Oil on canvas(Sasori/Deidara)
- E smetti di usare
questi stupidi fili. – gracchiò all’improvviso Deidara, scrollando un braccio.
– Posso muovermi da solo, lo sai? Basta che me lo chiedi. –
Sasori sollevò
impercettibilmente gli occhi opachi verso il soffitto.
La luce filtrava
dal lucernario in modo splendido, ma sarebbe durata ancora per poco tempo, e
lui aveva appena cominciato le rifiniture sulla campitura.
- Se te lo
lasciassi fare. – spiegò senza perdere la calma. – Tu ti metteresti in qualche
modo contorto. –
- E’ solo perché
non vuoi che mi copra. – malignò Deidara. – Sei un maniaco. –
La provocazione non
venne accolta. Sasori continuò imperterrito a sfiorare con la punta sottile del
pennello la pelle candida di Deidara, che man mano veniva emergendo e
delineandosi sulla tela.
Mentre il suo
modello grugniva, in disappunto per essere così barbaramente poco considerato,
dopo un’ora e forse più che si trovava lì in sua balia.
- Levati quel
broncio dalla faccia. Mi rovini il chiaroscuro. –
- Oh, al diavolo il
chiaroscuro. Accidenti, che noia! –
- Perché non guardi
me, Deidara? Sarebbe l’occasione buona per imparare un po’ di arte. –
Deidara sbarrò gli
occhi per un secondo, offeso. Sasori, comunque, non pareva per niente disposto
ad intavolare uno dei loro collaudati dialoghi a base di teorie artistiche ed
imprecazioni. Era troppo maledettamente concentrato su ciò che stava facendo,
per ispirare sentimenti di stizza.
- Comunque. –
osservò, suo malgrado colpito. – Non sapevo che fossi anche un pittore. –
E rimarcò
tenuemente quell’”anche”, a voler concedere alle marionette di Sasori lo status
di facenti parte, in un modo o nell’altro, della nozione di arte.
Uno sguardo fugace
in sua direzione. Spento, non chiaro se fosse per le sue parole, o per il
semplice bisogno di attingere a qualche altro dettaglio da copiare.
Il pennello volò.
Nessun dubbio, doveva stare lavorando sui suoi capelli, in quel momento.
- Non sono armi. –
specificò, riferendosi per ovvietà al quadro. – E’ semplicemente un piacevole
passatempo. Ho fatto pratica di pittura, per dipingere le mie marionette. –
- Uff, a me non
piace molto dipingere. Anche se le esplosioni di colore che si vedono in certi
quadri sono davvero esaltanti. –
- Sempre il solito.
Io mi interesso solo di paesaggi e di ritratti. Sono i generi più nobili,
quelli che catturano un singolo momento per immortalarlo. –
- Uhn. Da appendere
alla parete e contemplare in eterno. – sbuffò Deidara, incrociando le braccia.
– Come piace a te, insomma. –
Sasori lo fulminò.
- Ahia, ahia,
lasciami andare! – piagnucolò, stretto da un impietoso filo che lo costrinse a
tornare com’era prima.
Sasori aveva scelto
una posa assolutamente classica, per quel ritratto. Dopo averci riflettuto un
po’ su, Deidara aveva realizzato che era anche tipicamente femminile, e questo
lo aveva irritato non poco, ma ormai era troppo tardi. Sbatté le palpebre
mentre Sasori si concentrava sul margine della tela, probabilmente sulle gambe
o sui piedi. Per un attimo, l’idea che Sasori stesse dipingendo delle parti di
lui così insignificanti, ed allo stesso tempo intime, lo face rabbrividire.
- Hey,
Sasori-danna. Mi annoio da morire. –
- Non è affar mio.
–
- Oh, ma sentilo! E
io che ti sto facendo un favore. La prossima volta, ritrai Hidan. –
- Impossibile. –
Un altro tocco
lieve, picchiettato.
- Hidan non è un
modello all’altezza. –
- Perché, io lo
sarei? –
- Sì, tu sì. –
Deidara sgranò gli
occhi, esterrefatto.
- Fermo così. –
scandì Sasori. Ed era un ordine bello e buono, quello.
Riprese a
dipingere, colore sulla tela, niente più che uno schizzo in carboncino da
cinque minuti a fargli da guida. La luce stava reggendo, fortunatamente, ma ciò
nondimeno non c’era nemmeno un minuto da perdere.
- Sasori-danna. –
- Non scocciarmi,
per favore. –
Deidara si rimise
in silenzio, docile. Ma lo guardava dritto, senza più divagare, ora. Con occhi
grandi, incerti.
Sulla sua pelle
soffiarono alcuni spifferi che dalla finestra se ne fuggirono verso la porta
chiusa, penetrandone giusto le fenditure. Li poté cogliere solo perché era un
ninja, ed era nudo.
Sasori non aveva
voluto nemmeno un drappo sulle anche che coprisse la sua intimità.
Quando gli aveva
chiesto di posare per lui, Deidara aveva pensato ad uno scherzo, sul serio. Poi
si era ricordato che Sasori non scherzava mai, ed aveva avuto un po’ paura.
Ma, da artista ad
artista, era stato relativamente semplice farsi convincere. Obiettivamente, non
gli costava nulla.
E diventare egli
stesso arte era una prospettiva che lo allettava sempre, anche se questa volta
non si giocava con le sue regole.
- Mancano gli
ultimi ritocchi sulla luce. È di fondamentale importanza che adesso tu non
muova un muscolo, Deidara. Mi sono spiegato? -
- Perché, fino ad
ora che cos’ho fatto? – si lamentò il povero ninja biondo, sgranchendo
velocemente le braccia per prepararsi alla lunga e odiosa immobilità. Non era
proprio roba per lui, quella. Proprio no.
Nella lunga
mezz’ora in cui Sasori non lo degnò che di pochissimi sguardi fulminei, Deidara
cercò di distrarsi con i suoi stessi pensieri. Non ne venne fuori granché,
eccetto gongolanti considerazioni sulla maestosità di certe esplosioni molto
riuscite degli ultimi tempi, e qualche fugace riflessione su Sasori, su niente
in particolare di lui, solo, l’idea in sé che stesse lavorando ad un suo
ritratto.
Era pieno di
significati, questo fatto, Deidara ne era sicuro. Doveva per forza averne, ed
averne un milione, solo che era difficile in modo assurdo tentare di
addentrarsi in quella ragnatela senza uscirne a pezzi.
Bastava prendere ad
esempio la nudità. Eh sì, era terribilmente indicativo che Sasori lo avesse
voluto nudo. Lo aveva spogliato di qualsiasi simbolo dell’Akatsuki per farne
niente più che un corpo, con la sua storia e le sue piccole cicatrici che, una
volta prive dei vestiti, oltre a perdere il loro rifugio, perdevano anche il
loro senso d’essere.
E poi, Sasori-danna
un corpo non ce l’aveva. Non più. E chissà da quanto tempo non ne vedeva uno,
se si eccettuavano quelli che usava per i suoi giocattoli, e che finivano
trasformati in pochi istanti in burattini. Forse, pensò, forse Sasori aveva
solo avuto voglia di vedere un corpo umano. Di osservare la pelle viva che
reagisce agli stimoli esterni, di studiare i tanti, impercettibili movimenti di
tutta quella miriade di muscoli chiamata in causa dal semplice fatto di vivere.
Alcune delle sue marionette avevano delle strane forme, ma la più importante,
quella che Sasori chiamava “sé stesso”, era perfettamente umana nell’aspetto, e
questo particolare non poteva lasciare dubbi: Sasori amava il corpo umano,
doveva amarlo moltissimo. Dopotutto, era un artista.
Improvvisamente si
ritrovò a provare nei confronti del suo compagno un’empatia inedita. Era come
se si fosse improvvisamente, stupidamente accorto di un filo rosso che scorreva
molto al di sotto degli screzi superficiali fra loro, tenendoli uniti l’uno
all’altro con forza, anche molto oltre il necessario.
- Ho finito. –
proclamò Sasori, svogliatamente.
- Davvero? Finalm…
-
- I colori non sono
ancora al massimo della resa, visto che dovranno asciugarsi. -
- Ma posso vederlo,
vero? -
- Puoi vederlo. -
Deidara corse da
lui, ancora nudo e completamente dimentico di esserlo.
Sasori si scostò
dalla tela con qualche vaga, incomprensibile reticenza, mentre lui vi si
accucciava sopra per scrutarla.
Dal lungo lavoro di
posa, di studio della luce, di estenuante concentrazione, ne era venuto fuori
un giovane annoiato, rilucente, dal sorriso molle. Il suo corpo sdraiato era
mosso da un candore assolutamente ambiguo; le curve del busto, era chiaro,
erano state accentuate, ma non tanto da rendere meno maschile il suo corpo
glabro, che si esponeva senza censure, persino con pigra civetteria allo
sguardo dello spettatore. Gli occhi, entrambi azzurri, entrambi liberi, fiammeggiavano,
come se avessero voluto impadronirsi di tutta l’attenzione, anzi di più, del
mondo intero, mentre le mani, accoccolate sul materasso per sostenere il corpo,
avevano il morbido nervosismo delle zampe dei felini. I piedi, poi, quei piedi
così insignificanti ed intimi, erano piccoli e in qualche modo deliziosi,
tuffati com’erano fra le pieghe del lenzuolo scostato, nemmeno fossero stati
loro la sola cosa da celare a sguardi indiscreti.
Deidara singhiozzò,
incredulo.
Era così, che
Sasori lo vedeva?
Era questo che
pensava di lui?
Il sé stesso di
quel ritratto era bellissimo, molto più di quanto lui non fosse in realtà, ne
era certo.
Sprigionava una
sottile ma imprescindibile carnalità, come se chi l’aveva dipinto lo avesse
plasmato a mani nude più che con il pennello, usando ogni gesto per toccarlo,
accarezzarlo.
L’immagine che
Sasori aveva immortalato, era quella di un Deidara inequivocabilmente suo.
- Un giorno. –
mormorò, atono. – Farò di te la mia bambola più bella. –
- Cos…? -
- Mi dispiace. –
ANGOLINO!
Nota: il titolo è la dicitura
inglese per “olio su tela”. Quella che normalmente trovate sui cartellini dei
musei, per capirci.
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