Capitolo 4
C A
P I T O L O
IV
“ Inverno „
Volteggiavano
senza fermarsi mai, angelicamente, candidi come null'altro poteva
esistere al mondo, magici. Ne era completamente circondata, tanto da
sentirsi addirittura disorientata nell'infinità di quel
bianco puro e splendente che, incontrastato, continuava a scendere dal
cielo tramite fiocchi delicati e preziosi, appoggiandosi al suolo e
coprendo qualsiasi cosa.
Si sentiva piena di tutta quella vita che non aveva mai vissuto fino ad
allora, piena di respiri che non le erano mai stati davvero concessi,
di quei desideri segretamente custoditi e di cui mai nemmeno uno era
stato realizzato, nemmeno in quell'anno in cui aveva finalmente
compiuto diciotto anni ed era convinta che, almeno quello, lo avrebbe
raggiunto, lo avrebbe finalmente concretizzato – ma le luci fluttuanti
continuavano a rimanere un sogno posto al di là delle sue
possibilità, al di là di un invisibile vetro
attraverso il quale poteva guardare il mondo, senza che questo potesse
però accorgersi della sua presenza. Tuttavia, ora, quei
fiocchi le danzavano attorno come se fossero lì per lei,
come se per loro, invece, lei contasse, come se da lei stessero
cercando attenzione – e, quella sensazione, non era la prima volta che
si manifestava nella sua mente e sulla sua pelle, ma non riusciva a
ricordare quando fosse accaduto prima di allora.
Si sentiva a suo agio con la neve; in un certo senso, era
più calore che freddo quello che provava – nonostante le
labbra ormai tendenti al viola e il colorito sbiadito – e non importava
che non indossasse niente di adeguato per quella stagione, lei si
sentiva a un passo dal possibile e niente l'avrebbe riportata
nell'ombra della paura che l'aveva sempre tenuta prigioniera senza
averla mai fatta iniziare a vivere realmente. Adesso era libera, adesso non
erano le mura della sua camera ad essere lo sfondo della sua esistenza,
e forse non aveva ancora avuto modo di osservare di persona le sue
adorate luci fluttuanti – la cui natura le era ancora sconosciuta – ma
ritrovarsi in mezzo allo splendore di milioni di cristalli congelati
che, ininterrottamente, la contornavano come brillanti cuciti su una
tela in cui lei era la protagonista indiscussa, era la più
grande sensazione di libertà che avesse mai provato – e non
sapeva come fosse finita in quello sconfinato scenario così
dannatamente incollocabile fisicamente e nel tempo, ma era
lì, e lì sentiva che sarebbe voluta rimanere.
I piedi nudi, affondati nel manto bianco che ricopriva il terreno,
erano ormai gelidi e insensibili, tanto che provando a muoverli
riuscì a malapena ad avvertire solamente il più
misero ed indistinguibile controllo sulla punta delle dita, ma non le
importava perché, nonostante tutto, quella sensazione era un
qualcosa che lei stessa aveva scelto di continuare a provare – e la
possibilità di deciderlo, la faceva sentire lontana
dall'oppressiva protezione della quale era stata succube da sempre.
Ma come ci era finita in quel luogo diafano e poetico, non se lo
ricordava, e fu proprio quella presa di considerazione che la condusse alla
follia improbabile di quell’astratta situazione.
Sgranò gli occhi in preda al panico, in preda alla
consapevolezza che la ragione aveva ormai raggiunto quel territorio
sacro, profanandolo con la realizzazione che ogni sensazione, ogni
visione ed ogni libertà, presto si sarebbe sgretolata e,
sentendosi mancare la terra sotto i piedi, si rese conto che la distesa
di bianco splendente sul quale poggiava, era sparita, lasciandola
cadere nel vuoto più assoluto ed incontrastabile. Il piccolo
urlo che spontaneamente nacque dalle sue corde vocali, venne
immediatamente mozzato, lasciandole giusto il tempo di sentire la
lunghezza infinita della sua chioma dorata librandosi
nell'aria e seguirla, per poi ritrovarsi scaraventata nel suo letto – senz'aria
nel petto e con una forza tale da farle sembrare, quasi, di essere
appena atterrata da quella caduta ormai distante nel riflesso dei suoi
occhi spalancati.
Tutto attorno a lei era di nuovo familiare, ogni mobile o oggetto era
esattamente dove si ricordava dovesse essere e, un senso di sicurezza e
al tempo stesso di costrizione, si fece largo in lei – contrastante, nella
sua mente piena di speranze bloccate dalla stessa paura che le
alimentava.
Inspirò ed espirò profondamente diverse boccate
d'aria, velocemente – come se si fosse dimenticata di farlo per un
tempo immemore ed ora ne necessitava come mai prima d'ora. Nuovamente
padrona di se stessa, poi, i ricordi iniziarono a diventare, seppur
sfocati, un po’ più vividi, e un accecante quanto
incantevole bianco si fece largo tra le immagini più
primarie della sua mente, riportandola al fascino dell'episodio che il
suo subconscio le aveva fatto vivere poco prima – in maniera
dannatamente e dolorosamente realistica.
Guardò fuori dalla finestra davanti a lei e rimase
piacevolmente – e, al tempo stesso, amaramente – colpita nel vedere
che, esattamente come nel suo sogno, stesse nevicando.
Avanzò allora verso quella cornice di legno – il cui quadro
non era un semplice dipinto ma il mondo – fermandosi davanti al
davanzale apparentemente vuoto ma che, non poteva saperlo, in
realtà era occupato da anni, per lei. Rimasero
così l'uno davanti all'altra per diversi istanti, a
guardarsi senza che entrambe le parti ne fosse consapevoli, ma era una
fitta ormai pienamente conosciuta dal cuore di lui – ghiacciato,
probabilmente, ma non per questo vittima dell'insensibilità.
Per un momento aveva quasi creduto che stesse ricambiando proprio il
suo sguardo ma, in realtà, lo stava semplicemente
attraversando, e lo sapeva, lo sapeva da sempre, ma illudersi, di tanto
in tanto, era convinto gli facesse bene – e quella era sicuramente
l'illusione che più gli piaceva concedersi.
La continuò a guardare, seguendola con gli occhi anche
quando si allontanò per recarsi davanti a quel piccolo abete
che sua madre, come ogni anno, le aveva donato affinché si
sbizzarrisse per decorarlo nel migliore dei modi in vista del Natale –
e, nonostante la creatività della ragazza, ogni volta lei
cedeva agli addobbi più classici, appendendoci sopra
semplicemente candele rosse e sfere oro specchianti dalle dimensioni
crescenti o all'inverso, a seconda di come si decideva di guardare
l'albero.
Gli piacevano gli alberi di Natale, erano una sorta di tradizione nata
da poco, ma rendevano in maniera assolutamente perfetta l'atmosfera che
quella festa doveva rappresentare e, benché ne avesse visti a milioni,
non poteva che pensare che quello davanti a lui fosse il più
bello di tutti. Per quanto in quel momento vi fosse vicina,
però, l'albero non sembrava essere il centro delle attenzioni
della ragazza – il suo passo era cauto ed incerto e la testa era
infatti china in direzione del soffitto.
Il suo sguardo confuso continuava ad osservare quel limite sopra di lei
e, con capillare attenzione, scrutava quel dipinto che era andata a
ricercare fra tutti quelli che aveva fatto, per concedersi ancora una
volta il ricordo di quell'afosa estate in cui aveva deciso di stenderlo
sulle mura della sua calda prigione, ma non aveva previsto che qualcosa, in
quell'affresco al quale si sentiva particolarmente legata, emergesse
come uno schema che non si sarebbe mai aspettata di scorgere. Eppure
quella figura era lì, intrappolata tra le argentee
ramificazioni dei fiocchi di neve abilmente dipinti dalla sua mano, e
non poteva negare a se stessa di vederla, di vedere i contorni
frastagliati di un ragazzo che, più che incastrato tra un
cristallo e l'altro, pareva esserci nato, senza premeditazione alcuna.
Era come vederlo librarsi in quella neve creata da lei, trasportato
come se nulla di più naturale potesse esistere –
e, nell'osservare quello statico profilo compiere i suoi spirituali ed
invisibili movimenti, non poté fare a meno di ricordarsi di
quello spiritello invernale di cui le aveva parlato sua madre quando
era ancora una bambina.
«Jack
Frost».
Fu un sussurro, rivolto più a lei stessa che a
qualcun’altro, ma le uscì dalle labbra in maniera
tanto naturale e spontanea, che non riuscì nemmeno ad
anticipare la formulazione di quel nome che sentiva straordinariamente vicino –
lasciandoselo scappare, forse spinto dai battiti del cuore diventati
improvvisamente più prepotenti.
Inavvertitamente, un'inarrestabile e impetuosa valanga di
consapevolezze la travolse come se qualcuno le avesse appena dato
un’irruenta spinta, perdendo l'equilibrio e finendo per
aggrapparsi all'albero di Natale per non cadere – il quale perse
qualcuna delle sue palline decorative che, disordinatamente, iniziarono
a rotolare sul pavimento.
Altri respiri vennero a mancare nei suoi polmoni in fiamme ma calmarsi
non avrebbe cambiato le cose perché, ora, il velo della
trasparenza non ricopriva più i suoi occhi e lui era
lì, dove era sempre stato a farle compagnia senza che lo
sapesse.
L'aria continuava a circolare ma nessuna boccata di ossigeno
sembrava essere sufficiente a colmare la sua necessità voler
prendere continuamente fiato – e per un attimo aveva quasi temuto di
poter perdere completamente i sensi, tanto era vorticosa la
realtà con cui si era appena violentemente scontrata.
Era spaventata e impreparata, ma in un certo senso un piccolo lato di
lei le suggeriva che, in fondo, non si era mai sentita veramente sola.
Era convinta fosse tutto merito della presenza – seppur scostante
– di sua madre, della sua abitudine a considerare sufficiente
solo se stessa ma, l’incredibile assurdità di
quello strano risvolto iniziava a richiedere una chiave di lettura
differente da quella che aveva sempre usato; tutto era iniziato ad
essere più chiaro e, diversi tra gli episodi inspiegabili
che aveva vissuto nell'arco dei suoi anni di vita, avevano iniziato a
trovare quelle che potevano essere, probabilmente, le risposte che
aveva provato a cercare invano. Era sempre stata convinta di esser sola
ma, nonostante il lacerante dolore, aveva costantemente
alimentato la sua esistenza, convincendosi, silenziosamente, ad andare
avanti, e non aveva mai capito fino ad allora dove avesse trovato la
forza di farlo ma adesso tutto appariva più nitido – e, per
quanto superba e arrogante fosse quella considerazione incerta e ancora
priva di un vero fondamento, ci avrebbe scommesso, lui era sempre stato
accanto a lei.
Nessuna rilevante reazione s’impadronì del volto
del ragazzo perché, nonostante tutto, era abituato
all’invisibilità che vestiva agli occhi del
mondo – ai suoi – e l’abitudine per quella graffiante
condizione della sua esistenza lo aveva privato della
possibilità di poter credere che qualcosa sarebbe cambiato,
ignorando completamente quel che aveva sempre atteso per anni, senza
pretese ma solo con forti speranze – sbagliando, e presto si
sarebbe reso conto quanto un’entità come lui
potesse provare la sensazione di morire una seconda volta.
Ora, poteva vederlo.
F I N
E
»
N O T E
A U T R I C E
;
Oooollé!
Ed ecco conclusa questa raccolta che ho amato dal primo all'ultimo
capitolo, giuro – e mi auguro che voi possiate aver fatto
altrettanto. x°
Per chi ha già letto la primissima fanfiction che ho postato
qui, forse lo ha già capito di suo, ma per chi non lo avesse
ancora fatto lo specificherò per rendere comunque tutto
più chiaro: questo è sì l'ultimo capitolo, ma ho
voluto stendere il testo in modo che alla fine potesse essere
facilmente riconducibile alla one–shot che ho detto –
nonché questa →
Durante un'eclissi, il Sole sorride alla Luna –
quindi, vogliate considerarla come una sorta di continuo,
di svolgimento di questa storia – e cliccate sul link che ho allegato per
andare direttamente a leggerla, se volete!
La scena dove Rapunzel vede Jack nei vuoti tra un fiocco di neve e
l'altro del suo dipinto, ho cercato di ripresentarla un po' come nel
film vede le varie figure del Sole tra i suoi disegni – e non so
se sia risultata come immagine, per questo ho voluto mettere questa
nota di specifica. Haha.
Non so davvero che altro dire... E' come se mi sentissi un po' svuotata
ora che ho concluso la raccolta, amo davvero da morire questi due
personaggi e scrivere di loro è stato liberatorio e piacevole in
una maniera indescrivibile. Penso proprio che intraprenderò
l'impresa di avventurarmi in una nuova raccolta ancora che li riguardi
perché, davvero, sono perfetti assieme – e in effetti ho
in progetto un po' di cose; una mini–raccolta sempre Jackunzel
(di un paio di capitoli credo), una sorta di long–raccolta sui Big Four
ambientata in un Hogwarts!verse (sogno da tantissimo di scrivere su di
loro e in questo contesto x°) eee, infine... Ho in programma anche
la più distruttiva ed emotivamente catastrofica delle one–shot sempre sui Big Four (ma
che, come anche per le altre, pubblicherò con l'anno nuovo. Non
voglio rovinare le feste a nessuno. x°).
Detto ciò, volevo specificare che il link collegato con la frase
finale di questo capitolo, è una sssssssspecie di colonna sonora
che vorrei attribuire a tutta la raccolta. Trovo che A Thousand Years sia la canzone perfetta da accostare alla coppia che ho trattato – proprio quella, proprio la male version
–, è come se fosse loro a par mio e, sulla base anche del contenuto di questa mia storia, l'ho
trovata davvero calzante. Non potevo non sceglierla. x°
Mi auguro che, ascoltandola a fine lettura, possa avervi fatto rivivere
un po' tutto quello che vi ho fatto leggere fin'ora su di loro,
perché l'intento era quello!
Credo di potermi dileguare adesso e, che dire d'altro, se non buon Natale e buone feste?
Immagino che ci risentiremo dopo l'1 di gennaio, quindi faccio i miei
più sinceri e vivi AUGURI A TUTTI! Spero possiate passare in
maniera splendida quella che è la mia festa preferita e che per
me è quanto di più vicino abbiamo alla magia!
Auguri, auguri davvero a tutti! Grazie per tutto quanto, per le
letture, per le recensioni per le varie aggiunte e per le attenzioni!
Grazie a tutti, tutti, TUTTI! Siete davvero fantastici e io sono stata
felicissima di scrivere non solo per me, ma anche per voi!
Un saluto e alla prossima, a questo punto!
©
a u t u m n
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