Mi domando se esiste davvero un tempo Mentre le mie parole scorrono veloci oltre nuvole E campanili pieni di muschio Mentre una rovina senza alcun senso pesa Cadendo dal cielo

Ho bisogno di cose evanescenti nell’ombra di angoli curvi Nell’occhio della bestia e nel piangere dell’oceano Soltanto per svanire evoco scheletri, quattr’ossa messe in croce E in cerchio riecheggiano torturando la nuca, massaggiandone la punta

Insozzarti nell'altezza di montagne abitate da orchi. Respirare fuliggine dalle budella della terra.

Ho visto lebbrosi inginocchiarsi, sgozzarsi. Senza mai guardare nel fondo del lago, gettarsi e lasciarsi sbranare dall'orrore che ci vive.

Di un giallo intenso, il grano e il sole quando staccarono la testa al prete e al mugnaio. Il prete ghignava, e il mugnaio pregava.

Liberami mio istantaneo pensiero, mia tentazione senza peccaminosa disgrazia fuggita in qualche oceano. E io ero diverso dalla sabbia violastra di questo luogo di purpurea distorsione lisergica.

Parla di cose vecchie, cose passate, nostalgico avvenire, inferni artificiali (già, non, mai, paradisi artificiali, niente peggio dell'artificio di qualche inferno prestabilito), malinconia. Parla di pensieri e condizioni atemporali, un panta rei non voluto, una rassegnazione verso l'infinito.

Vagare in un deserto rosso Perso tra nomadi dalle pelli brune, bevande di sale Stranito tra aquile e foreste spaurite La mente distratta, distolta da soffici terreni umidi. Rivivo d'inferni. Arido pensare.

Mi nutro di qualche distorta concezione di finitezza estiva. Pazzo, sfatto, ritrovato, distrutto, eppure, con finitezza di domani certo. In una fortezza stracolma di demoni.

Vite impossibili su improbabile distese…e ancora distese, ancora deserto, umido secco deserto freddo. Siamo a metà tra l’acqua e il cielo segnato da galeoni e storie antiche. Altri tramonti su mondi impossibili.

Silenti notti di amnesia. Respiri di serpenti contorti, si mordono la coda, mordono la tua nuca. Domani l’oceano affoga nel sole. Domani strani flauti e purpuree figure ancora più vicine ai tuoi occhi danzano. Silenti creature tra le ombre giocose del tuo rimembrare. Rimembra smembrato ancora questo, non essere perniciosamente riconosciuto mortale.

Sono il mio re, nella mia terra di giada. Seguimi, presso una landa di illusioni piacevoli. Seguimi, attraverso la fredda buia via tempestata da ragni. Aguzzi i loro denti, ti dilaniano la pelle. Giudicare osceno e tormentoso, tortuoso e tormentato, il puro ascoltare le fronde degli alberi…No. Mai.

Scritta di getto, a dire il vero mi ha sorpreso trovarla tra i miei deliri. Credo che parli molto di sensazioni, come al solito, del resto, ma credo sia un tipo, una sorta, una branca di sensazioni a me molto cari, un lasciarsi andare.

Vagai per un dolore muto, spesi tempo e persi vita / Persi il nirvana sotto le mie dita, tormentandomi i polsi e le vene con spilli, trasudato, tramutato, trascorso, finito / E pensieri sempre più puri sotto il cielo che tramonta / E occhi sempre più falsi, e non sento più quell’odore tra i capelli

Sono mai stato, forse, la laida prostituta della sorte? Gli eventi sfuggono come petali in Primavera e il vento…il vento mio amato vento se li porta via. Si è portato via i nostri giorni migliori, il vento. Nient'affatto, puro delirio.