Capitolo 6
Il vento scompigliava i capelli del ragazzino che
se ne stava con i
piedi a mollo nell'acqua e lo sguardo che si perdeva nel vasto oceano.
I suoi occhi color acquamarina riflettevano il colore del mare. Era
cresciuto, il suo sguardo si era fatto più serio, le braccia
appena
più robuste e macchiate di segni e di tagli, solo gli occhi
erano rimasti grandi e verdi, unico segno che donava
infantilità
al suo volto pallido. Rimase a scrutare il sole che andava a
nascondersi oltre l'orizzonte e, prima che potesse sparire del tutto,
lasciò la spiaggia deserta per dirigersi al piccolo
supermercato
e prendersi qualcosa da mangiare per la cena. Girovagò per
le
strade polverose e le case fatiscenti fino a che non fu abbastanza
tardi da trovare casa sua immersa nel silenzio, segno che suo padre se
ne era andato a dormire. O meglio, che fosse crollato dopo aver
ingurgitato litri di alcol come era di sua abitudine. Chiuse la porta e
si tolse le scarpe per camminare senza fare rumore e dirigersi nella
sua camera, il suo unico rifugio, poi non così tanto sicuro.
Mentre giaceva sul materasso duro con le lenzuola portate fin sopra la
testa sentì la porta aprirsi e la luce proveniente dal
corridoio
inondare la sua stanza. "Zack.." la voce roca e strascicata di suo
padre
gli giunse alle orecchie, graffiante, mentre un secondo dopo sentiva il
rumore di vetri di una bottiglia infrangersi nel pavimento e
sparpagliare a terra quel poco di liquido che era rimasto al suo
interno.
Zack si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi e
scoprendosi coperto di sudore. Ci mise almeno un paio di minuti per
capire che aveva avuto un incubo e che si trovava nella sua stanza
della sua casa a Huntington Beach e non nella vecchia casa in cui
viveva con suo padre, più di dieci anni prima. Quel sogno lo
aveva lasciato stordito, anche perché era diverso tempo che
ormai non ne aveva e non se l'era aspettato.
Quella sera se ne era andato a dormire più agitato del
solito e
propbabillmente era per quello che non era riuscito a dormire
tranquillo. Sì, era andato a dormire agitato... ma
perché?
Non appena riacquisì un po' di lucidità, i
ricordi della
sera precedente lo colpirono come un fiume in piena e si
portò
di istinto una mano alla fronte. Brian l'aveva baciato. Brian.
Ripeté mentalmente quel nome tante e tante volte
finché
quelle cinque lettere persero di significato e ne rimase solo il suono.
La stanchezza gli era completamente passata e non riuscendo
più
a stare fermo nel letto decise di levarsi la canottiera sudata e
alzarsi. Andò in bagno a
sciacquarsi la faccia con dell'acqua fredda, poi rimase a fissare il
riflesso che scorgeva nello specchio.
Sapeva che era sbagliato, che Brian era un suo amico e gli amici, due
ragazzi, non
si baciano. E' peccato, c'è scritto anche nella sacra
Bibbia. Questo era quello che gli era sempre stato insegnato. O
meglio quello che aveva recepito, nessuno si era mai degnato di
insegnargli qualcosa spontaneamente. Era sbagliato, tutto sbagliato.
Ma se era così sbagliato, perché quando chiudeva
gli
occhi sentiva lo stomaco stringersi per la forza con cui desiderava che
Brian lo baciasse di nuovo?
Lo aveva fatto sentire bene, lo aveva fatto sentire vivo, quando lui si
sentiva morto dentro da un tempo che non riusciva neanche a
ricordare.
Le labbra premute nelle sue, le braccia che lo stringevano e
lo avvicinavano a lui, il respiro leggero che soffiava sulla sua pelle.
Era sbagliato, ma non capiva perché. Era come un blocco del
suo
cervello, una vocina che gli ripeteva che non era così che
andavano le cose. La classica lotta fra cuore e cervello: fallo, non lo
fare.
La vocina che proveniva dal suo cervello urlava e gridava; non poteva
farlo, non doveva.
Sentiva li cuore pulsargli il sangue nelle orecchie, rendendo i suoni
intorno a lui ovattati. Fuori pioveva di nuovo, anzi sembrava che
stesse imperversando un temporale, un po' come succedeva dentro di lui.
Dei colpi improvvisi lo fecero scattare in allerta e si diresse verso
la finestra pensando che avesse cominciato a grandinare, invece quando
si sporse notò una figura con il capuccio tirato su che gli
copriva la visuale, davanti al portone di casa sua che bussava
sbattendo il pugno sul legno scuro.
Zack non si domandò neanche chi fosse e scese di
corsa prima che Brian si infradiciasse tutto.
Era deciso a mantenere una certa distanza fra loro per evitare che
accadesse di nuovo quello che era successo giusto qualche ora prima, ma
non appena aprì quella fottuta porta e vide il volto
preoccupato
dell'altro sotto i capelli sgocciolanti, tutte le sue convinzioni si
sbriciolarono come polvere al vento.
-Fammi entrare- disse con tono deciso, spingendolo di lato e entrando
prepotentemente in casa.
-Brian...- cominciò Zack, chiudendosi la porta alle spalle
per poi rivolgersi verso l'altro.
-Vedi di tenere chiusa quella bocca, ora sono io che ti devo parlare-
lo interruppe combattento col fiatone... doveva aver corso per arrivare
li. Era strano che si rivolgesse a lui in modo così
autoritario quando di solito scherzava sempre o al massimo assumeva un
tono preoccupato.
-Io non so quale sia il tuo problema, ma ho capito che tu non vuoi
parlarmene- riprese qualche istante dopo -non ci conosciamo da una
vita, non siamo amici di infanzia, fratelli, fidanzati o
quello che ti pare e non hai il dovere di dirmi niente,
perciò se non vuoi non farlo.
-Brian...- tentò di nuovo Zack, ma venne interrotto ancora.
-Credimi, questo non mi fa incazzare o altro, sono affari tuoi e
rispetto il tuo silenzio. Ti chiedo solo un' unica cosa- si
fermò un attimo e puntò bene gli occhi in quelli
di Zack, che lo ascoltava muto -smettila di fuggire da me.
Brian smise di parlare apparentemente soddisfatto del proprio discorso,
anche se sembrava comunque turbato. Zack rimase a guardare l'altro dal
basso, le rotelle che facevano girare gli ingranaggi del suo cervello
improvvisamente ferme dopo aver lavorato intensamente nelle ultime ore.
Con la mente sgombra, nessuna vocina maledetta in testa che gli diceva
che stava sbagliando, fece un passo in avanti eliminando la poca
distanza che lo separava dal moro, gli afferrò la stoffa
della felpa fino ad abbassarlo alla sua altezza, per poi premere con
tutta la forza che gli rimaneva sulle labbra
dell'altro.
Fanculo chi pensava che fosse sbagliato, fanculo la sua vita sempre
troppo difficile e tutte le persone che lo avevano abbandonato, in quel
momento c'era solo Brian che ricambiava il suo bacio, che con
i capelli fradici gli solleticava e bagnava la pelle e, soprattutto,
che non se ne andava, anzi sembrava convinto a non perderlo di vista un
attimo.
Dopo un tempo che parve infinito entrambi si separarono quel tanto da
permettergli di prendere aria, le labbra che si sfioravano, quasi
avessero paura di allontanarsi troppo l'uno dall'altro.
Brian sorrise appena sulle labbra dell'altro e scosse la testa -mi
manderai al manicomio prima o poi.
Zack rise appena e nascose la testa nell'incavo del collo del
più grande, lasciandosi accarezzare dal tocco leggero delle
sue mani.
In effetti Brian aveva ragione. Da quando si conoscevano Zack era stato
spesso con la mente assente, malinconico e spesso scappava lasciando
l'altro da solo con la sua confusione e le sue domande. Ma in tutto
quel tempo Brian non lo aveva mandato a farsi fottere, ma anzi aveva
continuato a stargli vicino, a cercare di farlo ridere, e
semplicemente, a voler stare con lui. Avrebbe potuto trovarsi contro
anche tutto il mondo a dirgli che quello che facevano era sbagliato, ma
questa volta si sarebbe tappato le orecchie e avrebbe dato retta solo a
se stesso.
Aprì gli occhi e lo sguardo gli cadde sullo specchio appeso
alla parete di fianco a loro: nel riflesso vedeva lui e Brian stretti
in un abbraccio, mentre il ragazzo aveva una mano sprofondata nei suoi
capelli e lo accarezzava piano. Sorrise e si diede dello stupido per
essersi fatto tutti quei problemi. Per qualche istante non
riuscì a staccare gli occhi da quell'immagine che li
rifletteva. In fondo quel che vedeva non gli sembrava così
strano.
-Rimani anche stanotte?- chiese staccandosi appena e guardandolo poi
negli occhi.
-Se mi fai gli occhioni non posso dirti di no- rispose Brian
scompigliandogli i capelli.
Zack rise, lo prese per mano accompagnandolo con lui di sopra e dopo
avergli dato della roba asciutta si misero di nuovo a letto
come la sera prima.
Brian lo avvicinò a sé e Zack si
accoccolò sul suo petto.
-Mi era mancata questa sensazione- fece Brian sorridendo sotto i baffi.
-Che vuoi dire?- chiese Zack non capendo a cosa si riferisse.
-Niente, ieri notte devi aver fatto un brutto sogno, così ti
ho abbracciato e ti sei calmato. Appena provavo a spostarmi ti agitavi
di nuovo, credimi era una cosa alquanto imbarazzante- concluse Brian
scoppiando a ridere.
Zack arrossì e si girò dall'altra parte
fingendosi offeso.
-Bene, se era così imbarazzante sta notte
cercherò conforto nel muro- disse, per poi andarsi a premere
contro la parete contro cui era poggiato il letto.
Brian rise di nuovo e lo afferrò per un braccio
avvicinandoselo di nuovo e facendoselo finire sopra.
-Era imbarazzante, ma credo che farò questo sacrificio per
te, ma solo perché ti amo.
Zack, che aveva preso a ridere anche lui, si fermò di colpo
per rimanere poi immobile a guardare l'altro dall'alto.
-C-cosa hai detto?- domandò supidamente, ma era l'unica cosa
che in quel momento il suo cervello era riuscito a fargli dire.
Si sentiva completamente scombussolato, mentre Brian sembrava
tranquillo e sicuro di quello che diceva.
-Ho detto che ti amo, Zacky- ripeté nuovamente,
accarezzandogli una guancia. Poteva anche dubitare di quelle parole, ma
i suoi occhi non mentivano. Era sincero.
Zack boccheggiava, si sentiva totalmente idiota e impotente. Brian
sembrava divertirsi molto per lo sguardo da ebete che doveva aver
assunto, così decise di riprendersi e fingere indifferenza.
-Sì, credo che forse ti amo anche io- disse noncurante per
poi riappoggiare la testa sull petto dell'altro, che scoppiò
a ridere.
-"Credo che"?
- chiese scettico-
"Forse"?
-Già- rispose Zack non dandogli attenzione.
Brian scosse la testa -credo che per oggi mi accontenterò di
questo.
-"Credi che"?- gli fece eco Zack, che si prese una cuscinata in faccia.
-Vedi di tacere piccoletto, non mi hai mai visto arrabbiato!- lo
ammonì Brian scherzando.
-Tremo di paura- lo canzonò Zack.
Continuarono a giocare per un altro po' di tempo finché
inesorabilmente, vista anche l'ora tarda, crollarono addormentati.
Zack si addormentò in un sonno profondo e senza sogni, ma
cosa più importante, senza incubi.
Pfff, giuro che non
volevo metterci tutto sto miele in questo capitolo D: ...LOL si che
volevo :') E' che ho un periodo un po' da schifo e stranamente invece
di prendermela con il mondo -cosa che fa la gente normale - mi vengono
gli eccessi di zuccherosità. Andate un po' a capire il mio
cervello contorto :'D
Scusate il ritardo, ma
ultimamente ho poco tempo e soprattutto mi sento poco ispirata, infatti
non sono granché soddisfatta di questo capitolo :S Mi
è venuto anche cortino...
Però dopo
tanti problemi glielo volevo concedere a queste due povere anime un
capitoletto in cui potevano essere carini e coccolosi XD
Non ho
granché da dire, ringrazio chiunque abbia letto, messo fra
le seguite/preferite/ricordate.
Grazie a quelle
coraggiose ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, ovvero: Vengeance_AS, Victorias
Nightmare, Amelie__, LoveLeonScottKennedy e _Mpenziwe. Thank you, girls <3
Spero che questo
capitolo non vi abbia fatto totalmente schifo e spero anche di riuscire
ad aggiornare presto :')
Ah, comunque non credo che la ff avrà moltissimi altri
capitoli, al massimo un paio :) A presto, Un bacione,
Josie
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