Crazy
Little Thing
Called Love
Capitolo
ventotto: Eventually
“Mamma mia, here I go again
My my, how can I resist you?
Mamma mia, does it show again
My my, just how much I've missed you?
Yes, I've been brokenhearted
Blue since the day we parted
Why, why did I ever let you go?
Mamma mia, now I really know
My my, I could never let you go”
(Mamma
mia- ABBA).
Londra
era molto più incasinata di Fell’s Church. E
molto più fredda.
I
primi giorni non erano stati affatto facili. Ci
avevo messo un po’ ad ambientarmi.
Avevo
richiesto una camera singola al campus e
questo non mi aveva facilitato a stringere amicizia. Erano tutti
talmente presi
dal trasloco e dall’inizio delle lezioni che ogni contatto si
limitava a
qualche chiacchiera di cortesia.
Avevo
scoperto un delizioso caffè italiano in un
vicolo vicino al college. Ogni mattina prendevo il mio cappuccino e mi
dirigevo
verso la fermata della metropolitana.
Dopo
una settimana a girare nei parchi e nei musei,
mi ero finalmente decisa a immergermi nella vita universitaria.
Lentamente
avevo cominciato a conoscere gente, a
integrarmi: mi orientavo per la città, avevo capito come
funzionavano tutti i
servizi della mia università e i miei compagni mi salutavano
e riconoscevano
quando entravo in classe.
Avevamo
formato un piccolo gruppetto. Gli inizi
erano stati molto formali, ma avevamo iniziato a entrare in fretta in
coincidenza.
Eravamo
tutti ragazzi lontani da casa, pronti a
cominciare una nuova fase della nostra vita. Ci sentivamo accomunati da
quel
senso di novità e smarrimento.
Oltre
a quella strana combriccola, avevo legato
particolarmente con un’altra ragazza. Londinese doc, bionda,
alta, con gli
occhi azzurri. Tosta e impertinente, molto altezzosa. Non ero riuscita
a capire
chi mi ricordasse fino a che non avevo scoperto il suo cognome.
Rebekah
Mikealson era la degna sorella di Klaus.
Emanava
un incredibile fascino alimentato dalla sua
ambizione. Una persona così si sarebbe mangiata Katherine in
un boccone se
l’avesse incontrata.
Rebekah
era l’unica che riusciva un po’ a colmare
il vuoto lasciato dalla mie amiche. Sapevo che prima o poi sarebbe
passato ma
non potevo fare a meno di sentire la mancanza di Elena, Caroline e
Meredith. E
naturalmente di Stefan.
Ci
tenevamo in contatto praticamente ogni giorno
tramite Skype. Ora condivideva con Elena un appartamento vicino
all’università,
quindi riuscivo a parlare spesso con entrambi.
I
contatti con Meredith e Caroline erano un po’
meno frequenti, ma quando ci chiamavamo rimanevamo al computer per ore.
Tutto
sommato me la stavo cavando più che bene ed
ero molto fiera di me stessa. Superato lo spaesamento iniziale, ero
gradualmente
diventata parte di Londra.
Oltre
al mio bar preferito, avevo anche un parco
preferito e una libreria e un delizioso negozio vintage.
Rebekah
mi aveva portato in giro per la città,
mostrando le meraviglie lontane dagli occhi dei turisti. Ormai potevo
dire di
muovermi tra quelle vie come una vera londinese.
Avevo
ancora qualche problema con l’accento, ma
fortunatamente nessun inglese mi aveva ancora additata come una stupida
americana.
Dopo
quasi tre mesi non provavo nemmeno più tanto
nostalgia di casa. Papà e Mary erano già venuti a
trovarmi una volta e li avevo
portati in giro come un perfetto cicerone.
Erano
rimasti parecchio sorpresi dal vedermi
totalmente integrata nel mio nuovo ambiente e io ero altrettanto
orgogliosa e
contenta: mi ero finalmente lasciata alle spalle la ragazzina impaurita
e
piagnucolona.
Dopo
tutto quello che avevo passato lungo l’anno
trascorso, quel distacco non aveva fatto altro che fortificarmi ancor
di più.
Capitava
spesso che io, Rebekah e Klaus uscissimo
assieme e durante uno dei nostri pranzi era saltato fuori
l’argomento Damon.
Klaus
si era finto dispiaciuto per averlo nominato,
ma era più che evidente che l’avesse fatto di
proposito per sapere che cosa era
successo tra noi.
Rebekah
era caduta dalle nuvole, chiedendo se il
Damon in questione fosse suo cugino. Mi era toccato raccontare
brevemente la
nostra storia e il motivo che vi aveva poso fine. Mi sentivo libera di
parlare
con loro perché sapevo che non mi avrebbero giudicata o
compatita.
“Che
razza di stronzo. Proprio come me lo ricordavo. Hai fatto bene, Bonnie:
lascia
che ti rimpianga per il resto della sua vita. E poi chi si crede di
essere
questa Katherine?”.
“Sempre
melodrammatica, Rebekah” la rimproverò Klaus.
“Hai
il coraggio di difenderlo?” s’indignò.
“È
un uomo. Noi uomini facciamo cazzate, ma non siamo così
cattivi come pensate.
Damon piace proprio perché è una mina
vagante”.
Ed
erano andati avanti a litigare su chi avesse
ragione, senza interpellarmi minimamente.
Rebekah
era davvero un osso duro e si lanciò in un
discorso in difesa delle donne, sostenuto da parecchie delusioni
personali.
Klaus
cercava di smorzare la sua carica. Un po’
perché era stato il nostro primo vero sostenitore, un
po’ perché aveva capito
che l’argomento mi metteva a disagio.
Non
avevo più avuto notizie di Damon da quando ero
partita. Stefan mi aveva solo detto che si era laureato, ma non avevo
chiesto
altro.
La
cerimonia coincideva con l’inizio delle mie
lezioni, perciò ero rimasta a Londra. Avevo pensato di
scrivergli qualcosa. Alla
fine tutto mi sembrava inappropriato.
Avevo
lasciato passare in silenzio anche
quell’evento, rassegnata ad accettare la fine della nostra
storia: ero andata a
Londra per staccarmi da tutto e trovare veramente la mia strada.
Tagliare
qualunque contatto era stata la soluzione migliore.
Rebekah
aveva imparato la lezione e non aveva più
fiatato su suo cugino.
Avevo
scelto la facoltà di scienze della formazione
e giorno dopo giorno mi accorgevo di quanto fosse giusta quella materia
per me.
I
miei insegnanti non erano stati molto d’aiuto
durante la mia crescita. Certo, avevo tutti fatto il proprio dovere,
comportandosi da perfetti educatori ma non si erano mai una volta
fermati a
chiedersi che cosa io avessi da dare al mondo.
Mi
sarebbe piaciuto essere un giorno per dei
ragazzini ciò che era mancato davvero a me: una guida.
Tanti
chilometri solo per diventare un’insegnante?
Chiamatemi pazza, ma ne valeva la pena.
Giorno
dopo giorno mi sentivo sempre più viva. Era
merito di Londra, dei suoi quartieri eleganti e di quelli underground,
era
l’aria che si respirava.
Aria
di innovazione, aria di ambizione, aria di
professionalità e bravura.
Non
avevo alcun problema con il tempo. Potevo
accettare la pioggia e la nebbia se in cambio ricevevo tali stimoli.
Ero
lì da poco, eppure cominciavo già a valutare
l’idea di traferirmi definitivamente. L’idea di
lasciare, una volta ottenuta la laurea, quella magnifica
città mi
stringeva il cuore.
La
mia avventura che era partita, com’era
prevedibile, con titubanza e malinconia, stava continuando con
trepidazione e entusiasmo.
Era
impressionante guardarsi indietro e vedere
tutto quello che era successo in un solo anno: la mia vita si era
completamente
ribaltata, così come le mie convinzioni e relazioni.
Ci
stavamo avvicinando a Halloween e non potevo non
pensare alla festa passata, al momento in cui tutto aveva iniziato
radicalmente
a cambiare, a quell’incontro (meglio lo scontro) con Damon,
nella mia vasca da
bagno, dopo essermi persa nel bosco per colpa di Katherine.
Avevamo
litigato e per la prima volta avevo sentito
una scossa nel profondo, per la prima volta avevo deciso di reagire e
non
crogiolarmi nella mortificazione.
A
così tanto tempo di distanza, mi accorgevo che
quell’istante aveva segnato l’inizio della nostra
connessione, volenti o meno.
Avevo
chiarito le mie posizioni, lo avevo rimesso
al suo posto e lui era rimasto in silenzio, impressionato e basito. E
aveva
iniziato a trattarmi alla pari.
Mi
piaceva credere che fosse merito mio, che
l’avessi finalmente convinto, o almeno incuriosito, ma non
potevo mettere la
mano sul fuoco. In quel periodo la bellissima
scommessa era già in atto.
Una
parte di me mi spingeva, mi pregava di credere
alle giustificazioni di Damon, alla sua sfacciataggine quando mi aveva
detto di
non esserne pentito, dato che altrimenti non si sarebbe mai avvicinato
a me
come poi era in effetti avvenuto.
Quindi
sì, forse mi aveva cercato per via della
scommessa incitato da Katherine e forse sì quello che ne era
scaturito non
era soltanto una bugia.
Inutile
tormentarsi. Damon al momento era fuori
dalla mia vita e dopotutto non stavo così male,
perché nonostante la mancanza,
la mia indipendenza ne stava di sicuro traendo beneficio.
Osservai
il mio quaderno: la pagina era
praticamente vuota. Rebekah mi avrebbe ammazzato. Era via per impegni
di
famiglia e le avevo promesso di prendere appunti anche per lei.
La
lezione era finita e non c’era speranza di
rimediare. Dovevo assolutamente cercare qualcuno e recuperarli.
Uscii
dalla classe e trovai lì ad attendermi, sulle
panche del corridoio, la più inaspettata delle sorprese.
“O
mio Dio!!” urlai e per poco non feci cadere la
borsa.
Tre
voci ripeterono in coro le mie parole, poi tre
paia di braccia mi strinsero fino a togliermi il respiro.
Elena,
Meredith e Caroline mi liberarono
dall’abbraccio e finalmente riuscii a guardarle in volto.
Nonostante le avessi
toccate con le mie stesse mani, faticavo a credere che fossero davvero
lì.
“Ok,
ti risparmio qualche domanda e ti racconto
subito come siamo arrivate qua” tagliò corto
Caroline “Due giorni fa ci siamo
trovate tutte a Fell’s Church e abbiamo iniziato a ricordare
l’ultimo anno del
liceo e ci siamo accorte che qualcosa mancava. A fine serata avevamo
prenotato
i biglietti per Londra”.
“Voi
siete pazze!” commentai “Vi sarà costato
una
fortuna”.
“Abbastanza,
quindi per Natale per favore torna tu”
disse Meredith.
“Ma
ne è valsa la pena” affermò Elena
abbracciandomi di nuovo “Stefan non è potuto
venire, aveva delle cose da
sbrigare all’università ma si è
raccomandato di baciarti tutta per lui” sorrisi
e mi stampò un sonoro bacio sulla guancia.
“Ecco
perché ieri sera sembrava così strano. Mi ha
detto che non potevi venire al telefono per un’intossicazione
alimentare”
spiegai.
“Il
solito melodrammatico” scherzò.
“Dove
alloggiate?” chiese.
Le
tre si guardarono colpevoli.
“Domandalo
alla tour operetor qui accanto” borbottò
Meredith, indicando Caroline.
“Ho
letto male, va bene?!” si spazientì questa
“Smettetela di darmi la colpa, la prossima volta potete
occuparvene voi”.
“Che
cosa è successo?” indagai.
“Care
non ha prenotato l’albergo o meglio l’ha
prenotato a Manchester. Ha preso il numero dalla riga
sbagliata” spiegò Mere.
“Dannate
catene di hotel! Hanno i siti peggiori del
mondo”.
“Forse
l’accento diverso ti poteva dare un indizio”
le suggerì Elena.
“Sono
tutti uguali per me. Come pretendi che
distingua l’accento di Manchester da quello di
Londra?” replicò.
“Ragazze
non scaldatevi” intervenni nel battibecco
“Vicino al mio campus c’è una
pensioncina carina. Possiamo sentire se c’è posto.
Ho finito adesso le lezioni, andiamoci subito” proposi.
Fortunatamente
c’era ancora qualche camera libera.
Presero una tripla e salirono subito a mettere le valigie e a darsi una
rinfrescata.
Le
portai nel mio baretto preferito: una graziosa
teeria, vicino a Regent’s Park, anni ’20 e
tremendamente inglese.
“Giuro,
ancora non ci posso credere che siate
venute fino qua a trovarmi” mi emozionai.
“Ci
mancavi troppo, Bon” confessò Caroline
“Noi
abbiamo scelto college diversi, ma almeno siamo tutte negli States e
durante le
vacanze torniamo a Fell’s Church”.
“Sarei
tornate anche io, ma ho solo tre giorni di
pausa e il fuso orario è troppo stancante. Poi i voli
costavano una follia”.
“Dovremo
abituarci a non vederci più così
spesso”
osservò Elena.
“Mi
rifiuto di accettare che la nostra sorellanza
velociraptor finisca così. Dobbiamo stabilire un giorno a
settimana e
organizzare delle riunioni su Skype tutte e quattro”.
“Abbiamo
tre fusi diversi, Care” le fece notare
Meredith.
“Poco
importa. Per voi posso stare sveglia per
tutta la notte”.
“Non
sei cambiata per niente” le assicurai, mentre
aggiungevo il latto al mio tè.
“Sai
Bonnie” incominciò Meredith “Onestamente
mi
hai sorpresa”.
“Per
cosa?”.
“Credevo…beh,
tutte lo credevamo, che saresti
tornata per la laurea di Dam-” Mere si zittì di
colpo e lanciò un’occhiata
furante a Caroline che le aveva tirato un calcio sotto il tavolo.
Aveva
provato a mascherarlo, ma io me n’ero accorta
e anche Meredith sembrava decisa a non tacere.
“Che
c’è? Mica è Voldemort. Posso ancora
pronunciare
il suo nome”.
Adesso
anche Elena la stava guardando male.
“Va
bene, allora la prenderò larga” si
spazientì
Mere “Credevamo di vederti alla laurea di Tu Sai Chi.
Così va meglio?
Precauzione inutile dato che abbiamo capito di chi sto parlando. E
smettetela
di guardarmi con quelle facce: lo volete sapere quanto me”.
“È tutto ok,
ragazze” le tranquillizzai “Non ho problema a
parlare di Damon”.
“Oh,
quando è così” si lasciò
convincere
immediatamente Caroline “Ora sei pronta a sputare il rospo:
non ci hai ancora
detto perché vi siete lasciati”.
“Non
offenderti, Care, ma questo preferisco tenerlo
per me” obiettai.
“Ma
Elena lo sa!” si lamentò.
“Non
l’ho detto io a Elena” mi difesi “Non
arrabbiatevi. È una cosa tra me e lui e non mi va di
alimentare pettegolezzi.
So che non lo direste mai a nessuno, ma sento di fargli un torto a
raccontare
la nostra vita privata. Inoltre, solo lui sa una parte della
storia”.
“Chissà
perché sospetto che sia colpa sua”
ipotizzò
Meredith.
Non
avevo tenuto per me la vera ragione solo per
non buttare odio su Damon, ma anche perché non avevo voglia
di sorbirmi i vari
“Te l’avevo detto”.
“Diciamo
che non ero pronta a mollare tutto per lui”
mi giustificai “Non riuscivo a fidarmi totalmente”.
“E
adesso qualcosa è cambiato?” domandò
speranzosa
Elena, la nostra fangirl numero uno.
“Io”
risposi “E al momento non so se me la sento di
ritentare. Non solo con Damon, con chiunque. Mi piace la persona che
sono
diventata”.
“Ben
detto, Bonnie, tu meriti molto di più. Se
penso che Damon ti ha costretto a lasciare il party che avevo
organizzato per
te, solo per godersi la sua festicciola privata”.
“Devi
ammettere che è stato un bel regalo”
s’intromise Elena.
“Certo”
concordò Caroline “Di tutti i modi che si
è
inventato per portarsi a letto le ragazze, questo è stato di
sicuro il più
carino”.
Le
mie guance si tinsero di rosso “In realtà no.
Non abbiamo fatto nulla quella sera”.
Le
tre spalancarono la bocca.
“Davvero?”
si sorprese Meredith “Noi non ti abbiamo
mai chiesto niente perché sappiamo quanto tu sia riservata,
ma pensavamo…sì,
insomma, pensavamo che non ci avessi detto nulla perché non
ti andava di
parlare di cose così intime ma…”.
“Abbiamo
dato per scontato che voi foste andati a
letto assieme” concluse Caroline.
“No”
negai “Mai fatto”.
“Sei
ancora vergine?” si indignò Caroline.
“Non
dirlo come se fosse una brutta parola” la
ribeccai.
“Intendevo…”
si corresse “Sei stata con Damon per
tutto quel tempo e non avete mai…come cavolo hai
fatto?”.
“Sai,
Care, a qualcuno piace tenere le gambe chiuse
ogni tanto” la stuzzicò Elena.
“Santo
Cielo, Bonnie, quel ragazzo è pazzo di te”
commentò Meredith “È un malato del
sesso e se è riuscito a trattenersi per
tutti quei mesi solo per aspettarti…penso che sia uno dei
gesti più altruisti e
sinceri di Damon”.
Grazie
amiche, non fatemi sentire ancora più in colpa, mi
raccomando.
Partirono
dopo qualche giorno e ci furono fiumi di
lacrime. Vennero a salutarmi in dormitorio di mattina e ci misero quasi
mezz’ora a trovare la forza di andarsene.
Poco
dopo qualcuno bussò alla porta della mia
stanza: era sicuramente Caroline che si era dimenticata qualcosa, come
al
solito.
“Entra,
Care, è aperto” dissi ad alta voce.
La
porta si aprì e si richiuse. Io continuai a fare
il letto senza preoccuparmi di voltarmi.
“Per
una che deve avere sempre il controllo su
tutto, sei abbastanza sbadata” considerai.
“Se
è per questo, mi sto chiedendo come tu abbia
fatto a sopravvivere tre mesi da sola senza di me, uccellino”.
Mollai
di colpo il cuscino e gelai sul posto. Avevo
le allucinazioni?
“Da
quanto mi hanno raccontato non ti sei ancora
persa in nessun bosco e non ti sei ubriacata fino a svenire”
rincarò.
Mi
voltai per accertarmi di non star sognando. Non
potevo toccarlo, ma potevo vederlo e sembrava tremendamente reale.
“Damon”
dissi con un filo di voce “Che cosa ci fai
qui?”. Domanda intelligentissima.
Lui
alzò le sopracciglia “Secondo te?” mi
canzonò
“Ti ho dato tre mesi di libertà, Bon Bon. Adesso
basta, non potevi pretendere
che me ne stessi lontano ancora a lungo”.
“Guarda
che non mi sono trasferita qui per gioco!”
lo avvertii “Hai sprecato soldi se sei venuto per riportarmi
indietro”.
“Mi
sono iscritto a un master qui a Londra” mi
rivelò e io sgranai gli occhi.
“Perché?”.
I miei interventi erano al limite del
banale, ma non riuscivo a formulare altro.
“Per
stare vicino a te” rispose semplicemente.
“Sei
venuto a Londra per me?”.
“Non
è un gran sacrificio: è una delle
città più
belle d’Europa, ci sono ottime università
riconosciute a livello internazionale
e poi c’è una certa rossa da cui proprio non
riesco a staccarmi” mi confidò con
il suo ghigno sbruffone.
“E
se lei non fosse d’accordo?” lo sfidai,
sollevando il mento.
“Sono
un tipo persuasivo, saprò convincerla. Ci
sono già riuscito una volta”.
“Ti
avverto che sono diventata molto più testarda”.
“Anche
io. E pensa un po’: il mio appartamento è
proprio di fronte al tuo campus”.
“Sei
uno stalker” lo apostrofai.
“Mi
hai chiamato in modi peggiori”.
Il
tempo delle battutine, per quanto mi riguardava,
era finito.
Era
stato divertente, per un attimo, stuzzicarsi
come una volta, mi aveva portata indietro. Damon aveva sempre avuto la
capacità
di risucchiarmi nel suo vortice.
Ritrovarlo
non solo a Londra, ma proprio in camera
mia aveva suscitato in me una tale confusione che faticavo a seguire un
senso
logico nelle parole e nei pensieri.
Centinaia
di volte mi ero giurata di averla
superata, di non sentire più il bisogno di averlo accanto,
di poter
tranquillamente andare avanti senza di lui.
La
sua presenza mi aveva, invece, destabilizzato
completamente e apprendere che si era iscritto a un master a Londra per
starmi
vicino mi aveva sciolto il cuore.
Non
negavo che mi avesse fatto molto piacere e
naturalmente avevo subito pensato che forse c’era ancora una
speranza: mi aveva
seguito fin lì, aveva lasciato tutto per venirmi a
riprendere.
Stava
cercando di dimostrarmi qualcosa. Cercava di
riguadagnarsi la mia fiducia, il mio rispetto. E io avrei dovuto
apprezzare.
Apprezzavo, giuro.
Eppure
c’era qualcosa che mi martellava in testa e
che mi teneva con i piedi ben piantati a terra: ero così
orgogliosa di me
stessa per essermela cavata anche senza di lui. Ero disposta a
rinunciare a
tutto e ripartire da zero?
“Perché
devi essere sempre così impulsivo e
complicato?!” sbottai “Ti ho detto che mi serviva
spazio, che mi serviva un
cambiamento. E tu prendi un aereo e vieni qui?”.
“Ho
resistito tre mesi” disse “Sei partita e volevo
seguirti il giorno dopo ma ho resistito…tre mesi. Speravo di
vederti alla mia
laurea”.
“Non
mi hai invitato” gli ricordai.
“Non
mi hai nemmeno scritto un messaggio” mi
accusò.
“Congratulazioni
per la tua laurea? Quanto
sarebbe stato patetico?”.
“Avevo
capito che volevi trovare la tua strada. Non
credevo che mi avresti cancellato completamente dalla tua
vita” s’infervorò.
“Io
non ti ho cancellato dalla mia vita. Tu mi hai
mentito!” gli rinfacciai.
“Mi
dispiace!” si sfogò “Mi dispiace. Non so
più
come ripeterti che mi dispiace, ma non posso…io non voglio
perderti per uno
sbaglio, non lo sopporterei”.
“Ci
potevi pensare prima”.
“Avrei
dovuto dirtelo prima” mi concesse “Chiamami
pure pazzo ma lo rifarei, perché quello è stato
l’inizio di tutto. Avrei
lasciato comunque Katherine. Anche se non avesse baciato mio fratello,
l’avrei
lasciata. Mi sono innamorato di te, non di lei”.
“Non
continuare a ripeterlo per piacere” lo pregai.
“È
vero. Non posso spegnere i miei sentimenti. Tu
ci sei riuscita?”.
“Certo
che no” risposi di getto “Quello che provo
per te non è cambiato”.
“Allora?”.
“Non
sono convita, però. Me ne sono andata da
Fell’s Church per una ragione. È troppo presto,
è semplicemente troppo. Tu sei
troppo! Ogni volta che sei nei dintorno mi sento sopraffare”.
“Questa
la considero una buona cosa”.
Lo
fulminai con uno sguardo.
“Bonnie,
io non ti voglio mettere in gabbia,
ostacolarti. Non voglio prenderti in giro, farti stare male, divertirmi
e
basta. Sono qui perché voglio affidarmi completamente a te,
voglio darti
affetto, sostegno, passione, desiderio. Voglio darti i brividi,
l’amore. Me
stesso. È un tipo di legame che posso condividere solo con
te. E voglio darti
tutto questo perché è ciò che
inconsapevolmente mi restituisci tu”.
Gli
occhi mi pizzicavano. Non avevo pianto fino a
quell’istante, ma il mio autocontrollo cominciava seriamente
a vacillare.
“E
se non fossi in grado di darti ciò che desideri?”
mormorai.
“Non
è mia intenzione costringerti, uccellino. A
Fell’s Church stavo impazzendo, dovevo tentare fino alla mia
ultima
possibilità. Non m’importa quanto dovrò
aspettare. Sei la parte migliore della
mia vita. Sarei matto a non lottare fino alla fine”.
Mi
mossi senza neanche accorgermene. Realizzai che
cosa stavo veramente facendo quando avvertii tra le mie dita la stoffa
del suo
maglione e la strinsi possessivamente mentre nascondevo il viso
nell’incavo del
suo collo.
Ero
così concentrata sulla famigliare sensazione di
tranquillità che il suo corpo, tra le mie braccia, mi dava
che quasi non
percepii le sue mani circondare la mia schiena.
Mi
era mancato come l’aria.
Non
mi ero arresa a lui, alle sue parole. Non mi
sarei subito gettata ai suoi piedi. Avevo ancora bisogno del mio tempo
e del
mio spazio, ma nel contempo avevo bisogno di riassaporare quel contatto.
Un
piccolo momento di debolezza che mi ero concessa
per svuotare la mente e abbandonarmi totalmente.
Perché
per quanto fossi cresciuta, per quanto fossi
divenuta sicura, indipendente e forte, comunque restavo in parte una
semplice
ragazza in cerca del suo amore.
Sciolsi
quell’abbraccio e mi asciugai in fretta una
lacrima che era scappata dal mio occhio. Mi allontanai da Damon e
ridacchiai imbarazzata.
“Perdonami
per questo slancio”.
“Accetto
volentieri questo e altri slanci”
ridacchiò. All’ennesima occhiataccia, corresse il
tiro e sollevò le spalle in
segno di resa “Per oggi ho tirato fin troppo la
corda”.
“Sei
sul filo del rasoio” confermai.
“Dato
che dobbiamo ricominciare con calma, che ne
dici di vederci domani per un caffè?”.
“Dato
che dobbiamo ricominciare con calma, che ne
dici se rimandiamo il caffè a settimana prossima e ti prendi
il tuo tempo per
ambientarmi”.
Damon
sospirò rassegnato “Me la renderai difficile,
vero?”.
“Non
ho ancora deciso se ti concederò una seconda
possibilità o no”.
“Fai
pure la dura, uccellino, ma ricordati che
abito qui di fronte e ti osservo” mi avvertì con
un mezzo sorriso prima di
lasciare la mia stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Era
difficile prevedere come sarebbe andata a
finire: eravamo come trottole traballanti sull’orlo di un
precipizio. Una
leggera inclinazione e saremmo rotolati giù.
Eppure,
in un luogo lontano da Fell’s Church, dove
non eravamo la sfigata o l’amica di qualcuno, il playboy o il
teppista, dove
eravamo solamente Bonnie e Damon, in un tempo lontano da quello del
liceo,
delle ripicche e delle scommesse, quel noi appariva
più reale che mai e
così giusto come non era stato prima.
Liberai
una risatina isterica e scossi la testa
ripensando a quanto fosse stata poco credibile la mia ultima frase,
perché dopotutto
una seconda possibilità gliel’avevo
appena data.
Il
mio spazio:
Posso
mettere la parola fine anche a questa storia.
Avrei
preferito aggiornare ieri sera, ma alla fine
sono venute a trovarmi delle mie amiche tornate dalla vacanze e non ho
avuto
tempo.
Non
so se a tutte voi soddisferà questo finale. È
una di quelle conclusioni un po’ a metà, ma
sinceramente mi sembrava la maniera
più giusta di terminarla. Ci sono ancora delle questioni
irrisolte tra Damon e
Bonnie e un capitolo non poteva esaurirle in modo appropriato.
È
sempre stata mia intenzione lasciare il finale un
po’ in sospeso, aperto alle vostre teorie. Onestamente io
sono per il lieto
fine e confido che questi due troveranno la strada uno verso
l’altra fuori dal
tempo della mia storia.
A
questo punto non so davvero come ringraziarvi per
avermi seguito fino a qui, per la vostra pazienza e il vostro supporto.
Se
penso soprattutto ai primi capitoli e a come
avete accolto calorosamente questa storia…spero solo di aver
fatto un buon
lavoro e avervi restituito almeno in parte il vostro tempo e affetto.
Avviso
per coloro che seguono anche Would you
hold it against me?: purtroppo per il prossimo capitolo
dovrete aspettare
fino a settembre, perché settimana prossima parto e
starò via fino a fine agosto.
Comunque una volta ripresa, la finirò in fretta, promesso!
Non
mi resta che ringraziarvi ancora una volta e
augurarvi delle buone vacanze.
Divertitevi
e riposatevi. Io vi aspetterò a
settembre.
Un
abbraccio grande,
Fran;)
|