Al primo,
violentissimo colpo di bastone, Harry distolse lo sguardo.
Derevan non fiatò.
Dando prova di una fierezza impressionante, strinse forte i denti, e raccolse
tutte le forze che aveva sulle sue labbra, dando vita ad un sorriso
indescrivibile.
- No. – gemette
Harry. – No, no, non possono farlo. -
- No! – gli fece
orribilmente eco Marzio, inginocchiato a terra, fra i suoi commilitoni, mentre
si dibatteva come un leone, invano, per cercare di raggiungere Derevan, di
fargli da scudo.
- Mi dispiace. –
soffiò lui, quasi esanime. – Mi dispiace tanto. -
- Derevan!
Fermatevi! –
Il corpo del
giovane Iceno era segnato un po’ dovunque da lividi già nerastri, segno che
dovessero avere almeno due giorni o tre. Erano piccoli, infidi, nascosti sulle
giunture ed in altri punti delicati, procurati con ogni probabilità con
l’impugnatura di un coltello. Dovevano fare un male indicibile.
Eppure Derevan non
dava segno di volersi lasciare andare. Resisteva, con il capo appena chino, gli
occhi limpidissimi e privi di lacrime.
- Avanti! – ordinò
Tito. – Non siete nemmeno capaci di ammazzare un ragazzino barbaro? -
Grandinarono
bastonate su bastonate, che si infrangevano assassine, una dopo l’altra, sul
corpo indifeso di Derevan, sempre più ripiegato su sé stesso. Ad ogni colpo
inferto in silenzio dai soldati, il gemito straziato di Marzio era il solo,
sconvolto suono che accompagnasse l’impatto sulla carne e sulle ossa del biondo
Iceno.
Harry scosse la
testa ancora, e ancora, come qualcuno che cerca di risvegliarsi da un incubo. –
Basta! – ansimò. – Basta, fermali! -
- Non posso farlo.
-
- Ma lo
uccideranno! -
- Lo so. -
In quel momento,
gli aguzzini si diedero il cambio, la prima fila con la seconda, e Derevan si
aggrappò all’ultimo alito di vita che gli restava per sollevarsi sulle braccia.
- Vale, Marzio. –
sussurrò. – Addio. –
- No! -
Un colpo si
abbatté, impietoso, sul collo di Derevan, che si accasciò a terra, vinto. Una
manciata di soldati lo accerchiarono, impedendo a Marzio di vederlo.
Harry, però, e
l’altro Marzio, loro potevano. Li videro colpire con forza la schiena, il collo
e la nuca di Derevan, ridotto ormai ad un esanime fagotto sanguinante. Il suo
corpo distrutto dalla brutalità dell’esecuzione emanava una incorruttibile
forza, nel suo mantenersi tutto intero, ed ancora dignitoso nonostante le
molteplici ferite.
Le labbra spaccate,
lo zigomo destro sbrecciato, non c’era nulla che potesse soffocare la sua
maestosa bellezza.
E non erano i soli
a sentirlo. I soldati lo colpivano con sempre meno convinzione, con timore,
addirittura, come se improvvisamente si fossero tutti resi conto di stare
uccidendo qualcosa di incommensurabile.
Tito Quinto stava
velocemente perdendo il sorriso tagliente che fino a quel momento era rimasto
annidato sulle sue labbra. Forse una morte che si faceva troppo attendere lo
annoiava, o forse nemmeno lui riusciva a provare gusto, guardando quello
spettacolo straziante.
- Finitelo in
fretta. – ordinò, ritirandosi verso l’interno del castra ad ampie falcate
nervose, scortato soltanto da due uomini. Diede un’impressione strana, il suo
ritirarsi fin troppo rapido: che stesse scappando, da chissà quale cosa
nascosta fra i granelli di terra secca e polverosa dello spiazzo.
Non appena il
Prefetto se ne fu andato, smisero tutti di infierire sul corpo di Derevan.
Come un penoso
sipario, si fecero da parte, lasciando passare Marzio, per l’ultimo atto della
loro tragedia.
Il generale,
l’ombra dell’uomo che, l’espressione degli occhi ancora lo testimoniava, era
stato fino a poco prima, si accovacciò in ginocchio accanto al suo dolce sole,
all’amore solo e grande di tutta la sua vita.
Pieno di tenerezza,
lo prese fra le braccia, senza smettere un attimo di accarezzargli i capelli
incrostati di sangue.
- Derevan. – chiamò
con un filo di voce.
Ma Derevan non gli
rispose.
- Mea spes. Mea una
lux. -
Era troppo tardi.
- Derevan. –
Per dirgli parole
dette mai abbastanza volte, per quell’ultima carezza sui lividi e sul sangue,
per cercare di estinguere i rimpianti di ogni istante passato senza tenergli le
mani fra le sue.
Era troppo tardi,
ormai. Per tutto.
- Signore… -
- Comandante
Saverio, dobbiamo portarti via. -
Anacore fu il primo
a fare un passo verso Marzio, immobilmente assorto nelle sue vane cure.
- Marzio, fratello
mio. -
- Se hai pietà. –
Marzio alzò su di
lui i suoi occhi ciechi, dove il verde smeraldo campeggiava sul rosso intenso
delle lacrime scese a rigargli le guance sporche. – Se hai un po’ di pietà per
questo sventurato, se sono tuo fratello, allora uccidimi. Abbi compassione di
me, non lasciarmi vivo. -
- Ma comandante… -
- Non sono più il
vostro comandante. – Marzio sfiorò con devozione una gota tumefatta del suo
compagno morto. – Non sono più niente. Non sono più nemmeno un uomo. -
- Uccidiamolo. –
gemette un soldato, dalla seconda fila.
- Non si può.
Bisogna attendere il sorgere del prossimo sole. -
- Ma così è peggio
della morte! -
- Marzio. – Anacore
si inchinò di fianco a lui. Anche il suo viso spigoloso e singolare, in quel
momento, riusciva ad emanare un dolore composto e nobile. – Dobbiamo obbedire
alla legge, lo sai. Ti spetta la condanna dei traditori. -
- Lo so. – parlò
Marzio, con un filo di voce.
- Bene. – Anacore
si alzò a fatica, cercando di tenere una mano sulla testa dell’amico. – Uomini,
ascoltatemi. L’esecuzione del comandante Legato avverrà ora stesso. -
- Ma signore! –
esclamarono uno sparuto pugno di soldati.
- Questi sono gli
ordini. – li liquidò Anacore. – In assenza di Tito, qui comando io. Prima fila,
avanzare. Sguainate le spade. –
Marzio fu preso per
le spalle da alcuni uomini, e fu fatto inginocchiare in modo più composto.
- Signore, io non
voglio che tu muoia. – singhiozzò un giovane centurione.
Marzio lo guardò
senza realmente vederlo. Era quel giovane, quel soldato che aveva salvato una
volta, tanto, tantissimo tempo prima, dalla furia di Derevan. Chissà, però, se
lo riconobbe.
I suoi uomini gli
si fecero attorno in silenzio, formando una semiellisse che lasciava libero il
lato dove giaceva Derevan. Libero, perché il loro comandante potesse crollare
su di lui, morendo.
- Al mio ordine. –
disse Anacore con voce spezzata.
- Derevan. –
mormorò Marzio, accarezzando con devozione i capelli disordinati dell’Iceno. –
Non ti lascio solo, anima mia, sto arrivando da te. Aspettami, ti prego.
Aspettami solo un altro istante. -
- Nunc. –
Marzio sentì la
schiena squarciarsi sotto il ferro tagliente dei suoi stessi soldati. Non
fiatò, non diede un gemito, il respiro bloccato nei polmoni, il corpo
irrigidito nel dolore e nell’ultimo anelito di orgoglio.
Nel silenzio
irreale, si coglievano soltanto i singhiozzi distrutti di alcuni uomini. Il
pianto dei soldati che per lui erano stati come fratelli, e che ora lo stavano
uccidendo.
- Erroso, Marzio,
fratello. – mormorò Anacore, spento.
- Vale, comandante
Saverio. -
- Sei stato il
miglior generale che io abbia mai avuto l’onore di servire, comandante Saverio.
–
- Vale Saverio. -
Marzio non aveva
parole da regalare a nessuno di loro. I suoi occhi andavano annebbiandosi
sempre di più, le sue mani e le sue gambe si intorpidivano, e lui, già morto
nello spirito, stava lasciando morire il proprio corpo su quello di Derevan.
Harry colse il
gesto fulmineo di Marzio, che accanto a lui si irrigidì, portandosi una mano allo
stomaco.
- Che cos’hai? –
gracchiò, maledicendosi per non avere nient’altro da dire.
- La nausea. –
spiegò Marzio. – Morire fa provare un forte senso di nausea. -
- E’ stato…? -
- Doloroso? No, non
credo. È una sensazione sgradevole, che ti stritola lo stomaco, ma niente di
più. Il dolore smetti di sentirlo quasi subito. -
Harry non faticò a
credergli, per una volta. Il corpo che si era accasciato senza più vita nella
polvere del campo fuori dal castra era un corpo che non mostrava alcun segno di
patimento, né di gioia, come se le ferite sanguinanti appartenessero ad un
altro.
Sempre annuendo a
chissà che cosa, si lasciò andare al pianto, come fecero tutti gli uomini che
aveva davanti, stretti l’uno all’altro come una famiglia che si stringe attorno
ad un fratello. Nonostante il bisogno prorompente di farlo, non si sentì in
diritto di piangere, anzi, aveva la sensazione che avrebbe dovuto dare
qualsiasi altra cosa che non fosse quella.
L’immobilità dei
corpi di Marzio e Derevan bastava, sola, a scatenare un inferno di dolore, di
rabbia e di incredulità.
- Ti hanno ucciso
come se fossi un animale. – gemette.
- E’ ciò che mi
spettava. Per la mia legge, ero un traditore. -
- Non è così. -
- So che può
sembrarti ingiusto. -
Anacore impartì alcuni
ordini secchi, e immediatamente quattro soldati si disposero a coppie, e
raccolsero i due giustiziati, per dirigersi, con gli altri compagni, verso
l’accesso del castra.
- Tutto ciò che è
accaduto dopo la mia morte non potrei mostrartelo nemmeno se volessi. – spiegò
Marzio. – Posso solamente raccontartelo. -
Ma ad Harry non
importava niente, di nessun racconto. Dopo ciò che aveva visto, non voleva, non
poteva sentire altro.
- Tu. – ringhiò fra
i singhiozzi. – Tu hai combattuto per tutto questo! Hai combattuto! -
Marzio rimase in
silenzio, a capo chino, di fronte alle accuse di Harry.
- Perché!?! -
- E’ la mia legge,
Harry. -
- No! Non è
possibile! Non può essere vero! -
- Harry… -
- Derevan è morto!
– gli ringhiò in faccia Harry, rosso di rabbia. – Lo hanno ucciso davanti a te
come se non fosse un essere umano, e tu hai difeso, questa legge che te lo ha
portato via! –
- Lo so. Ma ho
perdonato. -
- Come diavolo fai
a dire che hai perdonato?!? Se facessero una cosa del genere a Draco io- -
Harry si interruppe
bruscamente.
- Lo proteggeresti?
– domandò Marzio, serio al limite dell’inespressività.
- Certo che lo
proteggerei. Farei qualsiasi cosa per proteggerlo. -
- E pensi che io
non l’abbia fatto? -
- No, no che non lo
hai fatto. Lo hai guardato morire senza muovere un dito, come se non te ne
importasse niente. -
Una dolorosa ruga
d’espressione apparve fra le sopracciglia del Romano.
- Harry. – riprese
dopo qualche momento. – Te l’ho già spiegato, no? Non sono in grado di decidere
che cosa mostrarti di ciò che accadde. Ma se hai un po’ di fiducia in me, posso
giurarti sul mio onore che ho cercato con tutte le mie forze di salvarlo. -
- Non ci sei
riuscito. – lo accusò Harry.
Si sentiva un verme
a parlare così davanti ad un dolore così grande, ma la rabbia che mugghiava
dentro al suo stomaco non gli dava tregua, e se appena provava a ricordarsi che
Marzio non era altro che una vittima, ecco che lei tornava a caricare, a urlare
che no, una cosa del genere non sarebbe dovuta succedere mai, mai, per nessuna
ragione al mondo.
Marzio si morse con
forza le labbra. – Lo so. – mormorò. – Ma ci sono forze contro cui non si può
lottare, Harry. Sembra stupido dirlo, ma tu sei giovane, molto più giovane di
me, e sei anche molto coraggioso, e di gran cuore. Ma a volte la forza di
volontà non basta. Non basta desiderare qualcosa con tutto te stesso, perché
questa si avveri. Non basta, nemmeno se cerchi di strapparti l’anima dal cuore
per darla in pegno, non serve a niente, le cose accadono lo stesso, le persone
muoiono lo stesso, e tu ti ritrovi lì a tendere inutilmente i brandelli del tuo
cuore verso il cielo, chiedendo che te lo ridiano indietro. –
- Marzio. -
- …Che te lo
ridiano indietro. – Marzio smise di mordersi le labbra, arrendendosi infine
anche lui ai singhiozzi.
E Harry si sentì male,
per essere stato così spietato.
Era un uomo che
aveva perduto la persona più importante sotto ai suoi occhi.
Lo aveva visto
morire.
Lo aveva guardato
morire.
Aveva assistito
all’inesorabile sgretolarsi di quella vita.
In fin dei conti,
non aveva fatto anche lui lo stesso errore? Non aveva visto suo padre in lui,
perché aveva voluto vederlo? Non aveva chiesto a chissà quale dio del cielo, da
bambino, che gli restituisse la sua mamma e il suo papà?
E Cedric? E Sirius?
Non era rimasto a
guardare, maledizione, non era rimasto lì, fermo, a guardarli morire?
Proprio come lui?
- Marzio, io… -
- Perdonami. -
Marzio
si ricompose immediatamente, raddrizzando le spalle che solo un attimo prima
erano sembrate soverchiate dal peso del suo mantello. Harry pensò che quel
giovane uomo possedesse una forza sovrumana nel suo corpo.
- Vuoi raccontarmi
cosa accadde dopo? – disse cercando di essere più delicato possibile.
Marzio a sorpresa
formò un piccolo, fragilissimo sorriso.
- I miei compagni.
– cominciò con voce insolitamente profonda. – Iniziarono i preparativi per il
rito funebre. Chiesero a gran voce che mi si seppellisse con l’onore di un
comandante, nonostante tutto, e Tito Quinto fu costretto ad accettare. Ma non
potendo accanirsi su di me, lo fece su Derevan. Diede l’ordine di gettare il
corpo del barbaro nel fiume, senza onori. Ma i miei compagni erano degli uomini
straordinari. -
Harry provò una
sensazione di sollievo. Strano a dirsi, vista la situazione, ma era come se
avesse saputo dietro le parole di Marzio si celava qualcosa di autenticamente
bello.
- Fabbricarono un
manichino con della paglia e della legna. Alcuni dei nostri maghi riuscirono a
trasfigurarlo, dandogli un aspetto simile a quello di Derevan, e lo gettarono
nel fiume. Anacore, invece, nascose il vero corpo, lo ripulì e lo vestì. Il
giorno dopo furono celebrati i miei funerali, dove venni cremato sulla pira,
secondo le nostre usanze. Quinto rimase solo per l’accensione del fuoco. –
Le labbra sottili
di Marzio assunsero una piegolina amara. – Credo che volesse accertarsi che il
mio corpo bruciasse davvero, e che io mi levassi dai piedi una volta per tutte.
–
Harry imitò la sua
stessa espressione senza rendersene conto. Riusciva a sentire il dolore di
Marzio fin dentro alle ossa, e non c’era nulla che potesse fare per opporvisi.
- E così, portarono
lì Derevan di nascosto, e lo posarono sulla pira, lasciando che i nostri corpi
bruciassero insieme, che le nostre ceneri salissero unite verso il cielo. Io,
per mia parte, assistetti a tutto, ma Derevan non c’era, senza un intermediario
non ero in grado di vederlo. -
Dentro alle ultime
parole del Romano era racchiusa un’immensa gratitudine, rivolta a lui,
evidentemente. Harry si sentì importante, e come mai prima, pieno di forza.
- Fu… - commentò,
inspirando a fondo. – Fu bello, da parte dei tuoi compagni. -
- Fu un gesto
meraviglioso. – assentì Marzio. – Anacore e gli altri rischiarono moltissimo,
ma lo fecero per rispetto verso di me, e verso Derevan. Perché, nonostante mi
avessero condannato, loro avevano capito. -
All’improvviso, il
cielo prese a tuonare violentemente, facendo sobbalzare Harry per lo spavento.
- Quel giorno non
venne a piovere. – rifletté Marzio.
- E allora, che
significa? Mi sto svegliando? -
- Sì, credo proprio
di sì. -
Harry annuì, vago. – D’accordo. Allora…
-
- Non ti
preoccupare per me. -
- Resterai qui? -
- No. Dopo che tu
te ne sarai andato, tornerò al bosco. -
- Ho capito. Senti,
Marzio… -
Harry non fece in
tempo a concludere la sua frase, che si ritrovò sveglio, nel letto ampio della
sua camera provvisoria, avvolto dall’oscurità quasi totale della notte.
Il silenzio, però,
quello non era totale: un rumore concitato e sordo di passi si fece strada
nella sua testa ancora frastornata, proveniente da chissà dove.
La porta della
camera si spalancò rapida abbastanza da non emettere neppure un cigolio.
- Harry? – chiamò
una voce snaturata da una nota di panico.
Poteva essere il
sonno, certo. In piena notte, al buio, e dopo tutto quello che aveva visto, per
giunta.
Però.
Però, poteva anche
essere lui.
- Draco? -
L’ombra stagliata
contro l’uscio aperto si distaccò da esso, facendosi sempre più netta man mano
che gli si avvicinava.
Adesso che si
trovava lì, non sapeva nemmeno che cosa ci fosse andato a fare.
- Ho visto… E’
stato… - farfugliò. -
- Hey, va tutto
bene? -
- No. Direi di no.
-
Se lo sentì, che
ciò che turbava Draco era probabilmente la stessa cosa che turbava lui. Che diamine,
vedere Malfoy sulla soglia delle lacrime non era mica cosa da tutti i giorni.
- Vieni qui. – lo
invitò, battendo con il palmo della mano sul materasso.
Draco esitò un
momento, prima di assecondarlo, e andare a sedersi su quello che era stato il suo
lato del letto per alcuni giorni. Raccolse subito le gambe, infreddolite dalla
lunga corsa a piedi nudi.
- Non mordermi. –
si sentì dire, mentre un braccio andava ad avvolgergli le spalle con
discrezione, sorprendentemente caldo e rassicurante. Dio, aveva un bisogno
disperato, di quel braccio.
Senza che Harry
dicesse nulla, cominciò a snocciolare il racconto di ciò che aveva visto e
sentito. Dapprima esitando e rimangiandosi le parole, poi sempre più
precipitosamente, confessò fra i denti la rabbia che aveva provato nei
confronti di Marzio, per non essere riuscito a trarre in salvo Derevan dal
pericolo.
Harry capì molte
cose, circa la famosa imboscata di cui Marzio gli aveva accennato, e anche
circa quelle parole a cui non aveva voluto credere, sul suo tentativo di
salvarlo.
Chissà quanti
giorni erano trascorsi, fra la cattura e il momento dell’esecuzione.
Chissà che cosa non
aveva tentato, per strappare Derevan a ciò che li attendeva impietosamente.
Chissà, se avrebbe
dovuto raccontare a Draco il suo sogno, come lui stava facendo.
Riusciva quasi a
vederselo davanti, strepitare furioso, se non gli avesse detto nulla. Ma in
quel momento, se lo vedeva davanti scosso, che tentava di mantenersi saldo e di
non perdere per strada nemmeno una lacrima piccola piccola.
. Quel salice, io l’ho
riconosciuto. -
- Lo conosci? -
Draco annuì
lievemente. – E’ l’albero sotto cui ho incontrato Derevan. Credo che sia sempre
rimasto là sotto, ad aspettare. -
- Sì, capisco. -
- Sempre lì, fermo.
Voglio dire, duemila anni. Duemila anni sono un mucchio di tempo. E lui è
rimasto lì, ad aspettare sotto il salice. -
Harry espirò
lentamente attraverso le narici. Fuori, il cielo era ancora blu violaceo,
punterellato di un’infinità di candidi astri.
Era ancora notte, e
Draco era tutto intero: il tempo per dirgli tutto ciò che avrebbe dovuto, lo
aveva. Si sentì fortunato, oltre ogni dire.
- Dammi il
mantello, lo butto sulla sedia. – mormorò.
Dopo che Draco si
fu accoccolato sul cuscino, tirò su le coperte, allungandogliele fin dietro la
schiena.
Il Serpeverde
sospirò di piacere, al contatto con il morbido tepore del piumotto, dopo tanto
freddo. Si acquattò più vicino che potè ad Harry, cercando in tutti i modi di
non dare nell’occhio.
Non ci riuscì,
naturalmente, perché Harry se ne accorse, ma si guardò bene dal reagire.
Sì, era tutto
intero, e vivo; respirava a piccoli sbuffi, scandendo la pace della stanza, ed
era incredibile, era salvifico, era magnifico. Per quel poco di notte che
rimaneva, lo avrebbe lasciato riposare tranquillo, senza altri brutti sogni con
cui dover fare i conti.
C’era sempre il
giorno dopo.
ANGOLINO!
Ho
semplificato un po’ il rituale funebre romano, che in realtà era più elaborato,
e prevedeva una processione e un tot di altre cose. Ma non sono state solo
esigenze di copione: siamo in un campo militare, non a Roma, e Marzio è pur
sempre un traditore, quindi un funerale solenne ma sobrio mi sembrava più
adatto ed in linea con la trama.
Inoltre,
il titolo di questo capitolo fa coppia con quello precedente. Ignis e imber, il
fuoco e l’acquazzone.
Nota: Erroso è una parola
greca, significa “addio”. Nunc, invece, è latino, e significa “adesso”.
Mi
scuso di cuore per non potervi rispondere nemmeno questa volta. In realtà non
voglio darvi garanzie su quando potrò tornare a farlo, perché al momento un
paio di gravi problemi di carattere personale tengono le mie mani e la mia
testa lontane da questa tastiera.
Per
questo, è possibile che il prossimo capitolo tardi un po’ ad arrivare, perciò
non allarmatevi.
Tutto
ciò che vi chiedo sono tante belle recensioni sul capitolo, nel senso che vi
prego di non tener conto e di questa faccenda, che mi sembrava giusto
segnalarvi come causa della mia negligenza nel vostri confronti, ma che con la
storia non ha nulla a che vedere. Anche se so che sarebbe in buonissima fece,
non trasformate lo spazio pubblico delle recensioni in una pioggia di domande
sul genere “come stai, cos’è successo”, ecco. Non è il luogo adatto.