- Singolare. –
Harry provò un vago
ed indefinito senso di fastidio.
Avrebbe trovato
molte parole per definire la sua situazione, se glielo avessero chiesto, ma
“singolare” aveva un suono troppo ironico, persino canzonatorio. E, di certo,
la voce che l’aveva pronunciata non aveva fatto nulla per nasconderlo.
- Professor
Silente, ci dica che cosa dobbiamo fare. – insistette Hermione, accorata.
- Beh, lo farei
molto volentieri, ragazzi miei, ma temo di saperne quanto voi. –
- Ma insomma. –
squittì Ron. – E’ mai possibile che si finisca sempre in questi guai? –
- Via, via, non
perdiamoci d’animo, signor Weasley. Un problema esiste perché esiste una
soluzione, no? –
- Sì, d’accordo…
però… -
- Ho l’impressione
che Harry possa essere in pericolo. – si preoccupò Hermione. – Se queste due
anime non svaniscono, ora che il loro desiderio è esaudito, non sarà perché
qualcosa impedisce loro di farlo? –
- Esiste questa
possibilità. Ma, come Harry non è da solo ad affrontare la faccenda, visto che
c’è anche il signor Malfoy… -
Hermione si morse
il labbro inferiore, incassando il tacito rimprovero. – Sì, certamente. –
mormorò. – Anche Malfoy. –
- … Io credo che,
per ora, la sola cosa ragionevole da fare sia sforzarsi di stare uniti, e
cercare insieme di capire che cosa non va. –
Harry reclinò la
testa, decidendosi infine ad intervenire in quella discussione che tanto
direttamente lo riguardava.
– Dovremo parlarne
con Marzio e Derevan? –
- E’ una soluzione,
no? –
- Non lo so, Ron.
Non ti ricordi che Marzio, una volta, parlò ad Harry di regole da rispettare?
Forse non può dirgli niente. –
- E’ possibile. Ma
è ancora più probabile che nemmeno loro sappiano perché si trovino ancora qui.
Dopotutto, si sono ritrovati, perciò questo è già il loro paradiso. –
- Sta dicendo che
non hanno interesse ad andarsene? – ansimò Harry, colpito.
Draco, che fino a
quel momento se n’era rimasto rintanato dietro al suo broncio spaventoso,
appollaiato sulla sedia alla sinistra di Harry, quella più isolata di tutte,
scattò in avanti.
- Che se lo
scordino. – tuonò. – Ne ho piene le tasche di sogni, di Iceni, di cavalli e che
altro so io. –
Harry evitò
saggiamente ogni replica.
Considerando
l’andamento delle ultime ventiquattro - trentasei ore, contraddire Malfoy
sarebbe stato quanto di più controproducente si potesse fare.
Peccato non
potergli rinfacciare che non sempre le cose dipendevano dalla sua volontà, e il
fatto che lui ci tenesse tanto a sbarazzarsi di Marzio e Derevan non
significava affatto che loro se ne sarebbero andati.
Né tanto meno, che
lui volesse qualcosa del genere.
Perché anche lui
era coinvolto, no? Dio, c’era anche lui dentro a questa storia, aveva pur
diritto di parola tanto quanto Malfoy.
Dannazione a lui, e
a quel suo modo di fare che, chissà come e chissà perché, ti metteva nel sacco
prima ancora di avere il tempo di realizzare.
- Sia ragionevole,
signor Malfoy. È tardi per tirarsi indietro, ed è evidentemente troppo presto
per concludere. Con un po’ di pazienza, sono sicuro che verremo a capo del mistero.
–
- Un po’ di
pazienza? Quantifichiamo quell’”un po’”, signor Preside, perché io ho come
l’impressione che qui le settimane passino senza che niente cambi. –
Hermione lo
fulminò, inorridita per l’arroganza del suo tono. Silente, da parte sua, non si
scompose per l’atteggiamento, quanto piuttosto per ciò che aveva detto.
A malincuore,
dovette ammettere che non c’era risposta ad una simile domanda.
Giorni, settimane,
mesi. Anni.
Harry sentì il
proprio cuore accelerare improvvisamente.
- Ma signore, la
scuola finirà fra tre mesi. – farfugliò. – E’ impossibile, come facciamo a
mantenere un contatto? –
- Suvvia Harry, non
essere ingenuo. Potete benissimo mantenerlo. –
- Oh, certo che
possiamo mantenerlo. – ringhiò Draco. – Che ci vuole, basta vivere appiccicati
come sanguisughe. Magari dovremo persino cercarci casa insieme, così da poter
passare tutte le maledette notti della nostra vita a dormire insieme, eh? –
Lo sguardo gelido
di Draco, per un momento, fiammeggiò. – Sarò molto chiaro, con lei, signor Preside,
e con tutti voi, patetici illusi: preferisco finire fra le zanne di un drago
rabbioso, piuttosto che in una casa con Potter. Almeno, la prima opzione è
rapida. –
Colpito e
affondato.
- Io ti spacco la
faccia, maledetto. – giurò Ron, brandendo i pugni chiusi a sottolineare la
minaccia.
Il cenno fermo di
Silente bastò a fermare Ron, ma non Draco, che non aprì ulteriormente bocca, trincerandosi
nella sua posizione e limitandosi ad uscire dall’ufficio in modo composto e
rigido.
Nessuno stupore,
quindi, al momento del rientro in camera, nel constatare che di Draco non erano
rimasti che pochi vestiti di seconda scelta, che con ogni probabilità sarebbe
venuto a riprendersi con calma il giorno dopo.
Hermione si buttò a
sedere sul letto singolo, senza accorgersi dello sguardo rapace che Harry
involontariamente le rivolse, al vederla toccare il piumone ancora sfatto.
- Che cosa farai? –
domandò, diretta.
L’amico si strinse
nelle spalle. Fece scivolare svogliatamente le dita sul bordo del cuscino,
saggiandone la consistenza e cercando in essa una qualche forma di sostegno.
- Credo che resterò
qui ancora per un po’. – mormorò. – Nel caso Draco decida di tornare. –
- Ma sei matto? –
saltò su Ron. – Dico, lo hai sentito come ti ha trattato? Quel furetto
disgustoso meriterebbe solo un pugno nello stomaco, altroché! –
- Nemmeno secondo
me è una buona idea restare qui, Harry. A questo punto, torna al dormitorio.
Una qualche soluzione si troverà per forza. –
- Non esiste
soluzione, senza Draco. –
- Ma certo che
esiste, e noi la troveremo. –
Harry si massaggiò
le tempie, esasperato. – Vi dico. – scandì, sforzandosi in ogni modo di
mantenere la calma. – Che non è così. Vi sono grato per il vostro aiuto, ma voi
non potete capire. –
- Non cominciare a
fare l’eroe, adesso. – sbuffò Ron.
- Non mi diverto a
farlo. –
- Datevi una
calmata, tutti e due. Quello che Ron vuole dire è che è vero che non possiamo
essere partecipi, ma ci preoccupiamo comunque per te. Ti rendi conto che questa
storia ti sta portando un po’ troppo lontano? –
A Harry venne quasi
da ridere: non voleva pensarci, a quanto lontano stesse andando, ma di sicuro
c’era che i suoi amici erano i primi a non averne un’idea nemmeno vaga.
- Resterò qui. –
insistette.
- Commetti uno sbaglio.
–
- Ne ho commessi
tanti. Uno in più non farà differenza. –
Hermione sbuffò.
- Questa volta non
sei da solo a decidere. Se Malfoy non tornerà indietro, tu non potrai fare
nulla. –
- Di questo non ti
devi preoccupare. Tornerà indietro, deve farlo. –
- No, non deve. Non
ha senso dell’onore, e al contrario di te, lui non si sente legato al dovere di
aiutare Marzio e Derevan. –
- Maledizione! –
Harry schiantò un pugno sul materasso, facendo sobbalzare Hermione. – Perché
non volete darmi ascolto? Draco tornerà, non può non tornare, non dopo tutto
ciò che abbiamo visto e sentito insieme! –
Gradualmente, sotto
lo sguardo esterrefatto dei due amici, il volto di Harry tornò del colore
originale, da rosso fuoco che era diventato.
- Tornerà. – ripeté
per la centesima volta. – E’ soltanto spaventato dalla situazione, nient’altro.
Gli passerà e tornerà, e io lo aspetterò qui. –
- Harry… -
- E risolveremo
questa storia, insieme. –
Il discorso era
chiuso. Ron ribolliva per la rabbia, e probabilmente, più tardi, l’avrebbe
presa da parte e le avrebbe fatto una sfuriata con i fiocchi. Ma a quello ci
avrebbe pensato dopo.
- E’ ora di cena. –
constatò Hermione, cercando di salvare il salvabile.
* * *
- Non hai voluto
dormire con Harry, un’altra volta. –
Non c’era
risentimento, in Derevan. Non una maledetta traccia di rancore.
Draco digrignò i
denti, perché se almeno si fosse arrabbiato con lui, avrebbe avuto una buona
scusa per aggredirlo e cercare di sfogare, finalmente, tutto il magma che gli
opprimeva lo stomaco.
- Mi dispiace per
te. –
- E a me dispiace
per te. –
Draco strabuzzò gli
occhi, preso alla sprovvista.
- Ti dispiace per
cosa? –
Derevan sorrise a
metà, con un’aria che aveva del rassegnato. – Draco. – proclamò solennemente. –
Non ti accorgi di quanto sta piovendo? –
Scrollò le spalle.
Sì che se n’era
accorto, che razza di domande, con tutta l’acqua che stava venendo. Ma era
sempre stato così, in quel luogo; aveva dato per scontato che la pioggia fosse
parte integrante del suo sogno.
- Non ti accorgi
che quando lui ti è vicino, in cielo non c’è una nuvola? –
No.
Di questo non si
era mai accorto.
Anzi, era meglio
dire che aveva dato anche quel fenomeno per scontato. La pioggia gli
apparteneva, quanto il sole apparteneva ad Harry, perciò non era possibile che,
dove ci fosse lui, ci fossero nuvole.
Non poteva piovere,
se c’era lui. Non c’era niente da capire, era semplicemente così.
- Attento a come
parli. – lo minacciò. – Se stai cercando di insinuare qualcosa, io… -
Il quell’esatto
momento, lo scroscio della pioggia aumentò a dismisura, peggio che se dal cielo
fossero precipitate cascate d’acqua.
Il poco tessuto
ancora non bagnato del suoi vestiti si infradiciò del tutto, intirizzendolo e
facendogli colare il naso.
- Ma non c’è un
maledetto posto dove andare a ripararsi? – sbraitò.
- No, non c’è. Non
per questa pioggia. –
- Maledizione,
invece che stare qui a fare il saputello, fai qualcosa per farla finire, o qui
anneghiamo! –
Derevan sorrise, in
un modo o nell’altro divertito dalla scena. – Te l’ho spiegato, non posso fare
niente, io. Questa è la tua pioggia. –
- E allora spiegami
come farla finire, una buona volta. –
- Ascoltala. –
Il naso di Draco si
arricciò tutto. – Cosa? –
- Ma sì. – aggiunse
Derevan, come fosse la cosa più naturale del mondo. – Se ascolti ciò che ha da
dirti, lei se ne andrà. Il cuore è come un tesoro, non lo sai? Tenerlo
rinchiuso nel petto servirà a proteggerlo, ma in questo modo non potrà mai
brillare, e prima o poi verrà dimenticato. Se invece ti sforzi di ascoltare
questa pioggia che è dentro di te, se ne senti la voce oltre lo scroscio, e
presti attenzione alle sue parole, ci sono tante cose che potresti capire, di
te. Io la sento da quando sei nato, la voce di questa pioggia. Quando eri
piccolo, chiamava la tua mamma e il tuo papà così forte da assordarmi. –
Draco ebbe un
singulto violento.
La pioggia divenne
gelida, per qualche istante, talmente tanto da fare male alla pelle già
intirizzita.
- Ma poi è cambiato
qualcosa. – proseguì Derevan. – Da quando sei giunto qui, in questa scuola, le
voci si sono moltiplicate, contraddette, e alla fine un grido ha coperto tutti
gli altri. Hai davvero bisogno di ascoltare quella voce, Draco. Lui potrebbe
salvarti da te stesso. –
Come se le parole
di Derevan non fossero state già abbastanza, un improvviso tremore scosse la
terra, concretizzando davanti ai suoi occhi ciò che vorticava nella sua testa
senza sosta.
Si riprese solo per
accorgersi di non essersi praticamente mosso. Il luogo dove si trovava era
precisamente nei pressi del salice, a buon dire una decina di passi dal punto
di partenza.
L’albero, però, era
l’unica cosa rimasta identica a sé stessa: per il resto, era pieno giorno, il
sole brillava impetuoso sulle loro teste, e Derevan, l’altro Derevan, stava
addossato al fragile tronco della pianta.
Attorno a lui,
c’erano quattro grossi lupi.
Lo avevano
circondato, e ora ringhiavano insistentemente, battendo le code gonfie sulla
terra.
Draco lo sentiva
parlare loro dolcemente, nella sua lingua, ma le bestie non lo ascoltavano.
Terrorizzato, l’Iceno piantò davanti a sé il suo bastone, cercando invano di
costituire un confine oltre il quale i lupi non osassero spingersi.
Quello che sembrava
il capo branco, scoprì ancora di più la dentatura acuminata, e raspò il terreno
con le zampe, proprio in corrispondenza con il bastone.
- Ma sei pazzo! –
gemette Draco. – Perché non li cacci via, vuoi finire divorato? –
- Non mi davano
ascolto. – spiegò Derevan. Poteva giurarlo su quanto aveva di più caro al
mondo, non gli aveva mai visto in volto un’espressione così triste, fino ad
allora. – Non riuscivo a capire perché. –
- Al diavolo, a
quel punto spediscili all’altro mondo, prima che loro lo facciano con te, no? –
- Non posso. La loro
vita vale quanto la mia, non ho alcun diritto di ucciderli. –
La situazione stava
precipitando rapidamente. Derevan non dava in effetti segno di voler reagire
all’aggressione, mentre i quattro lupi lo stringevano sempre più, arrivando a
lambirgli le gambe con le fauci digrignate.
Tese una mano,
tentando di accarezzarli, ma la ritrasse in fretta, sfuggendo per un soffio ad
un morso letale.
Draco continuò a
tenere lo sguardo fisso su di essi, inclinando la testa di quel poco che
occorreva per poter parlare.
- Lui ti salverà,
vero? – chiese, anche se il suo sembrò più un proclama. – Arriverà a momenti, e
ti salverà. È così, vero? –
Derevan si morse il
labbro inferiore.
Proprio in quell’istante,
infatti, un fragoroso nitrito li colse alle spalle, e Marzio si materializzò
dalla stessa direzione da cui erano arrivati loro, scavalcandoli senza
accorgersi di nulla.
- Derevan! – gridò.
– Cosa fai, vieni via da lì! –
- Non posso! –
gemette l’Iceno. – Non mi lasciano passare! –
- Bene. – soffiò
Draco. Insisteva nel parlare, da solo più che con Derevan. – Ora sfodererà la
spada e caccerà via quelle bestiacce. Le ammazzerà, se necessario. –
- Draco… -
- Lo farà. Perché
ti ama, e se ti ama, deve farlo. –
Derevan non sapeva
se sorridere, o rattristarsi. Annuì, rinunciando ad aggiungere altro.
Marzio smontò in
fretta e furia da Fulgor, che si ritrasse nervosamente. Sguainò la spada e la
puntò contro il primo lupo, vibrando d’ira.
- Non ucciderli, ti
prego. –
- Perché ti
puntano? Non riesci ad allontanarli? –
- Ci ho provato, ma
non mi danno ascolto. Non riesco a capire. –
Marzio si morse la
punta della lingua e, tenendo sempre la lama davanti a sé, riuscì a far
scansare due lupi e a raggiungere l’Iceno.
- Shay? –
- Si è agitato
molto appena sono arrivati. Così gli ho detto di scappare. –
- Sì è agitato? –
Derevan scosse
vigorosamente la testa, provocando la violenta reazione del capobranco, che
azzannò e cercò di strattonare la spada di Marzio.
- D’accordo. –
mormorò il Romano. – Stringiti a me, e cerchiamo di allontanarci da qui. Ma ti
avverto, se ci attaccheranno, li ucciderò. –
- Solo se ci
attaccheranno. –
- Promesso. –
Marzio colpì con
forza il poderoso collo di uno degli animali, usando il piatto della spada. Il
lupo si ritrasse uggiolando, protetto da uno dei suoi compagni, che abbaiò
furiosamente contro i due. Marzio non si lasciò intimidire, anzi, fece roteare
ancora la sua daga per tenerli lontani, mentre, un passo alla volta, arretrava
verso Fulgor, che sbuffava minaccioso.
- Ma bene, bene,
bene. –
Una voce rapace
colse all’improvviso tutti i presenti, Draco incluso. Dalla macchia d’alberi
opposta alla loro posizione, e coperta dall’ombra del sole, uscì fuori un uomo
molto alto, a cavallo, bardato in un mantello rosso identico a quello di
Marzio.
- Comandante Marzio
Saverio. – scandì con un’espressione di grottesca ilarità. – A che deplorevole
scena mi tocca assistere. –
- Che stai
farneticando, Tito. – ringhiò Marzio, livido più di rabbia che di sorpresa per
la sua comparsa. – Aiutami a mandare via queste belve. –
- Belve? – le
sopracciglia rossastre e spigolose del nuovo venuto si rizzarono sotto il suo
mezzo elmo. – Io non vedo nessuna belva, qui. –
Marzio fece per
aprir bocca e sotterrarlo sotto un diluvio di ingiurie, ma le parole gli
morirono in bocca. Davanti a lui, infatti, non c’erano più quattro lupi, ma
quattro uomini, suoi soldati.
- Comandante Marzio
Saverio. – cantilenò Tito, oramai apertamente canzonatorio. – Stai puntando la
spada contro dei soldati di Roma, per proteggere un barbaro? Davvero un
comportamento poco adatto ad un Legato. –
- Animagus. –
gemette Draco. – Ma come… -
- Allora non
esistevano forme di controllo, come ci sono adesso. – mormorò Derevan. – Credo
che lui non lo sapesse. –
- Ecco perché non
ti davano ascolto. –
- Esatto. Le mie
parole funzionano sugli animali, non sugli uomini. –
Marzio strinse più
saldamente a sé un Derevan paralizzato dalla paura, e invece che foderare la
spada, la puntò minacciosamente contro Tito.
- Tu! – soffiò. –
Tu, maledetto vigliacco! –
- Modera i termini,
generale. – lo derise Tito. – Io, Azio Tito Quinto, prefetto della VIIII Legio,
dichiaro te, Marzio Saverio Fabio, Generale Legato, in arresto per alto
tradimento, in nomine senati populique Romani. Soldati! –
I quattro uomini
furono subito addosso ad un Marzio che, stupefatto, non oppose la minima
resistenza.
- Ah, naturalmente
legate anche il ragazzo. Di lui vedremo cosa farne più tardi. –
- Fai qualcosa! –
gridò Draco. – Diavolo, perché ve ne state lì fermi? –
- Che cosa avremmo
dovuto fare? – lo scoraggiò Derevan. – Se ci fossimo ribellati, avremmo dovuto
uccidere quegli uomini, e darci alla fuga. –
- Ma perché lui non
fa niente! Perché non ti protegge?!? –
Derevan indicò con
il mento un Marzio che, furibondo, si agitava come una belva, a stento
trattenuto da sue soldati, mentre Tito si caricava personalmente Derevan sul
suo cavallo, tenendolo malamente per i capelli.
- Lascialo
immediatamente andare, ti ho detto! –
- Perché dovrei, è
complice di questo crimine. –
- Oh, chiudi quella
lurida bocca. È me che vuoi, di lui non ti importa niente, liberalo subito! –
Tito ridacchiò,
tirando le redini del suo cavallo.
- Chissà, magari
anche il ragazzo potrebbe interessarmi… -
Le iridi chiare di
Marzio fiammeggiarono.
- Maledetto! –
ruggì. – Non osare toccarlo o me la pagherai cara! –
- Continua a
urlare, comandante Saverio! Ci sarà di che raccontare in giro, di un
prigioniero che minaccia i suoi carcerieri! –
- Derevan. – chiamò
Draco, con un filo di voce. – Dove vi stanno portando. –
- Al castra, al
loro accampamento. –
- Riuscirete a
sistemare tutto, vero? Voglio dire, Marzio si farà scagionare, ammazzerà di
pugni quel bastardo, e… -
- Draco. –
- Lo farà, vero? –
- No, Draco. Non può
farlo. –
- Perché no! –
Draco avvertì il
prurito leggero di una lacrima sfuggita via dall’occhio, ma non gli diede alcun
peso, non finchè si sentiva ancora in grado di trattenere i singhiozzi.
- Dovresti già
saperlo. –
- No, non voglio!
Lui ti deve salvare, deve farlo! Che amore è, altrimenti, eh? Dimmelo, che
amore è! –
- Draco, ciò che
non si è potuto salvare allora, si può salvare oggi. –
- Non mi importa
niente! Che senso ha, se tu sei morto per colpa sua! –
- Ti sbagli. Io
vedo solo vittime, qui. –
Draco si svegliò di
soprassalto, trovandosi prigioniero delle lenzuola bollenti e tutte
aggrovigliate. Registrò un gorgoglio sommesso, proveniente da chissà quale suo
compagno di stanza, e, immediatamente dopo, il gelo.
Tirò su con il
naso, scoprendosi le guance bagnate fino al mento, e tutto l’addome teso in uno
spasmo dolorosissimo che cercava di soffocargli il respiro.
Ancora a denti
digrignati, si alzò di scatto, agguantò il suo mantello abbandonato sulla
seggiola, e corse fuori, a piedi nudi.
ANGOLINO!
Questo capitolo e
il prossimo erano originariamente nati come un unicum.
Scrivendoli, però,
mi sono accorta che non solo il tutto diventava mostruosamente lungo, ma che,
soprattutto, si riempiva di una quantità eccessiva di avvenimenti, che avrebbe
finito con il creare confusione.
Ora, visto che
considerato che ho giurato su tutti gli dèi dell’Olimpo che con questa fic
avrei fatto un lavoro di immersione totale, senza accelerare i tempi nemmeno di
una virgola, ho ritenuto decisamente opportuno tagliarlo in due.
E poi, detesto dire
cose del genere, ma questo e il prossimo sono due fra i capitoli più
emozionanti, parlo per me che li scrivo, perciò tagliare pezzi per tenerli a
tutti i costi uniti sarebbe stato un delitto.
In
questo, la buona notizia, se vogliamo, è che i 15 capitoli che avevo stimato
all’inizio (che illusa che sono, eh?) stanno diventando un bel po’ di più. Me
miserrima, miserevole e miseranda.
NOTA: lo avrete intuito. “In
nomine senati populique romani” significa “nel nome del senato e del popolo
romano”, ed era una formula utilizzata ampiamente. Per gli amanti della
grammatica (esistono?) è giusto sottolineare che “senatus” presenta un genitivo
polimorfo, perciò, oltre a “senati”, esistono le forme “senatui” e “senatus”.
Ho scelto senati semplicemente per accordo con populi, e perché detesto
infangarmi nelle eccezioni, per una volta tanto che si può mantenere la forma
regolare!
Scappo,
perdonatemi se non vi rispondo anche se siete in pochi, ma ho in ballo delle
altre cosucce da pubblicare, e il tempo stringe!