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ênâdu Kíli
Nei
pressi delle Montagne Azzurre, dove si era stabilito il popolo di
Erebor, si trovava un villaggio di Uomini.
Laggiù,
molti Nani erano riusciti a farsi impiegare nelle
fucine o come braccianti. Forse in futuro sarebbero divenuti
più indipendenti, ma per ora gli scambi col popolo vicino
erano una delle principali fonti di sostentamento.
Quel
giorno, Thorin si era recato al villaggio con un gruppo di Nani
per ritirare un consistente ordine di mantelli foderati in previsione
dell’inverno. Quando giunsero alla meta, la bottega era
ancora chiusa, così dovettero attendere fuori, ai margini
della strada fangosa. Era piovuto di recente, ed ogni carro di
passaggio schizzava in giro acqua di pozzanghera.
Finalmente
arrivò il proprietario, ed i Nani si mossero per
fare il loro ingresso. Thorin aveva appena posato la suola dello
stivale sulla soglia, quando gli parve di udire qualcuno che lo
chiamava.
Si
bloccò e si tirò indietro, girandosi per
sondare la strada coi propri occhi azzurri e penetranti.
Individuò
immediatamente chi aveva gridato il suo nome: era
Dwalin che, avvolto in un mantello consunto, si stava dirigendo verso
di lui a grandi falcate e con un’espressione che non
prometteva nulla di buono.
«Voi
andate» ordinò Thorin, rivolto a
chi lo aveva accompagnato, per poi staccarsi dal gruppo ed affrettarsi
verso il nuovo arrivato.
«Dwalin»
esordì, non appena gli fu
giunto di fronte, «che succede?»
L’altro
quasi non si fermò a prendere fiato.
«Dís» rispose. «È
in travaglio».
A
quelle parole, Thorin impietrì. «Non
è possibile» obiettò. «Il
bambino non dovrebbe nascere prima di due mesi».
«È
prematuro».
Il
respiro di Thorin si bloccò un istante, e i suoi occhi
saettarono sul profilo azzurrino della catena montuosa dove si trovava
sua sorella.
«Qui
ci penso io» si offrì Dwalin, con
un cenno del capo verso la bottega. «Tu
va’».
Fosse
stato qualcun altro, forse Thorin avrebbe indugiato…
Ma all’amico avrebbe affidato la sua stessa vita.
«Ti ringrazio» asserì, posandogli
brevemente una mano sulla spalla.
Dopodiché,
si separò da lui, ed iniziò
a camminare con passo spedito. Per fortuna, il luogo dove avevano
lasciato i pony – e due monete ad un garzoncello
affinché li tenesse d’occhio – non era
molto distante. Come fu sulla sua cavalcatura, Thorin la
spronò al galoppo verso la montagna.
Quando
sua sorella lo aveva informato che aspettava un secondo figlio,
lui aveva pensato che quella nascita non sarebbe avvenuta in una tenda,
e non gli avrebbe portato la stessa preoccupazione di quella di
Fíli. A quanto pareva, però, era destino che la
venuta al mondo dei suoi nipoti lo riempisse d’ansia.
Gli
alloggi che Dís condivideva col marito ed il figlio
erano tra i primi ad essere stati ricavati dalla roccia. Non avevano
nulla da spartire con le ricche e maestose sale di Erebor, ma erano
sicuri ed accoglienti.
Nell’anticamera
della stanza da letto si era già
radunato un drappello di persone. Lontani cugini, e una manciata di
amici.
Thorin
individuò Glóin, fratello di
Óin, e gli si avvicinò nella speranza di poter
ricevere qualche informazione in più.
«Come
procede?» chiese, senza preamboli.
L’altro
sbatté le palpebre, ma si riprese subito.
«Ci sono state alcune complicazioni»
borbottò, passandosi una mano sulla folta barba castana.
«Ma ci sono mio fratello e la stessa levatrice che ha aiutato
alla nascita del primogenito».
Thorin
annuì, e in quel momento – anche se il
suono venne attutito dalla porta e dalle mura di pietra –
udì sua sorella urlare per lo sforzo, e poco dopo
Óin che affermava: «Eccolo. È
fuori».
Thorin
ne dedusse che il bambino fosse nato. Ma se era così,
perché non si sentiva nessun pianto?
La
voce di Dís domandò qualcosa –
Thorin non riuscì a distinguere le parole, ma gli si
spezzò il cuore nel sentire il tremore nel tono della
sorella.
Quasi
senza rendersene conto, si spostò verso la porta della
camera da letto. In quel momento, qualcosa gli strattonò le
braghe, ed una vocetta lo chiamò. «Zio?»
Thorin
abbassò lo sguardo, ritrovandosi a fissare gli occhi
azzurri di suo nipote.
Fíli
aveva un’aria indagatrice, sperduta e
risentita assieme, e suo zio ebbe la netta impressione che nel caos
dovuto a quella nascita prematura nessuno si fosse occupato di
spiegargli cosa stava succedendo.
«Fíli».
Suo
nipote lo osservò con una certa aspettativa.
«Non trovo amad e adad» lo informò,
inciampando appena sulla r.
Thorin
diede una rapida occhiata alla persone presenti. Possibile che
nessuno avesse detto niente al bambino?
«Sono
in camera loro» affermò.
Fíli
gli chiuse una manina su un lembo dei pantaloni,
lanciando un’occhiata scontenta alla vecchia comare che
sostava nei pressi della porta. «Ma lei non mi fa
passare».
«Fa
bene» replicò Thorin, lapidario.
«Non si può entrare».
La
risposta non piacque a Fíli, che arricciò il
naso – era un naso terribilmente importante, per un visetto
così piccolo. «Perché no?»
«Ecco…»
Thorin esitò,
chiedendosi quanto poteva spiegare ad un bambino
dell’età di suo nipote. «Sta arrivando
il tuo fratellino».
A
quelle parole, Fíli lo guardò quasi con
sospetto, poi scosse la testa. «No»
negò, sicuro di ciò che diceva. «Adad
dice che bisogna aspettare ancora».
La
preoccupazione di Thorin si risvegliò. Ancora non aveva
sentito alcun pianto… «Potrebbe esserci stato un
cambio di programma».
Fíli
lo scrutò, corrugando le piccole
sopracciglia bionde… Poi il suo visetto si
rischiarò. «Il fratellino arriva adesso?»
Thorin
indugiò, colto da un dubbio improvviso. Doveva dirgli
di sì? E se, Mahal non volesse, il secondogenito di
Dís non fosse sopravvissuto? Una risposta affermativa
avrebbe potuto portare Fíli a tempestare di domande due
genitori già distrutti.
A
togliergli il peso di quella penosa decisione intervenne
Óin, che scelse quel momento per affacciarsi dalla porta. I
suoi occhi scandagliarono la stanza, e come vide Thorin gli fece cenno
di avvicinarsi.
Il
primogenito di Thráin mosse subito un passo nella sua
direzione, ma invece di lasciarlo andare Fíli si
aggrappò con più forza ai suoi pantaloni,
incespicando dietro di lui.
Thorin
si fermò e si chinò per staccare le dita
del nipote dalle proprie braghe. «Fíli, tu
devi…»
«Voglio
la mia amad» lo interruppe il bambino, in
un piagnucolio.
Era
più di un capriccio; Fíli era stanco, non
voleva essere lasciato di nuovo solo e doveva iniziare a sentirsi
davvero inquieto per l’assenza dei genitori.
Thorin
lanciò uno sguardo impotente ad Óin, che
da parte sua scomparve un istante nella stanza. Quando ne riemerse, lo
invitò: «Porta anche il bambino».
Thorin
ne fu rincuorato. Se Fíli poteva entrare con lui, non
doveva essere successo nulla di terribile…
Si
chinò su suo nipote e lo sollevò. Radioso,
Fíli gli circondò il collo con le proprie
braccia, incurvando le labbra in un minuscolo sorriso.
Thorin
lo trasportò con sé nell’altra
stanza, ma sulla soglia si fermò un istante per prendere
visione di quanto si trovava all’interno.
La
stanza di Dís e di suo marito era una delle poche che
avesse una finestra che dava sull’esterno. Era abbastanza
ampia, ma arredata in modo spartano: un letto matrimoniale, una
cassapanca, un guardaroba.
Dís
era distesa sul letto, e il sudore le aveva diviso in
ciocche i capelli scuri. Suo marito sedeva accanto a lei,
sull’orlo del materasso, e gli occhi di entrambi erano
puntati sul fagotto di coperte che Dís teneva tra le braccia.
Thorin
non riusciva a vedere il bambino, ma dalla posizione riusciva a
capire che stava succhiando il latte materno.
I
suoi genitori sembravano incapaci di togliergli gli occhi di dosso,
le tracce di una forte preoccupazione ancora visibili sui loro volti.
Poi
Fíli si contorse nella presa di Thorin, tendendo una
manina verso Dís. «Amad!»
La
testa di lei si sollevò di scatto, e un sorriso le
piegò le labbra. «Fíli» lo
salutò, mentre spostava il peso del neonato da un braccio
all’altro.
Thorin
lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle e si
avvicinò al bordo del letto. Fíli si
dimenò e poi, siccome la presa dello zio non si allentava,
si sporse verso sua madre.
«Amad,
perché hai pianto?» chiese, con
voce piena di preoccupazione. «Stai male?»
Con
un lievissimo sussulto, Thorin si rese conto che le guance di
Dís erano effettivamente bagnate di lacrime.
«Oh,
no, lukhdel» si affrettò a dire
lei, «ho solo…»
Un
vagito la interruppe, e gli occhi azzurri di Dís
saettarono sul neonato. Nuove lacrime le inondarono le guance, e Thorin
poté vedere che non erano di dolore, ma di sollievo e
gratitudine.
Ne
fu comunque quasi scioccato – stentava a ricordare
l’ultima volta che aveva visto sua sorella piangere.
Suo
cognato dovette notare la sua espressione, poiché
spiegò a mezza voce: «All’inizio
temevano che il bambino avesse qualcosa che non andava».
«E
non è così?» chiese
Thorin, per cacciare definitivamente le proprie preoccupazioni.
L’altro
diede una mezza risata. «No»
rispose. «A quanto pare era solo molto impaziente di fare la
nostra conoscenza».
«Venite
a conoscerlo anche voi due»
invitò Dís, alzando gli occhi sul fratello e
coprendosi il seno, dato che ormai il neonato si era saziato.
Óin
e la levatrice uscirono con discrezione, sia per
concedere alla famiglia qualche istante di intimità, sia per
tranquillizzare le persone nell’altra stanza e dire loro che
era andato tutto bene.
Thorin
poggiò con cautela Fíli sul letto. Suo
nipote rimase in ginocchio sul materasso e si sporse a dare
un’occhiata al suo nuovo fratellino.
I
tre adulti tacquero, tutti curiosi – a modo loro
– di conoscere la reazione del bambino.
«È
piccolo» disse infine
Fíli, dopo aver ponderato a lungo.
Dís
rise sommessamente. «Oh,
Fíli» sospirò poi, «anche tu
eri piccolo».
Fíli
inclinò la testa di lato, poco convinto.
«Non così tanto».
Sua
madre abbassò per un attimo gli occhi sul proprio
secondogenito, ed annuì. «Hai ragione»
ammise. «Non così tanto».
«Come
si chiama?» aggiunse Fíli.
I
suoi genitori gli sorrisero, e Thorin attese, anche lui desideroso di
conoscere la risposta a quella domanda.
«Kíli»
asserì Dís.
«Ti piace?»
Il
bambino diede un mugugno affermativo. «È
mio?» s’informò poi, sbirciando
nuovamente il piccolo fagotto.
Thorin
sbatté le palpebre, sorpreso da
quell’uscita.
«È
tuo fratello, sì» rispose
Dís. «Ma questo non…»
«È
mio» concluse Fíli, e ne
sembrava così lieto che nessuno ebbe cuore di contraddirlo.
Sua
madre, un mezzo sorriso ancora sulle labbra, alzò lo
sguardo su Thorin. «Ora manchi solo tu» gli disse.
Per
tutta risposta, Thorin si allungò verso di lei. Voleva
solo riuscire a dargli un’occhiata, finalmente, ma
Dís sollevò il neonato con grande cura e glielo
passò.
Thorin
si raddrizzò cautamente con quel fagottino tra le
braccia, quindi abbassò gli occhi sul secondogenito di sua
sorella.
Fíli
aveva ragione: Kíli era davvero molto
piccolo, e sembrava anche spaventosamente fragile.
I
suoi occhioni aperti erano di un blu picchiettato di nero, segno che
sarebbero diventati dello stesso colore di quelli di suo padre, e dei
soffici ciuffetti scuri gli adornavano la testolina.
Mentre
suo zio lo guardava, il neonato si aggrappò al suo
dito con una manina morbida ed emise un versetto contento.
E
Thorin, che aveva sempre considerato assurda l’idea
dell’amore a prima vista, dovette ricredersi. Nonostante
fosse la prima volta che posava gli occhi su di lui, Kíli
gli aveva già rubato il cuore.
E
non solo a lui, a quanto sembrava. Fíli si mise in piedi
sul materasso, domandando: «Amad, posso tenerlo
anch’io?»
Note:
Sto ridendo come un’idiota perché è
quello che sono mi sono resa conto che
ênâdu
Kíli suona quasi come “è nato
Kíli” detto da qualcuno col raffreddore.
Comunque, spero che questo capitolo non sia un disastro (e di non aver
messo Thorin troppo da parte in favore del piccolo Fíli XD).
Ringrazio di cuore chi ha speso un po’ del suo tempo per
leggerlo!
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