Tutti voi uomini, mi disse la maschera, dovete vagare come talpe cieche, sordi al richiamo del sole la mattina, maledetti. Pugnalai la maschera.

Estasi è tutto, se non sfiancante malinconia e punte di spillo sotto la pelle. Rileggendola, appena prima di pubblicarla, come musicalità delle parole, come contenuti, come immagini rievocate è la mia preferita. Non ricordo bene in che momento è stata scritta, parla di estasi.

Talvolta il dolore è un compagno suadente, mai così tanto vero si trova nel cielo come nelle viscere della terra. Suppongo suoni più o meno così.

Mai così tanto ho odiato i vostri volti / Mai così a fondo ho scavato tra le fosse, dissotterrando vecchi scheletri / Ogni libero puro spirito vi maledica

Tutto questo non ha senso, se sei abbastanza vivo.

Ebbene sì, soffiava il vento del deserto sulla città addormentata, avrebbe cullato i sogni di migliaia di anime, distogliendole dall'incubo, soffiando via il nero pece della morte.

Mi ritrovai solo, nelle sue mani, perso, dimentico, dimenticato.

Componimento estroverso, variegato, un po' storto, a dire il vero. Una vaga consapevolezza di essere profondamente storti, e venuti fuori maldestramente, come danzatori ubriachi.

Mangiavo frutta, seduto sull'orlo dell'oceano.

Scritta quest'estate, alle cinque del mattino, qualche vaga sensazione di quiete nelle nuvole violastre per l'alba.

Guardavo le luci del mio paese dall'altezza del campanile, e un demone venne a bussare alle porte della mia testa, un po' mal ridotto, ma affascinante.