Capitolo 21 – Complicazioni
«Toglimi una
curiosità, oh impiegato sottopagato
del Bugle».
Peter,
seduto al tavolo della cucina di casa Osborn, gettò
ad Harry un’occhiata esasperata. Forse passare a trovare
l’amico non era stata un’idea geniale.
«Chi
è che inventa i nomi per i criminali di New
York? Con l’ultimo non ha avuto molta fantasia».
Peter
si portò automaticamente una mano alla benda che
– ben nascosta dalla maglietta – gli fasciava la
spalla. Subito dopo, riabbassò il braccio, ricordando a se
stesso che era meglio non andar troppo accanto alla ferita.
Da
parte sua, Harry gli sventolò l’ultima edizione
del Bugle sotto il naso.
Peter
colse solo un frammento del titolo in prima pagina –
LIZARD, il
nome scelto per la spaventosa creatura – e
gettò uno sguardo infastidito all’amico.
«Non
so chi decida i nomi» disse, con voce pesante.
«Di sicuro non sono io».
Harry
fece un breve sorriso. «Be’, questo
è un sollievo». Mise da parte il giornale, e prese
posto di fronte a Peter. «Allora? Cosa pensi di
fare?»
L’altro
aggrottò la fronte. «Il
solito» sospirò. «Tenere le orecchie e
gli occhi aperti, e se quel mostro dovesse
ripresentarsi…»
Harry
intrecciò le dita sotto il proprio mento.
«Quindi sei certo che non ti serva un aiuto? Da parte di New
Goblin, per esempio?»
«Harry»
sibilò Peter, «ti ho
già detto che è fuori discussione».
«Sicuro?
Anche dopo che ti hanno sparato?»
«Mi
hanno colpito di striscio».
A
quelle parole, Harry emise uno sbuffo divertito. «Oh, okay,
allora è tutto a posto…»
Peter
evitò di replicare. A dire il vero, la ferita stava
guarendo in fretta, probabilmente grazie ai cambiamenti che il suo
organismo aveva subito in seguito al morso del ragno. Più
che altro, a turbarlo, era stato il modo prepotente in cui il ricordo
della morte di suo zio era riemerso nella sua mente.
«Sia
come sia» brontolò, «non
mi serve l’aiuto di una testa calda come te.
Tutt’al più mi farebbe comodo parlare con qualcuno
che s’intenda di lucertole».
Harry
tornò serio. «Quindi pensi che sia una
specie di lucertola? Non era qualcosa come un costume?»
«Non
lo era» affermò Peter.
«Forse è una lucertola geneticamente modificata,
non ne sono sicuro. Mi ha parlato».
«Prego?»
domandò l’amico,
sorpreso.
«Quando
mi ha guardato, ha detto
“Spider-Man”».
«Oh».
Harry sbatté le palpebre.
«Caspita».
Per
qualche istante, entrambi rimasero in silenzio.
«Perché
non chiedi l’aiuto del professor
Connors?»
Peter
fissò l’amico. «Cosa?»
Harry
scrollò le spalle. «Non hai detto che
è un erpetologo? Potrebbe avere un’ipotesi su cosa
sia quel lucertolone, o su come neutralizzarlo».
«Uh»
disse Peter, senza riuscire a nascondere la
propria meraviglia, «in effetti non è una cattiva
idea».
Harry
roteò gli occhi. «Non suonare
così sbalordito, ti prego».
L’altro
non poté fare a meno di sorridere.
«Volevo dire, grazie, lo farò». Si
accigliò. «L’unico problema è
che non so quando lo vedrò. L’altro giorno era
assente, e in più ora hanno chiuso
l’università per fare alcuni
accertamenti».
Questo
era stato un problema quando si era trattato di recuperare i
suoi vestiti. Non lo avevano lasciato passare, ma poi Mary Jane era
andata in avanscoperta e Peter era rimasto sbigottito nel vederla
tornare con i suoi abiti.
«Va’
a casa sua» suggerì
Harry, riscuotendolo da quei ricordi. «In fondo sai dove
abita».
«Sì,
ma… sarebbe un po’
irrispettoso, non trovi? Non mi ha invitato».
L’altro
lo fissò. «Ti preoccupi di
questo, davvero? In una situazione simile?»
Peter
allargò appena le braccia.
«Okay»
fece Harry. «Allora potresti
andare da lui travestito da Spider-Man, no? O il dottor Connors lo
odia?»
«Non
che mi risulti».
«Allora
è perfetto» concluse Harry.
«Chi rifiuterebbe mai di prestare aiuto ad un leggendario
supereroe?»
Peter
inarcò un sopracciglio. «Qualche agente di
polizia, a quanto pare».
«Ottima
osservazione» concesse l’amico,
trattenendo un sorriso.
«Ci
penserò più tardi»
affermò Peter. «Piuttosto, tu hai qualcosa da
fare?»
Harry
scrollò le spalle. «Vado a casa di
Liz».
«Davvero?»
chiese Peter, cercando di non suonare
troppo interessato.
Il
cipiglio dell’amico lo informò che aveva
fallito miseramente. «Sì, davvero»
confermò Harry, un po’ piccato.
«Per
caso è…?»
«Non
è un appuntamento».
«Io
non sono mai stato a casa sua»
mormorò Peter.
«Non
vuol dir niente, non ci vediamo in un lussuoso
ristorante» replicò Harry. «È
solo che lei è stata qui molte volte, e a quanto pare ha
voluto ricambiare l’ospitalità».
A
dirla tutta, lui aveva provato a declinare l’invito, ma la
ragazza era stata irremovibile. Pensandoci, Harry aveva qualche
difficoltà a ricordare anche solo una volta in cui fosse
riuscito ad averla vinta con lei. Avrebbe dovuto preoccuparsi?
«È
stata qui molte volte?» Peter era del
tutto incapace di suonare disinteressato. «Sul
serio?»
«Non
più di te o Bernard»
ribatté Harry. «Siamo amici. Caso
chiuso».
Nel
tragitto dalla propria casa a quella di Liz, il giovane si
trovò a desiderare di poter zittire i propri pensieri come
aveva zittito Peter.
Purtroppo,
non sembrava possibile.
E
se Liz avesse avuto un doppio fine e lui non se ne fosse nemmeno
accorto?
Sfiorandosi
la guancia sfigurata, si disse che quell’ipotesi
era da escludere.
D’altra
parte, lui aveva iniziato ad informarsi sui chirurghi
plastici di New York… Non che ne avesse parlato con Liz
– né con nessun altro ad eccezione di Bernard, se
era per questo – ma lei era un’infermiera, e sapeva
quanti soldi avesse l’amico. Probabilmente dava per scontato
che lui, prima o poi, potesse sottoporsi ad un’operazione al
viso.
Harry
si sentì immediatamente un idiota per quel pensiero.
Non
solo implicava che la decisione di Liz di stare o non stare con lui
potesse dipendere unicamente dal suo aspetto fisico, e la ragazza non
era così superficiale… Ma oltretutto, viso
sfigurato o meno, quello che lui era non cambiava.
Fosse
anche stato bello come un attore hollywoodiano, Harry dubitava
che una ragazza avrebbe mai potuto innamorarsi di lui.
Arrivato
di fronte al condominio dove abitava Liz, il giovane
suonò il citofono e lei gli aprì quasi subito.
Harry entrò nella palazzina e, dopo aver salito qualche
rampa di scale, arrivò al pianerottolo dove viveva la
ragazza.
Lei
era già sulla soglia, vestita con un paio di jeans e una
maglietta rosa, e lo accolse con un accenno di sorriso.
«Allora quello di non prendere l’ascensore
è un tuo vizio».
«Preferisco
fare un po’ di moto»
replicò Harry. La verità era che salire a piedi
gli aveva dato il tempo di spingere da parte i propri pensieri.
«Da dove credi che venga il mio fisico sportivo?»
Liz
fece mostra di alzare gli occhi al cielo. «Smettila e
vieni dentro» lo invitò, facendosi da parte per
lasciarlo entrare.
Harry
si sfilò la giacca nell’ingresso,
guardandosi attorno mentre lei chiudeva la porta.
«Ebbene,
signor Osborn» disse infine la ragazza.
«Benvenuto nella mia umile dimora».
Gli
fece fare un rapido tour dell’appartamento, che sembrava
essere stato riordinato in gran fretta in occasione
dell’arrivo dell’ospite. Non era molto grande: una
sola stanza fungeva sia da cucina che da sala da pranzo, il salotto non
conteneva più di un divano e una tivù, e infine
c’erano un bagno ed una camera da letto.
«Be’»
si lasciò sfuggire
Harry, quando giunsero all’ultima tappa,
«è davvero piccolo».
Un
istante dopo avrebbe voluto mordersi la lingua. Adesso, infatti,
riconosceva che erano proprio commenti come quello ad aver
allontanato Mary Jane all’epoca in cui erano fidanzati.
Fortunatamente,
Liz non parve prendersela. «Lo so»
si limitò a dire, «non è certo il lusso
a cui sei abituato».
Harry
non seppe replicare.
«Io
mi sono messa a piangere, quando ho capito che senza i
soldi dei miei genitori questo era il massimo che potevo
permettermi» confidò allora la ragazza.
Lui
la guardò ed arrischiò un sorriso.
«Non sembra così terribile».
Liz
fece un gesto strano, come se avesse avuto la mezza idea di
pungolarlo con un dito e poi ci avesse ripensato. «Ah,
sì?» disse invece. «Vorrei sapere cosa
avresti fatto tu, signor riccone. Considera anche che era un periodo
movimentato, ero già sfinita per il lavoro, e
questo… diciamo che è stato il colpo di
grazia».
«Okay,
posso capirlo» disse Harry, avanzando di
qualche passo.
Un
armadio, un letto adornato da un buon numero di cuscini e una
scrivania ingombra erano tutto il mobilio presente.
Ad
un esame più attento, il giovane notò un libro
abbandonato sul letto e le ciabatte di Liz – una si trovava
sotto la scrivania, l’altra sulla sedia lì davanti.
«Alla
fine mi ci sono abituata, però»
aggiunse la ragazza, con una scrollata di spalle. «E non
è così male… perlomeno è un
posto mio».
Quella
considerazione colpì Harry. Casa sua non era solo
casa sua, era anche casa di suo padre, nonché il posto dove
Goblin aveva iniziato a manifestarsi. Si sarebbe sentito meglio, in un
posto nuovo?
Accattonò
in fretta quel pensiero. Non era certo il momento
di mettersi a progettare un trasloco.
«E
come va il lavoro?» chiese, per non lasciar
cadere la conversazione.
«Tutto
bene» assicurò lei. «E
tu cosa mi combini? Fai sempre lo stacanovista?»
«Ci
sono molte cose da decidere, alla OsCorp»
rispose Harry, forse un po’ sulla difensiva.
«Senza
dubbio». Liz sorrise. «Ma
fa’ attenzione a non svenire da qualche parte».
«Lo
terrò in conto» replicò
lui, asciutto.
La
ragazza ridacchiò. «Oh, dimmi quando ti viene
fame, ho preparato qualcosa per la merenda».
«Per
ora sono a posto».
Cercando
di non sembrare troppo indiscreto, si avvicinò alla
portafinestra che dava su un piccolo balconcino.
«Com’è la vista?»
«Grandiosa»
rispose Liz. «Puoi vedere una
strada e dei tetti, degli altri tetti… e altri tetti ancora.
Ma forse una delle case che vedi da qui dà su un panorama
interessante».
Harry
contrasse le labbra in un sorriso divertito e scostò
la tenda, solo per scoprire che la descrizione di Liz era stata
piuttosto accurata. Distolse lo sguardo, spostandolo sulla scrivania
della ragazza.
Accanto
ad un portatile chiuso, si trovava qualche portamatite pieno di
penne, un quaderno, e una considerevole pila di libri. Di medicina, per
lo più, e da molti di essi spuntavano i bordi di alcuni
fogli ricoperti di una grafia fitta e frettolosa.
Al
muro sopra la scrivania era appesa una tabella. Avvicinandosi
appena, Harry poté vedere che vi erano segnati i turni di
Liz all’ospedale.
«Vedo
che sei molto occupata» commentò,
prima di abbassare lo sguardo e notare una fotografia.
Non
era incorniciata, ma era appoggiata sul piano del tavolo come se
Liz l’avesse tirata fuori da un cassetto per guardarla e poi
se ne fosse dimenticata.
La
foto sembrava risalire a qualche anno prima. Ritraeva Liz con un
sorriso radioso e un taglio a caschetto, e un ragazzo più
grande di lei. Lui aveva i capelli color cenere e gli occhi castani,
una mascella decisa, e teneva un braccio attorno alle spalle di Liz in
modo quasi protettivo.
Per
qualche motivo, Harry si sentì seccare la gola.
«Che
cosa stai…?»
La
voce di Liz per poco non lo fece sussultare – la ragazza
gli era arrivata alle spalle senza che lui se ne rendesse conto. Si
girò a guardarla.
Quando
lei vide la foto, i suoi occhi azzurri si dilatarono appena, ed
un piccolo «oh» le uscì dalle labbra.
«Lui
chi è?» domandò Harry.
Liz
spostò il proprio peso da una gamba all’altra,
fissando la fotografia. «Lui?»
Harry
inarcò un sopracciglio. «Sì,
lui».
«Be’,
è… È un
amico» disse la ragazza, mettendo una mano sulla foto come
per nasconderla ai loro occhi.
Harry
aveva la netta sensazione che ci fosse qualcosa di
più. «Un ex compagno di classe?» si
informò.
Liz non rispose alla sua domanda. «Non
importa» disse invece, frettolosamente,
«comunque è un po’ che non lo
vedo».
Harry
la osservò mentre faceva scivolare la fotografia nel
cassetto della scrivania. Sembrava decisamente nervosa. Lui
pensò velocemente a qualcosa da dire. «Non mi
dispiacerebbe fare merenda, adesso».
Gli
occhi azzurri di Liz guizzarono sul suo viso.
«Oh… sì, ma certo» disse lei,
sollevata. «Vieni, andiamo in cucina».
Aveva
preparato alcune focaccine con la mortadella, ed una macedonia.
«Lo
so che non è il massimo» gli disse,
una traccia di nervosismo ancora presente nella voce, «ma non
sono un granché come cuoca».
«Va
benissimo» le assicurò Harry,
addentando una delle focaccine per dissimulare il fatto che non sapeva
cos’altro dire.
Anche
Liz si servì, e il giovane la scrutò di
sottecchi.
In
realtà, una parte di lui avrebbe voluto insistere a
proposito dell’identità del ragazzo nella
fotografia… Era abbastanza sicuro che Liz avesse mentito,
dicendo che era solo un amico.
Ma
perché dire una bugia? Harry non se lo spiegava.
Liz
aveva detto che se n’era andato… Forse era
quello il punto. Che si trattasse di un ex ragazzo? Forse
l’aveva lasciata, ma lei non l’aveva dimenticato?
Gli
sembrava la spiegazione più plausibile, e non gli
piaceva affatto.
«Avevo
visto degli stuzzicadenti con delle
bandierine» disse Liz in quel momento, cercando di suonare
disinvolta. «Li volevo comprare e usarli per dare
più un’atmosfera di festa, ma me ne sono
dimenticata».
Harry
scrollò le spalle, mandando giù un boccone.
«Non penso sarebbero degli stuzzicadenti simili a fare la
differenza».
«No»
concordò Liz, «ma erano
carini».
Il
giovane la guardò mentre si serviva di un’altra
focaccina con la mortadella.
Improvvisamente,
gli tornò in mente la sera in cui erano
andati a teatro. Liz aveva parlato di una persona, qualcuno che lei
aveva cercato di aiutare senza riuscirci… Forse il
collegamento era un po’ forzato, ma… e se si fosse
trattato di quel ragazzo?
Harry
ricordò il modo in cui le parole le si erano bloccate
in gola, e provò l’impulso di tendere una mano ad
afferrarle il polso. Invece, cercò di concentrarsi sul
proprio cibo.
Se
il ragazzo sconosciuto l’aveva davvero lasciata dopo che
lei aveva cercato di aiutarla, Liz non avrebbe più dovuto
pensare a lui.
Lei
si meritava di meglio, meritava…
«Oh,
porca miseria!»
Harry
alzò di scatto gli occhi: Liz stava guardando dentro
la ciotola della macedonia con aria a dir poco inorridita.
«Che
succede?» domandò lui.
La
ragazza lo fissò. «Credo di averci lasciato
dentro il nocciolo delle albicocche».
Harry
non poté fare a meno di mettersi a ridere.
«Sono
un disastro» si commiserò Liz ad
alta voce. «Lo sapevo che non avrei dovuto prepararla dopo il
turno di notte».
«Non
mi sembra così grave»
replicò Harry.
Per
tutta risposta, lei gli spinse la ciotola sotto gli occhi.
«Come no?»
«Dai,
passami le tazze che faccio le parti. Starò
attento a non strangolarmi con nessun nocciolo, te lo
prometto».
Liz
gli gettò un’occhiata imbarazzata, ma fece
come aveva chiesto il ragazzo.
Se
non altro, quell’incidente servì ad alleggerire
la tensione tra loro, e ben presto tornarono a chiacchierare con
disinvoltura.
Quando
per Harry giunse il momento di andarsene, Liz lo
accompagnò alla porta. «Allora ci
sentiamo» lo salutò, mentre lui usciva sul
pianerottolo.
«Certo»
confermò il giovane, chiudendosi
la giacca.
Liz
sorrise, poi parve avere un ripensamento. «Harry, mi
dispiace…»
Lui
aggrottò la fronte, alzando lo sguardo. «E per
cosa?»
«Be’,
per…» La ragazza si
morse il labbro. «Per i noccioli nella macedonia»
concluse poi, cercando di buttarla sullo scherzo.
«Oh»
disse Harry. La fotografia. Era piuttosto
sicuro che Liz si riferisse alla fotografia. «Non fa niente.
Come vedi, sono sopravvissuto. E la macedonia era buona».
La
ragazza abbozzò un sorriso. «Va bene... Ciao,
allora».
«Ciao».
Harry
iniziò a scendere le scale, e sentì la
porta dell’appartamento che veniva chiusa.
Con
addosso il proprio costume da Spider-Man, Peter scese lungo il muro
di casa Connors a testa in giù.
Non
era sicuro del perché avesse seguito il consiglio di
Harry persino a quel proposito.
Dopotutto,
però, sarebbe stato più veloce
chiedere aiuto nelle vesti di supereroe, anziché perdere
tempo a spiegare che lui conosceva Spider-Man ed era lì per
conto suo.
Si
affacciò alla prima finestra che trovò,
ritrovandosi a guardare un salottino che trovò abbastanza
grazioso.
Una
poltrona ed un divano color lillà si trovavano da una
parte, separati da un tavolino su cui era posato un vaso di
fiori… e di fronte ad essi si trovava una televisione a
schermo piatto.
Ciò
che attirò la sua attenzione,
però, fu la donna seduta sul sofà. Aveva capelli
biondo scuro, tagliati abbastanza corti, ed un vestito blu. Si teneva
una mano sulle labbra e, qualsiasi fossero i suoi pensieri, non
dovevano essere molto gradevoli.
Peter
allungò una mano e bussò sul vetro.
La
donna sobbalzò e guardò verso la finestra,
lasciandosi scappare un grido di sorpresa.
Un
momento dopo, si alzò e andò ad aprire le
imposte. «Spider-Man?» chiese, alzando lo sguardo
su di lui.
«In
persona» rispose Peter, facendo dondolare
appena la testa. «Lei è la signora
Connors?»
«Martha
Connors» annuì lei.
«Suo
marito è in casa?»
A
quella domanda, i pugni della donna si strinsero in una morsa
nervosa. «Cerchi Curt? Perché?»
A
Peter il suo tono di voce sembrò strano, ma forse gli
stava solo andando troppo sangue alla testa. «Be’,
non so se ha letto i giornali…» iniziò.
La
signora Connors lo interruppe. «Si tratta di Lizard, non
è vero?»
«Sì»
disse Peter, stupito,
«come lo sa?»
Per
tutta risposta, lei si fece indietro. «Entra»
lo invitò.
Peter
lo fece con un certo sollievo. Quando ebbe i piedi ben piantati
sul pavimento, tornò a rivolgersi alla donna: «So
che suo marito è un esperto di erpetologia».
«Sì»
confermò Martha Connors,
abbassando mestamente gli occhi.
Il
giovane si sentì un po’ perplesso di fronte a
quel comportamento. Forse si era già pentita di avergli
permesso di entrare?
Un
improvviso nodo allo stomaco, però, gli
suggerì che si trattasse di qualcos’altro.
«Be’,
sì, okay» riprese lui,
un po’ incerto. «Quindi volevo chiedergli se per
caso…» Si interruppe. «Mi scusi, ma suo
marito è in casa?»
Lei
lo guardò, sbattendo le palpebre. «Allora non
lo sai».
Il
brutto presentimento di Peter si rafforzò. Una frase
simile non prometteva mai nulla di buono. «Che cosa non
so?»
La
donna si posò una mano sugli occhi. Sembrava quasi
combattuta.
«Si…
si sente bene?» chiese Peter,
sentendosi un po’ a disagio. «Posso fare
qualcosa?»
Lei
abbassò la mano e lo guardò. «Mio
marito… mio marito è Lizard».
Dietro
la maschera, Peter aprì la bocca e la richiuse,
sentendosi come se fosse stato investito da un treno in piena corsa.
Il
professor Connors era Lizard? Quel mostro? Ma com’era
possibile?
A
meno che…
«Oddio»
si lasciò sfuggire.
La
ricerca! Quella per la quale Connors aveva chiesto dei finanziamenti
ad Harry! Il professore voleva mescolare il DNA delle lucertole a
quello umano…
Con
una fitta di sgomento, Peter ricordò la conversazione
che aveva avuto con l’amico a proposito di quel progetto.
Come idea è affascinante,
non posso negarlo,
però… ci sono molti punti che non mi convincono.
Ad esempio?
Be’, mettiamo che funzioni.
Quali potrebbero essere gli
effetti collaterali? E se la nuova specie innestata, la lucertola, si
rivelasse quella dominante?
“Oh,
diavolo” pensò. A quanto pareva, la
sua ipotesi si era rivelata corretta…
Ma
credeva che il professor Connors avesse rinunciato alla sua ricerca.
E invece, invece… pareva che avesse solo deciso di
sperimentarla su di sé.
«Lo
so». La voce della signora Connors lo riscosse.
«Mio marito stava svolgendo alcuni esperimenti… e
il risultato non è stato quello che si aspettava».
Peter
si morse la lingua. «Capisco» disse.
«Per caso… per caso può dirmi qualcosa
di più sugli esperimenti del professore?»
Martha
Connors strinse le labbra in una piega decisa.
«Seguimi» lo invitò.
Peter
obbedì, e la donna lo guidò sino allo
studio di Connors. Il tavolo da lavoro era stato spaccato in due, e sul
pavimento era sparpagliata una caterva di oggetti. Libri, per lo
più, con tutta l’aria di essere stati gettati a
terra, ma anche numerose scartoffie, fogli accartocciati, e i pezzi di
vetro di alcune provette infrante.
«Ha
lavorato qui» affermò la donna.
«È stato qui che… che è
successo. Non so come, deve essere stato un incidente. Io ero in
cucina, quando ho sentito degli strani rumori. L’ho chiamato,
ma lui non mi rispondeva, perciò sono corsa qui, ho aperto
la porta… e mi sono trovata davanti quel…
quel…»
«Lizard»
suggerì Peter.
Martha
Connors annuì. «Subito non ho capito.
Perché come poteva quel mostro essere mio marito?»
Il
giovane inclinò la testa. «Ma ora ne
è certa».
«Mi
ha attaccato» continuò la donna, e
il suo tono sembrava una conferma. «Ho cercato di scappare,
ma ad un certo punto mi sono ritrovata sul pavimento, con
quella… con Lizard che incombeva su di me. Poi ho sentito
Billy urlare».
Billy.
Il figlio del professore.
«È
stato quello a fermarlo» aggiunse
Martha Connors. «L’ho sentito sibilare il nome di
nostro figlio, poi è tornato a fissarmi e ha sibilato anche
il mio… E subito dopo è fuggito».
Ci
fu un momento di silenzio.
«Da
allora, non l’ho più
rivisto» concluse la donna, con una certa stanchezza.
«Mi
dispiace» offrì il giovane.
«Posso… posso vedere se riesco a trovare qualcosa
di utile nel suo studio?»
Lei
lo guardò aggrottando la fronte.
«Sa,
io sono… sono una specie di
scienziato» disse allora Peter. «Sa, quando
non… thwip, thwip. Vorrei cercare un modo di aiutare suo
marito».
Gli
occhi della donna parvero riaccendersi. «Credi di poterlo
fare?»
«Lo
spero».
Lei
trasse un respiro. «Prenditi tutto il tempo che
vuoi».
Note:
Prima di tutto, vi ringrazio per il bentornato che avete dato a questa
storia.
Sul serio, non me lo aspettavo (e direi che non lo meritavo neanche), e
mi ha reso felicissima.
Questo capitolo è abbastanza lunghetto, ma spero che non sia
risultato pesante da leggere. La battuta di Peter, “sono una
specie di scienziato. Sa, quando non… thwip,
thwip”, è una sorta di citazione non programmata
da Sensational Spider-Man (vol. 2) Annual #1, che
adoro. (La battuta
originale è: I’m kind of a scientist,
believe it
or not. When I’m not—you know. Thwip-twhip.)
Detto ciò, il prossimo aggiornamento va a domenica
8
febbraio (molto avanti, lo so, ma c’ho degli esami
di mezzo e
non so se riuscirei a preparare prima il nuovo capitolo).
Alla prossima!
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