
curriculum, e
cioè che è un ottimo ufficiale…”
“Grazie, Signore…”, farfugliò,
sentendo che non
riusciva più a star fermo. Perché non la smetteva di girarci attorno e
non
veniva subito al dunque? E perché l’Ammiraglio sorrideva compiaciuto?
Cresswell lanciò uno sguardo
ammiccante
all’Ammiraglio, sorrise e si rivolse al giovane ufficiale che aveva
lasciato
sulle spine. “Bentornato al Jag, Sergente! Tra due giorni la voglio nel
mio
ufficio per ufficializzare il suo reintegro.”
Una mano si posò sulle sue
spalle dandogli un leggero
colpetto. L’Ammiraglio lo stava guardando soddisfatto e orgoglioso.
“Sissignore! Grazie,
Signore!”, scattò sull’attenti
pronunciando queste parole, e provocò una risata ad entrambi i suoi
superiori.
Non erano necessarie tutte quelle formalità, ma reagì d’istinto, non
sapendo in
quel momento come altro comportarsi. Era talmente contento che non si
accorse
della persona che era appena arrivata.
***
Non ci aveva impiegato molto a
prepararsi, era
andata sicura sull’elegante non troppo impegnato. Perché avrebbe dovuto
perdere
tanto tempo? Non doveva piacere a nessuno, solo a se stessa; e per se
stessa i
vestiti che aveva scelto andavano più che bene. Aveva deciso di
indossare un
paio di pantaloni di lanetta grigio topo con la piega sul davanti e di
accompagnarli
con un dolcevita nero attillato con un ricamo di brillantini sul petto.
Una
giacca elegante sempre nera e con i bottoni dorati completava il suo
abbigliamento.
Le bastò entrare nella stanza
del rinfresco e
guardarsi attorno per pentirsi della sua scelta. Perché non aveva
indossato il
tubino nero che aveva comprato qualche mese prima? Scendeva leggero
accompagnando la figura del corpo fino alle ginocchia. Semplice, ma più
elegante, più femminile. Senz’altro più adatto per far colpo su
qualcuno… per far
colpo sul giovane militare che da qualche giorno si era impossessato
dei suoi
pensieri e che ora era lì, alla stessa festa a cui era stata invitata
anche
lei, e conversava allegro con il Generale Cresswell e l’Ammiraglio
Chegwidden. Trovarlo in quel posto la sorprese più ancora della
presenza
dell’Ammiraglio. Era felice di rivedere il suo superiore, sarebbe
andata subito
a salutarlo, e perché no? anche ad abbracciarlo, desiderosa di fargli
sapere
che le mancava e che era grata di aver lavorato per lui. Ma il fatto
che con
lui ci fosse anche quel giovane ufficiale le impediva di comportarsi
nel suo
solito modo spontaneo.
Era rimasta immobile
esattamente nel punto in cui si
trovava appena lo aveva visto. Non si era accorto che era arrivata, e
comunque,
cosa le faceva pensare che si sarebbe ricordato di lei? Ed anche fosse,
perché
mai avrebbe dovuto aspettarsi di vederla lì?
La sua vista la turbava, lei
invece aveva desiderato
incontrarlo di nuovo, ma non si sarebbe mai immaginata di vederlo
proprio la
Vigilia di Natale a casa Roberts. Non era preparata. Si sentiva
sciocca, ma non
poteva farci niente, sentiva che se il suo sguardo si fosse posato su
di lei,
sarebbe inevitabilmente arrossita. Cercò di arginare i suoi pensieri e
cominciò
a chiedersi come mai anche lui fosse lì. Chi conosceva?
Lo stava ancora fissando
quando incontrò i suoi
occhi neri. Arrossì. Si sentì colta sul fatto e sorrise imbarazzata,
senza
riuscire comunque a distogliere lo sguardo.
Lo vide scusarsi con gli
uomini che erano con lui e
dirigersi nella sua direzione.
Possibile che i suoi desideri
si stessero
realizzando? Si ricordava di lei?
La raggiunse fermandosi di
fronte a lei e guadandola
intensamente negli occhi. Sentiva il cuore martellarle nel petto, e si
accorse
di trattenere il respiro. Sarebbe riuscita a parlare?
“Ciao…”, la profondità della
sua voce fece
sussultare Jennifer anche in quel momento. “Credevo che non ti avrei
più
rivista”, quel timbro dolce la avvolse e le provocò un’ondata di calore che si diffuse nel
petto. Che stava
facendo? Perché se ne restava imbambolata invece di rispondere?
“Ciao… anche io non pensavo di
vederla qui…”, non
riuscì ad evitare il leggero tremolio delle sue parole, anche se cercò
di
parlare mantenendo un tono fermo ed usando ancora, al contrario di lui,
il
pronome di cortesia, per creare una certa distanza che credeva le
avrebbe
permesso di sentirsi meno vulnerabile.
Non gli sfuggì il modo in cui
gli si era rivolta, ma
aveva deciso che voleva entrare un po’ più in confidenza con lei, per
cui non
cedette al tono formale che sembrava volesse mantenere lei.
“Non ti ho ancora ringraziata
per quel giorno, per
le informazioni che mi hai dato”. Che stava dicendo? Tra tutte le cose
che
poteva dirle, proprio una frase così banale e stupida doveva
pronunciare?
“Non ho fatto niente di
speciale. E comunque… mi
avevi già ringraziata.”
La risposta non lo stupì,
doveva aspettarsela. Certo
che non le sfuggiva nulla, non gliene avrebbe lasciata passare una.
Meglio
rimediare alla svelta, non voleva dare l’impressione dell’allocco, non
a quella
ragazza dall’aria sbarazzina e da quei meravigliosi capelli castani.
Vinse la
tentazione di sistemarle dietro l’orecchio una ciocca che le ricadeva
sulla
spalla per poter infilare le dita in quei lunghissimi fili sottili e
lucenti.
“Sì, ma sono stato comunque
maleducato. Non mi sono
neppure presentato.”
Jen sentì che l’imbarazzo
iniziale stava lasciando
posto ad una calda sensazione di benessere. “Questo è vero”, cominciò a
rilassarsi. “Perché non rimedi ora?”
Finalmente, gli parve di
percepire una maggior
apertura nella sua interlocutrice. Sorrideva complice, se lo prendeva
in giro
significava che dopotutto poteva nutrire qualche speranza.
Stava per fare il saluto e
presentarsi come avrebbe
fatto con un ufficiale di alto rango quando alle sue spalle qualcuno lo
precedette.
“Gunny! Sei proprio tu?”
Si voltò, quasi volesse
fulminare con lo sguardo la
persona che aveva interrotto la conversazione che dal giorno
dell’archivio
sperava di avere con quella ragazza, di cui ancora non sapeva il nome.
L’avrebbe mai scoperto? Il fastidio che aveva provato per l’improvvisa
interruzione sparì appena si rese conto di chi fosse quella voce.
“Capitano! Colonnello! È un
piacere rivedervi. Mi
hanno riferito del suo incidente, come sta?”
“Bene, Gunny, mi hanno dimesso
poco fa. Tu,
piuttosto, cosa ci fai qui?”
E mentre il giovane ufficiale,
che a quanto pareva
conosceva molto bene tutto lo staff del JAG, forse meglio di lei,
rispondeva
alle domande di Mac e Harm, Jennifer Coates si allontanò, delusa per
non aver
ancora saputo nulla sul suo conto. Per saziare la curiosità e
l’interesse che
provava per lui sarebbe potuta rimanere ad ascoltare la conversazione,
ma in
quel momento si sentiva di troppo, quasi un’intrusa e senza dire una
parola
andò a prendere qualcosa da bere.
Era accanto al tavolo del
rinfresco e stava
sorseggiando la bibita che si era versata senza neppure prestare
attenzione a
cosa fosse, assorta nei suoi pensieri, quando il terzetto le si
avvicinò.
Sorrise a tutti e tre, ma distolse quasi subito lo sguardo dall’uomo
che aveva
sentito chiamare “Gunny”. Quei tre dovevano conoscersi molto bene, ma
perché?
Quasi intuendo qualcosa, Harm
guardò prima l’uno e
poi l’altra.
“Voi due vi conoscete?”,
chiese, ricordando che
prima di interromperli stavano parlando tra di loro.
“A dir la verità non
proprio…”, rispose Jennifer.
“Ci siamo visti qualche giorno
fa al JAG, stavo
giusto per presentarmi poco fa”, aggiunse Gunny.
“Bè, allora direi di passare
alle presentazioni.
Gunny, lei è il Sottufficiale Jennifer Coates, l’attendente del
Generale
Cresswell, ha preso il posto di Tiner. Jen, lui e’ il Sergente
d’artiglieria
Victor Galindez, è stato un membro del nostro staff prima di far
richiesta per
entrare in servizio attivo, ma a quanto pare sarà di nuovo dei nostri.”
Harm diede un colpetto sulla
spalla del sergente e
sorrise, con l’espressione di un bambino che ha appena fatto una buona
azione.
Poi, mettendo una mano sulla schiena di Mac e sospingendola dolcemente
come se
volesse guidarla per portarla dovunque fosse andato lui e non perderla
un
istante, andò a salutare gli altri ospiti, lasciandoli di nuovo soli.
Si fissarono ancora una volta
negli occhi, senza
saper cosa dire. Tante erano le domande che si sarebbero voluti fare,
ora che
avevano scoperto i rispettivi nomi avrebbero voluto conoscere di più
l’uno
dell’altra, ma non sapevano da dove iniziare.
“Piacere”, disse Victor
abbozzando un sorriso, “puoi
chiamarmi Gunny, come fanno tutti.”
***
“Perché quel sorriso sotto i
baffi?” chiese Mac
mentre Harm la spingeva lontano da Jennifer e Galindez, “e perché mi
stai
allontanando da Gunny così rapidamente? Volevo chiacchierare ancora un
po’ con
lui…”
“Ma… non hai notato nulla?”
chiese lui, con uno
sguardo divertito.
“Cosa avrei dovuto notare?”
domandò lei con finta
aria ingenua.
“Non hai visto come Jen lo
guardava? E come Victor
se la mangiava con gli occhi?” la voce sorrideva, mentre ammiccava verso i due
giovani.
“Capitano, mi sorprendi! E da
quando sei più
perspicace di me per queste cose?” chiese lei, divertita e felice da
questo
momento di complicità che si era creato tra loro, quasi come ai vecchi
tempi.
Era bello stare con lui così… Chissà se, poco alla volta, sarebbero
riusciti a
ritrovare la loro amicizia che il suo rapporto con Webb aveva
incrinato. Lo
sperava davvero.
“Che il Natale mi abbia reso
più romantico?” disse
Harm, guardandola negli occhi. Dio, quanto era bella! Aveva voglia di
essere
solo con lei, vederla aprire la porta di casa sua e trovare la sorpresa
che le
aveva preparato. Chissà come avrebbe reagito? Si sentiva agitato, come
un
bambino all’arrivo di Babbo Natale.
“A quanto pare l’atmosfera
natalizia non rende
romantico solo te…” disse Mac, toccandolo su un braccio e indicandogli
con un
cenno Jen e Victor che si erano allontanati dal buffet ed ora, in un
angolo
appartato, sembravano assorti in una interessante conversazione, a
giudicare
dai loro sguardi. Anche se lei era convinta che le parole che si
scambiavano in
quel momento non avevano grande importanza… i sentimenti che
trasparivano dai
loro occhi erano decisamente più importanti.
Sorrise dolcemente pensando a
quanto sia bello e
speciale il momento dell’innamoramento: quel guardarsi misterioso che
fa
battere il cuore, quello scoprirsi incatenati con gli occhi e con il
desiderio
di voler andare oltre, senza ben sapere dove e quando… immaginare uno
sfioramento, il primo bacio, il primo abbraccio…
Si voltò verso Harm e sentì il
cuore batterle forte,
come la prima volta che lo aveva visto, dieci anni prima. Possibile?
Possibile
che fosse tutto ancora come allora?
Lui le sorrise, con quel
sorriso che le rubava il
cuore ogni volta e lei comprese che sì, per lei tutto era come allora:
quel
legame di sguardi che era nato tra loro fin dalla prima volta esisteva
ancora,
nonostante tutto.
“Credo sia ora di andare in
chiesa” la voce di Harm
la distolse dai suoi pensieri. Si guardò attorno e osservò che tutti si
stavano
preparando per uscire. Vide Victor mentre aiutava Jennifer ad indossare
il
cappotto e sorrise all’idea che, forse, quella notte avrebbe portato
con sé un
nuovo amore.
“Perché sorridi?” un sussurro
al suo orecchio le
fece scendere un brivido lungo la spina dorsale. Voltò appena il capo e
si
trovò le labbra di Harm talmente vicine che dovette trattenersi dallo
sfiorargliele con un bacio. Lui si spostò appena e le porse il cappotto
che
aveva recuperato, per aiutarla ad indossarlo.
“Pensavo all’amore…” rispose
infilandoselo e
ringraziando il suo cavaliere con un sorriso. Poi aiutò lui ad
indossare il suo
e gli si avvicinò un poco per sistemargli il risvolto… Quanto avrebbe
dato
perché in quel momento lui la abbracciasse e la baciasse…
Harm le sorrise e le sfiorò il
volto con una carezza
dolcissima; poi la prese per mano e uscirono assieme agli altri per
partecipare
alla funzione.