Capitolo
01 – Appesi a un filo
Quel
corridoio d’ospedale era tutto uguale.
Sterile, asettico. Pregno
dell’odore del disinfettante.
Peter Parker aveva la nausea.
Davanti ai suoi occhi, continuava a
balenare l’espressione
stordita di Harry nel momento in cui le lame del suo aliante lo avevano
trafitto.
E poi la sofferenza, le sirene lontane
delle ambulanze. Il disfare il
suo amico della tuta di Goblin, la corsa disperata per affidarlo ad
alcuni medici. Dopodiché precipitarsi indietro, strapparsi
di dosso i brandelli del costume da Spider-Man, recuperare dei
vestiti… E via in ospedale, dove la sua corsa si era
interrotta bruscamente.
L’andare avanti e indietro gli
aveva fatto venir voglia di
vomitare, ma forse l’attesa era mille volte peggiore.
In quel momento, Harry si trovava in
sala operatoria.
La vita del suo migliore amico era
appesa ad un filo, ed era tutta
colpa sua.
Venom puntava a lui, voleva uccidere
lui. Ma Harry si era messo in
mezzo per salvarlo.
Già. Non aveva esitato un
secondo, nonostante tutto il
dolore che lui gli aveva causato.
«Peter? Peter
Parker?»
Nel sentire quella voce femminile, Peter
alzò il capo,
trovandosi a guardare una ragazza che lo fissava incredula.
Stordito com’era,
impiegò qualche momento a
raccapezzarsi.
Lei indossava una divisa da infermiera,
e teneva i capelli biondi
legati in una pratica coda di cavallo.
Peter pensò persino che si
trattasse di una delle ragazze
che aveva rimorchiato mentre era sotto l’influsso del costume
nero… Ma alla fine realizzò di conoscerla.
«Elizabeth Allen»
disse, senza riuscire ad evitare
di suonare un po’ guardingo.
Erano stati a scuola insieme, ai tempi
delle medie, e lui non serbava
ricordi esattamente piacevoli sul suo conto.
A sorpresa, la ragazza si mise a ridere
di gusto. «Non ho
nessuna intenzione di azzannarti, sta’ tranquillo!»
Peter trovò quella reazione
poco in linea col carattere
permaloso della compagna che ricordava, ma non era nelle condizioni di
stupirsene.
Dio, era normale che
l’operazione di Harry durasse tanto?
La giovane dovette notare la sua
espressione, le sue occhiaie marcate,
poiché tornò seria in un attimo e lo
fissò interrogativa… per poi sgranare gli occhi.
«Io e la mia lingua
lunga!» imprecò.
«Scusami, Parker. Non ho pensato di…»
Peter non seppe mai cosa non aveva
pensato di fare, poiché
in quel momento la ragazza notò Mary Jane.
Quest’ultima era accomodata
sulla sedia accanto a quella di
Peter, e teneva il proprio volto tra le mani.
Il giovane girò la testa
verso di lei. Vederla
così lo faceva star male, ma non sapeva come consolarla. Lui
stesso si sentiva morire, soffocato dal senso di colpa.
La ragazza bionda gli scoccò
un’occhiata, poi si
avvicinò alla rossa con aria titubante.
«MJ?» chiamò, posandole una mano sulla
spalla.
Mary Jane alzò il capo e
sgranò gli occhi
– erano arrossati, anche se lei non stava più
piangendo. «Liz!» boccheggiò,
stupefatta. «Cosa… Cosa ci fai qui?»
La ragazza si strinse nelle spalle.
«Ci lavoro»
rispose, per poi aggiungere cautamente: «Sei insieme a
Parker? Perché siete qui?»
Peter serrò i pugni sulle
proprie ginocchia.
“Siamo qui perché sono un idiota e un incapace.
Perché un mostro stava per uccidermi e il mio migliore
amico si è messo in mezzo per salvarmi”.
«Un nostro amico»
disse Mary Jane, cercando di
tener salda la voce. «È rimasto coinvolto nello
scontro tra Spider-Man e Venom».
«Oddio, mi
dispiace!» esclamò
l’altra ragazza, e sembrava sincera.
Si voltò verso Peter, e lo
fissò in volto con una
strana intensità.
«A quanto pare anche tu ci sei
rimasto in mezzo»
osservò. «Ti sei fatto vedere quei lividi e quei
tagli?»
Peter annuì, indifferente.
«Me li hanno
già disinfettati».
Era vero: non appena aveva messo piede
in ospedale, un medico aveva
notato la sua aria malconcia, e aveva voluto a tutti costi sottoporlo a
una visita veloce.
«Il vostro
amico…» azzardò la
ragazza bionda dopo qualche istante. «Lo conosco?»
Peter fece cenno di no col capo, mentre
Mary Jane si mordeva forte le
labbra.
Liz esitò un attimo, poi
domandò:
«Adesso è in sala operatoria, vero? Se vuoi, posso
andare a vedere come stanno procedendo le cose».
Nell’udire quelle parole,
Peter la guardò come un
cane randagio che si vede offrire un boccone inaspettato.
Mary Jane, invece, non sembrava credere
alle proprie orecchie.
«Davvero lo faresti?»
Liz annuì. «Certo!
Basta che mi diciate come si
chiama…»
«Harry» intervenne
Peter. «Harry
Osborn».
La ragazza bionda lo guardò.
«Tornerò
non appena saprò qualcosa» promise, avviandosi a
passo spedito lungo il corridoio.
Peter la seguì con lo sguardo.
«Saranno buone notizie,
vero?» sussurrò
Mary Jane. Aveva il viso tirato.
Peter inghiottì e le strinse
la mano. «Lo
spero».
La ragazza lo guardò. La sua
espressione era composta, ma i
suoi occhi erano colmi di tristezza… E lei, esitante,
poggiò la testa sulla spalla del giovane.
Era da molto tempo che non stavano
così vicini.
Peter la abbracciò, cercando
di farle forza.
Liz controllò il tabellone su
cui erano segnati gli
interventi del giorno.
Quello scontro nel centro di New York
aveva causato un bel
po’ di danni, così al momento le sale operatorie
erano tutte occupate. La ragazza, però, trovò
subito il nome che le interessava.
Harry Osborn. Lo stava operando il
dottor Reed. Era in Sala 2.
Liz girò sui tacchi,
precipitandosi lungo il corridoio.
Ogni sala operatoria era dotata di una
piccola galleria, dove i
chirurghi si lavavano e si preparavano e dalla quale, volendo, potevano
anche assistere alle operazioni.
Tale galleria, infatti, era separata
dalla sala vera e propria per
mezzo di una vetrata.
Quando Liz arrivò, le
bastò un’occhiata
per capire che le cose stavano andando male.
I bip dell’elettrocardiogramma
erano fin troppo rapidi, e il
dottor Reed stava giusto tendendo il guanto insanguinato verso la sua
assistente.
«Defibrillatore!» lo
sentì dire la
ragazza bionda.
Col cuore in tumulto, Liz
avvicinò il viso alla vetrata, e
per poco non vi sbatté il naso contro.
Harry Osborn era disteso sul tavolo
operatorio inondato di luce. Gran
parte del suo volto esamine era coperto, e Liz riuscì a
vederne giusto gli occhi chiusi, ma tanto bastò
perché lui le apparisse intollerabilmente indifeso.
E in quanto alle persone che cercavano
di salvargli la vita…
Sembravano fantasmi avvolti in camici verde acqua.
La ragazza strinse i pugni
così forte da farsi male.
Non vedeva Mary Jane da anni, e le erano
successe moltissime cose, ma
non aveva dimenticato la loro amicizia, e ricordava fin troppo bene
quanto l’altra le fosse apparsa disperata.
Al solo pensiero di doverle riferire
delle cattive notizie, si sentiva
morire.
Quando l’elettrocardiogramma
si ridusse a una linea piatta,
segno che il cuore del giovane si era fermato, la ragazza non
resistette.
In preda all’ansia,
s’infilò in fretta e
furia guanti, cuffia e mascherina, ed entrò nella sala
operatoria.
L’anestesista
nell’angolo la guardò
inarcando le sopracciglia, ma né il chirurgo né
la sua assistente fecero caso a lei: l’uomo stava giusto
restituendo il defibrillatore, dopodiché immerse la mano nel
torace aperto del suo paziente.
«Andiamo, ragazzo»
borbottò.
Liz riusciva quasi a vedere le mani del
dottor Reed che massaggiavano
il cuore sanguinante del suo paziente.
Finalmente, dopo qualche secondo di
agonia, il cuore del ragazzo
ripartì.
Liz emise un sospiro carico di sollievo,
ma da ciò che
vedeva capiva che era presto per considerarlo salvo.
«Garze»
ordinò il dottor Reed, tendendo
la mano. «Aspira… È una gran brutta
emorragia».
Liz sentì una fitta
d’ansia. Anche a lei appariva
chiaro che il giovane stava perdendo una quantità enorme di
sangue, ma sentirlo confermare dal medico le parve spaventoso.
Le mani del chirurgo lavoravano senza
sosta, la sua voce chiedeva
continuamente altri studenti. Ma la sua fronte, visibile tra la
mascherina e la cuffia azzurra, era aggrottata, e dopo un po’
lui iniziò a scuotere il capo.
Con un nodo alla gola, Liz
puntò gli occhi sul volto di
Harry Osborn.
In quel momento, notò che lui
aveva il lato destro del viso
sfigurato, come se fosse sfuggito appena in tempo a un incendio.
E di colpo, non si trattò
più solo di non voler
portare una cattiva notizia a MJ. Anzi, per un istante
dimenticò persino di trovarsi lì per richiesta
dell’amica.
Harry Osborn doveva avere circa la sua
età, e sembrava
così sperduto…
Liz si sentì soffocare.
“Oddio, no! Ti prego,
fa’ che vada tutto bene. Ti prego, ti prego, ti
prego…”
La voce incredula del dottor Reed
interruppe le sue preghiere:
«Non è possibile…»
«Che cosa, dottore?»
«Questi vasi. Erano andati,
come diavolo…? Non
importa. Il ragazzo è fortunato».
Liz sentì il proprio cuore
battere più forte.
Fortunato?
«Bene»
decretò il chirurgo,
«finiamo qui, e poi possiamo chiudere. Se la
caverà».
La ragazza bionda gettò un
ultimo sguardo al volto esamine
di Harry Osborn, sentendo un sorriso radioso premere contro la
mascherina.
Senza dire nulla, sgusciò
via: non le serviva sapere altro.
Note:
Se qualcuno è riuscito ad arrivare in fondo a questo
capitolo, mi congratulo con lui.
E sarei felicissima se mi facesse sapere cosa ne pensa (è il
caso di continuare o di cestinare la storia?).
Questa, comunque, è la riscrittura (molto riscritta XD) di
una storia che avevo iniziato a pubblicare il 9 ottobre del 2010.
Liz Allen
non l’ho inventata io: è un personaggio dei fumetti al pari di Peter, Harry e Mary Jane.
Io vi consiglio di non cercare altre informazioni in rete su di lei, se
volete che ciò che succederà sia una
sorpresa.
Nel banner (orrido, lo so) là in alto, è
impersonata da Reese
Witherspoon.
Ho detto tutto, perciò mi eclisso!
Ah, il prossimo capitolo dovrebbe arrivare mercoledì 30
gennaio. Contrordine: arriverà giovedì 24 ^^
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