Capitolo
8: Fiducia
“Devi
piangere ancora per molto?” Non riuscivo più a
sopportare la
sua voce. Stava iniziando a diventare difficile ascoltare le
cattiverie che continuava a ripetere. “Se tu non facessi lo
stronzo, io non piangerei” singhiozzai. “Ora
è colpa mia
se hai problemi psicologici?” “No, tu fai solo in
modo di farmi
diventare paranoica dato che esci quasi di nascosto con
Lauren!”
sbraitai, trattenendo un pugno che avrei volentieri scaraventato
contro quel suo bel faccino. “Devo chiederti il permesso per
uscire
con i miei amici? Cazzo, Lee! Non riesci proprio a vivere serenamente
e a non rompermi i coglioni?!” disse scompigliandosi i
capelli,
menefreghista. Non risposi. Non ce la facevo più a litigare.
Mi buttai a terra, sconfitta. “Basta, hai vinto tu”
dissi, in
segno di resa. Lui mi guardava senza capire. Alzai la testa, per
recuperare un po' di dignità. “Hai capito? Hai
vinto!” Ma
il mio sguardo sconfitto si posò sul mio gesso e sospirai
senza speranze. “Tu hai davvero seri problemi”
disse lui,
scuotendo la testa, compassionevole. Uscì dalla mia stanza
sbattendo fragorosamente la porta. Mi sdraiai a terra. Non avevo
più
forze. Presi a fissare una piccola crepa sul soffitto della mia
camera. Chiusi gli occhi, sperando che tutto ciò fosse solo
frutto della mia immaginazione. Perchè non riuscivo a
fidarmi?
Se lui diceva che non era successo nulla, dovevo credergli. Non era
difficile. Sospirai, cercando di trovare la pace interiore. Quando
riaprii gli occhi, trovai ancora la piccola crepa sopra di me.
“Sei
per caso un segno per farmi capire che sto distruggendo
tutto?”
chiesi, rivolta alla crepa. Adam aveva ragione: avevo seri problemi
psicologici. Volevo scomparire per un po'. Ma la mia situazione di
infermità mentale e fisica non mi avrebbe portato lontano.
Decisi quindi di nascondermi sotto il letto. Strisciai sotto al mio
letto e mi ricordai che da piccola era il posto dove preferivo
nascondermi quando giocavo con Adam a nascondino. E lui riusciva
sempre a trovarmi. Perchè ero così brava a farlo
incazzare? Sospirai e uscii da sotto il letto. Era ora di smetterla
di nascondersi. Scesi zampettando dalle scale e trovai un'impegnata
signora Travis a pulire il salotto. “Signora Travis, posso
chiederle una cosa?” dissi imbarazzata, attirando la sua
attenzione. Lei smise immediatamente di spolverare il mobiletto di
legno su cui c'erano le foto di famiglia. “Certo, cara, dimmi
tutto” disse sorridendo. “Ecco, come lei ben sa
sono
letteralmente negata a cucinare e mi chiedevo se poteva aiutarmi a
fare una torta” dissi rossa in volto, vergognandomi come se
fossi
stata colta in flagrante a rubare caramelle. Vidi il suo viso
illuminarsi e mostrarmi un sorriso smagliante. Mollò le
pulizie e mi accompagnò in cucina. “E' per
qualcuno di
speciale?” chiese curiosa, aprendo l'anta di un armadietto.
“No,
sì. Devo farmi perdonare per il mio essere una psicotica
lunatica” dissi armeggiando goffamente con un mestolo. Lei
rise e
preparò il tavolo della cucina, imbastendolo di ingredienti,
alcuni a me fino a quel momento sconosciuti. “Prima di tutto,
vorresti preparare una torta o una crostata?” mi chiese,
assumendo
un'aria esperta. “Perchè, c'è
differenza?” chiesi
ignorante. Mi guardò senza capire se stessi scherzando o se
stessi parlando sul serio. “Direi di fare una
torta” decise,
rendendosi conto di quanto fossi veramente poco esperta in materia
culinaria. La preparazione si dimostrò più
difficile di
quanto potessi immaginare. C'era da misurare le dosi di ogni singolo
ingrediente. Se non avessi chiesto aiuto alla signora Travis avrei
fatto tutto a caso, combinando uno dei miei soliti danni. Lei si
dimostrò un'insegnante paziente e tranquilla. Quella donna
era
la pacatezza fatta a persona. Se io avessi avuto un'allieva alle
prime armi e impedita tanto quanto lo ero io in cucina, avrei
iniziato a sbraitare come un'ossessa e avrei dato forfet. Dopo aver
infornato quella che sarebbe diventata una piccola torta della pace,
seguii la signora Travis in salotto. Mi buttai sul divano e presi ad
osservarla pulire con cura. “E' sposata, signora
Travis?” le
chiesi ficcanaso. “Lo sono stata cinque volte”
rispose lei
ridendo. “Cinque?!” esclamai incredula.
“Ho molto amore da
dare, ma ne ricevo sempre troppo poco” disse continuando a
pulire.
“Ha mai amato così tanto qualcuno da rovinare
inevitabilmente tutto?” le chiesi mordendomi un labbro. Smise
di
pulire e prese a fissarmi. “Hai bisogno di parlare,
Hayley?”
chiese, sapendo già la risposta. Annuii mentre lei si
accomodava di fianco a me sul divano. “C'è questo
ragazzo
che mi piace, ma non la smettiamo di litigare. E la maggior parte
delle volte è colpa della mia insicurezza. Insomma ho paura
che prima o poi lui si stanchi di me” dissi a macchinetta
senza
prendere fiato, sperando che lei non capisse a chi io mi stessi
riferendo. Lei mi accarezzò la gamba e mi
sussurrò
“Vedrai che ti perdonerà qualsiasi cosa con quella
torta. Ma
devi iniziare ad avere fiducia in te stessa” “E'
come se tutto
ciò che entra in contatto con me, si trasformi in un
colossale fallimento” “Tutti abbiamo avuto le
nostre delusioni, ma non è
un buon motivo per buttarsi giù. Guarda me: sono
sopravvissuta
a cinque matrimoni falliti eppure io so di aver dato tutto quello che
avevo, non ho nessun tipo di rimpianto. E chi ti ama davvero, ti
accetta per come sei; ma anche tu devi saper accettarti”. Non
avrei
mai creduto che la signora Travis potesse essere così
profonda. “Cinque matrimoni..” sussurrai ancora
incredula
facendola ridere. Accesi la tv, mentre la mia confidente si recava in
bagno per pulirlo. Nell'aria già sentivo odore di torta.
Odore
d'amore. Sorrisi sognante, immaginando già la reazione di
Adam
nel ricevere in regalo una torta fatta con le mie mani. Probabilmente
all'inizio l'avrebbe guardata disgustato, ma poi mi avrebbe baciata e
travolto dalla passione avrebbe divorato in pochi bocconi il dolce
sottolineando il fatto di quanto fosse delizioso. Sarebbe andata
bene, ne ero certa. Tutto sarebbe tornato alla normalità.
Adam
mi avrebbe detto che mi amava e io avrei risposto alla medesima
maniera. “Hayley! La torta è pronta!”
l'entusiasta
voce della signora Travis mi riportò alla realtà.
Mi
alzai felice dal divano e la raggiunsi in cucina. “E' normale
che
sia così bassa?” chiesi pensierosa, notando quanto
la mia
piccola torta della pace assomigliasse a un enorme dischetto da
hockey. “Devi esserti scordata il lievito” disse
lei poggiandomi
una mano sulla spalla. Maledetto lievito. Scossi la testa
scoraggiata. “Metti un po' di zucchero a velo
sopra” mi disse la
signora Travis passandomi una bustina. Notò quanto mi fossi
buttata giù, quindi esclamò gaia “Sai,
quando
litigavo col mio terzo marito gli preparavo anch'io delle torte. Era
un gran goloso, George. E per intenerirlo o per fargli capire che mi
dispiaceva, passavo col dito sullo zucchero a velo e scrivevo una
parola. Una sola parola che gli avrebbe fatto capire che nonostante
noi fossimo così diversi c'era qualcosa che ci
accomunava”
Mi guardava in modo così dolce, che non riuscii a non
sorridere. Imparare da chi ha più esperienza. E la signora
Travis aveva sicuramente più esperienza di me per quanto
riguardava l'amore. Per due ore continuai a pensare a cosa potesse
accomunare me e Adam. E la prima parola che scrissi fu
“Famiglia”.
Ma prima che la governante potesse leggere ciò che avevo
scritto spolverai altro zucchero a velo per coprire la
verità.
Scrissi “Amore” ma lo cancellai. Troppo banale. Mi
scervellai per
ore senza venirne a capo. Adam era scomparso. Non sapevo nemmeno se
fosse in casa oppure se fosse uscito. Con Lauren, magari. Mi diedi
della stupida e se non fosse stata per la prontezza della signora
Travis, avrei scaraventato la torta nel bidone dell'immondizia in uno
dei miei soliti raptus. “Si può sapere qual
è il
problema?” mi chiese la signora Travis preparando del the.
Odiavo
il the, ma iniziava a piacermi il modo in cui lei si prendeva cura di
me. “Non riesco a trovare una parola, a parte..” mi
bloccai.
Famiglia. Non potevo dirlo. Cosa avrebbe pensato? Mi avrebbe presa
per una specie di maniaca psicopatica. “..A parte
amore”
continuai, dicendo una mezza verità. “Amore
è una
parola bellissima” disse lei versando l'acqua calda in una
tazza
con del latte. “E' banale” risposi sbuffando.
“Cosa rende la
parola amore una cosa banale?” iniziavo a sentirmi
psicanalizzata.
“La usano tutti. Vorrei una parola che lui non si
aspetterebbe da
me. Vorrei sorprenderlo!” esclamai. “Avergli fatto
una torta non
sarà già una gran bella sorpresa?” mi
chiese lei
facendomi l'occhiolino. “Forse” bisbigliai, prima
di concentrarmi
sul the. Se la mia torta fosse stata una torta da copertina, di
quelle belle, alte, soffici magari sarei riuscita a impressionare
Adam. Ma quella torta era come me: bassa, anonima, confusa. Sbuffai,
muovendo il vapore del the. “Vado a finire di pulire o
rimarrò
senza lavoro oltre che senza un marito” disse la signora
Travis
ridendo, prima di lasciarmi da sola a contemplare quella torta. Cosa
voleva Adam? In che modo avrebbe apprezzato quella torta disgustosa e
tremendamente semplice? Qualche frutto come decorazione? Forse delle
scaglie di cioccolato. Abbandonai la testa sul tavolo. Dovevo
guardare da un altro punto di vista. Ripensai alla litigata di quella
mattina. L'indice si mosse da solo sullo zucchero a velo. Fiducia.
Non era più una torta della pace. Era una torta che
simboleggiava una promessa. Più fiducia. In lui e in me
stessa. Sorrisi, finalmente felice di aver trovato soluzione a
quell'enigma. Esultai raggiante nel momento stesso in cui la porta di
casa sbattè violentemente. Adam era tornato. Mi alzai di
scatto. Lui mi vide in cucina, ma fece finta di niente. Salì
in camera sua e tornò al piano di sotto con una felpa e poi
uscì di nuovo. Era proprio incazzato. Non mi ero nemmeno
resa
conto di aver trattenuto il respiro dal momento in cui Adam era
entrato in casa. Mi afflosciai sulla sedia e piansi in silenzio. Come
pensavo di poter sistemare le cose con una stupida torta? La signora
Travis tornò da basso, trovandomi in uno stato pietoso
circondata da un alone di negatività. “Hayley, io
oggi ho
finito. Ma se vuoi che rimanga con te non ci sono problemi”
disse
accarezzandomi la testa. Tornai alla realtà, allontanando i
miei pensieri e le sorrisi. “Non si preoccupi, tanto tra poco
torneranno tutti” mi diede un bacio sulla fronte e mi
salutò.
Probabilmente era alla ricerca del marito numero sei e stare con me
le avrebbe solo fatto perdere delle opportunità. Mi
immaginai
la dolce signora Travis in balìa di qualche speed-dating in
qualche locale all'ultima moda di Londra. Guardai la torta.
“E cosa
me ne faccio di te ora?” chiesi alla piccola forma tonda
davanti a
me. Presi il piatto e decisi che non avrei gettato la spugna. Adam
era arrabbiato ed era normale che non mi avesse nemmeno rivolto la
parola. Ma i miei sforzi per preparare quella torta della fiducia non
sarebbero andati sprecati. Il peggio che poteva capitare era che Adam
l'avrebbe fatta volare fuori dalla finestra. Ma almeno l'avrebbe
vista. Avrebbe capito che a lui ci tenevo tanto da affrontare una
cucina e il forno, i miei nemici da sempre. Col piatto in mano salii
in camera di Adam e appoggiai la torta sul comodino. L'avrebbe
trovata lì, mi avrebbe cercata, mi avrebbe baciata e avremmo
fatto pace. Come sempre. Stavo scendendo le scale quando la porta si
aprì nuovamente. Ma non era Adam, era Savannah e alle sue
spalle c'era mio padre. Lei era raggiante, lui era come al solito
impassibile. “Hayley!” esclamò mia
sorella vedendomi.
Corse verso di me e mi abbracciò sussurrandomi all'orecchio
“Devo raccontarti un sacco di cose!” Poi mi
superò,
correndo in camera sua. Tornai in salotto e mi buttai sul divano.
Non mi ero accorta che mio padre era seduto sulla sua poltrona e che
mi osservava in uno strano modo. “Stai bene?” mi
chiese, quasi
imbarazzato. “Sì” risposi stanca.
“Ti fa male la gamba?”
In quel preciso momento capii che stava cercando di fare un discorso
con me. “Non molto” risposi quasi monosillabica. Lo
vedevo in
difficoltà nel non trovare nulla di cui parlare con me.
“Com'è
andata oggi?” gli chiesi, cercando di non sprecare
un'occasione.
“Come al solito”
“Cioè?” Non sapevo che lavoro
facesse, figuriamoci come fosse una sua giornata tipo.
“Pesante.
Sono stanchissimo” “Non si direbbe”
risposi ridendo. “In che
senso?” chiese senza capire perchè ridessi.
“Sembri così
rilassato. Non avrei mai detto che fossi stanco”
puntualizzai.
“Sono un uomo d'affari. E' il mio lavoro far credere agli
altri ciò
che voglio io” disse sorridendo. “Mi ero scordata
che avessi gli
occhi verdi” dissi guardando i suoi occhi così
simili ai
miei. Lui mi guardò. Non era ferito da quella mia
affermazione. Era come se provasse del rimorso. “Quando sei
nata
tutti dicevano che eri la copia di tua madre. Ed era vero. Ma ogni
volta che mi guardavi con quei tuoi occhioni verdi capivo che in te
c'era anche qualcosa di mio. Ti ricordi cosa ti dicevo?”
chiese
speranzoso che io capissi a cosa si riferisse. Ma io non capii.
“Quando non ci sarà nessuno che ti
comprenderà..”
iniziò lui, ma io lo fermai, ricordandomi all'improvviso
quella frase che mi ripeteva poco prima che divorziasse da mia madre
“Cerca i miei occhi tra la folla e saprai che io ci
sarò
sempre.” Mi guardò sollevato dal fatto che non mi
fossi
dimenticata. “Li ho cercati molte volte, ma non li ho mai
trovati”
dissi tristemente, evitando di guardarlo. Colpito e affondato. Si
alzò dalla poltrona sconfitto.
“Papà!” lo fermai,
sentendomi in colpa. “Vale anche qui in
Inghilterra?” chiesi. “Se
cercassi i tuoi occhi qui, li troverei?” continuai, sperando
di non
aver rovinato ancora le cose con lui. “Dovunque”
rispose
sorridendo. Uscì dal salotto e andò in camera sua
a
riposarsi. La porta di casa si aprì nuovamente, ma come
prima
non era Adam. Jodie mi salutò, visibilmente a pezzi.
“Stai
bene?” le chiesi sorridendo. “Mica tanto. Tuo padre
e Savannah
sono già tornati?” “Sì,
papà è in
camera a riposarsi” “Penso che lo
raggiungerò” “Stasera
potrei fare da mangiare” esordii. Lei si ghiacciò
all'istante sul posto e prese a fissarmi. “Potremmo ordinare
una
pizza” cercò di convincermi. Avrei dovuto fare
anche a Jodie
una torta con scritto Fiducia. “Per favore! Giuro che se non
ci
riesco, pago io le pizze!” Era una cosa paradossale che
qualcuno
pregasse per cucinare al posto di ordinare una pizza. Ma volevo
provarci. Volevo fare qualcosa per loro, sperando che il
“qualcosa”
non includesse l'avvelenamento. “Ti prego, la cucina
è
nuova. Stai attenta” disse prima di salire in camera sua.
Sentii
Jodie bisbigliare a mia sorella che stava scendendo le scale
“Dai
un occhio a tua sorella, mentre cucina. Non vorrei svegliarmi con i
pompieri in casa.” Fui raggiunta da Savannah che mi
accompagnò
in cucina. “Posso darti una mano?” mi chiese
innocente. Come se
non sapessi che era stata mandata per controllarmi.
“Certo”
dissi, arrendendomi al fatto che non sapevo nemmeno da dove iniziare.
“Allora, vuoi iniziare a parlare o devo torturarti
fisicamente?”
esordii riferendomi chiaramente a Trent. “E' stato
fantastico! Era
così gentile, mi spiegava tutto in modo così
chiaro. E
abbiamo mangiato insieme! Mi ha portato in un ristorante vicino al
lavoro. Solo io e lui, capisci?” Era così bella e
felice. “E
di cosa avete parlato al ristorante?” le chiesi curiosa.
“Di
tutto! Del mio futuro, della sua vita al di fuori lavoro, del suo
cibo preferito. Lui è perfetto, Hayley. Sono innamorata di
Trent!” mi abbracciò con foga e non riuscii a non
ridere.
“Calmati, marmocchia!” Ma lei non mi
ascoltò e prese a
raccontarmi ogni singolo momento al lavoro con Trent. Il profumo di
Trent, la scrivania di Trent, l'ufficio di Trent, le battute di
Trent. Trent e ancora Trent. Ma non potevo fermala. Non ci riuscivo.
La mia sorellina era letteralmente cotta di Trent. Cotta tanto quanto
le uova che stavo preparando, salvate miracolosamente dall'essere
carbonizzate.
Adam
non si presentò a cena. Per essere la prima volta che
cucinavo
seriamente, non era andata male. Non era morto nessuno, ma erano
tutti troppo stanchi per lamentarsi. Savannah sparecchiò la
tavola e io aspettai che tutti andassero a dormire per sgaiattolare
in camera di Adam ad aspettarlo per dargli la mia torta. Ma alle tre
di notte non era ancora tornato e io non riuscii a restare sveglia.
Crollai sul suo letto, con la gamba ingessata a penzoloni e le
lacrime agli occhi. Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in camera di
Adam, ma di lui non c'era traccia. Mi alzai e andai a controllare in
camera mia, ma non era nemmeno lì. Presi la torta dal suo
comodino e scesi le scale per andare in cucina. Erano le cinque. Misi
la torta in frigo e andai in salotto. Mi buttai sul divano e tornai a
dormire. “Hayley..” Qualcuno mi stava scuotendo.
Aprii
pesantemente gli occhi. Vidi solo del verde.
“Papà”
biascicai. Lui mi prese in braccio e mi portò in camera mia.
Mi diede un bacio sulla fronte e mi coprì con la coperta.
Poi
uscì dalla mia stanza chiudendo la porta. Sentii Jodie
urlare
qualcosa, ma ero troppo stanca per capire cosa stesse dicendo. E
scivolai ancora una volta tra le braccia di Morfeo. Sentii la porta
della mia stanza aprirsi e chiudersi subito dopo. Aprii gli occhi e
mi rigirai nel letto. Guardai la sveglia sul mio comodino.
Mezzogiorno. Sbadigliai sonoramente e mi stiracchiai per bene prima
di scendere dal letto. La porta della stanza di Adam era chiusa. Era
il giorno libero della signora Travis, quindi mi decisi a portare
quella maledetta torta ad Adam. Nello scendere le scale avevo
rischiato un paio di volte di scivolare e rompermi qualcos'altro. Ma
la mia determinazione era troppo grande per essere spazzata via dal
fatto che avevo una gamba in meno e un peso in più da
trascinarmi. Presi la torta dal frigo, astutamente nascosta dietro
l'insalata per non attirare l'attenzione di qualche altro membro
della famiglia, e ritornai a salire le scale. Aprii piano la porta.
Adam stava dormendo, dando le spalle alla porta. Feci più
piano possibile nell'appoggiare la mia torta formato mignon sul suo
comodino. Avrei voluto avvicinarmi e accarezzargli la schiena, ma
avevo paura di una sua reazione diversa dal solito. Nel girarmi per
uscire dalla camera di Adam picchiai violentemente contro lo spigolo
del comodino tutte e cinque le dita del piede ingessato. Sentii una
fitta partirmi dal piede e arrivarmi dritta al cervello. Trattenni un
urlo di puro dolore per evitare che Adam si potesse svegliare. Ma
nonostante mi fossi morsa la lingua per evitare di sprigionare un
urlo spacca timpani, Adam si svegliò. “Ma che
cazzo..? Lee
che stai facendo?” brontolò girandosi per
guardarmi.
“N-niente” balbettai dolorante. Si sedette sul
letto e si
scompigliò i capelli. Stavo lì a guardarlo, col
piede
che pulsava, senza accennare a dire nulla.
“Cos'è?” chiese
indicando qualcosa vicino a me. Abbassai lo sguardo e la vidi. La mia
torta spappolata per terra. Sgranai gli occhi, incredula. Urtando il
comodino con il piede dovevo averla fatta cadere. Adam non avrebbe
mai mangiato la mia torta della fiducia. Non avrebbe mai assaporato
il frutto dei miei sforzi per farmi perdonare.
“Cazzo” riuscii
solo a dire. Lui mi guardava senza capire. “Scusa se ti ho
svegliato. Torna pure a dormire” dissi prima di raccogliere
quelle
briciole informi. Lui si sdraiò, dandomi le spalle.
“Era la
torta della fiducia” dissi raccogliendo le ultime briciole.
Adam si
girò “Mi piacciono le torte” disse
semplicemente. “Non
quelle di Hayley Doherty” sbuffai maledicendomi mentalmente.
“Hai
fatto una torta?” chiese incredulo.
“Perchè usi quel tono?
Non ho mica fatto un miracolo!” borbottai sulla difensiva.
Lui si
alzò dal letto e mi venne incontro. Prese un po' di torta
dal
piattino, ci soffiò sopra e la mangiò. Lo vidi
inghiottire a fatica. “Lee è disgustosa”
disse cercando di
non ridere. Lo sapevo che era immangiabile. “Scusa”
dissi solo,
sentendomi umiliata. Abbassai la testa, convinta di aver solo
peggiorato la situazione e uscii dalla sua camera con i resti di
quella schifezza tra le mani. Cosa mi era passato per la mente?
Hayley Doherty non sapeva cucinare. Hayley Doherty non sapeva fare
niente. Non ero stata nemmeno in grado di fare qualcosa di carino per
il mio... ragazzo? Adam era il mio ragazzo? Sentivo la sua presenza
alle mie spalle, quindi mi bloccai di colpo. E come al solito non
riuscii a tenere la bocca chiusa. “Cosa sei tu per me? Cosa
siamo
noi?” chiesi incrociando il suo sguardo stanco.
“Cosa?” chiese
senza capire. “Non ti so dare una posizione tra i miei
pensieri.
Cosa sei? Il mio ragazzo, mio fratello o cos'altro?” Dalla
sua
espressione capii che non si aspettava nulla di tutto ciò.
“Non lo so” rispose semplicemente. “Sono
solo tuo” “Mio
cosa?!” sbraitai perdendo la pazienza.
“Assaggiatore di torte”
disse ridendo. Ma io non avevo nessuna voglia di ridere.
“Smettila
di fare l'idiota!” dissi entrando in cucina saltellando. Lui
mi
prese il piatto con i resti della mia torta e l'appoggiò sul
tavolo. “Io sono tuo, mettitelo in testa. Che io sia il tuo
ragazzo, tuo fratello o lo stronzo che ti fa piangere non ha
importanza. Sono tuo punto e basta.” Per quanto quel discorso
non
avesse totalmente senso, era dolce che lui si definisse mio.
Perchè
ciò significava che io ero sua. Gli sorrisi e spostai il
discorso sulla torta “Era così
schifosa?” “Avrei
preferito ingurgitare del veleno” disse allontanando il
piatto da
lui. Risi divertita, spingendolo dolcemente. “Era la torta
della
fiducia” ripetei. “Cioè?”
“C'era scritto fiducia. E'
uno strano modo per dire che mi fido di te” “E'
originale, non
strano” disse prima di baciarmi. “Posso chiederti
una cosa?”
gli chiesi gettando nella spazzatura i resti della mia torta della
fiducia. Lui aprì il frigo e tirò fuori del
latte. Non
rispose, quindi decisi di buttarmi. “Dove sei
stato?” Non sapevo
se la mia fosse solo curiosità. “Fuori”
rispose
semplicemente lui, versandosi il latte in una tazza. “Oggi ti
va di
stare con me?” chiesi dolcemente. Ma dalla sua espressione
capii
che aveva altri piani. “Oggi? In realtà mi ero
messo
d'accordo con Lauren e altri amici per andare a Camden” disse
noncurante di come mi potessi sentire. Forse mi stava mettendo alla
prova per capire se io avessi davvero imparato dai miei errori.
Sorrisi, reprimendo tutta la negatività, e dissi
“Ah,
d'accordo. Bhè, divertiti!” Mi sedetti di fianco a
lui e lo
guardai mangiare. “Vorrei che venissi anche tu,
ma..” “Già,
la mia gamba” finii al suo posto. “Infatti.
Però appena ti
toglierai il gesso ti prometto che ti ci porto” disse
alzandosi
dalla sedia e uscendo dalla cucina velocemente per tornare in camera
sua. Rimasi da sola a farmi mangiare dalla gelosia. Adam l'aveva
fatto apposta a nominare Lauren. Scese poco dopo. “Ci
vediamo”
disse. Mi diede un lieve bacio sulla fronte e uscì. Mi
buttai
sul divano depressa come non mai. Come al solito avrei passato la mia
giornata in casa, da sola con me stessa, ad auto commiserarmi.
Sbuffai sonoramente prima di alzarmi. Se Adam era uscito, potevo
farlo anche io. Aprii la porta dello sgabuzzino e ritrovai le mie
odiate stampelle. Tornai al piano di sopra e tirai fuori dall'armadio
un paio di pantaloncini di jeans. Sarei morta di freddo, ma nella mia
situazione erano gli unici jeans che potevo indossare. Mi infilai una
felpa e tirai su il cappuccio. Scesi al piano di sotto e mi infilai
una scarpa. Mi sentivo ridicola, ma restare a casa da sola era
l'ultima cosa che mi serviva. Chiusi la porta a chiave e scesi gli
scalini che mi separavano dal marciapiede. Il cielo grigio di Londra
iniziava a piacermi perchè era in totale sintonia con il mio
umore. Mi fermai alla prima fermata dei bus. Avrei preso il primo
autobus che fosse passato di lì e sarei andata alla scoperta
di Londra. Se Adam non mi portava in giro, l'avrei fatto da sola. Non
c'era molta gente che aspettava l'arrivo dei bus e un signore,
notando la mia condizione di ingessata, si alzò dalla
panchina
per farmi sedere. Di fianco a me c'era una ragazza che ascoltava
musica dal suo mp3. La musica non era molto alta e con il chiasso che
ci circondava non riuscii a capire cosa stesse ascoltando. Pochi
minuti dopo un bus si fermò alla fermata. Non sapevo dove mi
avrebbe portata, ma mi alzai. Salire su un bus con una gamba rotta
risultò più complicato di ciò che mi
aspettassi.
Fui aiutata da un ragazzo poco più grande di me, che mi
prese
letteralmente di peso per adagiarmi con cautela. “Grazie
mille”
dissi imbarazzata. “Di nulla” rispose sorridendomi
prima di
salire al piano superiore. L'autista fu magnanimo e aspettò
che io mi sedessi prima di ripartire per la sua corsa. Appoggiai la
testa sul finestrino e mi persi tra le vie di quella città
che
era ormai diventata casa mia. Non era da me salire su un autobus e
andare alla avan scoperta senza una meta prestabilita. Ma avevo il
bisogno fisico e mentale di uscire di casa, anche se ciò
significava non sapere dove andare. Scesi a una fermata a caso, dopo
venti minuti. Non sapevo dove fossi, non sapevo cosa avrei trovato.
Ma iniziava a divertirmi quella mia sconsideratezza. Mandai un
messaggio a Savannah per far sapere a qualcuno della mia famiglia che
ero uscita. Non specificai dove mi trovavo, anche perchè non
lo sapevo. Adam si sarebbe arrabbiato, lo sapevo. Ma lui aveva
preferito Lauren a me. Per la seconda volta. E io mi ero stancata.
Vidi Starbuck's in lontananza e per un attimo fu come tornare a New
York. Entrai nel locale e ordinai il mio solito caffè
macchiato con panna e un biscotto al burro con gocce di cioccolato.
Mi sedetti a un tavolo, appoggiando le stampelle a un muro. La porta
d'entrata si aprì ed entrarono tre ragazze. Ridevano a
crepapelle. Amiche. Avrei voluto avere anche io delle amiche con cui
ridere e magari parlare di Adam, ma le mie vecchie amicizie si erano
tirate indietro appena avevano scoperto che me la facevo con un
professore. Finii il mio caffè e uscii da Starbuck's
più
depressa di prima. Non era stata una grande idea andare in giro per
Londra da sola e con una gamba fuori uso. Sentii della musica
provenire da un locale e ne fui quasi attratta. Mi avvicinai a un
omone di colore, proprio davanti all'entrata. “Mi scusi, chi
sta
suonando?” chiesi dal mio metro e 55 scarso. Lui
guardò in
basso, probabilmente scambiandomi per una marmocchia “Bisogna
avere
21 anni per entrare” Appunto.
“Ne ho 22, in realtà” dissi tirando
fuori il documento.
Lui controllò più volte per essere certo che non
fosse
un falso. Ero abituata ai controlli quasi maniacali della security
all'ingresso dei locali. “Nessuno di famoso. C'è
musica live
di gruppi sconosciuti” disse arrendendosi al fatto che stavo
dicendo la verità sulla mia età. Pagai l'ingresso
e mi
sedetti a un tavolo. Monkey
Blues. Che
strano nome per un gruppo di sole ragazze. La cantante sembrava una
bambola di porcellana. Bionda, occhi grandi e castani, fisico
asciutto e con un vestito che lasciava ben poco all'immaginazione. Le
altre componenti del gruppo erano ragazze anonime con nessun tipo di
stile particolare. Lei, la bambola di porcellana, aveva una voce
molto profonda e per un momento pensai si trattasse di un travestito.
La canzone non era nulla di particolare. Parlava di un ragazzo che
aveva lasciato la ragazza per partire per la guerra e di come la
ragazza lo pensava tutti i giorni. La bambola finì con un
acuto in falsetto orribile. Ma il pubblicò
applaudì
comunque. Anche perchè lei era rimasta in reggiseno durante
la
performance. Sul palco salì un ragazzo con un microfono in
mano che fece scendere le Monkey Blues. “Benissimo,
l'atmosfera si
è scaldata abbastanza per dare il benvenuto a una delle band
più promettente degli ultimi anni nel panorama della musica
d'oltreoceano. I PumpinkPunkerz!” Sentii un tuffo al cuore,
mentre
i miei idoli salivano sullo striminzito palco del locale.
Fatalità.
Destino. Fortuna. Quante probabilità c'erano che i Pumpink
fossero nello stesso locale londinese dove mi trovavo io? Mi mancava
il respiro. Presi il cellulare e iniziai a fare un video, per
immortalare la mia fortuna sfacciata. Geneve's
Dream.
Amavo quella canzone e non riuscii a non cantarla a squarciagola
insieme a Keith, il cantante dei Pumpink. Ovviamente ero la sola a
conoscere quel pezzo tra tutto il pubblico, che però
sembrava
gradire. Shoot
'em.
Mi sembrava quasi di vivere un sogno. Quando ero a New York ero
diventata amica di Kendra, anche lei amante dei Pumpink, e andavamo a
quasi tutti i loro concerti che si tenevano per la maggior parte in
locali malfamati. Ma loro riuscivano comunque a riempirli. Non mi ero
mai trovata così vicino a loro in uno di quei locali, come
in
quello dove mi trovavo a milioni di chilometri da New York. Chiusero
con Hell
in my head
prima di scendere dal palco. Ma non potevo farmi sfuggire una simile
opportunità. Mi alzai abbandonando le mie stampelle al
tavolo
e saltellai verso di loro, che stavano per andarsene.
“Scusate!”
gridai con tutta la voce che avevo in corpo, cercando di attirare la
loro attenzione. Ian, il chitarrista, si voltò verso di me
che
saltellavo come un coniglio verso di loro con il fuoco negli occhi.
Lui richiamò l'attenzione degli altri membri. Li raggiunsi
col
fiatone. “Io sono di New York e voi siete i miei
idoli” dissi
senza troppi convenevoli. Garrett, il batterista, rise compiaciuto.
“Posso farmi una foto con voi?” chiesi,
già armata di
telefonino. “Certo” disse sorridendo Keith
mettendosi in posa con
gli altri. Fermai una ragazza e le chiesi di farci una foto, mentre
mi mettevo in mezzo a loro. Lei, dopo lo scatto mi restituì
il
telefono, ma a me non bastava. “Potreste anche autografarmi
il
gesso?” dissi rossa in volto. Li feci ridere, ma
acconsentirono.
Avrei tenuto quel gesso per tutta la vita, non mi importava.
“Grazie
mille, davvero” dissi mentre a turno mi firmavano il gesso.
“Sono
Hayley, comunque” dissi stringendo le loro mani, in completa
devozione. Keith mi scompigliò i capelli prima di andarsene
insieme al resto del suo gruppo. Rimasi impalata per circa dieci
minuti. Avevo parlato con loro. Avevo una foto con loro. Avevo anche
i loro autografi. Potevo morire felice. Tornai al mio tavolo e rimasi
fino alla chiusura del locale. Non avevo prestato molta attenzione
alle altre band. Ero così felice. Quando uscii era
già
buio e dovevo trovare il modo di tornare a casa. Doveva aver piovuto
perchè i marciapiedi erano pieni di pozzanghere. La fortuna
era dalla mia parte: infatti riuscii a trovare il bus giusto per
tornare a casa. Venti minuti dopo scesi vicino a casa. Attraversai la
strada e mi apprestai ad entrare in casa. “Hayley!”
la voce di
Jodi mi risvegliò dai miei pensieri. “Si
può sapere
dove sei stata?” chiese, più curiosa che
preoccupata. “Non
lo so” risposi sincera, ma con voce sognante. Savannah e mio
padre
erano seduti sul divano e mi guardavano quasi divertiti. Jodi si
avvicinò a me e prese a fissarmi “Non ti sei
drogata, vero?”
chiese con tono severo. Iniziai a ridere “No! Sono stata in
un
locale ad ascoltare musica live e li ho conosciuti!” esclamai
saltellando verso mio padre, che mi guardava senza capirmi.
“Chi?”
chiese curiosa Savannah. “I PumpinkPunkerz” dissi
buttandomi
letteralmente su mio padre. Alzai la gamba ingessata in modo che
tutti potessero vedere le firme “Mi hanno
autografata!” continuai
abbracciando mio padre. Non la smettevo di ridere e presi anche a
saltellare per casa come un canguro. Sentii dei passi pesanti sulle
scale “Cos'è tutto questo casino?” Adam
non si accorse
subito di me. “Hayley ha conosciuto non so chi”
disse Savannah
divertita. “I PumpinkPunkerz!” esclamai sempre
più felice
saltellando verso Adam. “Ah, sei tornata” disse lui
alzando un
sopracciglio e irrigidendo la mascella. “I
PumpinkPunkerz!”
ripetei con più foga gesticolando come una pazza, per
renderlo
partecipe della mia felicità. Ma lui non fece una piega.
“Mamma, possiamo mangiare ora che la principessa è
tornata?”
chiese astioso verso sua madre. “Tra poco è
pronto, Adam”
rispose Jodi, guardandolo male. Lui non disse nient'altro e
salì
in camera sua. Non volevo seguirlo. Non volevo litigare ancora. Ero
stanca di gridare e piangere. Mi accoccolai di fianco a mia sorella e
appoggiai la testa sulle sue gambe. Lei iniziò ad
accarezzarmi
la testa senza distogliere lo sguardo dalla tv. Chiusi gli occhi e
aspettai che Jodi ci chiamasse per la cena. “Stasera hai
intenzione
di uscire?” chiese la mia matrigna ad Adam, versandosi del
vino.
C'era un'atmosfera tesa tra di loro. “Non lo so”
rispose lui
piantando i suoi occhi glaciali sulla madre. Era un chiaro segno di
sfida. Jodi alzò un sopracciglio e lo rimbeccò
“Risposta sbagliata. Tu stasera non esci. Te ne starai qui
con noi”
“A fare cosa? A controllare quella?”
sbottò lui
indicandomi. “Quella è tua sorella e si da il caso
che abbia
una gamba rotta” Jodi stava per perdere la pazienza.
“Ah sì?
Non mi sembra che abbia bisogno di aiuto dato che oggi è
andata a spasso da sola!” Adam si alzò da tavola.
“Jodi,
non fa niente. Non ho bisogno che lui stia sempre a
controllarmi”
dissi alla mia matrigna. “Hayley, non è questo il
punto”
mi rassicurò lei. “Invece è proprio
questo il punto!
Mi avete obbligato a badare a lei ogni singolo giorno da quando
è
arrivata e poi fate delle tragedie se per una volta faccio come mi
pare!” Adam sbraitava velenoso. “Non pensavo fosse
un problema”
bisbigliai amareggiata. “Perchè sei troppo stupida
per
arrivarci!” urlò con rabbia. “Adam,
adesso basta!” Jodi
si avvicinò a lui con fare minaccioso. Lui non disse
più
nulla. Salì semplicemente le scale e si rintanò
in
camera sua, sbattendo la porta. Cosa diavolo era successo? Il mio
cuore martellava nel petto senza sosta. Non lo avevo mai visto
così
arrabbiato con me. “Vado a dormire”dissi, spezzando
il silenzio
che si era creato. Salii al piano di sopra e bussai alla porta di
Adam. Lui non rispose, ma io entrai lo stesso. “Qual
è il
problema?” esordii determinata a scoprire cosa gli passasse
per la
mente. “Potevi startene a casa oggi” rispose lui
appoggiandosi
alla finestra chiusa. “A fare cosa?”
“Niente, come al solito”
rispose astioso. “Mi vuoi dire che cavolo hai in testa?
Perchè
io non riesco proprio a capirti!” esclamai avvicinandomi a
lui.
“Non voglio stare tutto il giorno con te!”
sputò velenoso.
Mi colpì come uno schiaffo. “D'accordo”
dissi soltanto.
Uscii dalla sua stanza e saltellai verso la porta della mia camera.
Mi sdraiai sul letto buttandomi a peso morto e presi a guardare il
soffitto. Il mio sguardo si posò su quella maledetta crepa.
“Ti stuccherò prima o poi” le bisbigliai.
Ritardo,
ritardo e ancora ritardo!! Mi sento un po' come il Bianconiglio.
Capitolo un po' inutile, scritto alla carlona. Ringrazio come al
solito chi inserisce la mia storia tra i preferiti e i seguiti (e
devo ammettere che non mi aspettavo foste così tanti :D ).
Inoltre
ringrazio soprattutto Ryo13
e Athenryl
che trovano sempre tempo per recensire la mia storia :D (spero di non
aver fatto un pasticcio con questo capitolo). Ora, vorrei spiegare
che questo capitolo è “riempitivo”...
Nel senso, non
sapevo che diavolo scrivere e ne è uscita fuori questa
“cosa”
solo per lasciare un po' di suspance. Il prossimo capitolo
sarà
ancora “riempitivo” e poi ci sarà il
capitolo del “3
mesi dopo...”. Non so se mi sono spiegata bene: perdonate le
mie
turbe psicologiche che mi impediscono di spiegarmi come qualsiasi
essere umano. E soprattutto aggiornerò più
velocemente!
Quindi continuate a leggere, recensire, inserite la mia storia tra i
preferiti, ricordati ecc.. E se volete chiarimenti specifici riguardo
la storia e non volete lasciare recensioni scrivetemi pure un
messaggio privato :D
Baci,
Cookie
:D
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