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Autore: 9Pepe4    04/01/2015    4 recensioni
Aggiornamento rimandato perché sono un disastro ;_;
Harry Osborn è sopravvissuto allo scontro con Venom e Sandman.
Ora che sa la verità, la sua amicizia con Peter e Mary Jane è più forte che mai, e in ospedale il ragazzo conosce Liz Allen, una giovane infermiera che farà del suo meglio per aiutarlo.
Ma nuove nubi si profilano all’orizzonte...
[Attenzione! Presenza di personaggi del fumetto mai apparsi al cinema!]
(Aggiunto capitolo 22: Un piccolo imprevisto)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Osborn, Mary Jane Watson, Peter Parker
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 20 – Lizard

Peter era in ritardo per la lezione del dottor Connors. Di nuovo.
Mentre correva a rotta di collo verso il blocco universitario dove avrebbe dovuto trovarsi già da una buona mezz’ora, si strattonava la felpa davanti al petto per nascondere completamente il suo costume rosso e blu.
Per sfortuna e per la sua esasperazione, una testa calda aveva avuto la brillante idea di rapinare una gioielleria dall’altro capo della città alle dieci e mezza del mattino. Oltretutto, quella notte era rientrato dalle sue ronde alle quattro passate, e dopo essersi gettato a peso morto sul letto aveva dormito come un sasso sino alle nove. Tra una cosa e l’altra, non era nemmeno riuscito a fare colazione.
L’unica cosa positiva era che il dottor Connors non gli avrebbe fatto domande; l’avrebbe guardato con una disapprovazione terribile, certo, ma per lo meno Peter non avrebbe dovuto giustificare il proprio ritardo.
Al liceo sarebbe stata più dura: i professori l’avrebbero certamente subissato di domande, e lui – dopo aver scartato scuse trite e ritrite come sono stato male o l’autobus era in ritardo – si sarebbe probabilmente limitato ad un misero mi dispiace.
Proprio mentre la meta iniziava a profilarsi davanti a lui, con la sua forma rettangolare e il suo colore a metà tra il grigio e il beige, Peter notò che alcuni suoi compagni di corso stavano uscendo nel cortile, e rallentò automaticamente la propria corsa.
Quando i primi studenti lo raggiunsero e lo oltrepassarono, lui stava ormai camminando, e poi si fermò per tentare di fermare qualcuno ed informarsi su cosa fosse successo.
Nel vedere Gwen uscire dalla porta, con una giacca verde chiaro e qualche libro stretto al petto, Peter si mosse verso di lei senza pensare. «Gwen!»
La ragazza parve stupita di vederlo.
«Che succede?» domandò lui. «La lezione è già finita?»
Lei fece un cenno di diniego. «Il professor Connors è assente» spiegò. «Pare che si senta poco bene».
«Oh» disse Peter.
«Già».
Per un istante, rimasero l’uno di fronte all’altra, immersi in un silenzio imbarazzato.
«Senti, Peter» iniziò poi Gwen, guardando con decisione da tutt’altra parte, «ho deciso di accettare le tue scuse».
Peter la fissò, preso alla sprovvista, ma poi si sentì sommergere dal sollievo. «Davvero? Gwen, questo è… Grazie».
«Immagino che tutti possano fare degli sbagli» concesse la ragazza, sempre guardando altrove.
«Sì» disse Peter, sentendo le proprie guance andare a fuoco al ricordo di come si era comportato.
Gwen lo inchiodò con uno sguardo serissimo. «Ma una cosa è farne uno, un’altra è farne due».
L’avvertimento era più che chiaro, e Peter si affrettò ad annuire. «Già» concordò. «Hai ragione. Certo che hai ragione. Errare è umano, ma perseverare è diabolico, lo so…»
La ragazza parve rilassarsi appena. «D’accordo» disse, accennando un piccolo sorriso.
Peter le sorrise di rimando, grato per quella seconda chance. Gli pareva di averne ricevute più di quanto ne avrebbe meritate, ultimamente. Con MJ, con Harry…
«È mezzogiorno, ormai» commentò la ragazza. «Ti va di andare a prendere qualcosa al bar dell’università?»
Peter si affrettò ad annuire, mentre il suo stomaco gorgogliava. «Volentieri».

«Signor Osborn?»
Harry si voltò verso la soglia del salotto. «Sì, Bernard?»
«La signorina Allen è qui sotto. Dice che deve consegnarle qualcosa».
Il giovane sbatté le palpebre e diede un’occhiata al proprio cellulare. Aveva trascorso gran parte della mattina scambiando messaggi con Mary Jane… Poi, ad un certo punto, gli aveva scritto Liz, chiedendogli se era a casa e se aveva qualcosa da fare. Lui aveva risposto di sì alla prima domanda e di no alla seconda, ma a quel punto dalla ragazza non era più arrivato alcun SMS.
Forse adesso avrebbe scoperto cosa aveva in mente.
«Va bene, Bernard» disse, raddrizzandosi – sino a quel momento, era stato mezzo stravaccato sul divano. «Falla salire».
L’uomo annuì, e si allontanò in corridoio.
Harry abbassò lo sguardo sulla camicia bianca e un po’ larga che indossava. Siccome aveva in programma di rimanere a casa tutta la mattina, non l’aveva abbottonata da cima a fondo, e l’aveva lasciata un po’ aperta sotto il proprio mento.
Ora la abbottonò completamente aggrottando la fronte, dopodiché si alzò e si diresse nell’ingresso.
Arrivò in tempo per accogliere Liz sulla soglia di casa. «Ehi» la salutò, «che ci fai qui?»
Per tutta risposta, lei gli aprì sotto il naso il sacchetto di plastica che reggeva, mostrandogli una vaschetta di polistirolo. «Ti ho portato un po’ di gelato da mangiare sul tuo divano» annunciò.
Lui alzò lo sguardo sulla ragazza. «Oh».
Il sorriso un po’ impacciato di Liz svanì subito. «Certo, se ne hai voglia» si affrettò a dire lei. «Insomma, potresti anche tenerlo in congelatore e mangiarlo un altro giorno, e non per forza sul tuo divano. Io posso anche andare…» Aggrottò la fronte. «Ora che ci penso, mi sono praticamente autoinvitata a casa tua, e questo non è molto educato. Non voglio che credi…»
«Liz» disse Harry, interrompendo quel torrente di parole. «È tutto okay. Mi va un po’ di gelato in compagnia».
La ragazza respirò, evidentemente sollevata. «Davvero?»
«Ma certo» replicò lui. «In fondo è quasi ora di pranzo, e cosa c’è di meglio che guastarsi l’appetito con un’intera vaschetta di gelato?»
Credeva che questo l’avrebbe fatta ridere, ma Liz lo fissò con una punta di orrore. «Hai ragione» iniziò. «Anche l’orario è…»
«Ehi, stavo scherzando» disse Henry, mettendole d’impulso le mani sulle spalle.
La ragazza sbatté le palpebre e lo fissò, e lui la lasciò andare immediatamente.
Invece, fece un gesto galante in direzione del soggiorno. «Se vuole seguirmi, signorina…»

«Non pensavo che la torta fosse così pessima».
Gwen sorrise. «Ti avevo avvertito».
«E avrei dovuto ascoltarti» replicò Peter, portandosi una mano al collo come per strangolarsi da solo.
La ragazza scosse la testa. «Ma non sei mai stato al bar dell’università?»
«Uhm, di solito non ho tempo per fermarmi a fare uno spuntino».
Gwen aprì la bocca per replicare, ma a quel punto udirono delle grida provenire dal fondo del corridoio. Si fermarono entrambi, e la ragazza balbettò: «Ma cosa…?»
Subito dopo, degli studenti arrivarono correndo nella loro direzione. Uno inciampò e cadde sulle proprie ginocchia, ma si rialzò subito e riprese la propria fuga.
«Via! Via di qui!» urlò un altro, superandoli di gran carriera.
Gwen rivolse a Peter uno sguardo sgomento, e lui si portò istintivamente una mano al petto. Quegli studenti stavano scappando da qualcosa… e quel qualcosa sembrava richiedere l’intervento di Spider-Man.
Il giovane si voltò verso l’amica. «Tu va’».
Gwen lo fissò con aria incredula. «Peter!» esclamò, allarmata, quando lui mosse un passo verso il punto da cui arrivavano le grida. «Che cosa stai facendo?!»
«Devo… uhm… devo contattare Spider-Man» le disse lui, in fretta. «Fargli delle fotografie per il Bugle, se ci riesco».
«Ma non sai cosa ci sia laggiù!» protestò Gwen. «Potrebbe essere pericoloso!»
Lui annuì, girandosi verso di lei ma iniziando a camminare all’indietro. «Lo so, per questo ti ho chiesto di andar via da qui».
La ragazza scosse la testa, fissandolo negli occhi.
Peter capiva che doveva essere terrorizzata, ma non aveva tempo di rassicurarla. «Sta’ attenta» le raccomandò soltanto, un’ultima volta, prima di voltarsi ed iniziare a correre verso il luogo da cui provenivano gli studenti terrorizzati.
«Peter!»
Per il suo sollievo, Gwen non lo seguì. Non appena ebbe svoltato l’angolo, Peter si infilò in un’aula vuota e si tolse i vestiti in fretta e furia. Siccome un posto migliore non era disponibile, li ficcò nei cassetti della cattedra, quindi uscì e riprese la corsa, stavolta come Uomo Ragno.
Il frastuono proveniva da uno dei laboratori, una lunga stanza che ospitava dei tavoli sopra i quali erano posati telescopi e innumerevoli campioni da esaminare.
Sul fondo dell’aula, erano rannicchiati alcuni studenti terrorizzati. E tra loro e la porta si trovava… si trovava…
«Ma che diavolo?» fiatò Peter.
Sembrava una lucertola, però era molto, molto più grande. Era delle dimensioni di un essere umano, con grandi squame verde scuro, un muso allungato, occhietti neri e lucidi, ed una lunga coda.
Modestia a parte, Peter si riteneva una persona piuttosto intelligente. La fatidica puntura di un ragno, poi, gli aveva conferito una serie di incredibili abilità.
Nonostante tutto questo, però, rimase per un momento raggelato sulla soglia, senza avere la più pallida idea di cosa fare.
Si riscosse quasi subito, mentre il lucertolone capovolgeva un tavolo con un colpo di coda ed uno degli studenti soffocava un grido di terrore.
Peter si disse che attirare l’attenzione della creatura sarebbe stato un buon primo passo. Si girò verso la sedia più vicina e la afferrò con un fiotto di ragnatele, per poi scaraventarla contro il dorso scaglioso del suo avversario.
«Ehi, amico!» lo chiamò. «Guardami, sono qui!»
Il rettile si girò con un sibilo, e i suoi occhi scuri si fissarono su di lui. Una lingua biforcuta guizzò tra le fauci. «Sssspider-Man!»
Peter strabuzzò gli occhi. Il lucertolone poteva parlare? Questo non se l’aspettava.
Be’, forse se poteva parlare era possibile ragionare con lui…
Il giovane tese le braccia in avanti. «Ehi, amico… che ne dici se ci allontaniamo di qui? Possiamo andare in un posto più tranquillo».
Per tutta risposta, il lucertolone sbatté la propria coda contro un tavolo, mandando gambe all’aria in un frastuono di provette che s’infrangevano.
«Lo prendo come un no».
Peter balzò in alto per evitare un colpo di coda che sembrava diretto proprio alla sua faccia, dopodiché indietreggiò con un salto.
«Vieni!» chiamò. «Vieni, vieni qui!»
Siccome le parole non sembravano sortire l’effetto desiderato, il giovane sospirò ed afferrò un’altra sedia con una nuova ragnatela, mandando anche questa ad abbattersi contro la lucertolona.
L’attacco strappò un sibilo furioso alla creatura, che si voltò nuovamente verso di lui.
Peter ebbe la netta impressione di essersi finalmente guadagnato tutta la sua attenzione. Indietreggiò nel corridoio, lanciando un’occhiata sfuggente agli studenti intrappolati nel laboratorio.
«Sai cosa mi chiedo?» gridò poi, rivolto al suo squamoso avversario. «Tu… sei una lucertola molto grossa… o un T-Rex molto piccolo? In ogni caso, sei davvero molto verde».
“Molto verde?” si chiese subito dopo.
Era una situazione critica, però. Nessuno avrebbe potuto biasimarlo se non era riuscito a tirar fuori qualcosa di meglio. Ma avrebbe dovuto evitare di raccontarlo a Harry, o era probabile che l’amico l’avrebbe preso in giro per l’eternità.
Riusciva quasi a sentirlo… E questo è il leggendario senso dell’umorismo di Spider-Man? Si vede che il sarcasmo dei ragni e quello degli esseri umani non si somigliano proprio!
Peter continuò ad indietreggiare con gli occhi puntati sul lucertolone. Quest’ultimo arrancava verso di lui e, sebbene non fosse molto agile, era abbastanza veloce.
«Seguimi! Seguimi!»
Mentre lo guidava lungo il corridoio, cercò di pensare ad un modo per metterlo K.O. Era probabile che avrebbe dovuto colpirlo con qualcosa di duro… Dubitava che la sua forza – per quanto superiore alla media – sarebbe bastata.
Dopotutto era una lucertola, però… Se l’avesse tenuta al freddo e lontana dal sole sarebbe svenuta o qualcosa del genere?
Effettivamente… Peter non ne sapeva molto di animali del genere.
Non ebbe neanche il tempo di riflettervi sopra, però.
Il suo sesto senso gli scampanellò un avvertimento nella testa. Un pericolo, proveniente non dal mostro che aveva davanti… ma da qualcosa alle sue spalle.
Peter si voltò di scatto, appena in tempo per vedere un gruppo di poliziotti armati emergere dal fondo del corridoio. Gli agenti presero quasi subito a sparare nella loro direzione, ed il giovane si lanciò sul soffitto con uno squittio indignato ed assai poco dignitoso.
La lucertola emise uno strano verso, poi indietreggiò e si diede alla fuga.
«Oh, diamine» gemette Peter. Sperava solo che non fosse tornata al laboratorio… Fece per spostarsi… e poi il suo istinto gli urlò di saltare di lato.
Il giovane eseguì, ma non fu abbastanza rapido. Un dolore lancinante gli perforò il braccio sinistro, e lui diede un’occhiata sopra la propria spalla in tempo per vedere un poliziotto abbassare la pistola con mani tremanti.
L’aveva colpito di striscio, ma bruciava da morire, ed alcune gocce di sangue avevano iniziato a raccogliersi sulla ferita.
Per un momento, il dolore gli annebbiò la vista e gli fece girare la testa. Peter perse la presa sul soffitto e cadde pesantemente sul pavimento.
Restò disteso lì per qualche secondo, mentre un gemito gli sfuggiva dalle labbra. Poi sentì alcuni passi che si avvicinavano… e fu rapido a balzare in piedi.
Faceva proprio male.
Peter non riuscì a non domandarsi se era questo che aveva provato lo zio Ben… Questo, certo… solo mille volte peggio.
Il respiro gli si bloccò in gola e, quando si voltò e si mise a correre con una mano contro la ferita, non lo fece per andare a cercare il lucertolone gigante, ma per scappare da lì.

«Non so cosa mi abbia preso, MJ».
La ragazza, intenta a disinfettargli la spalla, sollevò un istante gli occhi. Aveva il viso pallido, segnato dalla preoccupazione.
Peter non ricordava chiaramente la propria fuga dall’università. Sapeva solo che ad un certo punto si era ritrovato davanti all’appartamento della sua fidanzata, e che ora era seduto sul tavolo nella sua cucina mentre lei si prendeva cura di lui.
«Voglio dire, quel mostro potrebbe aver fatto del male a…» Si interruppe con un sibilo di dolore.
Mary Jane buttò sul tavolo i batuffoli di cotone che aveva utilizzato per pulire il taglio. Erano sporchi di sangue. «Ti ho già detto che è scappato» gli disse. «L’ho sentito alla radio».
«Sì, ma adesso dove può essere? In giro per la città a spaventare degli innocenti?»
Mary Jane aggrottò la fronte e sollevò lo sguardo su di lui. «Non puoi incolparti di questo».
Peter si premette un pugno sulla fronte. «Avrei dovuto metterlo K.O., avrei…»
«Peter, ti hanno sparato!» esclamò la ragazza. «Semmai è quel poliziotto che dovrebbe sentirsi responsabile».
Lui scrollò le spalle – pessima idea, lo informò una fitta di dolore. «Be’, sai com’è. Sono una minaccia eccetera».
Mary Jane lo incenerì con un’occhiata. «Questo è assurdo» ribatté. «Ti hanno persino consegnato le chiavi della città!»
«MJ…»
«La gente ti adora, sa che può contare su di te, ma deve saltare fuori uno sbirro deficiente…»
«MJ…»
«…che decide di spararti per qualche stupida ragione, in un momento in cui chiaramente non sei la minaccia più grave… ammettendo che tu sia una minaccia, cosa di cui…»
«MJ!» Peter le premette un dito sulle labbra, e lei tacque. «Sto bene, davvero. O meglio… e sono onesto perché non voglio trasformarmi in un Harry 2.0… sono un po’ dolorante, ma mi passerà. Sono tutto intero».
Le labbra di Mary Jane tremarono. Senza dire nulla, lei lo circondò con le braccia, ed appoggiò la testa sulla sua spalla sana.
Peter la cinse con gentilezza, sfiorandole i capelli rossi. «Sto bene» ripeté, ed era vero.
Adesso era vero.
















Note:
Ebbene sì, sono tornata.
Mi scuso immensamente per l’enorme, mostruoso ritardo, e spero che questo capitolo non sia noioso, e di riuscire a riprendere un ritmo di aggiornamento quantomeno decente.
Intanto, vi do appuntamento a domenica 18 gennaio per il prossimo capitolo!
  
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