La stessa pianura
sconfinata, e, questa volta, la macchia di alberi più vicina, a pochi passi da
lui. Il sole era irrealmente abbacinante, come se il cielo non fosse stato
fatto d’aria, e non fosse stato in grado di filtrare la sua luce. Faceva sempre
caldo, ed era sempre tutto perfettamente immobile.
Harry non perse
nemmeno più tempo a stupirsi: le cose erano andate come lui aveva sperato,
perciò si incamminò verso i bei faggi rigogliosi che costituivano la sola isola
del paesaggio con passo deciso, e con tutta l’intenzione di sfruttare fino in
fondo l’opportunità. Fra le foglie cadute degli alberi avrebbe potuto trovare
delle tracce, indizi di qualsiasi tipo che potessero aiutarlo a vederci un po’
più chiaro in tutta quella faccenda.
Se quello era un sogno,
e se quindi tutto ciò che vedeva era irreale, e creato dalla sua mente, non
doveva far altro che desiderare di capire che cosa stesse succedendo. Animato
da questa elementare considerazione, si mise ad aguzzare la vista fra i cumuli
di fogliame colorato che giacevano a terra, e che si animavano e reagivano come
fossero state vive, ad ogni suo passo.
All’improvviso,
molte altre foglie cominciarono a cadere dalle cime degli alberi, formando una
vera e propria pioggia di petali dorati e rossicci. Harry si dimenticò per un
momento del resto. Era uno spettacolo bellissimo, perché ogni foglia che gli
cadeva addosso era una carezza, e gli dava l’impressione che ognuna di esse
stesse raccontando storie bellissime.
Si lasciò andare a
quella pace avvolgente e silenziosissima. Si sedette a terra, poi si distese,
sorridendo come uno sciocco. Allargò le braccia e le gambe, e si lasciò
sprofondare nel tappeto morbido di foglie; sotto la sua schiena avvertiva la
presenza del terreno friabile, e di una quantità di sassi, pezzi di legna,
rami, e lo colse la netta impressione che ognuno di essi avesse un significato
importante per lui.
Affondò la mano, e
pescò qualcosa, un lembo di stoffa bianco, molto stropicciato. Se lo portò
davanti agli occhi tenendoselo sospeso sul volto, e all’improvvisò inorridì.
Il brandello lungo
di tessuto, lungo e stretto, e irregolare, forse una fascia improvvisata, era
macchiato in più punti di sangue.
- Salute. -
Harry sobbalzò e
scattò su di soprassalto. Si rimise in ginocchio, e poi in piedi, sollevò lo
sguardo e lui era lì, come se niente fosse.
Identico a lui,
davvero identico, persino nel modo di sorridere. Era alto come lui, portava i
capelli corti come lui; la sola cosa che gli mancava erano gli occhiali. E la
cicatrice.
- Papà. – soffiò,
lasciando scivolare via la mano dalla tasca del mantello che conteneva la sua
bacchetta magica che, questa volta, lo aveva seguito nel sogno.
Il giovane uomo
fece una strana espressione, a metà fra il divertito e il rassegnato, e avanzò
verso di lui facendo crepitare le foglie sotto ai suoi piedi.
Harry gli si
precipitò incontro non appena lo vide muoversi. – Perché non mi hai mai parlato
fino ad ora? – gli riversò addosso come una cascata impazzita. – Perché hai
continuato a sfuggirmi? E perché hai bisogno di… -
- Mi dispiace. – lo
interruppe lui, con voce gentile. – Ma io non sono tuo padre. -
Harry inghiottì le
sue ultime domande, aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito.
- Ma… ma come. -
- Mi dispiace
davvero. – si scusò il ragazzo, con genuina sincerità.
Le sue parole
semplici lo avevano lasciato lì così, frastornato, ad ascoltare il rombo del
suo sangue che pulsava nelle orecchie.
Il castello di
carte che lui e i suoi amici si erano impegnati a costruire era crollato ancora
prima di essere completo. Harry avvertì una bruciante sensazione di delusione,
perché nonostante tutto l’idea di avere la possibilità di rivedere suo padre
nei suoi sogni gli era parsa fin dall’inizio come uno splendido regalo. Si
vedeva già a correre in suo aiuto, qualsiasi fosse il motivo, e chissà che
magari non sarebbe riuscito a riabbracciare anche la mamma, in un modo o
nell’altro, o per lo meno a guadagnarsi la garanzia che quel loro piccolo
angolo notturno sarebbe rimasto per sempre un’isola protetta.
Era difficile
ammetterlo ora, dopo aver fatto tanto per dissimularlo, ma Harry era stato
entusiasta dei suoi sogni, fin da subito, e come il peggiore dei poppanti aveva
visto suo padre in quella figura perché aveva voluto vederlo, con tutte le sue
forze.
- E’ perché ci
assomigliamo, vero? – cercò di riprendere la conversazione l’altro, apparendo
un filino imbarazzato.
Harry si rese
allora conto di un piccolo, assurdo dettaglio: quel tipo gli somigliava davvero
come una goccia d’acqua, perché aveva persino gli occhi verdi, proprio come
lui. Occhi verdi che lui sapeva benissimo non poter essere di suo padre.
- Ma allora chi
sei? -
Il ragazzo sembrò
enormemente sollevato dalla domanda di Harry. Gli fece un sorriso grande, e
persino un piccolo gesto di inchino con la testa.
- Mi chiamo Marzio
Fabio Saverio. E tu? Puoi dirmi come ti chiami? -
- Harry. -
- Harry e basta? -
Harry aggrottò la
fronte, un tantino confuso. – Beh, come altro dovrei chiamarmi? Harry James
Potter, ecco. -
- Oh. – fece
l’altro, con un certo rispetto. – E come vuoi che ti chiami? James? -
- James? Perché mai
dovresti chiamarmi James, scusa ? Io mi chiamo Harry! -
Lo strano ragazzo
diede un sorrisone francamente eccessivo. – Beh, allora se davvero mi permetti di
chiamarti Harry, tu potrai chiamarmi Marzio. –
- Perché, come
altro avrei dovuto… oh, senti, lasciamo perdere. Marzio ed Harry andranno
benissimo, o qui finiremo con il buttare via una nottata per decidere i nomi. –
Il vento tirò un
sospiro fra loro, portando alle loro narici l’odore delle foglie fresche da
poco cadute, sapido e piacevole.
Harry incrociò le
mani al petto con cipiglio serio. – Ho molte domande da farti. – esordì.
- Sì, immagino che
sia comprensibile. -
– Tanto per
cominciare: come diavolo fai ad essere identico a me? -
Marzio si strinse
nelle spalle, sornione, e mentre Harry si prendeva un po’ di tempo per
osservarlo, si rese conto che ciò che aveva appena detto non era del tutto
esatto: Marzio era sì tale e quale a lui, ma era vestito in modo completamente
diverso dal suo: portava delle scarpe strane, che sembravano fatte di cuoio, e
indossava una tunica chiarissima, di quelle che Harry era certo di aver visto
addosso a delle statue antiche, in qualche museo. Sopra portava un mantello, e
quel dettaglio era l’unica cosa che Harry aveva sempre notato di lui.
- Chi sei, e perché
compari nei miei sogni? -
L’espressione
dell’altro si rabbuiò all’improvviso. – Perché ho disperatamente bisogno del
tuo aiuto. -
– E perché ti serve
il mio aiuto? -
- Perché sei
l’unico che può farlo. -
- E perché proprio
io? -
- Perché tu sei
uguale a me. -
Harry ebbe
l’impressione che la testa stesse per esplodergli. - … E allora? – gemette.
- E’ una storia
lunga, Harry, davvero molto lunga. -
- Hey, non puoi
pensare di cavartela così a buon mercato. Se davvero vuoi che ti aiuti il
minimo che tu possa fare è spiegarmi la situazione, no? Ad esempio, perché ci
hai messo così tanto a dirmi il tuo nome? Te l’ho chiesto un milione di volte,
ma tu non mi hai mai risposto. -
-
Perché era troppo presto. – rispose Marzio con semplicità.
- Troppo presto? -
- Già. -
- E questo che cosa
significa, scusa? -
Marzio socchiuse la
bocca, e gettò la testa all’indietro, perdendosi fra le nuvolette fumose che
decoravano il cielo.
- Significa che ora
tu devi svegliarti. -
- Hey, hey,
aspetta. -
Marzio gli concesse
un sorriso mite. – Ci rivedremo presto, Harry. – mormorò.
Un attimo dopo,
Harry si risvegliò nel suo letto.
* * *
Né Seamus, né Dean,
né Neville, e nemmeno Ron notarono nulla di strano in Harry, la mattina
seguente. E Harry ne fu sollevato, perché si era impegnato con tutte le sue
forze per non dare nell’occhio.
Visto lo strano
evolversi della situazione, aveva deciso che la cosa più saggia da fare era
cercare di tirare in mezzo il minor numero possibile di persone in quella
faccenda; con Ron avrebbe parlato più tardi, assieme ad Hermione. Ma gli altri
dovevano continuare a credere che fosse tutto risolto, e che l’incidente di due
notti prima non fosse stato altro che un banale incubo. Un po’ gli dispiaceva
di lasciare fuori dai giochi proprio tre fra le persone che gli erano state al
fianco con più coraggio soltanto l’estate prima, durante la breve ma tremenda
lotta contro i Mangiamorte. Ma era stata proprio la guerra ad insegnargli che
coinvolgere significa mettere in pericolo, e su questi suoi nuovi sogni
gravavano ancora troppi punti interrogativi.
Poteva essere tutta
una trappola ordita da chissà chi, come poteva benissimo trattarsi del pazzesco
frutto della sua fantasia.
Dentro di sé, Harry
era costretto a lottare contro l’infantile desiderio di rimettersi a letto,
chiudere gli occhi e cercare di incontrare di nuovo questo Marzio per
tempestarlo di domande; ma la fretta non lo avrebbe portato a niente di buono.
Riassunse nella
testa le cose più importanti che aveva sentito, quelle da non dimenticare
assolutamente di riferire agli altri, e si impose di sorridere delle
circostanza, ricacciando in fondo al cuore l’amarezza e la malinconia per il sentimento
infantile che lo aveva accompagnato fino a poco prima, così duramente deluso.
* * *
Harry radunò
Hermione e Ron nella Sala Comune di Grifondoro, durante la pausa subito dopo il
pranzo. Aveva accennato loro qualcosa già durante la lezione di Incantesimi, ma
Vitious aveva scelto proprio quel giorno per insegnare alla classe un
incantesimo nuovo di zecca, e per di più particolarmente laborioso, ragione più
che valida per decidere di rimandare ogni ulteriore discussione a più tardi.
- E così, non è tuo
padre. – ragionò Hermione. – A sentire te, sembra che venga fuori dritto da un
libro di storia. -
- E’ il suo
abbigliamento che mi ha lasciato di stucco. Hai presente quelle statue greche e
romane? Come quelle che ci sono al British Museum? -
- Che cos’è il
British Museum? -
Il povero Ron venne
zittito da un’occhiataccia congiunta degli altri due, e si chiuse a tartaruga
fra le spalle.
- Discriminato
perché sono un mago. – protestò flebilmente fra sé. – E dire che fino a
quest’estate quelli perseguitati erano i Babbani. -
- Da come me l’hai
descritto sembrerebbe più un Romano che un Greco. E anche il nome mi suonava
latino, come hai detto che si chiama, scusa? -
- Non lo so. –
borbottò Harry. - Si chiama Marzio… Fabio… Severo, Saverio Fabio, non ho capito
un accidente. -
Hermione strinse le
mani sui fianchi, e Ron, seduto di fianco a lei, ebbe un vago tremito di paura
che gli fecero scordare in un baleno tutte le sue spinose questioni
discriminatorie.
– Come sarebbe a
dire che non lo sai, Harry? – lo riprese. – Per un uomo dell’antica Roma è
fondamentale distinguere i propri nomi! -
- E perché, scusa?
Di primo nome fa Marzio, che diamine vuoi che me ne importi degli altri nomi? -
Hermione alzò gli
occhi al cielo. – Gli altri nomi, Harry. – cominciò con petulanza. – Sono
importantissimi, per sapere chi sia questo tizio. Il primo nome è quello
riservato alla cerchia familiare, o alle persone intime. Il secondo è quello
della sua famiglia, un po’ come il nostro cognome, e il terzo è quello che conta,
quello con cui tutti lo chiamano. –
- … Oh. – fece
Harry. – Ecco perché era così stupito di potermi chiamare per nome. -
- Cielo, Harry, che
confusione gli avrai fatto fare, poverino. -
- Poverino lui?!? –
Harry non lesinò per niente sulla lunghezza del broncio. – E io, allora? Marzio
di qua, Fabio di là, che si decida una buona volta! E poi al diavolo, mi
spieghi cosa ci fa un Romano nella mia testa? -
- E che cosa vuoi
che ne sappia io! -
- Ragazzi, io non
ci ho capito un bel niente. – intervenne candidamente Ron. – Ma non mi pare il
caso di stare qui a perdere tempo con discorsi del genere. Abbiamo il suo nome,
no? E allora perché non cerchiamo qualche notizia? -
Hermione gli
concesse un’occhiata sinceramente stupita ed ammirata che lo offese un po’.
- Hai ragione. –
constatò. – Non ci resta che sperare che in biblioteca ci sia qualche risposta.
-
ANGOLINO!
Annuncio, T Jill si
è impegnata formalmente a passare tutte le pagine incriminate ai lettori
minorenni, in caso di rating rosso, quindi gentili signori della polizia, le
retate dovete farle a casa sua! Muahahaha!
Dai, scherzi a
parte, grazie di cuore per tutte le recensioni, sono contentissima che la
storia vi interessi! Rispondo un po’ ai vostri commenti, ovviamente per quello
che posso dire. Vi ricordo che, per i disguidi occorsi al sito, le eventuali
recensioni scritte il 17/02 sono andate perdute, perciò, se non trovate qui il
vostro nome, è per questo motivo. Mi spiace, cercherò di rispondervi la
prossima volta!
Lake: grazie mille! Non ti posso dire niente,
però hai ragione, mai nascondere nulla a Hermione!
Ginny W: grazie! Eh sì, Draco è sempre Draco…
The Fly: mia cara, non posso dire nulla di nulla, ma
stai tranquilla che ogni cosa ha il suo perché!
Koorime: sì sì, mantieniti salda per gli esami!
Tanto questo capitolo non ha risolto granché, ci vorrà ancora un po’ per avere
tutto chiaro.
Chiara: sono contentissima che tu veda i tre simili
a quelli originali, in effetti cerco di evitare, nel limite del possibile, di
andare OOC, e in questa storia non ce ne sarà bisogno.
Dark: povera, mi è impazzita totalmente!
>///<
Herm83: aiuto, come hai fatto a leggere tutto in
una settimana? Sei un genio!
Smemorella: doppia recensione, rispostone unico! Aiuto,
aiuto, non mi maltrattare! Ç__ç certo che con l’immagine dell’amputazione mi
hai proprio fatto passare la voglia di tagliare pezzi, poi finirei con il
sentirmi in colpa come fossi una macellaia! Il tuo riassunto non fa una piega,
ma non mi strapperai una parola, no no! E non mettetevi in combutta fra di voi!
Tsubychan: grazie, come sono contenta!
T Jill: Ah, la nostra paladina di Star Trek… guarda
che ti sei impegnata formalmente! Waaa, i temi di prima media, che nostalgia.
Me ne ricordo uno fantastico sui Promessi Sposi in cui mi accanivo con tutta
l’anima contro Lucia, con l’argomentazione schietta “più sfigata così non è
fisiologicamente possibile”.
Puciu: hihi, nessuna risposta, ma grazie dei
complimenti! Sì, in effetti mi cimento raramente con il mistero, un pochino in
Haunters, ma qui le cose sono molto diverse e più complicate.
Little Star: la saggezza di Ron è insuperabile. Per il
resto tesorino, sono zittissima!
Lady: oh, ma che bello, grazie mille! Non
immagini come anche io mi stia gustando la stesura!