Come
sono carini
mentre litigano.
“Da quel
maniaco
sessuale non ci andiamo, è chiaro? No no no no
no!”.
“Nabiki ha
detto una
cosa sensata, potrebbe essere la soluzione vincente”.
“Preferisco
rimanere
qui che essere in debito con lui!”.
“Ragiona,
Akane...”.
“Proprio
perché sto
ragionando dico così! Ma insomma, solo io ci vedo della
pazzia in questa
proposta?”.
Se conosco almeno un
po’ il carattere della mia defunta sorella so che ne
potrebbero avere per
molto, pertanto mi alzo senza far rumore e mi avvio verso
l’uscita. Ho voglia
di una sigaretta. E poca voglia di sentir loro che si scannano.
Tanto già
so come
andrà a finire: prima o poi qualcuno la butterà
sul tragico e riusciranno a
convincere quella testa dura che la mia idea, sebbene io sia la prima
ad
ammettere che è azzardata e potenzialmente disastrosa,
è probabilmente l’unica occasione
per uscire dal pantano che ha fatto loro da casa nell’ultimo
anno.
D’altronde,
in
situazioni del genere, prima del Torneo i casi erano due: o ci si
rivolgeva a
Obaba, che forse non era sempre ortodossa ma di cui tendenzialmente ci
si
poteva fidare... o ci si rivolgeva ad Happosai e si stringevano
fortissimo le
dita sperando di beccarlo di buzzo buono. E non che quando è
di buzzo buono sia
poi una compagnia così piacevole, eh. Ma almeno
c’è una discreta possibilità
che decida di aiutare.
Poi il Torneo
arrivò,
via una cariatide si portò e andare dall’altra la
sola opzione restò.
Ok, mai
più. Come
poetessa faccio schifo.
Scorgo di sfuggita
Shan-Pu che mi guarda male mentre armeggio col pacchetto e
l’accendino. Le
faccio capire con un cenno della testa che non ho intenzione di
impestarle il
locale con il mio catrame e che sto per andare fuori.
Una volta
all’esterno
mi appoggio al muro, guardando distrattamente i passanti, e finalmente
mi godo
il mio piccolo tesoro.
Passano dieci minuti
e un cigolio al mio fianco mi ridesta dai miei pensieri sulla mia
personale
tabella di marcia finanziaria.
È Ak...
Akiko. Meglio
che, quando siamo in un ambiente con degli estranei, pensi a lei in
quei
termini. Non voglio lasciarmi sfuggire un nome di troppo.
Sembra abbacchiata.
Può darsi che l’abbiano persuasa.
“Ebbene?”
chiedo con
nonchalance.
“Continuo a
pensare
che sia una pessima trovata, ma non posso negare che siamo davvero con
le
spalle al muro e che potrebbe darci una grossa mano”.
“Chi sono io
per
darti torto?”.
La lontana
cugina
rompiballe, ecco chi sei”.
“Oh su
Akiko, non
fare così. Sai che il mio pragmatismo viene utile in
situazioni del genere”.
“Forse.
Questo non ti
rende meno antipatica”.
Va bene, non posso
fargliela passare liscia. Mi avvicino al suo orecchio e le sussurro:
“Senti un
po’ piccola Akane, non credi di stare esagerando? Quel che ho
detto l’ho detto
per cercare di uscire dall’impasse. Impasse che, ci tengo a
ricordarti, è
vostra e non mia. Io sono a casa”.
“Non... non
vale
giocare sporco, bastarda”. Cos’è questo
tono tremulo, bimba? Ti avrò mica messa
a disagio con così poco?
“Non sto
giocando
sporco e lo sai. Se stessi giocando sporco tu ora saresti su un tavolo
operatorio della CIA mentre ti vivisezionano, cercando di capire come
hai fatto
a tornare in vita”.
Rifiuta di
rispondermi e si scansa, disgustata.
Temo di avere
esagerato. Non mentivo quando ho detto ad Akira che lei, per me,
è sacra in
quel senso.
Sto per scusarmi ad
alta voce quando anche gli altri escono.
C’è
un certo buon
umore in loro, evidente nei sorrisi di Genma e specialmente di Akira.
Il
ragazzo non sa quanto sono brutte le fauci in cui ci stiamo infilando.
“Bene
ragazzi”
esordisce proprio il nostro caro ingenuotto
“perché non ci mostrate dove abita
il signor Happosai? Kasumi ha detto che vive da solo già da
molti anni”.
“Io non ne
ho idea”
rispondo onesta. Passo di qui solo per le festività e non
perdo di certo tempo
per scoprire dov’è andato a stare quel minuscolo
maiale.
“Datemi un
attimo che
chiudo il ristorante e ve lo mostro io” dice Shan-Pu.
“Com’è
che lo sai, di
grazia?” le viene chiesto.
“Una volta
ci sono andata
per riprendermi un reggiseno che mi aveva fregato,
quell’invasato del cazzo.
Spero solo che la concussione cerebrale che gli ho provocato non lo
abbia
rincoglionito troppo”.
Bonjour finesse,
madamoiselle.
“Poi ci si
chiede
perché Shinichi parla come un camionista” butta
lì Akira fischiettando. Come
dargli torto? Il vocabolario del mio caro nipotino è
parecchio sboccato e, se
tanto mi dà tanto, qualcosa da lei l’ha ben
assorbito. Però a me, al contrario
di sua madre, la cosa non crea alcun problema.
Attendiamo che la
cinese concluda con le operazioni di chiusura e lasciamo che ci faccia
da
battipista.
Proseguiamo vicini e
compatti.
Per un puro caso al
mio fianco c’è finita Akane. E visto che con lei
ho un discorso in sospeso...
Faccio per accostarmi
nuovamente al suo orecchio quando la vedo allontanarsi. Devo aver
toccato
qualche corda profonda per farla reagire così.
E va bene, non sono
obbligata a bisbigliare.
“Scusami,
prima ho
detto una parola di troppo”. Non rivolgendomi direttamente
nella sua direzione,
ma a voce abbastanza alta da far sì che chi deve capire
capisca.
Nessuna risposta,
né
vocale né in altro modo.
Oh beh, non pretendo
un abbraccio strappalacrime e una riappacificazione plateale. Quel che
dovevo
fare l’ho fatto e mi so accontentare.
Il resto del viaggio
è tranquillo.
Ci troviamo di fronte
a una casetta modesta, quasi alla periferia di Nerima.
“Ci siamo,
signori.
Happosai dovrebbe trovarsi qui” dice Shan-Pu indicando
l’ingresso.
“Cosa
aspettiamo
allora? Entriamo” proclama Akira avvicinandosi a grandi
falcate alla porta e
aprendola senza preoccuparsi di suonare o di rendere altresì
nota la propria
presenza al padrone di casa.
Lo seguiamo
sospirando, chi più chi meno stupefatto da tanto giovanile
ardore. Ma lo
capisco, il ragazzo starà pregustando la
possibilità di tornare al mondo cui
appartiene e si sentirà elettrizzato.
È proprio
figlio di
Ukyo e Ryoga, comunque. Non per un solo istante ha espresso titubanza,
lasciandosi guidare dall’istinto. E ok, si presume non sappia
con chi abbiamo a
che fare ma questo non toglie che non sia il comportamento
più prudente. Specie
quando chi ti circonda, che al contrario di te sa bene chi stiamo
immischiando
in ‘sta storiaccia, appare meno che entusiasta alla
prospettiva.
Inaspettatamente lo
troviamo subito, lì nel salone. Come al suo solito intento a
stirare l’ultimo
bottino.
Porco che vince non
si cambia.
“Tu chi sei,
bamboccio?” esclama verso il primo invasore. Giudicando dal
tono, e soprattutto
dal fatto che non lo abbia scagliato verso il tetto con quella sua
odiosa pipa,
potrebbe essere un momento fausto.
“Lei
è il signor
Happosai, giusto?”.
“Sono io. Ci
conosciamo, giovanotto? Oh, ma ti sei portato una bella banda. Kasumi,
Shan-Pu,
Nabiki e...”.
Trasale.
Credo abbia
riconosciuto Akane nonostante il travestimento.
“Che
cos’è questo
scherzo? Chi è quella ragazza?”.
Interviene Genma,
ponendosi di fronte ad Akira: “Venerabile maestro, abbiamo
estremo bisogno
della sua sconfinata saggezza ed esperienza”.
“Genma? Sei
tu?
Faccio fatica a riconoscerti...”.
“Sono io e
non sono
io, sì. Se posso sedermi e spiegarle...”.
Provvede e comincia
ad aggiornarlo sui più recenti avvenimenti.
Il racconto termina,
almeno nelle sue linee principali, e la sua espressione non esprime
neanche
un’oncia dello stupore che mi sarei aspettata di trovarci.
Allunga una mano al
suo fianco, raccoglie la pipa e se la accende. Aspira profondamente
prima di
aprire bocca: “Se non fossi chi sono ammetto che questa
storia mi avrebbe
confuso parecchio. Ma, per vostra fortuna, io sono Happosai”.
“Puoi anche
evitare
di fare la ruota come un pavone con il colera, vecchio” lo
apostrofo
acidamente. Non sono venuta qui per sentirlo tessere le lodi di se
stesso,
bensì per vedere se possiamo risolvere questa scomoda
situazione. Dopo un
secondo di pausa riprendo: “Piuttosto,
com’è che la notizia non...”.
“Semplice,
Nabiki. Ho
indirettamente vissuto un’esperienza simile, in
gioventù”.
Che cosa?
Si alza un coro di
“Impossibile!”, “Non ci credo!”
e similari.
“Prego?”.
“Mi hai
sentito.
Parecchi decenni fa, forse addirittura un secolo... ho trovato una mia
versione
a cui era capitato il vostro stesso contrattempo”.
“E...”.
“Vedi un
altro me
stesso nei paraggi, per caso?”.
Poi dite che non mi
vengono intuizioni geniali, eh. Mai dare il biscottino alla povera
Nabiki
quando se lo merita.
“E allora
cosa
aspetti?” prorompe Akira “Dicci come hai fatto a
rispedirlo nel suo mondo!”.
Uoh ragazzo, uoh. Calmati. Adesso probabilmente capirai
perché c’era tanta
ritrosia al volerlo coinvolgere.
“A me cosa
ne viene
in tasca? Non sono qui a fare beneficenza per voialtri”.
Vedi? Stiamo parlando
di Happosai, non di una brava persona.
Però,
neanche venti
secondi dopo, decide di smentirmi: “Anche se potrei pure
accettare di
aiutarvi... dietro un congruo compenso”. Parzialmente, almeno.
Va bene, adesso
lasciatemi lavorare in santa pace.
“Cosa vuoi,
barattolo
di immondizia umana?” chiedo ponendomi direttamente di fronte
a lui.
“Mandate
avanti il
piccolo piranha, vedo. A me sta bene, se non è Nabiki-chan
non mi diverto”.
Grrrr. A distanza di tutto questo tempo ancora si ricorda di quanto
quel
nomignolo mi manda in bestia.
Parte una
serratissima contrattazione, in cui volano pagamenti e contro pagamenti
di
un’unica natura: riviste porno, reggiseni e mutandine di
varia foggia e
materiale, bambole gonfiabili. Non appena tenta di pronunciare un
qualsiasi
pronome che si riferisce a noi gli pesto un piede.
A un certo punto alza
fin troppo la posta e spara un “Voglio una compagna di letto,
esperta nelle
arti amorose, per riscaldare le mie vecchie ossa nelle fredde notti
invernali”.
Richiesta negata senza appello, non glielo possiamo proprio concedere.
Dopo
questa Kasumi cerca di coprire le orecchie di Akira ed Akane, ignorando
cosa
sono riuscita ad estorcere alla nostra quasi-sorella. Sapesse. E
comunque
fallisce, i due ragazzotti sembrano piuttosto interessati al discorso.
Alla fine ci
accordiamo per una fornitura bi-annuale di quattro hentai mensili fra i
più
zozzi e perversi che conosco, un camion di biancheria intima
consegnabile anche
a rate e Keiko la Porcona, il modello con la bocca che si muove come a
fare una
fellatio.
“Hai
ottenuto quel
che volevi, ora dacci quel che vogliamo”.
“Immediatamente,
cara
Nabiki-chan”.
Tenetemi o lo sventro
prima che possa risponderci.
Apre un armadio,
ravana un po’ nelle sue scartoffie e tira fuori un rotolo
che, a guardarlo da
qui, sembra più datato di lui. So che suona difficile da
credersi.
Ce lo stende davanti,
ma credo che nessuno di noi sia in grado di interpretarlo. Dobbiamo
solo
sperare che decida di non inventarsi una storia assurda delle sue.
“Allora,
fatemi
ricordare bene...”.
“Coraggio
vecchio,
non abbiamo tutto il giorno” lo istiga Shan-Pu.
Più passano
i
secondi, più lui sta in silenzio e più sento il
ripetersi dell’affaire Happo
Daikarin. Solo che lì si poteva tranquillamente fare a meno
del contenuto, qua
un po’ meno.
Percepisce di essere
il centro focale del nostro gruppetto e, come suo solito, comincia ad
agitarsi.
Memori del precedente, io e Kasumi provvediamo a tenerlo fermo. Se si
infervorasse e riducesse la pergamena a brandelli non sarebbe piacevole.
“Concentrati,
Happosai” gli dico, seria. Questa faccenda non mi riguarda
direttamente, è
vero, ma ho la precisa sensazione di dover fare un po’ il
capo della baracca.
“Va bene, va
bene”
risponde dopo che l’abbiamo mollato.
E finalmente
otteniamo quel che cercavamo.
C’è
solo un piccolo
problema.
“Uh
oh”.
“Uh oh
cosa?”.
“Devo essere
onesto,
non me lo ricordavo. È possibile rispedire al mittente un
intruso, sì... solo
che...”.
“Solo
che?”.
La tensione sale.
“Solo che
c’è
un’altissima probabilità che qualcosa vada
storto”.
“Cosa
intendi con qualcosa
vada storto,
esattamente?”.
“Non lo so,
non l’ho
mai sperimentato in prima persona. Dice che è
pressoché impossibile che
qualcuno possa tornare al momento in cui è partito. O che
torni come se
stesso”.
“Si potrebbe
spiegare
un po’ meglio, maestro?”.
“Presupponiamo
che
adesso usi questo metodo su Akane, che se non ricordo male viene dal
1991. Per
tornare nel suo mondo ci torna, in quel senso funziona bene. Ma per il
resto...
beh, diciamo che è praticamente certo che non arriverebbe
nel 1991. Potrebbe
trovarsi nell’era Sengoku, durante la restorazione Meiji, nel
paleolitico,
durante l’epidemia di peste in Europa o alla fine del pianeta
Terra. Oppure sì,
potrebbe tornare nel 1991... e avere l’aspetto di un uomo
africano settantenne.
O di una ragazza bulgara. O di un ispanico di mezza
età”.
Il silenzio accarezza
le facce dei presenti come un manto di spine.
Cosa ti eri detta non
più di venti minuti fa, Nabiki? Come poetessa fai schifo.
Evita.
“Oh, la cosa
è ancora
più interessante. Se si è particolarmente sfigati
è possibile che si realizzino
entrambe le eventualità”.
“Settantenne
nel
paleolitico?” chiede Akane. Trema.
“O una
qualunque
delle altre combinazioni. Ma sì, il succo è
quello”.
“Toglimi una
curiosità, vecchiaccio” non mi trattengo
“Se questo sistema è tanto instabile,
perché l’hai usato su una tua copia?”.
Mi osserva come se
fossi un’alunna delle elementari che ha appena sbagliato
un’addizione dopo
l’intera annata passata a studiarle: “Che domande
sono, Nabiki? Ti facevo più
furba”.
“Beh, scusa
se non
sono particolarmente brava a interpretare il cervello di un pervertito
che ha cento
volte la mia età”.
“Mi ferisci
parlando
così. Comunque, semplicemente, abbiamo deciso di comune
accordo che due
Happosai non potevano coesistere nello stesso mondo. Troppi
squilibri”.
“Qualcosa
che ha a
che fare con il continuum spazio-temporale?”. Sì,
e Grande Giove e uno virgola ventuno
gigawatt.
“No. Non
c’era
abbastanza biancheria da rubare per entrambi”.
... giuro che lo
ammazzo.
“E comunque
c’è
scritto che, anche se l’aspetto esteriore risultasse diverso,
la personalità
rimane sempre la stessa. Quindi non importa che corpo occupa o in che
epoca
possa essere finito, di ragazze gnocche da spiare ce
n’è sempre in abbondanza”.
“Ma
perché la possibilità
di tornare al momento giusto è così
bassa?”.
“Lo vieni a
chiedere
a me, Genma? Non lo so. Qua viene solo detto che si tratta di forze
generate
dal caos entropico interplanetario, o qualche stupidaggine ampollosa
del
genere, e che sostanzialmente decidono a seconda del loro umore di quel
giorno.
E pare che di solito siano capricciose e poco inclini al lieto fine.
Non c’è
uno straccio di spiegazione sensata”.
Cazzo. E mi scoccia
dover ricorrere al turpiloquio anche se solo nella mia testa,
però stavolta lo
trovo ampiamente giustificato.
Guardo i nostri
turisti.
Akane è
terrorizzata,
non c’è altra parola adatta a descriverla. Dopo
essersi divorata tutte le
unghie si sta praticamente mangiando una mano dal nervoso. Lei
è da escludere,
non ha la faccia di una disposta a osare così tanto.
Genma appare un poco
più calmo. Sembra meditabondo. Eventualità non da
scartare del tutto.
Akira... Akira
è
quello che dei tre mi trasmette la sensazione meno rassicurante. Ha
negli occhi
la luce della speranza. Sta seriamente considerando l’ipotesi.
E io che devo fare in
questo caso? Impedirglielo? Fregarmene? Augurargli buona fortuna?
Brutta roba essersi
autonominata capo della baracca.
Decido che per il
momento la cosa migliore da fare è accomiatarci dal vecchio,
vuoi perché non
abbiamo più motivo di restare qui e vuoi perché
altrimenti mi salirebbe la
voglia di fargli sputare i denti per tutta la fatica che mi ha fatto
fare. A
vuoto.
Pertanto prendo in
mano la situazione e impongo di sloggiare. Senza neanche salutarlo, che
nemmeno
se lo merita.
Adesso ce ne andiamo
a casa e ne parliamo per bene.
“Nabiki,
cosa ti
salta per la testa? Perché siamo venuti via così
di fretta?”. Toh, il mio fan
numero uno non è d’accordo con il piano
d’azione.
Mi volto lenta verso
di lui, preparando mentalmente la risposta.
“Ti sembrava
furbo
rimanere ancora lì, Akira?”.
“Se ti
riferisci al
vecchio no, e finalmente posso dire di capire perché
c’era ostruzionismo
all’idea di venire a trovarlo. È veramente una
persona orribile”.
“Mi fa
piacere che
l’abbia afferrato” si intromette Akane.
“Se
però ti riferisci
allo scartare in toto la soluzione che ci ha offerto... beh, lascia che
ti
dica...”.
“Akira,
taci. Non
adesso”.
“No che non
taccio!
Quell’uomo sa come rimandarci a casa”.
“Sa come
rimandarti a
casa, vorrai dire. Io non ne voglio sapere nulla”.
“Ak...
iko?”.
“Se proprio
ci tieni
a riapparire davanti al tuo Ucchan sottoforma di una ballerina di
flamenco
ingrassata fai pure, non mi impiccerò. Ammesso e non
concesso che andrà così,
visto che potresti capitare nel bel mezzo della battaglia di
Sekigahara. Ma
evita di parlare anche per me, perché io una simile follia
non intendo toccarla
neanche con un bastone sterilizzato”.
“Sul serio
getteresti
al vento la tua unica chance?”.
“Sì,
sul serio. È
troppo pericoloso e non so come tu non possa rendertene
conto”.
“Certo che
me ne
rendo conto, santo dio. Non sono un cretino, non così tanto
almeno. Ma io voglio
tornare. Ho nostalgia dei miei genitori e dei loro amici, dei miei
amici, di
Misaki, di quelli che fanno davvero parte della mia vita. Non di voi
fantasmi”.
“Tutto
questo è
ridicolo. E offensivo verso di me, verso Genma e verso gli altri. Non
posso credere
che scaricheresti una prospettiva di vita sì lontana dal
posto cui realmente
appartieni, ma alla fin fine serena e fra persone che possono volerti
bene...
per rischiare il tutto per tutto in un tentativo praticamente
suicida”.
“Sono
disposto a farlo!
Come hanno fatto Akane, Ranma e gli altri qui!”.
“Le
circostanze sono
molto diverse e lo sai. Loro avevano poca scelta, o forse è
più corretto dire
che non ne avessero. Ne andava del destino del mondo. Se invece tu
rinunciassi stai pur sicuro che non morirà nessuno. Oh, e
una cosa”.
“Cosa?”.
“Non.
Azzardarti.
Mai. Più. A. Tirarla. In. Ballo. Sono sensibile
sull’argomento. E non sono
l’unica, forse neanche la più sensibile. Anzi,
sicuramente non lo sono”.
Inutile, lo sguardo da Akane
Tendo ti Spiezza
in Due non
cambia, di qualunque realtà parallela si stia parlando. Fra
l’altro grazie, da parte mia e di Kasumi, per la difesa.
Vi siete divertiti
abbastanza, comunque. Tempo di riportare l’ordine:
“Va bene poppanti, adesso
finitela. Proseguirete la bega a casa”.
“Ma Nabiki,
io...”.
“A casa,
Akiko. E lo
stesso vale per te, Akira”.
“Però...”.
“A
CASA”.
Era ora che
accettaste la mia autorità, accettazione palesata dal loro
abbassare la testa
sconfitti e incamminarsi in silenzio.
Rivolgo lo sguardo
verso Kasumi, chiedendole senza parole se per caso non abbia ecceduto.
E lei,
col suo solito sorriso da paziente matrona, mi assicura che no, non ho
ecceduto. Che tu sia santificata, sorellina.
Non viene pronunciata
una sola parola nel tragitto di ritorno. Non mezza. Neanche uno
starnuto.
La padrona apre la
porta di casa Ono che l’orologio scocca l’una.
Erano tre ore fa che siamo
usciti, senza avere in mano uno straccio di risposta. Sono
all’incirca quindici
minuti che uno straccio di risposta ce l’abbiamo, e
però è quella sbagliata. O
quantomeno non è ciò che ci aspettavamo.
Meglio non lasciarmi
sfuggire quel poco di potere che sono riuscita a stabilire:
“Ok ciurma, vi
voglio tutti in salotto. Come avevo promesso, adesso possiamo discutere
con
calma e sangue freddo di questo grosso casino”.
Obbediscono senza un
fiato. Così mi piacete davvero molto.
Ci accomodiamo sui
vari divani e poltrone, tranne Kasumi. Ha da preparare il pranzo e
avvisare
Tofu su quanto abbiamo scoperto.
“Allora”
inizio
“giusto per cominciare vorrei dire questo: personalmente sono
contraria. È
un’idea troppo, troppo folle e presenta un sacco di variabili
del tutto
incontrollabili. Diciamo che, se io fossi al posto di uno di voi tre,
l’avrei
già cancellata dalla mia mente non considerandola
un’alternativa valida. Ciò
detto, perché mi sembrava giusto farvi sapere come la penso
in merito, vorrei
ricordarvi che non siete dei gemelli siamesi, bensì tre
individui distinti e
ognuno di voi ha il diritto e il dovere di poter scegliere per
sé e per sé solo”.
Shan-Pu mi guarda
confusa: “Nabiki, da quando sei diventata così
sensibile?”.
“Da quando
mi sono
resa conto che fare leva sul senso di sé delle persone
è un’eccellente arma per
mandarle sul lastrico e fregarmi tutti i loro soldi”.
Una risata generale.
L’ho detta come battuta, ma non è che sia poi
così falso.
“No, ma
seriamente.
Visto che voi tre non dovete temere nulla da me, quanto ho appena detto
lo
intendevo nell’accezione più vera e positiva. Solo
per esprimervi i miei dubbi
rispetto al litigio che Akane ed Akira hanno messo in piedi di fronte
all’abitazione
di Happosai, tutto qui”.
“Cosa
intendi? Che
non capisci perché abbiamo cominciato a
battibeccare?” chiede Akane.
“Esatto. Non
è mica
che dobbiate fare questa cosa mano nella mano. Lui va e tu
no”.
“Beh, non
è
sbagliato. È solo che io mi sono affezionata a lui e non
voglio saperlo
disperso chissà dove, magari rinchiuso nel corpo di un
culturista azerbaigiano
dopato”.
Oh, ma che dolce. Io
Akane non me la ricordavo così premurosa, in particolar modo
con tanta
semplicità e chiarezza. Cioè, dubito si sia
innamorata di Akira e quindi il
paragone con Ranma è improprio, ma comunque non è
mai stato da lei esporsi
senza il minimo timore.
Vivere una vita
diversa ti rende una persona diversa. Abbiamo presentato Nabiki Tendo dà Mirabilmente Vita a Capitan Ovvio, da gennaio su tutti i vostri teleschermi.
L’altro
interpellato
non dice nulla, limitandosi a fissarla. Dà la sensazione di
non credere alle
proprie orecchie. Poi finalmente apre bocca: “A-Akane, quel
che hai detto... è
molto bello. Ti ringrazio”.
“Ci
mancherebbe. Sai,
l’aver vissuto un intero anno sotto lo stesso tetto ha
inevitabilmente finito
con il modificare la mia percezione di te. Posso quasi dire che ti
considero...
un fratello. Con tutte le distinzioni del caso, chiaramente. Ma
è per questo
che mi sono agitata, prima. Davvero non voglio pensarti mentre vaghi in
un
tempo non tuo e magari incapace di comunicare perché hai
avuto tanta sfortuna e
sei capitato nella foresta amazzonica. Ti chiedo almeno di rifletterci
un po’.
So che oggi senti in modo ancora più acuto del solito la
mancanza di casa tua,
ma... sono troppo egocentrica nel pensare che questa può
essere la tua piccola
seconda scelta? Che forse puoi evitarti un rischio assicurato per
rimanere qui
con noi?”.
“Akane...
apprezzo
immensamente il tuo affetto nei miei confronti. Però non
posso darti con
sicurezza la risposta che vorresti, e mi rendo conto di procurarti un
dolore.
Dolore per il quale mi scuso sin da ora, per quel che vale. E mi scuso
anche
per le parole affrettate che vi ho rivolto prima, quando vi ho chiamati
fantasmi. Non ve lo meritate, per
niente. Nessuno di voi. Anzi, dovrei gettarmi in ginocchio e
ringraziarvi all’infinito
per tutta la comprensione e l’altruismo che avete dimostrato
a me e ai miei due
compagni di sventura”.
Shan-Pu prende
inaspettatamente la parola: ”Akira, sono arcisicura che se
fosse capitato a
qualcuno di noi e ci fossimo trovati di fronte ai tuoi genitori... sono
arcisicura che loro non avrebbero fatto nulla di diverso. Ci avrebbero
ascoltati, ci avrebbero accolti e avrebbero sgobbato assieme a noi per
cercare
una soluzione. L’unica differenza, immagino, è che
non ci avrebbero tenuto a
dormire da loro, ma per il resto sarebbe stata la stessa identica cosa.
Perché
mi sembra il minimo, una volta accettata
l’assurdità della situazione, che tu
ti prenda a cuore il benessere di qualcuno che forse non conosci
direttamente
ma che sai essere in qualche modo relazionato con te o con le persone
che fanno
parte della tua vita. Quindi non ringraziarci per quanto era nostro
dovere fare”.
“Addirittura...
dovere?”.
“Addirittura.
Akane è
Akane, Genma è Genma, tu sei figlio di Ryoga e Ukyo. Con che
faccia saremmo
potuti andare a pregare sulle loro tombe se vi avessimo scacciato, se
vi
avessimo negato il nostro aiuto?”.
“Quel che
dice
Shan-Pu è sacrosanto” confermo “Se
Kasumi e Tofu non hanno mai avuto da ridire
su di voi è perché hanno intuito, probabilmente
solo a livello inconscio,
quanto dev’essere stato alienante per voi tre
l’impatto con un mondo non
vostro, dove non esistevate o eravate deceduti da decenni. Le loro
coscienze, e
le nostre, hanno giustamente deciso che la cosa da fare era una e una
sola:
sostenervi in tutti i modi possibili”.
“Perdonate
se
interrompo”. È Genma.
“Cosa
c’è?”.
“Capisco il
discorso
di Akane e, nel caso specifico di Akira, posso dire che mi trovo
d’accordo con
lei. Ha poco senso esporsi così tanto di fronte a un
risultato per nulla
sicuro. Il mio problema, però, è di natura e di
urgenza totalmente differente”.
“Di cosa
stai
parlando? Qualcosa che non so?”.
“Esattamente,
Nabiki.
A quanto ho capito Akira avrebbe solo da perderci a sottoporsi al
metodo del
maestro, visto che la sua vita prima del misfatto era quella di un
adolescente
senza particolari difficoltà. E anche Akane, nonostante il
conflitto con le
amazzoni, era tutto sommato ben sistemata. Ma io...”.
“Tu?”.
“Io ho una
famiglia
sterminata alle spalle”.
“Famiglia...
sterminata?”.
“Sterminata.
Se
questo fosse un film adesso direi li ho
visti morti con questi miei stessi occhi, ma qui siamo oltre. Dei
presenti
solo Akira e Shan-Pu possono davvero capire il significato di questa
mia frase
ed è meglio che la situazione resti così, non
voglio essere causa di un vostro
malore. Comunque, per tornare al discorso principale... io non posso
permettermi di restare qui. Proprio non posso”.
“Non ti sto
seguendo
tanto bene. Hai detto che... morti...”.
“Assassinati.
Tu,
Kasumi, Soun, Nodoka, Ranma e Akane. Nel mio mondo il 16 aprile del
1999 è l’ultimo
vostro giorno di vita”.
“Tu... stai
scherzando...”.
“No”.
Il suo tono ha pressappoco
il peso specifico del titanio.
Credo di stare per
svenire. Poi mi faccio forza e resisto.
Genma riprende:
“Capisci
ora perché affermo che non posso rimanere bloccato qui? Devo
evitare quel
massacro”.
“Saotome,
sei un
povero illuso” gli rinfaccio. Devo pur mantenere il ruolo di
esemplare alpha.
“Perché
lo sarei?”.
“Rifletti
invece di giocare al piccolo eroe. Se usi il
metodo Happosai non hai nessunissima garanzia di poter fare
ciò che ti
prefiggi. Anzi, è più facile che la tua faccia
baffuta sbatta contro un suolo
straniero”.
“Non
importa. Io, al
contrario di loro due, ho una motivazione letteralmente di vita o di
morte. Nel
mio caso il gioco vale la candela. Totalmente”.
“A che pro
correre un
rischio simile se non hai neanche la certezza minima di ritrovarti dove
devi
essere?”.
“Mi farai la
lezione
di profitto applicato quando troverai tutti i tuoi parenti sbudellati
come cani
randagi. Naturalmente, proprio come Akira, sono consapevole che quel
procedimento
porta solo danni e nessuna assicurazione di successo. Però,
al contrario suo...
e non volermene, ragazzo... io ho qualcosa di più importante
a cui rimediare.
Inoltre, giusto per aggiungere ulteriore pepe al mio sedere, se mai
dovessi
rivedere il mio mondo ho la sensazione che dovrei combattere il
responsabile
dell’eccidio. Ora, io sono già abbastanza avanti
con gli anni e se rimanessi trattenuto
qua troppo a lungo... diciamo che la vedo grama, ecco”.
Mi ammutolisco, ed
è
una sensazione a cui non sono abituata e che non mi piace.
Però non posso
negare che, al contrario degli altri due, capisco limpidamente la
discrepanza
di obiettivi e di intenti. E so che il suo discorso ha delle fondamenta solide.
“Nabiki,
ovviamente
non ce l’ho con te e non ti sto accusando di nulla. Inoltre,
come tu stessa hai
detto poco fa, ognuno di noi ha il diritto e il dovere di decidere per
se
stesso. Ebbene, se qua non salta fuori un’alternativa valida
all’idea fornitaci
dal maestro sappi che io ho tutte le intenzioni di provarla.
Succederà quel che
succederà”.
Non riesco a opporre
nulla di efficace di fronte a una tale presa di posizione. Non ne ho il
diritto, né il coraggio.
Genma, credimi quando
ti dico che mi spiace per quel che hai vissuto. |