- E’ libero. –
Un tono distaccato.
Harry arricciò il
naso fin quasi a far scivolare giù il ponte degli occhiali.
Sì, Malfoy era
proprio strano. Solo un paio di ore prima gli aveva fatto una scenata pazzesca
perché lo aveva lasciato da solo, mentre adesso si comportava come se fosse il
loro primo giorno di convivenza. Per non parlare, poi, di tutti gli sbalzi
d’umore precedenti, roba da farsi venire il mal di testa.
Raccattò i suoi
vestiti dalla sedia su cui li aveva lasciati, ma sulla soglia del bagno si
bloccò, fulminato.
– Senti… - cominciò
senza voltarsi, vagamente imbarazzato. – L’altro giorno non te l’ho chiesto,
visto che le cose non erano andate alla perfezione. E’ vero che hai quel neo
vicino all’ombelico? –
- Ti sembra il
momento di pensare ai nei?!? – esplose Draco, peggio che se Harry avesse
toccato un argomento cruciale.
- Scusa, non te la
prendere. –
- Me la prendo
eccome. Sono in ritardo, muoio di fame, e non ho alcuna intenzione di aspettare
te, idiota! –
E a quelle parole,
uscì, schiantandosi la porta alle spalle.
Harry sbatté le
palpebre, stordito. Un’occhiata all’orologio, e un sospiro: - No, non sei in
ritardo. –
Che cosa gli era
preso, così all’improvviso?
Naturalmente, Harry
non sapeva dirlo, ma in compenso sapeva come poter chiamare la sensazione di
vuoto allo stomaco che lo aveva preso in quel momento: si chiamava delusione.
Delusione per aver
sperato in qualcosa che, evidentemente, non esisteva che nella sua mente.
Delusione anche per essersi ingannato con le sue stesse mani, credendo in un
rapporto complicato ma unico. Tutte quelle cose che gli pareva di aver
costruito assieme a Draco, mattone su mattone, erano bastate pochissime sue
parole per sgretolarle.
Harry ricordò,
quello era il Draco a cui era stato abituato per anni: cielo, ma come aveva
fatto a vivere tanto bene con il suo odio sulla pelle?
Una risposta c’era:
semplicemente Draco, un anno prima, non era il Draco che era diventato adesso,
per lui. Ripensò alle parole di Marzio, a quando gli aveva detto che aveva
rinunciato a tutto per Derevan, perché dimenticarlo e andarsene sarebbe stato
come morire.
Spaventosamente,
ricalcavano la sua stessa situazione. Gli piacesse o meno, ormai aveva
conosciuto Draco, era entrato dentro Draco, anche solo di poche dita sotto al
sua pelle, e lo sapeva, non sarebbe tornato indietro.
Non si poteva.
Ciò che provava lo
faceva sentire pieno di forza, e al contempo smarrito in una confusione che
Draco non faceva che alimentare con il suo comportamento lunatico.
Decise di farsi il
favore di non pensarci su troppo. Se le lezioni, la giornata da trascorrere fra
aule, Sala Grande e Sala Comune gli fosse parsa, come ormai era, quasi del
tutto vuota, si sarebbe rifugiato in ricordi altrui, piuttosto che in fantasie
sue.
* * *
- C’è una cosa che
non riesco a capire. –
Harry sentì a
malapena la voce di Hermione, che parlava rimuginando fra sé. – Marzio e
Derevan si sono ritrovati grazie al vostro aiuto, no? –
Un pigro cenno del
capo, a sottolineare qualcosa di ovvio.
- Ma allora, perché
non se ne vanno? –
Harry si fece
improvvisamente più attento. Hermione dovette scambiare quel repentino drizzare
la testa per un gesto infastidito, perché si affrettò a ritrattare le sue
parole.
- Intendo dire, non
che io voglia che voi li cacciate. Solo, non capisco perché non possano trovare
la pace, ora che hanno ottenuto ciò per cui erano rimasti qui. –
Davvero una bella
domanda, la sua. Oltre che sensata, peraltro, era anche ovvia, perché diavolo
non ci aveva pensato fino a quel momento?
- Magari non è
davvero quello il loro obiettivo. – azzardò Ron.
- Lo escludo.
Quando Marzio mi ha spiegato perché fosse qui, mi ha detto chiaro e tondo che
aveva scelto di restare per sperare di incontrare Derevan. Me lo ricordo bene.
–
- Ma allora hai
ragione tu, Hermione, non ha senso. -
Tutti e tre si
strinsero nelle spalle, dubbiosi.
- Bisognerebbe
cercare di capire che significato ha il fatto che siano ancora qui. –
- L’unico
significato che ci vedo io è che Harry è costretto a dormire in camera con quel
disgustoso furetto di Malfoy. – osservò Ron, infarcendo ogni sua parola di
solidarietà fraterna. – E non lo invidio per niente. –
Harry ridacchiò, e
si limitò ad annuire. Se soltanto Ron avesse immaginato l’effetto che passare
le sue notti con Draco gli stava facendo, tutta la sua spremuta d’arancia gli
sarebbe andata per traverso, uccidendolo sul colpo.
Spiò con la coda
dell’occhio il tavolo Serpeverde, scorrendo fino ad individuare in un attimo il
posto di Malfoy. Si stupì di quanto fosse andato a colpo sicuro, come se si
fosse trattato di cercare il vecchio posto di un vecchio amico.
Stava rosicchiando
di malavoglia una fetta di pane tostato senza nulla spalmato sopra, forzandosi
in modo evidente di mettere qualcosa nello stomaco. Non parlava con nessuno,
anzi, se uno dei suoi compagni lo chiamava per chiedergli qualcosa, anche solo
di passargli il vassoio delle salsicce, gli scoccava uno sguardo talmente
caustico da zittirlo all’istante, e persino farlo allontanare precipitosamente.
Da un certo punto
di vista, era un sollievo, vedere che quella mattina ce l’aveva con il mondo, e
non solo con lui.
* * *
C’era un letto in
più, nella camera che Silente aveva provvisoriamente assegnato loro.
Harry ricordava di
averlo registrato distrattamente al loro ingresso, preoccupato al momento di
ben altre questioni. Nei giorni che erano seguiti, si era trasformato
nell’appendiabiti di Draco, che ci stendeva sopra la sua uniforme e il suo
mantello con cura meticolosa, assicurandosi che non si spiegazzassero. Harry
aveva imparato ad innamorarsi della cravatta verdeargento posata sul piccolo
mucchio di vestiti neri, come un serpente acciambellato elegantemente a guardia
al suo tesoro.
In quel momento,
invece, i vestiti non erano più lì, spostati sul comodino, in barba alla fobia
per la piega, e la coperta ancora vergine era gonfiata dal corpo rannicchiato
di Draco, voltato contro il muro.
Non aveva voluto
saperne di dormire con lui, quella notte. Harry era tornato in camera e lo
aveva visto armeggiare con il nuovo letto, ma non aveva fatto in tempo a
chiedergli che cosa succedesse, che era stato investito da una scarica di
improperi, sarcasticamente chiusi da un “buonanotte”.
A quel punto, che
fare? Una cosa soltanto, augurarsi che i sogni potessero fondersi in ogni caso,
per permettere almeno a Marzio e Derevan di rivedersi, mentre lui sarebbe
rimasto a fare i conti con l’incomprensibilità della situazione.
Harry si addentrò
nel suo sogno certo che Draco dormisse già da un pezzo. Perciò, quando
raggiunse i primi tronchi d’albero, e vide soltanto Marzio andargli incontro,
capì che non era andata come si era augurato, e una fitta di amarezza gli prese
lo stomaco, facendolo gorgogliare.
- Mi dispiace. – si
scusò e si riscusò, accorato. – Draco non ne ha voluto sapere di dormire con
me, ma giuro che lo farò ragionare, te lo prometto. –
Marzio ascoltò le
sue parole con un sorriso paziente, senza apparire particolarmente turbato.
- Vieni. – lo
invitò. – Visto che siamo qui, ti porto a vedere una cosa. –
- Sta per
materializzarsi un ricordo? –
Marzio sorrise. –
Ci siamo già dentro. –
Attraversarono
l’oasi boschiva, giungendo ad un avvallamento che dava verso l’aperto
entroterra, disseminato qua e là di arbusti, sentierini sterrati e bordati da
ciottoli chiari, che correvano tutti verso un profilo indistinto, segnato da
rigagnoli di fumo che salivano verso il cielo.
- Non mi sono reso
conto del cambiamento. –
- Nemmeno io so
cosa sia successo. Quando sei arrivato, eravamo già all’interno del ricordo. –
- E’ perché ci
stavi pensando, eh? –
Altro sorriso,
stavolta più discreto. – Sì. Forse ci stavo pensando. –
Marzio lo portò
oltre l’avvallamento, che reclinando per la seconda volta formava una specie di
conca a mezza ellisse, un po’ come quelle dei teatri. Il sole concentrava tutta
la sua intensità proprio lì, perciò la prima cosa che Harry riuscì ad
individuare fu il riflesso platinato dei capelli di Derevan, che giocavano con
la luce.
Arrossì di botto,
ma seguì Marzio, che trotterellò giù dal declivio, avvicinandosi con noncuranza
a sé stesso e a Derevan, intenti a parlare a bassa voce.
- Nella mia lingua
esiste un detto. – stava dicendo il Marzio sdraiato a terra, gravato del corpo
di Derevan per metà accomodato sul suo petto. L’Iceno impugnava tre ramoscelli
verdi, flessibili, che intrecciava con sapienza sotto gli occhi attenti del
Romano.
– “Omnia amor
vincit”. Sai cosa significa? –
Derevan scosse
lentamente la testa, rivolgendo all’indietro il suo sguardo azzurro e
concentrato.
- Significa – spiegò
allora il Romano, pescando con mite monotonia ciocche di capelli del suo
amante, che si lasciava scivolare fra le dita finché tutti i capelli non gli
sfuggivano, per poi ricominciare. – Significa due cose al tempo stesso: che
l’amore vince tutto, ma anche che tutto vince l’amore. È un gioco di parole
beffardo, ma molto saggio. –
- Come può essere
saggio, qualcosa che si contraddice? –
- Si contraddice
perché vuole insegnarti che sei tu a decidere del tuo destino. Sei tu, che devi
scegliere se il tuo amore vincerà su tutto, o se si lascerà sopraffare dalle
difficoltà. –
- E il nostro
amore, vincerà su tutto? –
Marzio produsse una
risata a lievi singulti, che fece vibrare il suo torace. Passò l’indice sulla
torque sottile ed elegante che ornava il collo di Derevan, prendendosi tempo
per rispondere.
- Lo sanno gli dèi,
amor mio. Però io lotterò con tutte le mie forze, perché il fato ci permetta di
restare insieme. Non mi arrenderò a questa guerra, Derevan. –
- Non lo farà
nemmeno la tua gente. E così la mia. Ho sempre più paura che presto o tardi
saremo chiamati a scegliere fra la nostra felicità e il legame con i nostri
popoli. –
- Io non ne sarò
capace. Roma mi ha dato la vita, tu me l’hai presa. Le saette di Giove si
abbatteranno su di me, che non ho avuto il coraggio di decidere che cosa amassi
di più. –
Derevan fece un
sorriso da brividi, più bello di un’aurora. – Un padre, un fratello, un figlio,
li si ama tutti, ma in modo molto diverso. Io amo te, e amo Venta e tutti i
suoi abitanti, e nessuno ruba posto all’altro, nel mio cuore. Lasciare questa
terra per seguirti nell’enorme campo militare che tu chiami capitale mi
ucciderebbe, così come rimanere in questo posto lontano dal tuo mondo
ucciderebbe te. –
- Troveremo un
compromesso, allora. – lo rassicurò Marzio. – Una città che sia piccola e
tranquilla, e circondata da colline erbose dove tu potrai andare in cerca di
erbe, coltivarne quante ne vorrai. Ce ne sono tante, di queste città, nel
territorio di Roma. –
- Ce ne sono molte
anche qui in Britannia. –
Harry avvertì un
disagio non suo impadronirsi della sua gola. La loro discussione era senza via
d’uscita, questo era evidente, eppure la conducevano con toni pacati, sempre
cercandosi l’un l’altro con carezze, anche solo annodandosi su un dito un lembo
di mantello. Avrebbe voluto, chissà, offrire loro la sua casa, pur di non
vederli così, dolcissimi e intimamente disperati.
Marzio affondò la
bocca fra i capelli dorati di Derevan, e le mani nei suoi vestiti, facendolo
rabbrividire.
- Vinceremo noi,
alla fine, vedrai. – lo rassicurò, ponendo implicitamente fine al discorso. –
In un modo o nell’altro, deve esistere una strada anche per noi. –
- Spero di trovarla
in fretta, allora, per percorrerla correndo finchè il fiato non verrà a
mancarmi. -
- E sia. Sono
sicuro che la nostra strada porti al mare, e noi la seguiremo guardando il sole
sorgere e tramontare tante volte quante non arriveremo mai a contare. –
Derevan annuì, e
sorrise. Con quale forza ci riuscisse, per Harry era un mistero, ma dovevano
essere cose come queste a rendere certe persone, pochissime, migliori e
diverse, al di sopra dei normali limiti oltre i quali chiunque avrebbe detto
no.
- Gli hai mentito.
– borbottò a mo di rimprovero. – Tu saresti rimasto lì a Venta, se te lo avesse
chiesto. Ho ragione? –
- Diciamo che
avrebbe dovuto insistere molto. –
- C’è qualcosa al
mondo che non faresti, per lui? –
Il Romano si
strinse nelle spalle con quella semplicità nobile che era sua e soltanto sua. –
Lui era l’unica cosa che facesse sorgere il sole, per me. Tu ce l’hai qualcosa
che faccia sorgere il sole? –
Harry abbassò
istintivamente gli occhi. – Beh, ho i miei amici. – rispose, sapendo
perfettamente che non era questa la risposta giusta.
Marzio non ribatté.
Gli fece un sorriso amichevole, ma Harry capì che gli mancava qualcosa quando
lo guardò negli occhi e li vide brillare in un modo che lui era piuttosto certo
di non aver mai visto nei propri.
Non era Marzio,
quello alla ricerca di qualcosa, fra loro due.
* * *
- Indietro,
indietro! –
- Fanteria,
riparare! Testudo! –
- Sagittarii,
incoccare! –
Draco scivolò
sull’erba e scosse la testa, tramortito dal chiasso insopportabile che lo
circondava.
- Tutto bene? – si
preoccupò Derevan, agguantandolo per un braccio e rimettendolo in piedi con
sorprendente forza. – Vieni, dobbiamo allontanarci da qui. –
- Ma che cosa sta
succedendo, si può sapere? –
Derevan non smise
di correre, né allentò la presa sul braccio di Draco.
- Sta succedendo la
guerra. – disse soltanto.
Sempre più confuso,
Draco si lasciò trascinare fino al limitare della radura su cui si stava
consumando la battaglia. Soltanto dopo aver aguzzato gli occhi, Draco riuscì a
scorgere sé stesso, cioè, Derevan, ritto davanti alla cinta che si apriva
sull’ampio portale d’ingresso per Venta. Teneva stretto nella mano destra un
lungo bastone di quercia, apparentemente spoglio e grezzo, con l’estremità
superiore abbruttita da noduli e rigonfiamenti informi.
Sparpagliati
attorno a lui, c’erano molti altri uomini vestiti come lui, e anche qualche
donna, quasi tutti dotati di bastoni simili.
E c’era anche
quella Dillon.
Shay invece, non si
vedeva da nessuna parte, e questo particolare inquietò Draco più di quanto si
sarebbe mai aspettato.
Attraversò tutto il
campo con lo sguardo, fino ad intercettare Fulgor. Non poteva sbagliarsi, era
proprio Marzio, quello che lo spronava di continuo, avanti e indietro,
percorrendo le fila di cavalieri romani schierate in perfetto ordine.
Erano in
impressionante vantaggio numerico, se paragonati agli Iceni, un vero muro umano
contro pochi, sparuti individui, che insistevano nella loro immobilità
impenetrabile.
- Devi combattere
contro Marzio. – considerò.
- E’ il nostro
dovere. – spiegò mitemente Derevan. – Lui è pur sempre l’uomo più importante
fra i suoi uomini, e io devo proteggere la mia gente, come capo druido è mia
precisa responsabilità. –
Draco strabuzzò gli
occhi. – T-tu!?!? – sputacchiò. – Tu eri un capo druido?!? –
Derevan si strinse
nelle spalle. – Da quando avevo dodici anni. –
- Ma sei un mostro!
–
- Già. Alle volte
arrivo a pensarlo anch’io. –
- Furio! –
Il grido angosciato
di Marzio riportò entrambi sulla scena della battaglia. Un cavaliere,
distaccatosi dal gruppo, era lanciato al galoppo proprio verso Venta. Incurante
dell’ordine ricevuto, spronò il suo cavallo e si lanciò di corsa contro
Derevan, immobile davanti al gruppo dei suoi compagni.
- Torna subito
indietro! –
- Perché,
comandante! – gridò di rimando il soldato, a malapena udibile nel frastuono. –
Abbattiamo i barbari, per la gloria di Roma! –
- Furio, non farlo!
–
Troppo tardi.
Marzio imprecò a
voce troppo bassa perché Draco potesse sentirlo, poi voltò bruscamente Fulgor,
e alzò un braccio.
- Cavalieri, prima
linea, attaccare! –
La prima linea si
distaccò con precisione impressionante dagli altri compagni, come degli altleti
sulla linea del via. Lui stesso, assieme ad Anacore, in groppa ad un robusto
destriero nero, di mise in coda ai suoi uomini, ma la sua espressione non era
quella di un vincitore che si prepara a dare il colpo di grazia alla sua
vittima.
Il galoppo dei
cavalli produceva un suono impressionante, una specie di ruggito furibondo che
si nutriva delle grida di guerra dei soldati, e del clangore del metallo delle
loro armi, che ad ogni passo cozzavano l’una sull’altra dando l’impressione che
fossero un unico, compatto mostro di ferro che avanzava, inarrestabile.
Derevan sbarrò gli
occhi. Sollevò con esasperante lentezza il suo bastone fino all’altezza del
viso, sotto gli occhi impassibili dei suoi conterranei e, mentre i Romani si
avvicinavano sempre di più, pronunciò, scandendole chiaramente, alcune
incomprensibili parole nella sua lingua.
Marzio e Anacore si
fermarono bruscamente, scambiandosi alla svelta uno sguardo di puro terrore.
- Uomini, ritirata!
– ordinò Marzio, ma quasi nessuno lo sentì.
Un boato.
Un boato spaventoso
si levò dal sottosuolo, come se la terra stessa stesse urlando, e ridusse ogni
altro rumore a poco più di un sospiro.
Tutto d’un tratto,
il terreno erboso sotto agli zoccoli dei destrieri divenne instabile.
I cavalli rimasti
nelle seconde linee nitrirono fortissimo, e presero a battere con forza gli
zoccoli, mentre quelli che stavano galoppando verso gli Iceni si imbizzarrirono
e scalciarono, disarcionando i loro cavalieri.
Fulgor si sollevò
anch’esso, agitando le zampe anteriori contro un nemico invisibile.
Dalla terra, fra lo
sconcerto di tutti, emersero dei sottili tentacoli di legno e di edere, che
come segugi si misero sulle tracce di qualsiasi individuo trovassero sulla loro
strada. I cavalli fuggirono, terrorizzati, mentre i soldati, rimasti
sparpagliati ed atterriti, sguainarono le spade, pronti a tranciare quei rami
malefici.
Chi fra loro
possedeva una bacchetta, la sfoderò, e prese ad evocare incantesimi di ogni
tipo, ma niente, nemmeno il fuoco poteva qualcosa contro quelle piante che
sembravano essere invulnerabili a tutto.
- Arceo! – gridò
Marzio, puntando la sua bacchetta stranamente tozza e lunga contro il suolo, ma
tutto ciò che ottenne fu di paralizzare per una manciata di secondi i tentacoli
protesi verso di lui.
- E’ magia
elementale. – disse Anacore, pietrificato. – Quel ragazzo padroneggia la magia
elementale. –
- Non ho mai visto
niente del genere. – ansimò Marzio.
- Presso il mio
popolo, è poco più che una leggenda. Non posso credere che ci sia qualcuno in
grado di usarla, e così giovane, per giunta. Possiede un potere sconfinato. –
- Lo so. E devo
fermarlo, o sarà la fine per tutti, qui. Anacore, tu torna subito nelle
retroguardie, e cerca di portare via più uomini che puoi. –
- Non hanno
possibilità di fuggire, a piedi sono troppo lenti. –
Marzio si avvolse
le briglie di Fulgor attorno alle mani, concentrato. – Usa tutto il tuo potere
per salvarli. Sollevali da terra, se necessario. –
Partì al galoppo,
lasciando Anacore da solo, ancora immobilizzato dalla paura. A fatica, il Greco
impugnò la sua strana bacchetta bislunga, tutta ornata di lamine di bronzo a
forma di luna, di sole e di edera.
- Exanistemi. –
Riuscì a sollevare
in aria una ventina di uomini, ma non ebbe nemmeno il tempo di voltare il
cavallo e spronarlo, che altrettanti tentacoli si drizzarono verso l’alto e,
attorcigliandosi attorno alle caviglie dei malcapitati, sciolsero l’incantesimo
come fosse nulla, e li schiantarono violentemente a terra.
Non erano che corpi
che andavano ad aggiungersi a corpi, sparpagliati ovunque e grottescamente
integri, come una distesa di dormienti.
Gli uomini toccati
dai tentacoli, infatti, crollavano a terra, come fulminati.
Draco pensò che
quelle piante magiche dovessero possedere lo stesso, spaventoso potere
dell’Anatema mortale, o non ci sarebbe stato altro modo per spiegare quel
fenomeno.
- L’edera risucchia
le loro anime. – mormorò Derevan, prevenendo la sua domanda. – E’ una morte
fulminea e completamente indolore. Il corpo non viene intaccato, non ce n’è
bisogno. –
- Pazzesco. –
- Le forze della
natura sanno essere crudeli, se glielo si chiede. –
- Fulvio! – gridò
di nuovo Marzio.
Il suo compagno, a
poche falcate da lui, lottava disperatamente contro uno di quei rami mostruosi.
- Comandante
Saverio! –
Ne arrivò un altro
che lo prese alle spalle, e anche lui si accasciò.
- Maledizione! –
imprecò, incitando Fulgor a correre più veloce.
- Vieni. – disse
Derevan, perentorio.
Il povero Draco
aveva lo stomaco distrutto dalla nausea, per l’eccesso di sensazioni, la vista
di tutti quei corpi, la paura e la confusione. Insieme, lasciarono il posto
sicuro da cui avevano assistito alla battaglia, per lanciarsi in una corsa a
perdifiato verso Venta, tagliando il percorso del Romano che, nel frattempo, si
era fermato presso un soldato a terra.
- Lucio Prospero
Basso, comandante. – gli sentì dire di sfuggita Draco.
- Lucio. Sali, e
reggiti forte. –
- Grazie,
comandante. –
Giunsero appena un
istante prima che Fulgor arrestasse la sua corsa, nitrendo. Marzio balzò giù,
incurante del manipolo di Iceni che si erano parati davanti al loro capo.
- Derevan! Fermati!
– ordinò duramente.
Derevan sembrava
posseduto da se stesso. Il bastone tremava violentemente nella sua mano tesa in
avanti, senza controllo.
- Derevan,
ascoltami! – lo chiamò a voce alta. – Devi fermarti! –
- Ma… Marzio. –
- Sono io, sono
qui. Adesso fermati. –
Draco si accorse in
quel momento della torque al collo di Derevan, che diede un bagliore prima di
spegnersi del tutto.
Derevan sbatté le
palpebre, e i tentacoli di edera cessarono all’istante di muoversi, cadendo
inanimati sul suolo. Respirando a singulti, rivolse lo sguardo al campo di battaglia
che si estendeva davanti a lui, disseminato di silenziosa morte.
- Sono stato io.
Guarda. –
- Adesso basta.
Basta. – ansimò Marzio, tremando quanto lui.
- Guarda! – disse
con voce strozzata. – Anche io so uccidere! –
E dopo quelle poche
parole, si lasciò cadere a terra, con la testa fra le mani.
- Derevan. –
- Anche io so
uccidere, come voi! –
- Non fare così,
vieni, alzati. –
- No, non mi
toccare. Sono diventato un assassino, non è vero? –
Dillon si parò
davanti a Derevan, risoluta. In realtà, tremava per la paura, e aveva gli occhi
umidi di lacrime, ma la sua intenzione di apparire forte davanti al nemico era
più che evidente.
- Vai via. –
ringhiò. – Tutto è colpa tua. –
- Lasciami parlare
con lui. – si oppose Marzio.
- Lui deve riposare.
Non servi tu. –
- E invece sì. –
Marzio le rivolse
uno sguardo furibondo, e, ben lontano dall’ascoltarla, si girò all’indirizzo
del soldato che aveva salvato.
- Tu, torna al
campo con il mio cavallo, e fai rapporto sulle perdite. Io vi raggiungerò fra
poco. –
- Ma comandante,
restare qui, da solo? –
- Obbedisci. –
Il povero Lucio era
troppo giovane e spaventato per osare controbattere. Una volta eclissatosi,
Marzio ritornò al suo obiettivo. Scansò Dillon, ignorando con alterigia il
bastone che lei gli puntava contro.
La poverina cercava
di mettergli paura e di allontanarlo da Derevan, senza capire che entrambi
erano lì per lo stesso motivo, quello di salvarlo dalle sue stesse azioni.
Non voleva farle
del male: il suo coraggio e la sua devozione erano da ammirare, non da punire.
- Alzati. –
- Non posso. –
- Certo che puoi. –
- No. Puoi
riuscirci tu, che con la tua spada falci gli uomini come fossero frutti maturi,
ma non io. -
- Non dire così,
non è vero. Anche per me è difficile, ogni Iceno che uccido, sei tu. -
- E allora come
fai? – gridò Derevan. – Dimmi come fai! -
Marzio si inchinò
lentamente, stringendosi forte al petto quel corpicino fragile e travolto dal
dolore.
- Come fai. –
singhiozzò Derevan. – A non sentirti le loro anime nel sangue. –
- Non fare mai più
niente di simile. Tu non sei fatto per uccidere. Io lo so. –
- Sarei impazzito,
senza il suo sostegno. – mormorò Derevan a Draco, come se avesse tenerezza di
sé stesso. Si voltò verso di lui, insistendo con lo sguardo finché non lo ebbe
costretto a guardarlo.
- Uccidere è una
cosa tremenda. – disse gravemente, facendo sobbalzare il Serpeverde. – E’
qualcosa che non si riesce a spiegare, ma che rimane conficcata dentro al cuore
per sempre. È come un marchio che incide sulla tua pelle il nome della tua
vittima, e ti costringe a farci i conti in ogni momento, mattina e sera, senza
mai una tregua. Non farlo mai, Draco: nemmeno tu sei fatto per uccidere. –
ANGOLINO!
Ed eccoci ad un
capitolo ricchissimo di riferimenti. Primo fra tutti, “omnia”. Ce lo
ricordiamo, quel frammento di legno che fece inciampare Harry nel primo
capitolo?
E poi un altro,
meno evidente: il primo sogno di Draco, ricordate? Marzio dice a Derevan che
lui non riuscirebbe mai ad uccidere, ma Derevan qui gli dimostra il contrario,
anche se sembra che gli costi molto. È una parentesi che squarcia il velo oltre
al loro idillio: appartengono pur sempre a due popoli in guerra.
Nota: la torque è il monile simbolo dei celti. Si
tratta di un girocollo rigido, di metallo, spesso finemente lavorato, che si
incrocia sul davanti senza toccarsi, un po’ come le dita di due mani.
Solitamente era un pezzo unico, ma ne esistevano anche a più incroci. Era
indossato da entrambi i sessi, aveva un grande valore sacrale, e i druidi
usavano benedirlo per infondergli potere magico e protettivo. Ne esistevano
molti “modelli”: alcuni indossati dai guerrieri, altri dai curatori, altri
dagli sposi, altri dai bambini e così via.
Ho cercato qualche
immagine in rete, così da darvi un’idea. Ciccate sui link!
Questa è una
classica torque singola
http://www.trigallia.com/montefortino/foto/torque.JPG
Questa è più
elaborata.
http://www.mysteriousworld.com/Content/Images/Journal/2003/Winter/Giants/Torque.jpg
Questo è un modello
molto diverso
http://www.metmuseum.org/toah/images/h2/h2_47.100.16.jpg
Questa invece è
doppia
http://www.jewellery-scottish.com/august8072/aug07torque.jpg
Per la parte sulla
battaglia, inizialmente avevo pensato di rendere gli ordini gridati dai
generali completamente in latino, ma siccome sono buona, oltre che pigra, ho
deciso di lasciare in latino solo alcune parole significative:
Testudo è la testuggine, la famosa ed impenetrabile
formazione di difesa di scudi uniti. Quando il comandante chiamava “testudo!”,
immediatamente si levava una piastra compatta di scudi identici, e per i nemici
erano cazzi. Aaah, mi esalto solo a pensarci!
I sagittarii
sì, sono semplicemente gli arcieri. Dite la verità, vi eravate fatti mille
filmini mentali di strani individui mezzi cavalli, eh? Scommetto che qualcuno
ha fatto di peggio, vedendosi Aiolios di Sagitter irrompere sulla scena, e
trasformare il tutto in uno stupido crossover baka. XD
Arceo significa “allontano”, “respingo”
Exanistemi è una parola greca che vuol dire insieme
“sollevare” e “allontanare”. Perché Anacore non è mica scemo.
Infine, una
specificazione doverosa sul termine “ Britannia”. Mi sono lungamente
documentata, ma ho capito che fra gli studiosi ci sono molti dubbi e molte
ipotesi su come i celti inglesi chiamassero la loro terra. Britannia deriva da
Britanni, che è uno dei popoli più importanti del territorio, e i Romani la
chiamavano così; perciò è verosimile che fosse un nome diffuso, e a questo mi
sono attenuta.
E adesso, se siete
ancora qui e non vi siete rotte per questa lezione extra di storia, rispostine!
Dark: ehm, già io non mi capacito
del fatto che non si vergognino di Draco e Harry, figurati ad avere altri ospiti!
^^
The
fly: speriamo
di no, altrimenti sono guai! Però ci hai preso, per il momento Draco non sembra
proprio disposto a far pace con se stesso, incurante dei sentimenti delle altre
parti coinvolte.
Far: hihihi, eccola che parte con
la selezione. Sembra tipo le classifiche in cui ti fanno sentire i pezzettini
delle canzoni mentre le enumerano!
Herm: ecco, visto? Non stare via due
settimane! Hihihi, Fulgor e Shay sono i protagonisti assoluti, loro sì che
hanno capito come gira il mondo!
Little
Star: ecco, gli
Him in questi casi sono davvero delle pessime scelte. Anche io ho studiato una
colonna sonora ad hoc, all’insegna dell’angoscia, con il risultato che non la
sento mai, perché o scrivo o mi dispero! E non parliamo di criminali, se io
sono riuscita a scovare un lato dolce in gente come Trevor, o Sasori, o
Ichimaru, mi sa che siamo sulla stessa lunghezza d’onda!
Ginny: Eh, chissà come mai è così
nervoso, mah ;)… buona pasqua anche a te!
Smemorella: nghaaa, non farmi tornare in
mente il giochino malefico! Sì, è tutto a posto, un attimo di casini vari, ecco
tutto! Ehm, tempeste ormonali? Io in primavera al massimo starnutisco,
decisamente non sono toccata da questo genere di problema! A proposito, mi sa
che la tua proposta sulla reazione di Draco è più aggressiva della mia! Almeno,
Harry ha ancora le rotule intatte… Beh, la loro funzione è quella… di tutti i
cavalli. Che poi potrebbe essere sottinteso qualcosa di più, trallallero
trallallà…
Anatrante: guarda, mi dispiace, ma non ti
posso rivelare proprio niente di niente, voglio che tutto si scopra cammin
facendo.
Koorime: tesoro del cielo, ho dedicato
con Somma gioia otto ore della mia esistenza alla tua recensione! Ora, dove
posso trovare un ferramenta che installi una trappola per topi a scadenza di
battiture sulla tua tastiera? XD Ok, la pianto, tanto lo sai che ti sono
enormemente grata e che mi prendo malissimo a leggere ogni tua recensione.
Insomma, Derevan è Derevan, e farli imboscare dietro al primo cespuglio non
sarebbe stato carino >.< Oltretutto, finchè Draco è tordo come una biscia
e non si rende conto di quanto di troppo sia, stiamo freschi. Poi, mi diverto
un mondo sulle tue analisi, perché ci prendi sempre, e allora parte il filmino
mentale corredato da colonna sonora “ooooh Detective Conan”. E finiamola qui,
va. La questione dell’invidia di Draco è un punto molto importante, e che avrà
modo di emergere, anche se già lo fa, fra le parole e nei gesti, per quanto
Draco ce la metta tutta per fare il ghiacciolo. Già, quoto in pieno la questione
stacca-lingua, Harry sarà pure innamorato e confuso, ma fesso del tutto no, e
Draco, diciamocelo, fa una certa paura. L’analisi di Draco prima o poi ci sarà,
perché è doverosa. Per il momento, mi diverto a nascondere i suoi stati d’animo
dietro a quel suo broncio mutevole, e in fondo non così inespugnabile…
Lady: eh, sua maestà Draco Malfoy a
volte si meriterebbe una scudisciata sul sederino, altroché! Ma siccome non
posso trasformare questa fic in una faccenda sadomaso, mi sa che Harry dovrà
beccarselo così com’è. Certamente, giusta osservazione: Marzio e Harry sono
diversi, prima di tutto perché Harry è molto più impulsivo del suo
corrispettivo, anche se il fatto che in questo cap Marzio si sia lanciato verso
Derevan, ignorando il pericolo mortale, la dice lunga. Sicuramente hanno più
punti in comune, e una maggiore disponibilità ad aprirsi, rispetto a Draco. Ma
diciamocelo, anche un guscio di noce è più aperto di Draco… -__-
Draco
Malfoy: Vedremo
più avanti, se Dillon avrà a che fare con Hermione o meno. Per quanto riguarda
l’altra domanda, invece, no, i ricordi sono “a senso unico”, e riguardano solo
Marzio e Derevan. Non è possibile, per loro, farsi gli affari di Harry e Draco!
XD
Blaise: grazie mille, stella! Yes,
sono contenta anche io di dipanare qualche mistero qua là, e mi diverto un
mondo a rivelare Draco non attraverso i suoi pensieri, ma attraverso le azioni.
Jill: hihihi, e fu così che mandammo
alle ortiche la trama, perché Harry fece un’incursione nella doccia, in preda a
erotomania… E così, Virgilio! Ti supplico, dimmi che Dante era un tipo carino,
e fra voi c’è stato del tenero…
Layla:
grazie infinite! Beh, sono molto contenta che tu, e un po’ tutti comunque,
abbiate recepito il passaggio chiave del muso di Draco per essere stato abbandonato.
Come già spiegavo, mi piace molto di più analizzarlo attraverso le sue azioni,
che non in modo classico. Per quanto riguarda le incursioni nei primi sogni di
Draco, è probabile che ci siano ancora degli spunti per parlarne, un po’ come è
successo qui, con Dillon.