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Autore: Stateira    06/04/2008    14 recensioni
Le notti di Harry sono improvvisamente agitate da strani sogni. Ma qual è il loro significato? Chi è il misterioso personaggio in cerca di aiuto?
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley | Coppie: Draco/Harry
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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- Singolare

- Singolare. –

 

Harry provò un vago ed indefinito senso di fastidio.

Avrebbe trovato molte parole per definire la sua situazione, se glielo avessero chiesto, ma “singolare” aveva un suono troppo ironico, persino canzonatorio. E, di certo, la voce che l’aveva pronunciata non aveva fatto nulla per nasconderlo.

 

- Professor Silente, ci dica che cosa dobbiamo fare. – insistette Hermione, accorata.

- Beh, lo farei molto volentieri, ragazzi miei, ma temo di saperne quanto voi. –

- Ma insomma. – squittì Ron. – E’ mai possibile che si finisca sempre in questi guai? –

- Via, via, non perdiamoci d’animo, signor Weasley. Un problema esiste perché esiste una soluzione, no? –

- Sì, d’accordo… però… -

- Ho l’impressione che Harry possa essere in pericolo. – si preoccupò Hermione. – Se queste due anime non svaniscono, ora che il loro desiderio è esaudito, non sarà perché qualcosa impedisce loro di farlo? –

- Esiste questa possibilità. Ma, come Harry non è da solo ad affrontare la faccenda, visto che c’è anche il signor Malfoy… -

Hermione si morse il labbro inferiore, incassando il tacito rimprovero. – Sì, certamente. – mormorò. – Anche Malfoy. –

- … Io credo che, per ora, la sola cosa ragionevole da fare sia sforzarsi di stare uniti, e cercare insieme di capire che cosa non va. –

 

Harry reclinò la testa, decidendosi infine ad intervenire in quella discussione che tanto direttamente lo riguardava.

– Dovremo parlarne con Marzio e Derevan? –

- E’ una soluzione, no? –

- Non lo so, Ron. Non ti ricordi che Marzio, una volta, parlò ad Harry di regole da rispettare? Forse non può dirgli niente. –

- E’ possibile. Ma è ancora più probabile che nemmeno loro sappiano perché si trovino ancora qui. Dopotutto, si sono ritrovati, perciò questo è già il loro paradiso. –

- Sta dicendo che non hanno interesse ad andarsene? – ansimò Harry, colpito.

 

Draco, che fino a quel momento se n’era rimasto rintanato dietro al suo broncio spaventoso, appollaiato sulla sedia alla sinistra di Harry, quella più isolata di tutte, scattò in avanti.

 

- Che se lo scordino. – tuonò. – Ne ho piene le tasche di sogni, di Iceni, di cavalli e che altro so io. –

 

Harry evitò saggiamente ogni replica.

 

Considerando l’andamento delle ultime ventiquattro - trentasei ore, contraddire Malfoy sarebbe stato quanto di più controproducente si potesse fare.

Peccato non potergli rinfacciare che non sempre le cose dipendevano dalla sua volontà, e il fatto che lui ci tenesse tanto a sbarazzarsi di Marzio e Derevan non significava affatto che loro se ne sarebbero andati.

Né tanto meno, che lui volesse qualcosa del genere.

Perché anche lui era coinvolto, no? Dio, c’era anche lui dentro a questa storia, aveva pur diritto di parola tanto quanto Malfoy.

Dannazione a lui, e a quel suo modo di fare che, chissà come e chissà perché, ti metteva nel sacco prima ancora di avere il tempo di realizzare.

 

- Sia ragionevole, signor Malfoy. È tardi per tirarsi indietro, ed è evidentemente troppo presto per concludere. Con un po’ di pazienza, sono sicuro che verremo a capo del mistero. –

- Un po’ di pazienza? Quantifichiamo quell’”un po’”, signor Preside, perché io ho come l’impressione che qui le  settimane passino senza che niente cambi. –

 

Hermione lo fulminò, inorridita per l’arroganza del suo tono. Silente, da parte sua, non si scompose per l’atteggiamento, quanto piuttosto per ciò che aveva detto.

A malincuore, dovette ammettere che non c’era risposta ad una simile domanda.

Giorni, settimane, mesi. Anni.

 

Harry sentì il proprio cuore accelerare improvvisamente.

 

- Ma signore, la scuola finirà fra tre mesi. – farfugliò. – E’ impossibile, come facciamo a mantenere un contatto? –

- Suvvia Harry, non essere ingenuo. Potete benissimo mantenerlo. –

- Oh, certo che possiamo mantenerlo. – ringhiò Draco. – Che ci vuole, basta vivere appiccicati come sanguisughe. Magari dovremo persino cercarci casa insieme, così da poter passare tutte le maledette notti della nostra vita a dormire insieme, eh? –

 

Lo sguardo gelido di Draco, per un momento, fiammeggiò. – Sarò molto chiaro, con lei, signor Preside, e con tutti voi, patetici illusi: preferisco finire fra le zanne di un drago rabbioso, piuttosto che in una casa con Potter. Almeno, la prima opzione è rapida. –

 

Colpito e affondato.

 

- Io ti spacco la faccia, maledetto. – giurò Ron, brandendo i pugni chiusi a sottolineare la minaccia.

 

Il cenno fermo di Silente bastò a fermare Ron, ma non Draco, che non aprì ulteriormente bocca, trincerandosi nella sua posizione e limitandosi ad uscire dall’ufficio in modo composto e rigido.

 

Nessuno stupore, quindi, al momento del rientro in camera, nel constatare che di Draco non erano rimasti che pochi vestiti di seconda scelta, che con ogni probabilità sarebbe venuto a riprendersi con calma il giorno dopo.

 

Hermione si buttò a sedere sul letto singolo, senza accorgersi dello sguardo rapace che Harry involontariamente le rivolse, al vederla toccare il piumone ancora sfatto.

 

- Che cosa farai? – domandò, diretta.

 

L’amico si strinse nelle spalle. Fece scivolare svogliatamente le dita sul bordo del cuscino, saggiandone la consistenza e cercando in essa una qualche forma di sostegno.

 

- Credo che resterò qui ancora per un po’. – mormorò. – Nel caso Draco decida di tornare. –

- Ma sei matto? – saltò su Ron. – Dico, lo hai sentito come ti ha trattato? Quel furetto disgustoso meriterebbe solo un pugno nello stomaco, altroché! –

- Nemmeno secondo me è una buona idea restare qui, Harry. A questo punto, torna al dormitorio. Una qualche soluzione si troverà per forza. –

- Non esiste soluzione, senza Draco. –

- Ma certo che esiste, e noi la troveremo. –

 

Harry si massaggiò le tempie, esasperato. – Vi dico. – scandì, sforzandosi in ogni modo di mantenere la calma. – Che non è così. Vi sono grato per il vostro aiuto, ma voi non potete capire. –

- Non cominciare a fare l’eroe, adesso. – sbuffò Ron.

- Non mi diverto a farlo. –

- Datevi una calmata, tutti e due. Quello che Ron vuole dire è che è vero che non possiamo essere partecipi, ma ci preoccupiamo comunque per te. Ti rendi conto che questa storia ti sta portando un po’ troppo lontano? –

 

A Harry venne quasi da ridere: non voleva pensarci, a quanto lontano stesse andando, ma di sicuro c’era che i suoi amici erano i primi a non averne un’idea nemmeno vaga.

 

- Resterò qui. – insistette.

- Commetti uno sbaglio. –

- Ne ho commessi tanti. Uno in più non farà differenza. –

 

Hermione sbuffò.

 

- Questa volta non sei da solo a decidere. Se Malfoy non tornerà indietro, tu non potrai fare nulla. –

- Di questo non ti devi preoccupare. Tornerà indietro, deve farlo. –

- No, non deve. Non ha senso dell’onore, e al contrario di te, lui non si sente legato al dovere di aiutare Marzio e Derevan. –

- Maledizione! – Harry schiantò un pugno sul materasso, facendo sobbalzare Hermione. – Perché non volete darmi ascolto? Draco tornerà, non può non tornare, non dopo tutto ciò che abbiamo visto e sentito insieme! –

 

Gradualmente, sotto lo sguardo esterrefatto dei due amici, il volto di Harry tornò del colore originale, da rosso fuoco che era diventato.

 

- Tornerà. – ripeté per la centesima volta. – E’ soltanto spaventato dalla situazione, nient’altro. Gli passerà e tornerà, e io lo aspetterò qui. –

- Harry… -

- E risolveremo questa storia, insieme. –

 

Il discorso era chiuso. Ron ribolliva per la rabbia, e probabilmente, più tardi, l’avrebbe presa da parte e le avrebbe fatto una sfuriata con i fiocchi. Ma a quello ci avrebbe pensato dopo.

 

- E’ ora di cena. – constatò Hermione, cercando di salvare il salvabile.

 

*          *          *

 

- Non hai voluto dormire con Harry, un’altra volta. –

 

Non c’era risentimento, in Derevan. Non una maledetta traccia di rancore.

 

Draco digrignò i denti, perché se almeno si fosse arrabbiato con lui, avrebbe avuto una buona scusa per aggredirlo e cercare di sfogare, finalmente, tutto il magma che gli opprimeva lo stomaco.

 

- Mi dispiace per te. –

- E a me dispiace per te. –

 

Draco strabuzzò gli occhi, preso alla sprovvista.

 

- Ti dispiace per cosa? –

 

Derevan sorrise a metà, con un’aria che aveva del rassegnato. – Draco. – proclamò solennemente. – Non ti accorgi di quanto sta piovendo? –

 

Scrollò le spalle.

Sì che se n’era accorto, che razza di domande, con tutta l’acqua che stava venendo. Ma era sempre stato così, in quel luogo; aveva dato per scontato che la pioggia fosse parte integrante del suo sogno.

 

- Non ti accorgi che quando lui ti è vicino, in cielo non c’è una nuvola? –

 

No.

 

Di questo non si era mai accorto.

Anzi, era meglio dire che aveva dato anche quel fenomeno per scontato. La pioggia gli apparteneva, quanto il sole apparteneva ad Harry, perciò non era possibile che, dove ci fosse lui, ci fossero nuvole.

 

Non poteva piovere, se c’era lui. Non c’era niente da capire, era semplicemente così.

 

- Attento a come parli. – lo minacciò. – Se stai cercando di insinuare qualcosa, io… -

 

Il quell’esatto momento, lo scroscio della pioggia aumentò a dismisura, peggio che se dal cielo fossero precipitate cascate d’acqua.

Il poco tessuto ancora non bagnato del suoi vestiti si infradiciò del tutto, intirizzendolo e facendogli colare il naso.

 

- Ma non c’è un maledetto posto dove andare a ripararsi? – sbraitò.

- No, non c’è. Non per questa pioggia. –

- Maledizione, invece che stare qui a fare il saputello, fai qualcosa per farla finire, o qui anneghiamo! –

 

Derevan sorrise, in un modo o nell’altro divertito dalla scena. – Te l’ho spiegato, non posso fare niente, io. Questa è la tua pioggia. –

- E allora spiegami come farla finire, una buona volta. –

- Ascoltala. –

 

Il naso di Draco si arricciò tutto. – Cosa? –

 

- Ma sì. – aggiunse Derevan, come fosse la cosa più naturale del mondo. – Se ascolti ciò che ha da dirti, lei se ne andrà. Il cuore è come un tesoro, non lo sai? Tenerlo rinchiuso nel petto servirà a proteggerlo, ma in questo modo non potrà mai brillare, e prima o poi verrà dimenticato. Se invece ti sforzi di ascoltare questa pioggia che è dentro di te, se ne senti la voce oltre lo scroscio, e presti attenzione alle sue parole, ci sono tante cose che potresti capire, di te. Io la sento da quando sei nato, la voce di questa pioggia. Quando eri piccolo, chiamava la tua mamma e il tuo papà così forte da assordarmi. –

 

Draco ebbe un singulto violento.

 

La pioggia divenne gelida, per qualche istante, talmente tanto da fare male alla pelle già intirizzita.

 

- Ma poi è cambiato qualcosa. – proseguì Derevan. – Da quando sei giunto qui, in questa scuola, le voci si sono moltiplicate, contraddette, e alla fine un grido ha coperto tutti gli altri. Hai davvero bisogno di ascoltare quella voce, Draco. Lui potrebbe salvarti da te stesso. –

 

Come se le parole di Derevan non fossero state già abbastanza, un improvviso tremore scosse la terra, concretizzando davanti ai suoi occhi ciò che vorticava nella sua testa senza sosta.

 

Si riprese solo per accorgersi di non essersi praticamente mosso. Il luogo dove si trovava era precisamente nei pressi del salice, a buon dire una decina di passi dal punto di partenza.

 

L’albero, però, era l’unica cosa rimasta identica a sé stessa: per il resto, era pieno giorno, il sole brillava impetuoso sulle loro teste, e Derevan, l’altro Derevan, stava addossato al fragile tronco della pianta.

 

Attorno a lui, c’erano quattro grossi lupi.

 

Lo avevano circondato, e ora ringhiavano insistentemente, battendo le code gonfie sulla terra. 

 

Draco lo sentiva parlare loro dolcemente, nella sua lingua, ma le bestie non lo ascoltavano. Terrorizzato, l’Iceno piantò davanti a sé il suo bastone, cercando invano di costituire un confine oltre il quale i lupi non osassero spingersi.

 

Quello che sembrava il capo branco, scoprì ancora di più la dentatura acuminata, e raspò il terreno con le zampe, proprio in corrispondenza con il bastone.

 

- Ma sei pazzo! – gemette Draco. – Perché non li cacci via, vuoi finire divorato? –

- Non mi davano ascolto. – spiegò Derevan. Poteva giurarlo su quanto aveva di più caro al mondo, non gli aveva mai visto in volto un’espressione così triste, fino ad allora. – Non riuscivo a capire perché. –

- Al diavolo, a quel punto spediscili all’altro mondo, prima che loro lo facciano con te, no? –

- Non posso. La loro vita vale quanto la mia, non ho alcun diritto di ucciderli. –

 

La situazione stava precipitando rapidamente. Derevan non dava in effetti segno di voler reagire all’aggressione, mentre i quattro lupi lo stringevano sempre più, arrivando a lambirgli le gambe con le fauci digrignate.

Tese una mano, tentando di accarezzarli, ma la ritrasse in fretta, sfuggendo per un soffio ad un morso letale.

 

Draco continuò a tenere lo sguardo fisso su di essi, inclinando la testa di quel poco che occorreva per poter parlare.

 

- Lui ti salverà, vero? – chiese, anche se il suo sembrò più un proclama. – Arriverà a momenti, e ti salverà. È così, vero? –

 

Derevan si morse il labbro inferiore.

 

Proprio in quell’istante, infatti, un fragoroso nitrito li colse alle spalle, e Marzio si materializzò dalla stessa direzione da cui erano arrivati loro, scavalcandoli senza accorgersi di nulla.

 

- Derevan! – gridò. – Cosa fai, vieni via da lì! –

- Non posso! – gemette l’Iceno. – Non mi lasciano passare! –

 

- Bene. – soffiò Draco. Insisteva nel parlare, da solo più che con Derevan. – Ora sfodererà la spada e caccerà via quelle bestiacce. Le ammazzerà, se necessario. –

- Draco… -

- Lo farà. Perché ti ama, e se ti ama, deve farlo. –

 

Derevan non sapeva se sorridere, o rattristarsi. Annuì, rinunciando ad aggiungere altro.

 

Marzio smontò in fretta e furia da Fulgor, che si ritrasse nervosamente. Sguainò la spada e la puntò contro il primo lupo, vibrando d’ira.

 

- Non ucciderli, ti prego. –

- Perché ti puntano? Non riesci ad allontanarli? –

- Ci ho provato, ma non mi danno ascolto. Non riesco a capire. –

 

Marzio si morse la punta della lingua e, tenendo sempre la lama davanti a sé, riuscì a far scansare due lupi e a raggiungere l’Iceno.

 

- Shay? –

- Si è agitato molto appena sono arrivati. Così gli ho detto di scappare. –

- Sì è agitato? –

 

Derevan scosse vigorosamente la testa, provocando la violenta reazione del capobranco, che azzannò e cercò di strattonare la spada di Marzio.

 

- D’accordo. – mormorò il Romano. – Stringiti a me, e cerchiamo di allontanarci da qui. Ma ti avverto, se ci attaccheranno, li ucciderò. –

- Solo se ci attaccheranno. –

- Promesso. –

 

Marzio colpì con forza il poderoso collo di uno degli animali, usando il piatto della spada. Il lupo si ritrasse uggiolando, protetto da uno dei suoi compagni, che abbaiò furiosamente contro i due. Marzio non si lasciò intimidire, anzi, fece roteare ancora la sua daga per tenerli lontani, mentre, un passo alla volta, arretrava verso Fulgor, che sbuffava minaccioso.

 

- Ma bene, bene, bene. –

 

Una voce rapace colse all’improvviso tutti i presenti, Draco incluso. Dalla macchia d’alberi opposta alla loro posizione, e coperta dall’ombra del sole, uscì fuori un uomo molto alto, a cavallo, bardato in un mantello rosso identico a quello di Marzio.

 

- Comandante Marzio Saverio. – scandì con un’espressione di grottesca ilarità. – A che deplorevole scena mi tocca assistere. –

- Che stai farneticando, Tito. – ringhiò Marzio, livido più di rabbia che di sorpresa per la sua comparsa. – Aiutami a mandare via queste belve. –

- Belve? – le sopracciglia rossastre e spigolose del nuovo venuto si rizzarono sotto il suo mezzo elmo. – Io non vedo nessuna belva, qui. –

 

Marzio fece per aprir bocca e sotterrarlo sotto un diluvio di ingiurie, ma le parole gli morirono in bocca. Davanti a lui, infatti, non c’erano più quattro lupi, ma quattro uomini, suoi soldati.

 

- Comandante Marzio Saverio. – cantilenò Tito, oramai apertamente canzonatorio. – Stai puntando la spada contro dei soldati di Roma, per proteggere un barbaro? Davvero un comportamento poco adatto ad un Legato. –

 

- Animagus. – gemette Draco. – Ma come… -

- Allora non esistevano forme di controllo, come ci sono adesso. – mormorò Derevan. – Credo che lui non lo sapesse. –

- Ecco perché non ti davano ascolto. –

- Esatto. Le mie parole funzionano sugli animali, non sugli uomini. –

 

Marzio strinse più saldamente a sé un Derevan paralizzato dalla paura, e invece che foderare la spada, la puntò minacciosamente contro Tito.

 

- Tu! – soffiò. – Tu, maledetto vigliacco! –

 

- Modera i termini, generale. – lo derise Tito. – Io, Azio Tito Quinto, prefetto della VIIII Legio, dichiaro te, Marzio Saverio Fabio, Generale Legato, in arresto per alto tradimento, in nomine senati populique Romani. Soldati! –

 

I quattro uomini furono subito addosso ad un Marzio che, stupefatto, non oppose la minima resistenza.

 

- Ah, naturalmente legate anche il ragazzo. Di lui vedremo cosa farne più tardi. –

 

- Fai qualcosa! – gridò Draco. – Diavolo, perché ve ne state lì fermi? –

- Che cosa avremmo dovuto fare? – lo scoraggiò Derevan. – Se ci fossimo ribellati, avremmo dovuto uccidere quegli uomini, e darci alla fuga. –

- Ma perché lui non fa niente! Perché non ti protegge?!? –

 

Derevan indicò con il mento un Marzio che, furibondo, si agitava come una belva, a stento trattenuto da sue soldati, mentre Tito si caricava personalmente Derevan sul suo cavallo, tenendolo malamente per i capelli.

 

- Lascialo immediatamente andare, ti ho detto! –

- Perché dovrei, è complice di questo crimine. –

- Oh, chiudi quella lurida bocca. È me che vuoi, di lui non ti importa niente, liberalo subito! –

 

Tito ridacchiò, tirando le redini del suo cavallo.

 

- Chissà, magari anche il ragazzo potrebbe interessarmi… -

 

Le iridi chiare di Marzio fiammeggiarono.

 

- Maledetto! – ruggì. – Non osare toccarlo o me la pagherai cara! –

- Continua a urlare, comandante Saverio! Ci sarà di che raccontare in giro, di un prigioniero che minaccia i suoi carcerieri! –

 

- Derevan. – chiamò Draco, con un filo di voce. – Dove vi stanno portando. –

- Al castra, al loro accampamento. –

- Riuscirete a sistemare tutto, vero? Voglio dire, Marzio si farà scagionare, ammazzerà di pugni quel bastardo, e… -

- Draco. –

- Lo farà, vero? –

- No, Draco. Non può farlo. –

- Perché no! –

 

Draco avvertì il prurito leggero di una lacrima sfuggita via dall’occhio, ma non gli diede alcun peso, non finchè si sentiva ancora in grado di trattenere i singhiozzi.

 

- Dovresti già saperlo. –

- No, non voglio! Lui ti deve salvare, deve farlo! Che amore è, altrimenti, eh? Dimmelo, che amore è! –

- Draco, ciò che non si è potuto salvare allora, si può salvare oggi. –

- Non mi importa niente! Che senso ha, se tu sei morto per colpa sua! –

- Ti sbagli. Io vedo solo vittime, qui. –

 

Draco si svegliò di soprassalto, trovandosi prigioniero delle lenzuola bollenti e tutte aggrovigliate. Registrò un gorgoglio sommesso, proveniente da chissà quale suo compagno di stanza, e, immediatamente dopo, il gelo.

 

Tirò su con il naso, scoprendosi le guance bagnate fino al mento, e tutto l’addome teso in uno spasmo dolorosissimo che cercava di soffocargli il respiro.

 

Ancora a denti digrignati, si alzò di scatto, agguantò il suo mantello abbandonato sulla seggiola, e corse fuori, a piedi nudi.

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Questo capitolo e il prossimo erano originariamente nati come un unicum.

Scrivendoli, però, mi sono accorta che non solo il tutto diventava mostruosamente lungo, ma che, soprattutto, si riempiva di una quantità eccessiva di avvenimenti, che avrebbe finito con il creare confusione.

 

Ora, visto che considerato che ho giurato su tutti gli dèi dell’Olimpo che con questa fic avrei fatto un lavoro di immersione totale, senza accelerare i tempi nemmeno di una virgola, ho ritenuto decisamente opportuno tagliarlo in due.

 

E poi, detesto dire cose del genere, ma questo e il prossimo sono due fra i capitoli più emozionanti, parlo per me che li scrivo, perciò tagliare pezzi per tenerli a tutti i costi uniti sarebbe stato un delitto.

 

In questo, la buona notizia, se vogliamo, è che i 15 capitoli che avevo stimato all’inizio (che illusa che sono, eh?) stanno diventando un bel po’ di più. Me miserrima, miserevole e miseranda.

 

NOTA: lo avrete intuito. “In nomine senati populique romani” significa “nel nome del senato e del popolo romano”, ed era una formula utilizzata ampiamente. Per gli amanti della grammatica (esistono?) è giusto sottolineare che “senatus” presenta un genitivo polimorfo, perciò, oltre a “senati”, esistono le forme “senatui” e “senatus”. Ho scelto senati semplicemente per accordo con populi, e perché detesto infangarmi nelle eccezioni, per una volta tanto che si può mantenere la forma regolare!

 

Scappo, perdonatemi se non vi rispondo anche se siete in pochi, ma ho in ballo delle altre cosucce da pubblicare, e il tempo stringe!

  
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