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''Dove sei
tu, quella è casa''
Capitolo 6- Nel tuo
dolore.
Harry's pov
Louis era andato via da circa dieci minuti, quando mi resi conto che
dovevo fare qualcosa.
Per quattro, lunghissimi, anni ero stato inetto ed inerme: immobile
quando mia madre aveva scoperto di essere una malata terminale,
immobile quando avevo appurato che sarebbe morta comunque, immobile
quando effettivamente se n'era andata, immobile quando avevo avuto
l'onore immenso di conoscere Ria, ed immobile quando era morta anche
lei.
Non avevo mai fatto niente per cambiare le cose, o almeno per provare a
farlo. Mi ero lasciato trasportare dall'inerzia delle situazioni,
affidandomi completamente ad un destino che odiavo e pregando un Dio in
cui non credevo neanche.
Non avevo mai agito con un piano in mente, non avevo mai avuto la
forza- e neanche il coraggio, sinceramente- di provare a vedere le cose
da una prospettiva diversa- anche se creata da me. Ero stato sempre in
balia degli eventi, e non avevo mai deciso io cosa fare della
mia vita.
Quella mattina Louis mi aveva chiesto come stessi, ed io avevo risposto
''bene''. Avevo la vaga impressione che quando la gente ti chiedeva
come stavi, non era minimamente preparata ad una disposta negativa.
E io non gliela avrei data, non al mio migliore amico e non sapendo
che- anche lui- doveva fare i conti con la morte di Ria. E che la
ragazza che amava era stata la migliore amica di qualcuno che adesso,
per sfortuna, non c'era più.
Io ci avevo messo due anni per riuscire a pronunciare il nome di mia
madre. Due anni dalla sua morte per riuscire a pensarla senza
nascondermi e piangere, due anni per accettare il fatto che non l'avrei
rivista mai più e due anni per rendermi conto che nulla
avrebbe potuto cambiare quella situazione- per quanto facesse
schifosamente schifo.
Il nome di Ria riuscivo a pronunciarlo, fortunatamente, ma avevo
impedito alla mia mente contorta di pensarla. Avevo isolato ogni suo
ricordo ed ogni pensiero che si collegava- direttamente o meno- a lei.
Fingevo che non fosse mai esistita. Forse non mi faceva nemmeno sentire
meglio, ma mi faceva sentire meno peggio e mi andava bene
così.
Pensarla avrebbe significato ammettere che non c'era più, e
non ero pronto a farlo. Probabilmente non lo sarei stato mai.
Ma quella mattina, decisi che per una volta avrei deciso io cosa sarebbe
successo. Per una volta non mi sarei affidato al fato e avrei agito
accettando tutte le conseguenze che sarebbero scaturite dalle mie
azioni.
Chiamai Paul e gli chiesi, abbastanza poco gentilmente, di scoprire
dove alloggiasse Lydia Louise Martin.
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La porta di mogano marroncina
produsse un rumore quasi sordo, a contatto con le nocche della mia mano.
Sperai che fosse in camera e che non fosse in giro per Londra,
probabilmente dai suoi genitori o da qualche amica che non vedeva da
quando era ritornata in Germania. Un anno prima.
Probabilmente la ramanzina che le avevo fatto la settimana prima,
quando era venuta a bussare alla mia porta per chiedermi come stessi
interessandosi di una risposta quasi sicuramente negativa, era stata
incoerente. Me ne ero reso conto nell'esatto momento in cui era uscita
sbattendo la porta, ma il mio orgoglio di merda mi aveva impedito di
fare qualcosa. Se anche fosse rimasta, seppur non fosse ritornata a
Berlino, io sarei comunque andato in tour e ci saremo comunque visti
pochissimo. Avrei potuto sempre portarla con me, ma dubitavo che
avrebbe accettato. Era troppo per lei, e probabilmente era troppo per
chiunque non ci fosse abituato.
Quando avevo urlato avevo semplicemente pensato che sarebbe ritornata
da me, perchè glielo avevo letto negli occhi che non le ero
indifferente. Se così fosse stato, non sarebbe ritornata per
stare con me.
Paul aveva scoperto facilmente in quale hotel alloggiasse, siccome
aveva sicuramente preferito non dar disturbo ai suoi che avevano
comunque cambiato casa e preso un appartamento molto più
piccolo, e che sarebbe rimasta per una decina di giorni.
Mi chiedevo cosa le avesse detto Federico, quando gli aveva detto che
sarebbe ritornata per un pò. Sperai egoisticamente che
avessero litigato.
Sperai egoisticamente che decidesse di non andarsene di nuovo.
La porta si aprì proprio quando ero sul punto di perdere
ogni speranza e ritornarmene a casa.
Lydia era davanti a me, indossava un pigiama di flanella rosa chiaro e
aveva legato i capelli rossi in una coda disordinata. Non era truccata,
i suoi occhi verdi rimbalzarono dinanzi ai miei come un fresbee. Era troppo bella.
Il cipiglio che le si formò sulla fronte mi fece capire che
non si aspettava quella mia visita. Che, anzi, non si aspettava di
rivedermi affatto.
Mi diedi dello stupido da solo, perchè erano le undici e
mezza di sera ed era ovvio che stesse per andare a letto. Era ovvio che
ci aveva messo un poco a rispondere, ed era ovvio che fosse sopresa- a
tratti sconvolta.
''Harry?'' domandò, sgranando gli occhi. ''Che cosa ci fai
qui?''
''Mi fai entrare?'' domandai a mia volta, notando solo dopo il tono
pretenzioso con la quale avevo parlato. ''Per favore''
Lei si staccò dalla porta e la aprì di
più, in modo da farmi passare. L'hotel che aveva scelto era
a tre stelle, per cui la sua stanza era ben arredata anche se spoglia.
La sua valigia viola era gettata ai piedi del letto, aperta e mezza
piena. Non riuscii a capire se era per un'imminenze partenza, oppure se
era stata svogliata e non l'aveva svuotata.
''Come hai scoperto dov'ero?'' sembrava confusa. ''Chi ti ha fatto
salire?''
''Mi dispiace ma non ho avuto altra scelta che chiedere a Paul di
indagare'' ammisi. ''Non volevo essere invadente, ma avevo bisogno di
parlarti. E mi è bastato dire chi fossi per salire,
sinceramente''
Lei annuì, ben consapevole della mia fama e di tutto quello
che dovevo sopportare- ma che aveva grandi vantaggi. Tipo quello.
''Che devi dirmi?'' chiese, ed il suo tono era gelido. Lo era stato
dall'inizio, ma quella ne fu la conferma. Non potevo di certo
biasimarla, avevo detto delle cose orribili e che, ovviamente, non
avevo nemmeno mai pensato.
Mi passai le mani fra i capelli, perchè non sapevo che
dirle. Che avevo solo bisogno di vederla di nuovo? Di sentire la sua
voce acuta, anche se distante? Che era meravigliosa anche in pigiama e
senza trucco?
Lydia, a sua volta, non parlò nè
sospirò o altro. Conoscendomi bene, aspettò
pazientemente che fossi io a prendere la parola.
''Parti?'' domandai, ansioso. Era stata l'unica cosa che ero stato in
grado di chiedere. Lei passò lo sguardo da me alla valigia
poggiata per terra, e poi di nuovo su di me come avesse paura di
parlare.
Si avvolse nelle sue braccia e fece un piccolissimo passo avanti.
''Domani sera'' diede conferma ai miei pensieri.
Mi pietrificai, probabilmente perchè una parte di me ne era
pienamente consapevole ma avevo dato retta all'altra. Mi ero illuso che
sarebbe rimasta ancora per qualche giorno, in modo che potessi farle
capire i miei sentimenti e farla restare. Ma un giorno era troppo poco.
E quando la guardavo rivedevo Ria, nello stesso colore di capelli e
nello stesso sguardo vispo e timido, nello stesso modo di parlare e
nella stessa tonalità della voce. Rivedevo sua sorella
minore il lei, e mi faceva male.
''In questo momento'' sussurrai. ''Sei identica a lei''
Lydia capì subito a chi mi stessi riferendo, non c'era stato
bisogno di spiegare meglio. Si erano sempre somigliate, lei e Miriam,
ma quando Lydia era senza trucco, con i capelli lunghi legati ed in
pigiama le somigliava ancora di più.
Si strinse nelle spalle.
''Davvero?'' domandò, con una strana luce negli occhi
così simili ai miei. Sembrava quasi che volesse
distruggerla, quella domanda. Non mi parve mai fragile quanto allora.
''Si, davvero'' risposi, avvicinandomi a lei. Non si mosse.
''Posso...'' alzai una mano, sussurrando e confondendomi da solo.
''Posso abbracciarti?''
Lei mi guardò come se non sapesse nè cosa dire e
nemmeno cosa fare, immobile nella sua postazione troppo lontana dalla
mia. Avvenne tutto in un secondo: Lydia scosse la testa, come
esasperata, si avvicinò a me e avvolse le sue braccia
attorno ai miei fianchi- poggiando la sua testa sul mio petto. Io, per
la prima volta con lei in imbarazzo, portai le mani sulle sue spalle e
la strinsi forte a me.
Sembrava di star abbracciando Miriam, non solamente lei.
Mi sembrava di essere tornato ad un anno prima, quando stringerla a me
mi sembrava quasi una cosa scontata. Forse, dopotutto, era
proprio questo quello che Ria mi aveva insegnato. Che noi essere umani
dovremmo seriamente smetterla di dar le persone per scontate, e di
iniziare a godercele davvero e sempre. Perchè non si sa mai,
sfortunatamente o per inerzia, le si potrebbe perdere. E sarebbe troppo
tardi.
Il profumo di Lydia era diverso da quello che aveva la sorella, ma era
altrettanto dolce.
Dopo un lunghissimo anno, sentii il bisogno di piangere.
Mentre eravamo ancora abbracciati, avvinghiati più che
altro, ''Ho perso tante persone importanti nella mia vita'' sussurrai.
''Non ti voglio perdere, Lydia. Non di nuovo, ti prego''
Non so con che coraggio e che faccia tosta le dissi una cosa del
genere, perchè sapevo che l'avevo trattata malissimo e che
lei avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per odiarmi e
allontanarmi. Ma non fece nessuna delle due cose, e ne ebbi la conferma
quando parlò.
''Non mi hai mai persa'' disse, in un sussurro.
Non fui io a sciogliere quell'abbraccio, anche perchè non ne
avrei mai avuto la forza, ma lei. Si allontanò dopo
pochissimo tempo, a parer mio, e prese a stringersi la coda di capelli
fra le dita.
''Non posso restare'' soffiò. ''Mi dispiace tanto Harry, ma
non posso restare''
Mi innervosii per un motivo che non mi fu neanche tanto chiaro, tanto
che fui tentato di urlarle che doveva smetterla di scappare. Ma tutto
quello che dissi fu un leggero ''Perchè?''
''I miei genitori...'' sospirò. ''Tu non sai in che
situazioni siamo, per questo non potresti mai capire''
''Prova a spiegarmi''
Prese a camminare convulsamente attraverso la stanza, sciogliendo una
volta e per tutte i capelli rossi. ''Dopo la morte di Ria sono
cambiati. Non abbiamo mai avuto un buon rapporto neanche quando lei era
in vita, siccome avevo deciso di abbandonare Yale e tutto il resto, ma
dopo la sua morte la situazione è precipitata. Non tanto con
mio padre, quanto con mia madre che è particolamente
orgogliosa e rancorosa. Non mi parla quasi più, quando la
chiamo sembra irritata'' sembrò quasi che stesse per
piangere. ''Vorrei tanto che Ria fosse qui, lei saprebbe cosa dirmi.
Forse non avrei dovuto lasciare Yale e magari, adesso, la situazione
sarebbe diversa''
''Tu non hai fatto niente di male'' esclamai. ''Non avrebbe avuto senso
continuare qualcosa che non ti piaceva. E' del tuo futuro che stiamo
parlando, Lydia, non del loro''
Lei sospirò ancora. ''Dico solamente che, in questo momento
delle nostre vite, dovremmo essere uniti no? Sostenerci a vicenda. Loro
hanno perso una figlia, ma io ho perso una sorella. Ho perso la mia
sorellina'' la sua voce era rotta da un pianto imminente. ''Dovrebbero
starmi vicini, e io potrei star vicina a loro. Invece sembra si stiano
allontanando. Li ho delusi così tanto?''
Mi avvicinai a lei nel momento in cui una lacrima
capitombolò per la sua guancia paffuta. ''No'' esclamai.
''Non hai deluso nessuno. Loro...stanno male, hanno solo preso questa
perdita duramente. Sono medici, salvano vite ogni giorno ma non hanno
potuto salvare la loro figlia minore. Non è facile per loro.
Vorrebbero starti vicino, ne sono sicuro, ma...non ce la fanno''
Aveva senso?
In realtà ero il primo a condannarli, il loro comportamento
non era nè maturo nè giusto. Lydia aveva ventitre
anni ma aveva ancora, e soprattutto, bisogno del loro appoggio e di
qualche loro parola di conforto. Anche lei era una loro figlia. Li
avrei volentieri presi a pugni, ma non dissi niente di tutto questo.
Non ne aveva bisogno e non lo meritava.
''Io...'' passò una mano disperata sul volto. ''Loro non
sanno neanche che sono tornata. Non glielo ho detto''
''Come?'' mi sorpresi. ''E perchè?''
''Perchè non ce la farei a sostenere i loro sguardi''
trattenne a stento le lacrime, guardando la punta delle sue pantofole
verdi. ''Non ce la farei a dirgli che devo ritornare a casa, a Berlino''
Proprio quando stavo per parlare, per dire qualsiasi cosa, lei mi
precedette. Lydia sembrava quasi un vaso pieno d'acqua, che aveva
sostenuto in silenzio il suo peso per tanto tempo ma che - alla fine -
era esplosa.
''Sai, Harry, quando dici che sono una codarda e che non faccio altro
che scappare hai ragione'' un'altra lacrima rigò il suo
volto. Avrei voluto prendermi a pugni da solo, per le parole che le
avevo detto.
''Io non le pensavo'' mi affrettai a dire. ''Non pensavo niente di
quello che...''
''Fammi finire'' alzò una mano, bloccandomi. ''Hai ragione
perchè, alla fine, è sempre stato quello che ho
fatto. Ma la verità è che non ce la farei a
guardarli mentre si domandano che cosa farò del mio futuro,
perchè abbia deciso di non laurearmi e di seguire i loro
passi, perchè abbia incontrato Federico'' a quel nome
tremai. ''E hanno ragione. Anche io mi odio per aver lasciato tutto e
per aver scelto Federico, ma non mi pento di essere andata in Germania.
E non perchè Berlino mi piaccia, o perchè mi
piaccia il tedesco o i tedeschi. Semplicemente perchè sono
lontana dai miei genitori, da Londra, e dalla mia vita quì
che era troppo
piena di Ria'' scosse la testa. ''Sono una codarda'' scrollò
le spalle. ''Ma non posso farci niente, perchè non sono
masochista. Non ce la faccio a restare quì, Harry. Mi viene
solo da piangere''
A quel punto, lo fece. Si coprì il volto con le mani e
pianse. Io non mi mossi nè feci qualcosa perchè
ero paralizzato. Avrei voluto baciare tutte le sue lacrime e dirle che
non era codarda ma che teneva solamente a stare bene.
Provai ad avvicinarmi ma ci rinunciai.
''No'' dissi, calmo. ''Non è vero. Tu vuoi solo tornare a
respirare, e non c'è niente di sbagliato in questo.
Dopotutto, considerato il rapporto che hai con i tuoi genitori, non
avresti neanche un motivo per restare''
Lei mi guardò, con gli occhi umidi e bagnati, e stette in
silenzio per qualche minuto. ''Io ti amo, Harry'' disse con
naturalezza. ''Ti amo, e questo è un motivo''
Mi immobilizzai, di nuovo. Avevo sentito bene? Me lo aveva davvero
detto? Se fossimo stati in un'altra circostanza l'avrei baciata e le
avrei detto che, sì, anche io la amavo. Ma non era
così, e non eravamo in un'altra situazione.
Eravamo sempre noi.
Se le avessi detto che ricambiavo i suoi sentimenti, cosa che era vera,
avevo paura che non sarebbe più partita. Riuscivo a leggere
l'indecisione nei suoi occhi, il dubbio che le si era insinuato.
Aspettava solamente un motivo per annullare quel volo che l'avrebbe
portata ad una vita che non le piaceva, e dalla quale era evasa. Io non
sarei stato quel motivo.
Non perchè non volessi che restasse, anzi, ma
perchè avrebbe sofferto come avevo sofferto io. E non lo
volevo. Avrei fatto di tutto per evitarlo.
''Buon viaggio'' dissi, velocemente e cercando di non far trapelare
nessuna emozione.
''Cosa?'' sgranò gli occhi lei, non preparata a quella
risposta inopportuna.
''Buon viaggio, Lydia'' mi avvicinai e le lasciai un bacio sulla
guancia. Non potevo andarmene senza aver fatto nemmeno quello,
perchè non sapevo quando l'avrei rivista. Se sarebbe
successo.
Uscii dalla sua stanza in silenzio tombale.
Ti amo anche io.
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Cara's pov
''Ti
prego'' lo implorai. ''Non farmi fare brutta figura''
Josh mi
guardò con una finta espressione offesa, prima di sbuffare e
mettersi la maglietta nera. Ero piombata nella sua camera come una
furia, alle due e mezza del pomeriggio, dicendogli che alle tre sarebbe
venuto- niente poco di meno che- Niall Horan. Aveva reagito piuttosto
male, considerato che non aveva detto una parola.
E, solitamente, Josh
parlava anche quando doveva stare zitto.
''Mi parli,
perlomeno?'' sbottai, con le mani sui fianchi, dal momento che non
accennava a prender parola. ''Il gatto ti ha mangiato la lingua?''
''Non abbiamo nessun
gatto'' rispose prontamente, facendo una sottospecie di risata. Solo
lui poteva ridere alle sue battute deficienti.
''Josh'' sospirai.
''Te lo chiedo per piacere. Nessun girare per la casa in mutande''
elencai con le dita. ''Nessun grattarti il culo pubblicamente, nessun
insulto velato, nessuna battutina deficiente, e non parlare
assolutamente di me come se non ci fossi e come, solitamente, fai''
Lui si
grattò il capo, con fare confuso. Nonostante si ostinasse a
comportarsi da stupido, sapevo benissimo che capiva fin troppo bene
quello che dicevo e tutte le parole che nascondevo dietro altre. Mi
conosceva fin troppo bene, condividendo l'appartamento con me da
quattro anni.
''Sono davvero un
sacco di cose'' esclamò, fintamente sconvolto.
''Per favore'' unii
le mani a mò di preghiera. ''Ti prego, farò tutto
quello che vuoi''
''Tutto tutto?''
sguazzò.
''Non tutto tutto'' assottigliai lo sguardo.
Conoscevo bene anche io lui. ''Diciamo che dipende''
''Da cosa?''
sogghignò.
''Smettila''
ringhiai. ''Non deve essere poi tanto difficile per un ventitreenne
comportarsi civilmente, no?''
''Forse''
scrollò le spalle. ''Comunque va bene, proverò a comportarmi
civilmente''
imitò la mia voce sottile.
''Grazie'' gli saltai
praticamente al collo, abbracciandolo un secondo prima che lui si
discostaste. ''Niente smancerie, Archibald'' mi prese in giro,
sistemando un paio di t-shirt sul letto.
Io sbuffai e mi sedei
sul materasso della sua camera, prendendo a giocare con una ciocca di
capelli neri e aspettanndo impaziente l'arrivo delle tre. Speravo
vivamente che Niall fosse un tipo puntuale.
''Dimmi un
pò'' iniziò Josh, dando vita a tutta la sua
solita curiosità irritante. ''Come mai il biondino viene a
casa nostra oggi?''
Glielo avevo letto
nelle iridi dall'inizio, che voleva sapere il motivo di quella visita
insolita. Dopotutto, gli avevo parlato abbastanza male di Niall
all'inizio e non avevo avuto modo di rimangiarmi le parole.
Scrollai le spalle.
''Suppongo per fare due chiacchiere'' evasi.
''Due chiacchiere?''
scosse il capo e i suoi capelli bruni e gelatinati ondeggiarono. ''E da
quando fai due chiacchiere con una popstar miliardaria?''
''Da oggi'' sbuffai.
''Non c'è niente di male. E' così strano?''
''Sei Catherine
Archibald'' sistemò una maglia nell'armadio. ''Tu non dai
confidenza, nè tantomeno inviti qualcuno a fare due
chiacchiere.
Neanche se è Niall Horan''
''Bhè''
cercai di appigliarmi a qualcosa. Aveva ragione, dopotutto, non
invitavo mai nessuno a casa nostra. ''Diciamo che mi sono sentita in
dovere di fare un'eccezione''
''Perchè
è famoso?'' mi punzecchiò.
''Non penso solamente
a diventare un avvocato di fama mondiale, lo sai?'' mi irritai. ''Non
lo sto usando, se è questo quello che pensi. Ho sempre fatto
tutto senza alcuna spinta''
''Lo so'' e mi parve
proprio sincero. ''Solo che mi sembra strano, davvero''
Non ebbi tempo di
ribattere, perchè il citofono squillò. La mattina
stessa, mentre ero in pausa pranzo, avevo mandato a Niall un messaggio
con l'indirizzo di casa sperando indovinasse la strada. Considerato che
erano le tre meno dieci, e che era in anticipo, supposi non ci avesse
messo molto.
''Mi raccomando''
dissi a Josh, prima di alzarmi e sistemarmi la camicia. ''Ricorda che
hai promesso''
''Io non ho promesso
niente'' mi lasciò un pizzico sulla guancia, spingendomi
verso la scala che conduceva al piano inferiore. ''Salutamelo''
ironizzò, e ''certo'' scossi la testa.
Scesi le scale di
corsa, come non avevo mai fatto, e presi il citofono. Non potevo
nascondere un pochino di ansia, non perchè fosse un ragazzo
ma perchè era Niall Horan. E Josh non mi aveva aiutata
affatto, come al solito.
Gli aprii il cancello
principale, quando al mio ''chi è?'' rispose con un secco e
semplicissimo ''io''. Iniziai a domandarmi come avrei dovuto reagire, a
cosa avrei dovuto dire, come avrei dovuto comportarmi. Non ero la tipa
da complessi e dubbi, ma Niall faceva andare in crisi la Catherine
Archibald che avevo sempre creduto di essere. E che perfino Josh
credeva che fossi.
Quando
bussò leggermente alla porta, sospirai e presi un grande
respiro, scrollando le spalle. Era solo un ragazzo, come tanti altri
che avevo frequentato e che avrei frequentato ancora.
Aprii la porta di
legno laccato di bianco, e mi trovai davanti i suoi occhi
incredibilmente azzurri.
Probabilmente, in
un'altra situazione, avrei potuto vederli magnifici e trasparenti. Ma
non in quella. Gli occhi di Niall erano sempre e continuamente, da
quando l'avevo conosciuto, velati di qualcosa che non riuscivo ad
indentificare. Come una cappa di tristezza mista a malinconia, che a
volte finiva anche per terrorizzarmi e mettermi in soggezione.
Avrei tanto voluto
aiutarlo, e mentre lo guardai- quel pomeriggio- mi convinsi che forse
avrei potuto farlo.
Aiutare le persone
era sempre stato il mio lavoro, ma mi sarebbe piaciuto aiutare qualcuno
senza alcun fine. Mi avrebbe gratificata ancora di più.
Niall indossava una semplice canotta bianca, che accentuava i leggeri
muscoli sulle braccia, e un pantalone color ghiaccio. Un paio di Rayban
e un beanie coprivano il suo volto, altrimenti troppo esposto alla
gente.
''Non mi fai
entrare?'' iroinizzò, e solo allora realizzai quanto mi
fossi effettivamente incantata.
Scossi la testa,
sorridendo nervosa, e aprendo di più la porta. ''Prego'' gli
dissi, sempre sorridendo.
Lui entrò,
con una calma che invidiai e una padronanza del posto che non sapevo
neanche da dove venisse. Io chiusi la porta e lo raggiunsi, con le mani
nascoste nelle tasche posteriori dei miei jeans scuri.
Come potevo sentirmi
fuori posto a casa mia?
''Allora'' inizia,
raggiungendolo. ''Come stai?''
Lui si
voltò, dal momento che fino ad un secondo prima mi stava
dando le spalle, e prese ad osservarmi a lungo e troppo. ''Tu?''
chiese, dopo aver scrollato le spalle.
''Bene'' risposi,
prontamente. ''Siediti pure'' indicai il divano in pelle, e lui si
accomodò tranquillamente. ''Vuoi qualcosa?'' ero in ansia,
ed era palese. Presi a torturarmi i capelli come non avevo mai fatto in
vita mia, e li maledissi uno per uno. Inoltre, ero ad una distanza si
sicurezza da lui ed era chiaro anche quello.
''Si'' rispose alla
mia domanda di cortesia. ''Voglio che ti siedi e smetti di strapparti i
capelli'' fece qualcosa di molto simile ad un sorriso. L'aveva capito,
chiaramente. Io obbedii, avvicinandomi molto lentamente e sedendomi
molto distante da lui- dall'altra parte del divano enorme. Era come se
avessi avuto paura di disturbarlo con la mia vicinanza, o di metterlo
in imbarazzo, dopo quello che era successo e che mi aveva detto il
giorno prima.
''Non ti bacio di
nuovo'' diede voce ai miei pensieri. ''Tranquilla, puoi avvicinarti''
Io sorrisi a quella
che doveva essere una battuta, ma che mi aizzò ancora di
più. Possibile che fosse così pacato e calmo?
''Il motivo
principale per cui sono venuto'' iniziò, spezzando il
silenzio che si era venuto a creare. ''E' per chiederti scusa''
Io mi riscossi.
''Scusa?''
Lui annuì.
''Si'' confermò. ''Scusa per come mi sono comportato ieri.
Sono stato un vero stronzo e mi dispiace davvero. Non avrei dovuto''
sospirò, come se gli costasse fatica dirlo. ''Non avrei
dovuto baciarti, nè dirti tutte quelle cose. Non mi
sorprenderei se, adesso, anche tu iniziassi a vedermi come il povero
cantante che ha perso la ragazza che ama''
E quelle parole mi
tagliarono come lame. Improvvisamente mi resi conto del
perchè Niall avesse detto quelle cose a me, il giorno prima,
e non a nessuno dei suoi migliori amici. Evidentemente li avrebbe
solamente fatti preoccupare, loro non avrebbero capito e avrebbe
continuato a compiatirlo. Era chiaro che non volesse la compassione di
nessuno. Parlare con una mezza sconosciuta era stata quasi una
liberazione per lui, convinto che si sarebbe liberato almeno un
pò.
Sperai che fosse
stato così, ma avevo i miei saldi dubbi.
''Non ti vedo affatto
come il povero
cantante che ha perso la ragazza che ama'' ripetei le sue parole.
''Non è un reato stare male per la morte di qualcuno, Niall.
Non sei onnipotente, sei umano''
Lui mi
guardò di nuovo, dopo aver spostato il suo sguardo per tutta
la casa. ''Si'' annuì. ''Ma la gente, perfino i miei amici,
sono convinti che basti un anno per tornare come prima. Si sorprendono
che io stia ancora...così'' sospirò. ''Forse
hanno ragione. Forse davvero un anno basta, ma io non ce la faccio
capisci?''
Annuii, incapace di
dire qualsiasi altra cosa. ''Si, capisco'' sussurrai, avvicinandomi di
più. ''Ma un anno non basta, e non ne basterebbero nemmeno
cento. C'è un solo modo per andare avanti''
''E sarebbe?''
''Accettare la sua
assenza'' risposi, cautamente. ''Accettare che non c'è
più e che, in un modo o nell'altro, bisogna andare avanti.
Obbligatoriamente. Se non vuoi farlo per te, fallo per le persone che
ti vogliono bene''
Sogghignò,
ma era un sogghigno triste e tirato e mi pianse il cuore.
''La fai facile''
disse, amareggiato. ''Non riuscirò mai a rassegnarmi al
fatto che non ci sia più''
''Non devi
rassegnarti'' lo corressi. ''La rassegnazione non porta mai a nulla di
buono o genuino. Devi solo capirlo ed accettarlo'' cercai di spiegarmi
meglio, per quanto potessi. ''Io non ho mai avuto a che fare con una
perdita così grande, però ho conosciuto persone
che ci sono passate. Anche se erano clienti, riuscivo a vedere nei loro
occhi la stessa cosa che vedo adesso nei tuoi. Dolore. Ma nel tuo dolore, Niall, io
riesco a vedere anche qualcosa di buono e giusto'' sospirai.
''Tipo cosa?''
chiese, quasi tentennando.
''Tipo speranza. Io
lo so che speri ancora'' dissi. ''La speranza è radicata in
tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Per quanto possa essere
difficile e controversa la vita, non la si perde mai del tutto.
Nonostante tutte le batoste che, in un modo o nell'altro, devi prendere
la speranza c'è sempre. Sempre. Io riesco a vederla nei tuoi
occhi, sotto al tuo dolore. Tu non la vedi?''
Notai quanto fosse
rimasto immobile, ed in silenzio, come se sentire quelle parole lo
facesse sentire più pesante. ''No'' ammise. ''Non la vedo''
''Io si'' risposi
prontamente e con sicurezza. ''Niente è impossibile,
credimi. Se vuoi fare qualcosa, puoi farla. L'unica cosa che devi
accettare è che lei sia morta''
Quella parola- morta-
lo riscosse. Si alzò di colpo dal divano, con una specie di
rabbia mista a pianto negli occhi, e prese a passeggiare convulsamente
nel salone. Avevo capito che quello era il suo modo personale per
scaricare la tensione.
''Tu non capisci''
urlò, in preda alla disperazione. ''Io la amo anche di
più di quando era viva, e non mi basterà mai
accettare che sia morta! Per me sarà impossibile, Cara''
''No'' urlai a mia
volta, manco stessi facendo un'arringa. ''Non è impossibile!
Lo è solo se te ne convinci, ed è esattamente
quello che stai facendo. Così non andrai mai da nessuna
parte!''
Lui rimase
interdetto, dopo le mie urla- che Josh aveva sicuramente sentito come
mezza Londra. Ma mi sentivo in dovere di sgridarlo, se era l'unico modo
per scuoterlo un pò.
''Ma che ne vuoi
sapere tu?'' urlò a sua volta, di nuovo. ''Che ne sai di
cosa significa stare male? Guardati, hai tutto quello che qualcuno
potrebbe volere!''
Quell'affermazione mi
irritò non poco. Chi si credeva di essere per giudicare la
mia vita, senza conoscerne proprio niente? Come osava, dopo che avevo
anche cercato di aiutarlo?
''Sei tu che non sai
niente di me!'' sbraitai. ''Non ti permetto di venire in casa mia e di
giudicarmi! Non sai quello che ho passato nella mia vita, per cui
taci!''
Lui rise falsamente.
''E, sentiamo, con questo cosa vorresti dire? Non puoi dirmi di accettare la morte della persona che
amo di più al mondo come fosse acqua fresca. Lo capisci?''
''Allora scusami se
ho cercato di aiutarti'' moderai il mio tono. ''Ma credi che tutto ti
sia dovuto, solamente perchè sei Niall Horan? Scendi con i
piedi per terra''
''Io non credo che mi
sia dovuto proprio niente'' riprese ad urlare. ''Solo che mi urta il
tuo modo di fare, tutto qui! Mi urta il fatto che stai parlando di una
morte come se fosse qualcosa da mangiare! La vita non è uno
studio legale, Cara, ed io non sono un tuo cliente. Non ti sto
chiedendo aiuto per un testamento, nè tantomeno per un
divorzio!''
''Bene!'' urlai di
nuovo anche io. ''Allora, dal momento che la vita non è uno
studio legale e che tu non sei un mio cliente, puoi anche andartene!''
Non ero mai stata un
tipo tollerante e paziente, nè tantomeno con persone che si
credevano il centro del mondo e che pensavano che fossero le uniche
sulla faccia della terra a soffrire. La prima impressione che avevo
avuto di lui era proprio giusta: Niall Horan era solo un pallone
gonfiato.
Lui rimase interdetto
per qualche minuto, come se non si aspettasse che dicessi proprio
quelle parole, e si fermò di colpo dalla sua frenetica
camminata.
Mi guardò
con così tanta rabbia che ebbi quasi paura, sembrava volermi
incenerire con lo sguardo.
''Perfetto'' disse, a
bassa voce. Prese il cellulare che aveva abbandonato sul tavolino
giapponese al centro del salotto e ritornò a fissarmi. ''E,
comunque, sei tu che dovresti scendere con i piedi per terra''
Ma proprio nel
momento in cui Niall si stava dirigendo verso la porta, qualcuno
suonò al campanello. Mi chiesi perchè non avesse
prima suonato al citofono, ma evidentemente il caro Niall Horan aveva
lasciato il portone aperto. Lo guardai truce, prima di correre quasi
verso la porta bianca, come fosse una via di fuga da lui e dal suo
sguardo indagatore e scavatore.
Ma quando l'aprii,
preferii non averlo mai fatto.
I suoi capelli erano
proprio come li ricordavo: ricci e leggermente crespi, molto
più lunghi dell'ultima volta. Gli occhi di quel nero cinereo
che somigliavano tanto a quelli di Penelope, e lo stesso- identico-
taglio di occhi. A mandorla, sfilati, aggraziati all'ennesima potenza.
Erano stati la cosa che più avevo amato di lui.
Indossava una
semplice camicia bianchissima e un classico pantalone di cachemire, ai
suoi piedi le scarpe di pelle italiane che gli avevo regalato cinque
anni prima. Era poco prima che lui partisse, e che ci perdessimo di
vista- credevo- per sempre.
Rimasi immobile,
capace solo di sussurrare un ''Ronan'' prima che lui prendesse a
fissarmi insistentemente.
Avevo sempre amato il
suo sguardo vispo, ma in quel momento desiderai solo sbattergli la
porta in faccia. Ronan Hyde era la persona più egoista e
spocchiosa sulla faccia del globo, e l'avevo capito troppo tardi. Ero
stata troppo accecata dall'amore che provavo per lui per guardare in
faccia la realtà e ammetterlo a me stessa. Era sempre stato
il mio punto debole, e avevo la vaga impressione che lo fosse ancora.
''Che ci fai qui?''
domandai.
Per di più
sentivo lo sguardo di Niall, che si era avvicinato, traforarmi la
schiena. La mia voce era tesa ed infastidita, me ne accorsi perfino io
ed evidentemente anche lui, perchè si avvicinò
ancora di più. Tuttavia, era ancora troppo distante
perchè Ronan potesse vederlo, nascosto dalla porta spessa.
''Catherine''
sorrise, maligno. Lo detestai ancora di più. ''Ciao anche a
te''
''Che vuoi?''
insistei. ''E' da cinque anni che non ti fai vedere''
''Dov'è
Penny?'' rispose con un'altra domanda. Odiavo quando faceva
così, quando si comportava come un bambino capriccioso. E
odiavo ancora di più quando pronunciava il nome di mia figlia.
Io feci per
chiudergli la porta in faccia, intenzionata a non dirgli nulla che la
riguardasse, ma lui previde le mie mosse. Come sempre.
Infilò un piede sotto la porta e la bloccò, con
la solita forza che gli davano tre ore di palestra a settimana.
''Cosa
c'è, Catherine? Stare lontana da Brighton e dai tuoi
genitori ti ha fatto perdere il senso dell'educazione?''
ironizzò. Io lasciai perdere l'idea di cacciarlo,
perchè ormai sarebbe stato impossibile. Lo conoscevo troppo
bene.
''Smettila''
ringhiai, improvvisamente. ''Non ti voglio quì, Ronan, e non
ti voglio vicino Penelope. E' chiaro? Vattene''
Lui
sogghignò e io gelai, cercando di mantenere la calma.
''Penelope è anche mia figlia, porta il mio cognome, non sei
nessuno per tenermi lontano da lei. Sei un avvocato, dovresti saperlo''
Per quanto avesse
ragione, non gli avrei mai permesso di entrare nella vita di mia figlia
e di rovinare anche la sua. Perchè Ronan era
così, non sarebbe stato un buon padre nè un buon
compagno nè un buon amico nè tantomeno una buona
persona. Mai.
''Te ne sei andato''
sputai. ''Quando ti ho detto che ero incinta, te ne sei andato con i
tuoi miliardi dimenticandoti di tua figlia. Che credibilità
credi di avere adesso, dopo cinque anni? Hai tre minuti per andartene''
Lui mi si
avvicinò e mi accarezzò la guancia, con fare
tutt'altro che affettuoso e protettivo. Era una serpe.
''Sono tornato
adesso'' sorrise. ''E non me ne vado, Catherine''
Io non ebbi la forza
di dire nient'altro. Per i primi due anni, in cui ero stata costretta a
crescere Penny senza un padre, ero stata malissimo. Le immagini tristi
e i ricordi di quel periodo buio della mia vita mi ritornarono in
mente, congelandomi al mio posto con la porta ancora mezza aperta fra
le mani. Ronan aveva tentato di distruggere tutto ciò che di
buono c'era in me, facendomi credere che fosse qualcuno di diverso da
quello che realmente era e illudendomi come una stupida. E io c'ero
cascata.
Se ne era andato da
un giorno all'altro, lasciandomi incinta di quattro mesi e convinta che
saremmo stati insieme, mentre attraversavo una crisi con i miei
genitori che non sarebbe finita mai.
Avevo solo venti
anni, e lui - che ne aveva venticinque- avrebbe dovuto starmi vicino.
Niente era andato
come avevo previsto, e se non fosse stato per l'aiuto della mia
migliore amica non avrei saputo che fare.
''Non hai sentito la
signorina?'' interruppe i miei pensieri una voce. ''Puoi anche
andartene''
Non sapevo se essere
più sorpresa perchè Niall Horan aveva appena
preso le mie difese, oppure per la faccia tramortita di Ronan quando lo
vide. ''Ma tu sei...?'' fece per chiedere.
''Sì'' si
avvicinò ancora di più il biondo. ''Niall Horan
in carne ed ossa''
Ronan era un manager,
aveva un'importantissima casa discografica ereditata dalla morte
prematura del padre. Non ignorava il nome di un singolo cantante, e
lì a Londra gli One Direction erano una specie di
divinità religiosa. Sgranò gli occhi scuri ed
indietreggiò, mentre io rimanevo in silenzio.
''O mio Dio''
balbettò. Poi tornò a fissarmi ed
indurì lo sguardo, di nuovo. ''Ci vediamo''
sputò. ''Ma non finisce quì. Mi conosci''
Io rabbrividii a
quelle parole perchè, purtroppo, lo conoscevo fin troppo
bene.
Lui, poi, si
voltò verso Niall e gli tese una mano. ''E' stato un piacere
conoscerti'' assunse la sua aria da grande datore di lavoro, e io
potevo immaginare perchè: potevo immaginare quanto lui, un
uomo assetato di potere, potesse godere nell'avere una delle band
più famose del momento nella sua agenzia.
Niall non
afferrò la sua mano, anzi, indietreggiò.
''Arrivederci'' disse, con il tono atono e monocorde che spesso aveva
utilizzato con me. Ronan parve irritato, mentre si chiuse la porta alle
spalle lanciandomi uno sguardo carico d'odio.
Era incredibile
quanto, ancora una volta, avesse improvvisamente messo sua figlia in
secondo piano per la sua carriera.
Io mi voltai verso il
biondo, ora che finalmente eravamo soli, e vidi che mi aveva dato le
spalle.
Sospirai e lo
sorpassai, recandomi in cucina. ''Se devi andare sai dov'è
la porta'' sputai, perchè non avevo per niente voglia di
mettermi a discutere anche con lui.
Ma proprio quando
Niall stava per seguire il mio consiglio, ancora una volta, qualcun ci
interruppe. Un tornado che scendeva come un pazzò dalle
scale, che sapevo essere Josh Cooper. Era stato in silenzio troppo a
lungo.
Aveva uno scatolo di
biscotti al cioccolato in mano, che probabilmente teneva in camera sua
per i suoi ''spuntini notturni'', e lo allungò a Niall
quando piombò nel salone con un tonfo e vide il suo sguardo
confuso.
''Biscotti?''
domandò sorridendo, inevitabilmente senza maglia.
Fanculo.
Ciao
ragazze c:
Per
la prima volta in vita mia non sono in ritardo, e mi sento
particolarmente soddisfatta ahahhaha
Questo
capitolo l'ho praticamente scritto di getto, esattamente l'attimo dopo
aver pubblicato quello precedente.
Visto?
L'ispirazione ogni tanto si ricorda che esisto ahahaha
E
niente, spero vi piaccia, con tutto il cuore perchè sono
INDECISA al massimo sulle sorti di questa storia.
Ho
una marea di domande che mi ronzano in testa, e TROPPE idee, che vorrei
solo scappare da me stessa lol
Comunque,
ritornando a noi, non credo ci sia molto da dire su questo capitolo: la
prima parte è incentrata su Harry
(che
chi ha letto angels among us conosce meglio come personaggio)
che
decide di lasciar andare Lydia, MA ATTENZIONE. Non lo fa
perchè non la ama, o perchè vuole andare
avanti
anche lui, anzi. Lo fa per lei, e spero di averlo fatto capire: non
vuole farla stare male chiedendole di restare,
perchè
sa che questa volta resterebbe ma starebbe male comunque. Ha un
rapporto di merda, attualmente, con i genitori lol
Comunque
farò meglio luce su questa parte più avanti,
promesso!
Riguardo
Cara e Niall....diciamo che - finalmente- si incontrano in modo
ufficiale (anche se non è un appuntamento, si intende)
e
litigano. Niall è sfrontato, soprattutto dopo la morte di
Ria, e apatico mentre Cara è una donna tosta e che
non
ammette di essere trattata male o con sufficienza. Diciamo che hanno
due caratteri incopatibili, e questo si è capito ahaha
Non
potrebbero mai non litigare, perchè sono gli opposti proprio.
Però....chi
lo sa ahahhaahha
Adesso
smetto di blaterare e vado a mangiare, siccome ho una fame di pazzi.
Spero vivamente, ancora, che
il
capitolo sia di vostro gradimento. Ringrazio le ragazze che hanno
aggiunto la storia nelle
preferite\seguite\ricordate
e per chi mi scrive un pò dappertutto.
GRAZIE
INFINITE.
Mi
farebbe piacere avere un vostro parere, magari in una piccola
recensione di 11 parole. Un bacio xx
Harryette
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