Capitolo 20 – Lizard
Peter era in ritardo per la lezione
del dottor Connors. Di nuovo.
Mentre
correva a rotta di collo verso il blocco universitario dove
avrebbe dovuto trovarsi già da una buona mezz’ora,
si strattonava la felpa davanti al petto per nascondere completamente
il suo costume rosso e blu.
Per
sfortuna e per la sua esasperazione, una testa calda aveva avuto la
brillante idea di rapinare una gioielleria dall’altro capo
della città alle dieci e mezza del mattino. Oltretutto,
quella notte era rientrato dalle sue ronde alle quattro passate, e dopo
essersi gettato a peso morto sul letto aveva dormito come un sasso sino
alle nove. Tra una cosa e l’altra, non era nemmeno riuscito a
fare colazione.
L’unica
cosa positiva era che il dottor Connors non gli
avrebbe fatto domande; l’avrebbe guardato con una
disapprovazione terribile, certo, ma per lo meno Peter non avrebbe
dovuto giustificare il proprio ritardo.
Al
liceo sarebbe stata più dura: i professori
l’avrebbero certamente subissato di domande, e lui
– dopo aver scartato scuse trite e ritrite come sono stato
male o l’autobus
era in ritardo – si sarebbe
probabilmente limitato ad un misero mi dispiace.
Proprio
mentre la meta iniziava a profilarsi davanti a lui, con la sua
forma rettangolare e il suo colore a metà tra il grigio e il
beige, Peter notò che alcuni suoi compagni di corso stavano
uscendo nel cortile, e rallentò automaticamente la propria
corsa.
Quando
i primi studenti lo raggiunsero e lo oltrepassarono, lui stava
ormai camminando, e poi si fermò per tentare di fermare
qualcuno ed informarsi su cosa fosse successo.
Nel
vedere Gwen uscire dalla porta, con una giacca verde chiaro e
qualche libro stretto al petto, Peter si mosse verso di lei senza
pensare. «Gwen!»
La
ragazza parve stupita di vederlo.
«Che
succede?» domandò lui.
«La lezione è già finita?»
Lei
fece un cenno di diniego. «Il professor Connors
è assente» spiegò. «Pare che
si senta poco bene».
«Oh»
disse Peter.
«Già».
Per
un istante, rimasero l’uno di fronte all’altra,
immersi in un silenzio imbarazzato.
«Senti,
Peter» iniziò poi Gwen,
guardando con decisione da tutt’altra parte, «ho
deciso di accettare le tue scuse».
Peter
la fissò, preso alla sprovvista, ma poi si
sentì sommergere dal sollievo. «Davvero? Gwen,
questo è… Grazie».
«Immagino
che tutti possano fare degli sbagli»
concesse la ragazza, sempre guardando altrove.
«Sì»
disse Peter, sentendo le proprie
guance andare a fuoco al ricordo di come si era comportato.
Gwen
lo inchiodò con uno sguardo serissimo. «Ma
una cosa è farne uno, un’altra è farne
due».
L’avvertimento
era più che chiaro, e Peter si
affrettò ad annuire. «Già»
concordò. «Hai ragione. Certo che hai ragione.
Errare è umano, ma perseverare è diabolico, lo
so…»
La
ragazza parve rilassarsi appena.
«D’accordo» disse, accennando un piccolo
sorriso.
Peter
le sorrise di rimando, grato per quella seconda chance. Gli
pareva di averne ricevute più di quanto ne avrebbe meritate,
ultimamente. Con MJ, con Harry…
«È
mezzogiorno, ormai»
commentò la ragazza. «Ti va di andare a prendere
qualcosa al bar dell’università?»
Peter
si affrettò ad annuire, mentre il suo stomaco
gorgogliava. «Volentieri».
«Signor
Osborn?»
Harry
si voltò verso la soglia del salotto.
«Sì, Bernard?»
«La
signorina Allen è qui sotto. Dice che deve
consegnarle qualcosa».
Il
giovane sbatté le palpebre e diede un’occhiata
al proprio cellulare. Aveva trascorso gran parte della mattina
scambiando messaggi con Mary Jane… Poi, ad un certo punto,
gli aveva scritto Liz, chiedendogli se era a casa e se aveva qualcosa
da fare. Lui aveva risposto di sì alla prima domanda e di no
alla seconda, ma a quel punto dalla ragazza non era più
arrivato alcun SMS.
Forse
adesso avrebbe scoperto cosa aveva in mente.
«Va
bene, Bernard» disse, raddrizzandosi
– sino a quel momento, era stato mezzo stravaccato sul
divano. «Falla salire».
L’uomo
annuì, e si allontanò in
corridoio.
Harry
abbassò lo sguardo sulla camicia bianca e un
po’ larga che indossava. Siccome aveva in programma di
rimanere a casa tutta la mattina, non l’aveva abbottonata da
cima a fondo, e l’aveva lasciata un po’ aperta
sotto il proprio mento.
Ora
la abbottonò completamente aggrottando la fronte,
dopodiché si alzò e si diresse
nell’ingresso.
Arrivò
in tempo per accogliere Liz sulla soglia di casa.
«Ehi» la salutò, «che ci fai
qui?»
Per
tutta risposta, lei gli aprì sotto il naso il sacchetto
di plastica che reggeva, mostrandogli una vaschetta di polistirolo.
«Ti ho portato un po’ di gelato da mangiare sul tuo
divano» annunciò.
Lui
alzò lo sguardo sulla ragazza. «Oh».
Il
sorriso un po’ impacciato di Liz svanì subito.
«Certo, se ne hai voglia» si affrettò a
dire lei. «Insomma, potresti anche tenerlo in congelatore e
mangiarlo un altro giorno, e non per forza sul tuo divano. Io posso
anche andare…» Aggrottò la fronte.
«Ora che ci penso, mi sono praticamente autoinvitata a casa
tua, e questo non è molto educato. Non voglio che
credi…»
«Liz»
disse Harry, interrompendo quel torrente di
parole. «È tutto okay. Mi va un po’ di
gelato in compagnia».
La
ragazza respirò, evidentemente sollevata.
«Davvero?»
«Ma
certo» replicò lui. «In
fondo è quasi ora di pranzo, e cosa c’è
di meglio che guastarsi l’appetito con un’intera
vaschetta di gelato?»
Credeva
che questo l’avrebbe fatta ridere, ma Liz lo
fissò con una punta di orrore. «Hai
ragione» iniziò. «Anche
l’orario è…»
«Ehi,
stavo scherzando» disse Henry, mettendole
d’impulso le mani sulle spalle.
La
ragazza sbatté le palpebre e lo fissò, e lui
la lasciò andare immediatamente.
Invece,
fece un gesto galante in direzione del soggiorno. «Se
vuole seguirmi, signorina…»
«Non
pensavo che la torta fosse così
pessima».
Gwen
sorrise. «Ti avevo avvertito».
«E
avrei dovuto ascoltarti» replicò
Peter, portandosi una mano al collo come per strangolarsi da solo.
La
ragazza scosse la testa. «Ma non sei mai stato al bar
dell’università?»
«Uhm,
di solito non ho tempo per fermarmi a fare uno
spuntino».
Gwen
aprì la bocca per replicare, ma a quel punto udirono
delle grida provenire dal fondo del corridoio. Si fermarono entrambi, e
la ragazza balbettò: «Ma
cosa…?»
Subito
dopo, degli studenti arrivarono correndo nella loro direzione.
Uno inciampò e cadde sulle proprie ginocchia, ma si
rialzò subito e riprese la propria fuga.
«Via!
Via di qui!» urlò un altro,
superandoli di gran carriera.
Gwen
rivolse a Peter uno sguardo sgomento, e lui si portò
istintivamente una mano al petto. Quegli studenti stavano scappando da
qualcosa… e quel qualcosa sembrava richiedere
l’intervento di Spider-Man.
Il
giovane si voltò verso l’amica. «Tu
va’».
Gwen
lo fissò con aria incredula.
«Peter!» esclamò, allarmata, quando lui
mosse un passo verso il punto da cui arrivavano le grida.
«Che cosa stai facendo?!»
«Devo…
uhm… devo contattare
Spider-Man» le disse lui, in fretta. «Fargli delle
fotografie per il Bugle, se ci riesco».
«Ma
non sai cosa ci sia laggiù!»
protestò Gwen. «Potrebbe essere
pericoloso!»
Lui
annuì, girandosi verso di lei ma iniziando a camminare
all’indietro. «Lo so, per questo ti ho chiesto di
andar via da qui».
La
ragazza scosse la testa, fissandolo negli occhi.
Peter
capiva che doveva essere terrorizzata, ma non aveva tempo di
rassicurarla. «Sta’ attenta» le
raccomandò soltanto, un’ultima volta, prima di
voltarsi ed iniziare a correre verso il luogo da cui provenivano gli
studenti terrorizzati.
«Peter!»
Per
il suo sollievo, Gwen non lo seguì. Non appena ebbe
svoltato l’angolo, Peter si infilò in
un’aula vuota e si tolse i vestiti in fretta e furia. Siccome
un posto migliore non era disponibile, li ficcò nei cassetti
della cattedra, quindi uscì e riprese la corsa, stavolta
come Uomo Ragno.
Il
frastuono proveniva da uno dei laboratori, una lunga stanza che
ospitava dei tavoli sopra i quali erano posati telescopi e innumerevoli
campioni da esaminare.
Sul
fondo dell’aula, erano rannicchiati alcuni studenti
terrorizzati. E tra loro e la porta si trovava… si
trovava…
«Ma
che diavolo?» fiatò Peter.
Sembrava
una lucertola, però era molto, molto più
grande. Era delle dimensioni di un essere umano, con grandi squame
verde scuro, un muso allungato, occhietti neri e lucidi, ed una lunga
coda.
Modestia
a parte, Peter si riteneva una persona piuttosto intelligente.
La fatidica puntura di un ragno, poi, gli aveva conferito una serie di
incredibili abilità.
Nonostante
tutto questo, però, rimase per un momento
raggelato sulla soglia, senza avere la più pallida idea di
cosa fare.
Si
riscosse quasi subito, mentre il lucertolone capovolgeva un tavolo
con un colpo di coda ed uno degli studenti soffocava un grido di
terrore.
Peter
si disse che attirare l’attenzione della creatura
sarebbe stato un buon primo passo. Si girò verso la sedia
più vicina e la afferrò con un fiotto di
ragnatele, per poi scaraventarla contro il dorso scaglioso del suo
avversario.
«Ehi,
amico!» lo chiamò.
«Guardami, sono qui!»
Il
rettile si girò con un sibilo, e i suoi occhi scuri si
fissarono su di lui. Una lingua biforcuta guizzò tra le
fauci. «Sssspider-Man!»
Peter
strabuzzò gli occhi. Il lucertolone poteva parlare?
Questo non se l’aspettava.
Be’,
forse se poteva parlare era possibile ragionare con
lui…
Il
giovane tese le braccia in avanti. «Ehi, amico…
che ne dici se ci allontaniamo di qui? Possiamo andare in un posto
più tranquillo».
Per
tutta risposta, il lucertolone sbatté la propria coda
contro un tavolo, mandando gambe all’aria in un frastuono di
provette che s’infrangevano.
«Lo
prendo come un no».
Peter
balzò in alto per evitare un colpo di coda che
sembrava diretto proprio alla sua faccia, dopodiché
indietreggiò con un salto.
«Vieni!»
chiamò. «Vieni, vieni
qui!»
Siccome
le parole non sembravano sortire l’effetto
desiderato, il giovane sospirò ed afferrò
un’altra sedia con una nuova ragnatela, mandando anche questa
ad abbattersi contro la lucertolona.
L’attacco
strappò un sibilo furioso alla creatura,
che si voltò nuovamente verso di lui.
Peter
ebbe la netta impressione di essersi finalmente guadagnato tutta
la sua attenzione. Indietreggiò nel corridoio, lanciando
un’occhiata sfuggente agli studenti intrappolati nel
laboratorio.
«Sai
cosa mi chiedo?» gridò poi, rivolto
al suo squamoso avversario. «Tu… sei una lucertola
molto grossa… o un T-Rex molto piccolo? In ogni caso, sei
davvero molto verde».
“Molto
verde?” si chiese subito dopo.
Era
una situazione critica, però. Nessuno avrebbe potuto
biasimarlo se non era riuscito a tirar fuori qualcosa di meglio. Ma
avrebbe dovuto evitare di raccontarlo a Harry, o era probabile che
l’amico l’avrebbe preso in giro per
l’eternità.
Riusciva
quasi a sentirlo… E
questo è il
leggendario senso dell’umorismo di Spider-Man? Si vede che il
sarcasmo dei ragni e quello degli esseri umani non si somigliano
proprio!
Peter
continuò ad indietreggiare con gli occhi puntati sul
lucertolone. Quest’ultimo arrancava verso di lui e, sebbene
non fosse molto agile, era abbastanza veloce.
«Seguimi!
Seguimi!»
Mentre
lo guidava lungo il corridoio, cercò di pensare ad un
modo per metterlo K.O. Era probabile che avrebbe dovuto colpirlo con
qualcosa di duro… Dubitava che la sua forza – per
quanto superiore alla media – sarebbe bastata.
Dopotutto
era una lucertola, però… Se
l’avesse tenuta al freddo e lontana dal sole sarebbe svenuta
o qualcosa del genere?
Effettivamente…
Peter non ne sapeva molto di animali del
genere.
Non
ebbe neanche il tempo di riflettervi sopra, però.
Il
suo sesto senso gli scampanellò un avvertimento nella
testa. Un pericolo, proveniente non dal mostro che aveva
davanti… ma da qualcosa alle sue spalle.
Peter
si voltò di scatto, appena in tempo per vedere un
gruppo di poliziotti armati emergere dal fondo del corridoio. Gli
agenti presero quasi subito a sparare nella loro direzione, ed il
giovane si lanciò sul soffitto con uno squittio indignato ed
assai poco dignitoso.
La
lucertola emise uno strano verso, poi indietreggiò e si
diede alla fuga.
«Oh,
diamine» gemette Peter. Sperava solo che non
fosse tornata al laboratorio… Fece per spostarsi…
e poi il suo istinto gli urlò di saltare di lato.
Il
giovane eseguì, ma non fu abbastanza rapido. Un dolore
lancinante gli perforò il braccio sinistro, e lui diede
un’occhiata sopra la propria spalla in tempo per vedere un
poliziotto abbassare la pistola con mani tremanti.
L’aveva
colpito di striscio, ma bruciava da morire, ed alcune
gocce di sangue avevano iniziato a raccogliersi sulla ferita.
Per
un momento, il dolore gli annebbiò la vista e gli fece
girare la testa. Peter perse la presa sul soffitto e cadde pesantemente
sul pavimento.
Restò
disteso lì per qualche secondo, mentre un
gemito gli sfuggiva dalle labbra. Poi sentì alcuni passi che
si avvicinavano… e fu rapido a balzare in piedi.
Faceva
proprio male.
Peter
non riuscì a non domandarsi se era questo che aveva
provato lo zio Ben… Questo, certo… solo mille
volte peggio.
Il
respiro gli si bloccò in gola e, quando si
voltò e si mise a correre con una mano contro la ferita, non
lo fece per andare a cercare il lucertolone gigante, ma per scappare da
lì.
«Non
so cosa mi abbia preso, MJ».
La
ragazza, intenta a disinfettargli la spalla, sollevò un
istante gli occhi. Aveva il viso pallido, segnato dalla preoccupazione.
Peter
non ricordava chiaramente la propria fuga
dall’università. Sapeva solo che ad un certo punto
si era ritrovato davanti all’appartamento della sua
fidanzata, e che ora era seduto sul tavolo nella sua cucina mentre lei
si prendeva cura di lui.
«Voglio
dire, quel mostro potrebbe aver fatto del male
a…» Si interruppe con un sibilo di dolore.
Mary
Jane buttò sul tavolo i batuffoli di cotone che aveva
utilizzato per pulire il taglio. Erano sporchi di sangue. «Ti
ho già detto che è scappato» gli disse.
«L’ho sentito alla radio».
«Sì,
ma adesso dove può essere? In giro
per la città a spaventare degli innocenti?»
Mary
Jane aggrottò la fronte e sollevò lo sguardo
su di lui. «Non puoi incolparti di questo».
Peter
si premette un pugno sulla fronte. «Avrei dovuto
metterlo K.O., avrei…»
«Peter,
ti hanno sparato!» esclamò la
ragazza. «Semmai è quel poliziotto che dovrebbe
sentirsi responsabile».
Lui
scrollò le spalle – pessima idea, lo
informò una fitta di dolore. «Be’, sai
com’è. Sono una minaccia eccetera».
Mary
Jane lo incenerì con un’occhiata.
«Questo è assurdo» ribatté.
«Ti hanno persino consegnato le chiavi della
città!»
«MJ…»
«La
gente ti adora, sa che può contare su di te,
ma deve saltare fuori uno sbirro deficiente…»
«MJ…»
«…che
decide di spararti per qualche stupida
ragione, in un momento in cui chiaramente non sei la minaccia
più grave… ammettendo che tu sia una minaccia,
cosa di cui…»
«MJ!»
Peter le premette un dito sulle labbra, e lei
tacque. «Sto bene, davvero. O meglio… e sono
onesto perché non voglio trasformarmi in un Harry
2.0… sono un po’ dolorante, ma mi
passerà. Sono tutto intero».
Le
labbra di Mary Jane tremarono. Senza dire nulla, lei lo
circondò con le braccia, ed appoggiò la testa
sulla sua spalla sana.
Peter
la cinse con gentilezza, sfiorandole i capelli rossi.
«Sto bene» ripeté, ed era vero.
Adesso era vero.
Note:
Ebbene sì, sono tornata.
Mi scuso immensamente per l’enorme, mostruoso ritardo, e
spero che questo capitolo non sia noioso, e di riuscire a riprendere un
ritmo di aggiornamento quantomeno decente.
Intanto, vi do appuntamento a domenica 18 gennaio
per il prossimo
capitolo!
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