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Autore: Subutai Khan    10/08/2013    1 recensioni
Questa è l'idea più malata che mi sia mai venuta in testa, e chi mi segue conosce lo standard. Sì, è peggio di quella. E di quella. E pure di quell'altra.
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Shinichi Ono sta tornando a casa dopo una dura giornata scolastica. Per strada, in quel momento sgombra di altre forme di vita bipedi, incoccia contro un ragazzo che non ha mai visto prima.
Stringetevi per bene, saranno capriole.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Genma Saotome, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Shan-pu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come sono carini mentre litigano.
“Da quel maniaco sessuale non ci andiamo, è chiaro? No no no no no!”.
“Nabiki ha detto una cosa sensata, potrebbe essere la soluzione vincente”.
“Preferisco rimanere qui che essere in debito con lui!”.
“Ragiona, Akane...”.
“Proprio perché sto ragionando dico così! Ma insomma, solo io ci vedo della pazzia in questa proposta?”.
Se conosco almeno un po’ il carattere della mia defunta sorella so che ne potrebbero avere per molto, pertanto mi alzo senza far rumore e mi avvio verso l’uscita. Ho voglia di una sigaretta. E poca voglia di sentir loro che si scannano.
Tanto già so come andrà a finire: prima o poi qualcuno la butterà sul tragico e riusciranno a convincere quella testa dura che la mia idea, sebbene io sia la prima ad ammettere che è azzardata e potenzialmente disastrosa, è probabilmente l’unica occasione per uscire dal pantano che ha fatto loro da casa nell’ultimo anno.
D’altronde, in situazioni del genere, prima del Torneo i casi erano due: o ci si rivolgeva a Obaba, che forse non era sempre ortodossa ma di cui tendenzialmente ci si poteva fidare... o ci si rivolgeva ad Happosai e si stringevano fortissimo le dita sperando di beccarlo di buzzo buono. E non che quando è di buzzo buono sia poi una compagnia così piacevole, eh. Ma almeno c’è una discreta possibilità che decida di aiutare.
Poi il Torneo arrivò, via una cariatide si portò e andare dall’altra la sola opzione restò.
Ok, mai più. Come poetessa faccio schifo.
Scorgo di sfuggita Shan-Pu che mi guarda male mentre armeggio col pacchetto e l’accendino. Le faccio capire con un cenno della testa che non ho intenzione di impestarle il locale con il mio catrame e che sto per andare fuori.
Una volta all’esterno mi appoggio al muro, guardando distrattamente i passanti, e finalmente mi godo il mio piccolo tesoro.
Passano dieci minuti e un cigolio al mio fianco mi ridesta dai miei pensieri sulla mia personale tabella di marcia finanziaria.
È Ak... Akiko. Meglio che, quando siamo in un ambiente con degli estranei, pensi a lei in quei termini. Non voglio lasciarmi sfuggire un nome di troppo.
Sembra abbacchiata. Può darsi che l’abbiano persuasa.
“Ebbene?” chiedo con nonchalance.
“Continuo a pensare che sia una pessima trovata, ma non posso negare che siamo davvero con le spalle al muro e che potrebbe darci una grossa mano”.
“Chi sono io per darti torto?”.
“La lontana cugina rompiballe, ecco chi sei”.
“Oh su Akiko, non fare così. Sai che il mio pragmatismo viene utile in situazioni del genere”.
“Forse. Questo non ti rende meno antipatica”.
Va bene, non posso fargliela passare liscia. Mi avvicino al suo orecchio e le sussurro: “Senti un po’ piccola Akane, non credi di stare esagerando? Quel che ho detto l’ho detto per cercare di uscire dall’impasse. Impasse che, ci tengo a ricordarti, è vostra e non mia. Io sono a casa”.
“Non... non vale giocare sporco, bastarda”. Cos’è questo tono tremulo, bimba? Ti avrò mica messa a disagio con così poco?
“Non sto giocando sporco e lo sai. Se stessi giocando sporco tu ora saresti su un tavolo operatorio della CIA mentre ti vivisezionano, cercando di capire come hai fatto a tornare in vita”.
Rifiuta di rispondermi e si scansa, disgustata.
Temo di avere esagerato. Non mentivo quando ho detto ad Akira che lei, per me, è sacra in quel senso.
Sto per scusarmi ad alta voce quando anche gli altri escono.
C’è un certo buon umore in loro, evidente nei sorrisi di Genma e specialmente di Akira. Il ragazzo non sa quanto sono brutte le fauci in cui ci stiamo infilando.
“Bene ragazzi” esordisce proprio il nostro caro ingenuotto “perché non ci mostrate dove abita il signor Happosai? Kasumi ha detto che vive da solo già da molti anni”.
“Io non ne ho idea” rispondo onesta. Passo di qui solo per le festività e non perdo di certo tempo per scoprire dov’è andato a stare quel minuscolo maiale.
“Datemi un attimo che chiudo il ristorante e ve lo mostro io” dice Shan-Pu.
“Com’è che lo sai, di grazia?” le viene chiesto.
“Una volta ci sono andata per riprendermi un reggiseno che mi aveva fregato, quell’invasato del cazzo. Spero solo che la concussione cerebrale che gli ho provocato non lo abbia rincoglionito troppo”.
Bonjour finesse, madamoiselle.
“Poi ci si chiede perché Shinichi parla come un camionista” butta lì Akira fischiettando. Come dargli torto? Il vocabolario del mio caro nipotino è parecchio sboccato e, se tanto mi dà tanto, qualcosa da lei l’ha ben assorbito. Però a me, al contrario di sua madre, la cosa non crea alcun problema.
Attendiamo che la cinese concluda con le operazioni di chiusura e lasciamo che ci faccia da battipista.
Proseguiamo vicini e compatti.
Per un puro caso al mio fianco c’è finita Akane. E visto che con lei ho un discorso in sospeso...
Faccio per accostarmi nuovamente al suo orecchio quando la vedo allontanarsi. Devo aver toccato qualche corda profonda per farla reagire così.
E va bene, non sono obbligata a bisbigliare.
“Scusami, prima ho detto una parola di troppo”. Non rivolgendomi direttamente nella sua direzione, ma a voce abbastanza alta da far sì che chi deve capire capisca.
Nessuna risposta, né vocale né in altro modo.
Oh beh, non pretendo un abbraccio strappalacrime e una riappacificazione plateale. Quel che dovevo fare l’ho fatto e mi so accontentare.
Il resto del viaggio è tranquillo.
Ci troviamo di fronte a una casetta modesta, quasi alla periferia di Nerima.
“Ci siamo, signori. Happosai dovrebbe trovarsi qui” dice Shan-Pu indicando l’ingresso.
“Cosa aspettiamo allora? Entriamo” proclama Akira avvicinandosi a grandi falcate alla porta e aprendola senza preoccuparsi di suonare o di rendere altresì nota la propria presenza al padrone di casa.
Lo seguiamo sospirando, chi più chi meno stupefatto da tanto giovanile ardore. Ma lo capisco, il ragazzo starà pregustando la possibilità di tornare al mondo cui appartiene e si sentirà elettrizzato.
È proprio figlio di Ukyo e Ryoga, comunque. Non per un solo istante ha espresso titubanza, lasciandosi guidare dall’istinto. E ok, si presume non sappia con chi abbiamo a che fare ma questo non toglie che non sia il comportamento più prudente. Specie quando chi ti circonda, che al contrario di te sa bene chi stiamo immischiando in ‘sta storiaccia, appare meno che entusiasta alla prospettiva.
Inaspettatamente lo troviamo subito, lì nel salone. Come al suo solito intento a stirare l’ultimo bottino.
Porco che vince non si cambia.
“Tu chi sei, bamboccio?” esclama verso il primo invasore. Giudicando dal tono, e soprattutto dal fatto che non lo abbia scagliato verso il tetto con quella sua odiosa pipa, potrebbe essere un momento fausto.
“Lei è il signor Happosai, giusto?”.
“Sono io. Ci conosciamo, giovanotto? Oh, ma ti sei portato una bella banda. Kasumi, Shan-Pu, Nabiki e...”.
Trasale.
Credo abbia riconosciuto Akane nonostante il travestimento.
“Che cos’è questo scherzo? Chi è quella ragazza?”.
Interviene Genma, ponendosi di fronte ad Akira: “Venerabile maestro, abbiamo estremo bisogno della sua sconfinata saggezza ed esperienza”.
“Genma? Sei tu? Faccio fatica a riconoscerti...”.
“Sono io e non sono io, sì. Se posso sedermi e spiegarle...”.
Provvede e comincia ad aggiornarlo sui più recenti avvenimenti.
Il racconto termina, almeno nelle sue linee principali, e la sua espressione non esprime neanche un’oncia dello stupore che mi sarei aspettata di trovarci.
Allunga una mano al suo fianco, raccoglie la pipa e se la accende. Aspira profondamente prima di aprire bocca: “Se non fossi chi sono ammetto che questa storia mi avrebbe confuso parecchio. Ma, per vostra fortuna, io sono Happosai”.
“Puoi anche evitare di fare la ruota come un pavone con il colera, vecchio” lo apostrofo acidamente. Non sono venuta qui per sentirlo tessere le lodi di se stesso, bensì per vedere se possiamo risolvere questa scomoda situazione. Dopo un secondo di pausa riprendo: “Piuttosto, com’è che la notizia non...”.
“Semplice, Nabiki. Ho indirettamente vissuto un’esperienza simile, in gioventù”.
Che cosa?
Si alza un coro di “Impossibile!”, “Non ci credo!” e similari.
“Prego?”.
“Mi hai sentito. Parecchi decenni fa, forse addirittura un secolo... ho trovato una mia versione a cui era capitato il vostro stesso contrattempo”.
“E...”.
“Vedi un altro me stesso nei paraggi, per caso?”.
Poi dite che non mi vengono intuizioni geniali, eh. Mai dare il biscottino alla povera Nabiki quando se lo merita.
“E allora cosa aspetti?” prorompe Akira “Dicci come hai fatto a rispedirlo nel suo mondo!”. Uoh ragazzo, uoh. Calmati. Adesso probabilmente capirai perché c’era tanta ritrosia al volerlo coinvolgere.
“A me cosa ne viene in tasca? Non sono qui a fare beneficenza per voialtri”.
Vedi? Stiamo parlando di Happosai, non di una brava persona.
Però, neanche venti secondi dopo, decide di smentirmi: “Anche se potrei pure accettare di aiutarvi... dietro un congruo compenso”. Parzialmente, almeno.
Va bene, adesso lasciatemi lavorare in santa pace.
“Cosa vuoi, barattolo di immondizia umana?” chiedo ponendomi direttamente di fronte a lui.
“Mandate avanti il piccolo piranha, vedo. A me sta bene, se non è Nabiki-chan non mi diverto”. Grrrr. A distanza di tutto questo tempo ancora si ricorda di quanto quel nomignolo mi manda in bestia.
Parte una serratissima contrattazione, in cui volano pagamenti e contro pagamenti di un’unica natura: riviste porno, reggiseni e mutandine di varia foggia e materiale, bambole gonfiabili. Non appena tenta di pronunciare un qualsiasi pronome che si riferisce a noi gli pesto un piede.
A un certo punto alza fin troppo la posta e spara un “Voglio una compagna di letto, esperta nelle arti amorose, per riscaldare le mie vecchie ossa nelle fredde notti invernali”. Richiesta negata senza appello, non glielo possiamo proprio concedere. Dopo questa Kasumi cerca di coprire le orecchie di Akira ed Akane, ignorando cosa sono riuscita ad estorcere alla nostra quasi-sorella. Sapesse. E comunque fallisce, i due ragazzotti sembrano piuttosto interessati al discorso.
Alla fine ci accordiamo per una fornitura bi-annuale di quattro hentai mensili fra i più zozzi e perversi che conosco, un camion di biancheria intima consegnabile anche a rate e Keiko la Porcona, il modello con la bocca che si muove come a fare una fellatio.
“Hai ottenuto quel che volevi, ora dacci quel che vogliamo”.
“Immediatamente, cara Nabiki-chan”.
Tenetemi o lo sventro prima che possa risponderci.
Apre un armadio, ravana un po’ nelle sue scartoffie e tira fuori un rotolo che, a guardarlo da qui, sembra più datato di lui. So che suona difficile da credersi.
Ce lo stende davanti, ma credo che nessuno di noi sia in grado di interpretarlo. Dobbiamo solo sperare che decida di non inventarsi una storia assurda delle sue.
“Allora, fatemi ricordare bene...”.
“Coraggio vecchio, non abbiamo tutto il giorno” lo istiga Shan-Pu.
Più passano i secondi, più lui sta in silenzio e più sento il ripetersi dell’affaire Happo Daikarin. Solo che lì si poteva tranquillamente fare a meno del contenuto, qua un po’ meno.
Percepisce di essere il centro focale del nostro gruppetto e, come suo solito, comincia ad agitarsi. Memori del precedente, io e Kasumi provvediamo a tenerlo fermo. Se si infervorasse e riducesse la pergamena a brandelli non sarebbe piacevole.
“Concentrati, Happosai” gli dico, seria. Questa faccenda non mi riguarda direttamente, è vero, ma ho la precisa sensazione di dover fare un po’ il capo della baracca.
“Va bene, va bene” risponde dopo che l’abbiamo mollato.
E finalmente otteniamo quel che cercavamo.
C’è solo un piccolo problema.
“Uh oh”.
“Uh oh cosa?”.
“Devo essere onesto, non me lo ricordavo. È possibile rispedire al mittente un intruso, sì... solo che...”.
“Solo che?”.
La tensione sale.
“Solo che c’è un’altissima probabilità che qualcosa vada storto”.
“Cosa intendi con qualcosa vada storto, esattamente?”.
“Non lo so, non l’ho mai sperimentato in prima persona. Dice che è pressoché impossibile che qualcuno possa tornare al momento in cui è partito. O che torni come se stesso”.
“Si potrebbe spiegare un po’ meglio, maestro?”.
“Presupponiamo che adesso usi questo metodo su Akane, che se non ricordo male viene dal 1991. Per tornare nel suo mondo ci torna, in quel senso funziona bene. Ma per il resto... beh, diciamo che è praticamente certo che non arriverebbe nel 1991. Potrebbe trovarsi nell’era Sengoku, durante la restorazione Meiji, nel paleolitico, durante l’epidemia di peste in Europa o alla fine del pianeta Terra. Oppure sì, potrebbe tornare nel 1991... e avere l’aspetto di un uomo africano settantenne. O di una ragazza bulgara. O di un ispanico di mezza età”.
Il silenzio accarezza le facce dei presenti come un manto di spine.
Cosa ti eri detta non più di venti minuti fa, Nabiki? Come poetessa fai schifo. Evita.
“Oh, la cosa è ancora più interessante. Se si è particolarmente sfigati è possibile che si realizzino entrambe le eventualità”.
“Settantenne nel paleolitico?” chiede Akane. Trema.
“O una qualunque delle altre combinazioni. Ma sì, il succo è quello”.
“Toglimi una curiosità, vecchiaccio” non mi trattengo “Se questo sistema è tanto instabile, perché l’hai usato su una tua copia?”.
Mi osserva come se fossi un’alunna delle elementari che ha appena sbagliato un’addizione dopo l’intera annata passata a studiarle: “Che domande sono, Nabiki? Ti facevo più furba”.
“Beh, scusa se non sono particolarmente brava a interpretare il cervello di un pervertito che ha cento volte la mia età”.
“Mi ferisci parlando così. Comunque, semplicemente, abbiamo deciso di comune accordo che due Happosai non potevano coesistere nello stesso mondo. Troppi squilibri”.
“Qualcosa che ha a che fare con il continuum spazio-temporale?”. Sì, e Grande Giove e uno virgola ventuno gigawatt.
“No. Non c’era abbastanza biancheria da rubare per entrambi”.
... giuro che lo ammazzo.
“E comunque c’è scritto che, anche se l’aspetto esteriore risultasse diverso, la personalità rimane sempre la stessa. Quindi non importa che corpo occupa o in che epoca possa essere finito, di ragazze gnocche da spiare ce n’è sempre in abbondanza”.
“Ma perché la possibilità di tornare al momento giusto è così bassa?”.
“Lo vieni a chiedere a me, Genma? Non lo so. Qua viene solo detto che si tratta di forze generate dal caos entropico interplanetario, o qualche stupidaggine ampollosa del genere, e che sostanzialmente decidono a seconda del loro umore di quel giorno. E pare che di solito siano capricciose e poco inclini al lieto fine. Non c’è uno straccio di spiegazione sensata”.
Cazzo. E mi scoccia dover ricorrere al turpiloquio anche se solo nella mia testa, però stavolta lo trovo ampiamente giustificato.
Guardo i nostri turisti.
Akane è terrorizzata, non c’è altra parola adatta a descriverla. Dopo essersi divorata tutte le unghie si sta praticamente mangiando una mano dal nervoso. Lei è da escludere, non ha la faccia di una disposta a osare così tanto.
Genma appare un poco più calmo. Sembra meditabondo. Eventualità non da scartare del tutto.
Akira... Akira è quello che dei tre mi trasmette la sensazione meno rassicurante. Ha negli occhi la luce della speranza. Sta seriamente considerando l’ipotesi.
E io che devo fare in questo caso? Impedirglielo? Fregarmene? Augurargli buona fortuna?
Brutta roba essersi autonominata capo della baracca.
Decido che per il momento la cosa migliore da fare è accomiatarci dal vecchio, vuoi perché non abbiamo più motivo di restare qui e vuoi perché altrimenti mi salirebbe la voglia di fargli sputare i denti per tutta la fatica che mi ha fatto fare. A vuoto.
Pertanto prendo in mano la situazione e impongo di sloggiare. Senza neanche salutarlo, che nemmeno se lo merita.
Adesso ce ne andiamo a casa e ne parliamo per bene.
“Nabiki, cosa ti salta per la testa? Perché siamo venuti via così di fretta?”. Toh, il mio fan numero uno non è d’accordo con il piano d’azione.
Mi volto lenta verso di lui, preparando mentalmente la risposta.
“Ti sembrava furbo rimanere ancora lì, Akira?”.
“Se ti riferisci al vecchio no, e finalmente posso dire di capire perché c’era ostruzionismo all’idea di venire a trovarlo. È veramente una persona orribile”.
“Mi fa piacere che l’abbia afferrato” si intromette Akane.
“Se però ti riferisci allo scartare in toto la soluzione che ci ha offerto... beh, lascia che ti dica...”.
“Akira, taci. Non adesso”.
“No che non taccio! Quell’uomo sa come rimandarci a casa”.
“Sa come rimandarti a casa, vorrai dire. Io non ne voglio sapere nulla”.
“Ak... iko?”.
“Se proprio ci tieni a riapparire davanti al tuo Ucchan sottoforma di una ballerina di flamenco ingrassata fai pure, non mi impiccerò. Ammesso e non concesso che andrà così, visto che potresti capitare nel bel mezzo della battaglia di Sekigahara. Ma evita di parlare anche per me, perché io una simile follia non intendo toccarla neanche con un bastone sterilizzato”.
“Sul serio getteresti al vento la tua unica chance?”.
“Sì, sul serio. È troppo pericoloso e non so come tu non possa rendertene conto”.
“Certo che me ne rendo conto, santo dio. Non sono un cretino, non così tanto almeno. Ma io voglio tornare. Ho nostalgia dei miei genitori e dei loro amici, dei miei amici, di Misaki, di quelli che fanno davvero parte della mia vita. Non di voi fantasmi”.
“Tutto questo è ridicolo. E offensivo verso di me, verso Genma e verso gli altri. Non posso credere che scaricheresti una prospettiva di vita sì lontana dal posto cui realmente appartieni, ma alla fin fine serena e fra persone che possono volerti bene... per rischiare il tutto per tutto in un tentativo praticamente suicida”.
“Sono disposto a farlo! Come hanno fatto Akane, Ranma e gli altri qui!”.
“Le circostanze sono molto diverse e lo sai. Loro avevano poca scelta, o forse è più corretto dire che non ne avessero. Ne andava del destino del mondo. Se invece tu rinunciassi stai pur sicuro che non morirà nessuno. Oh, e una cosa”.
“Cosa?”.
“Non. Azzardarti. Mai. Più. A. Tirarla. In. Ballo. Sono sensibile sull’argomento. E non sono l’unica, forse neanche la più sensibile. Anzi, sicuramente non lo sono”. Inutile, lo sguardo da Akane Tendo ti Spiezza in Due non cambia, di qualunque realtà parallela si stia parlando. Fra l’altro grazie, da parte mia e di Kasumi, per la difesa.
Vi siete divertiti abbastanza, comunque. Tempo di riportare l’ordine: “Va bene poppanti, adesso finitela. Proseguirete la bega a casa”.
“Ma Nabiki, io...”.
“A casa, Akiko. E lo stesso vale per te, Akira”.
“Però...”.
“A CASA”.
Era ora che accettaste la mia autorità, accettazione palesata dal loro abbassare la testa sconfitti e incamminarsi in silenzio.
Rivolgo lo sguardo verso Kasumi, chiedendole senza parole se per caso non abbia ecceduto. E lei, col suo solito sorriso da paziente matrona, mi assicura che no, non ho ecceduto. Che tu sia santificata, sorellina.
Non viene pronunciata una sola parola nel tragitto di ritorno. Non mezza. Neanche uno starnuto.
La padrona apre la porta di casa Ono che l’orologio scocca l’una. Erano tre ore fa che siamo usciti, senza avere in mano uno straccio di risposta. Sono all’incirca quindici minuti che uno straccio di risposta ce l’abbiamo, e però è quella sbagliata. O quantomeno non è ciò che ci aspettavamo.
Meglio non lasciarmi sfuggire quel poco di potere che sono riuscita a stabilire: “Ok ciurma, vi voglio tutti in salotto. Come avevo promesso, adesso possiamo discutere con calma e sangue freddo di questo grosso casino”.
Obbediscono senza un fiato. Così mi piacete davvero molto.
Ci accomodiamo sui vari divani e poltrone, tranne Kasumi. Ha da preparare il pranzo e avvisare Tofu su quanto abbiamo scoperto.
“Allora” inizio “giusto per cominciare vorrei dire questo: personalmente sono contraria. È un’idea troppo, troppo folle e presenta un sacco di variabili del tutto incontrollabili. Diciamo che, se io fossi al posto di uno di voi tre, l’avrei già cancellata dalla mia mente non considerandola un’alternativa valida. Ciò detto, perché mi sembrava giusto farvi sapere come la penso in merito, vorrei ricordarvi che non siete dei gemelli siamesi, bensì tre individui distinti e ognuno di voi ha il diritto e il dovere di poter scegliere per sé e per sé solo”.
Shan-Pu mi guarda confusa: “Nabiki, da quando sei diventata così sensibile?”.
“Da quando mi sono resa conto che fare leva sul senso di sé delle persone è un’eccellente arma per mandarle sul lastrico e fregarmi tutti i loro soldi”.
Una risata generale. L’ho detta come battuta, ma non è che sia poi così falso.
“No, ma seriamente. Visto che voi tre non dovete temere nulla da me, quanto ho appena detto lo intendevo nell’accezione più vera e positiva. Solo per esprimervi i miei dubbi rispetto al litigio che Akane ed Akira hanno messo in piedi di fronte all’abitazione di Happosai, tutto qui”.
“Cosa intendi? Che non capisci perché abbiamo cominciato a battibeccare?” chiede Akane.
“Esatto. Non è mica che dobbiate fare questa cosa mano nella mano. Lui va e tu no”.
“Beh, non è sbagliato. È solo che io mi sono affezionata a lui e non voglio saperlo disperso chissà dove, magari rinchiuso nel corpo di un culturista azerbaigiano dopato”.
Oh, ma che dolce. Io Akane non me la ricordavo così premurosa, in particolar modo con tanta semplicità e chiarezza. Cioè, dubito si sia innamorata di Akira e quindi il paragone con Ranma è improprio, ma comunque non è mai stato da lei esporsi senza il minimo timore.
Vivere una vita diversa ti rende una persona diversa. Abbiamo presentato Nabiki Tendo dà Mirabilmente Vita a Capitan Ovvio, da gennaio su tutti i vostri teleschermi.
L’altro interpellato non dice nulla, limitandosi a fissarla. Dà la sensazione di non credere alle proprie orecchie. Poi finalmente apre bocca: “A-Akane, quel che hai detto... è molto bello. Ti ringrazio”.
“Ci mancherebbe. Sai, l’aver vissuto un intero anno sotto lo stesso tetto ha inevitabilmente finito con il modificare la mia percezione di te. Posso quasi dire che ti considero... un fratello. Con tutte le distinzioni del caso, chiaramente. Ma è per questo che mi sono agitata, prima. Davvero non voglio pensarti mentre vaghi in un tempo non tuo e magari incapace di comunicare perché hai avuto tanta sfortuna e sei capitato nella foresta amazzonica. Ti chiedo almeno di rifletterci un po’. So che oggi senti in modo ancora più acuto del solito la mancanza di casa tua, ma... sono troppo egocentrica nel pensare che questa può essere la tua piccola seconda scelta? Che forse puoi evitarti un rischio assicurato per rimanere qui con noi?”.
“Akane... apprezzo immensamente il tuo affetto nei miei confronti. Però non posso darti con sicurezza la risposta che vorresti, e mi rendo conto di procurarti un dolore. Dolore per il quale mi scuso sin da ora, per quel che vale. E mi scuso anche per le parole affrettate che vi ho rivolto prima, quando vi ho chiamati fantasmi. Non ve lo meritate, per niente. Nessuno di voi. Anzi, dovrei gettarmi in ginocchio e ringraziarvi all’infinito per tutta la comprensione e l’altruismo che avete dimostrato a me e ai miei due compagni di sventura”.
Shan-Pu prende inaspettatamente la parola: ”Akira, sono arcisicura che se fosse capitato a qualcuno di noi e ci fossimo trovati di fronte ai tuoi genitori... sono arcisicura che loro non avrebbero fatto nulla di diverso. Ci avrebbero ascoltati, ci avrebbero accolti e avrebbero sgobbato assieme a noi per cercare una soluzione. L’unica differenza, immagino, è che non ci avrebbero tenuto a dormire da loro, ma per il resto sarebbe stata la stessa identica cosa. Perché mi sembra il minimo, una volta accettata l’assurdità della situazione, che tu ti prenda a cuore il benessere di qualcuno che forse non conosci direttamente ma che sai essere in qualche modo relazionato con te o con le persone che fanno parte della tua vita. Quindi non ringraziarci per quanto era nostro dovere fare”.
“Addirittura... dovere?”.
“Addirittura. Akane è Akane, Genma è Genma, tu sei figlio di Ryoga e Ukyo. Con che faccia saremmo potuti andare a pregare sulle loro tombe se vi avessimo scacciato, se vi avessimo negato il nostro aiuto?”.
“Quel che dice Shan-Pu è sacrosanto” confermo “Se Kasumi e Tofu non hanno mai avuto da ridire su di voi è perché hanno intuito, probabilmente solo a livello inconscio, quanto dev’essere stato alienante per voi tre l’impatto con un mondo non vostro, dove non esistevate o eravate deceduti da decenni. Le loro coscienze, e le nostre, hanno giustamente deciso che la cosa da fare era una e una sola: sostenervi in tutti i modi possibili”.
“Perdonate se interrompo”. È Genma.
“Cosa c’è?”.
“Capisco il discorso di Akane e, nel caso specifico di Akira, posso dire che mi trovo d’accordo con lei. Ha poco senso esporsi così tanto di fronte a un risultato per nulla sicuro. Il mio problema, però, è di natura e di urgenza totalmente differente”.
“Di cosa stai parlando? Qualcosa che non so?”.
“Esattamente, Nabiki. A quanto ho capito Akira avrebbe solo da perderci a sottoporsi al metodo del maestro, visto che la sua vita prima del misfatto era quella di un adolescente senza particolari difficoltà. E anche Akane, nonostante il conflitto con le amazzoni, era tutto sommato ben sistemata. Ma io...”.
“Tu?”.
“Io ho una famiglia sterminata alle spalle”.
“Famiglia... sterminata?”.
“Sterminata. Se questo fosse un film adesso direi li ho visti morti con questi miei stessi occhi, ma qui siamo oltre. Dei presenti solo Akira e Shan-Pu possono davvero capire il significato di questa mia frase ed è meglio che la situazione resti così, non voglio essere causa di un vostro malore. Comunque, per tornare al discorso principale... io non posso permettermi di restare qui. Proprio non posso”.
“Non ti sto seguendo tanto bene. Hai detto che... morti...”.
“Assassinati. Tu, Kasumi, Soun, Nodoka, Ranma e Akane. Nel mio mondo il 16 aprile del 1999 è l’ultimo vostro giorno di vita”.
“Tu... stai scherzando...”.
“No”. Il suo tono ha pressappoco il peso specifico del titanio.
Credo di stare per svenire. Poi mi faccio forza e resisto.
Genma riprende: “Capisci ora perché affermo che non posso rimanere bloccato qui? Devo evitare quel massacro”.
“Saotome, sei un povero illuso” gli rinfaccio. Devo pur mantenere il ruolo di esemplare alpha.
“Perché lo sarei?”.
“Rifletti invece di giocare al piccolo eroe. Se usi il metodo Happosai non hai nessunissima garanzia di poter fare ciò che ti prefiggi. Anzi, è più facile che la tua faccia baffuta sbatta contro un suolo straniero”.
“Non importa. Io, al contrario di loro due, ho una motivazione letteralmente di vita o di morte. Nel mio caso il gioco vale la candela. Totalmente”.
“A che pro correre un rischio simile se non hai neanche la certezza minima di ritrovarti dove devi essere?”.
“Mi farai la lezione di profitto applicato quando troverai tutti i tuoi parenti sbudellati come cani randagi. Naturalmente, proprio come Akira, sono consapevole che quel procedimento porta solo danni e nessuna assicurazione di successo. Però, al contrario suo... e non volermene, ragazzo... io ho qualcosa di più importante a cui rimediare. Inoltre, giusto per aggiungere ulteriore pepe al mio sedere, se mai dovessi rivedere il mio mondo ho la sensazione che dovrei combattere il responsabile dell’eccidio. Ora, io sono già abbastanza avanti con gli anni e se rimanessi trattenuto qua troppo a lungo... diciamo che la vedo grama, ecco”.
Mi ammutolisco, ed è una sensazione a cui non sono abituata e che non mi piace. Però non posso negare che, al contrario degli altri due, capisco limpidamente la discrepanza di obiettivi e di intenti. E so che il suo discorso ha delle fondamenta solide.
“Nabiki, ovviamente non ce l’ho con te e non ti sto accusando di nulla. Inoltre, come tu stessa hai detto poco fa, ognuno di noi ha il diritto e il dovere di decidere per se stesso. Ebbene, se qua non salta fuori un’alternativa valida all’idea fornitaci dal maestro sappi che io ho tutte le intenzioni di provarla. Succederà quel che succederà”.
Non riesco a opporre nulla di efficace di fronte a una tale presa di posizione. Non ne ho il diritto, né il coraggio.
Genma, credimi quando ti dico che mi spiace per quel che hai vissuto.
   
 
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