Ekaterina
(La
fuggitiva)
La
fuggitiva. Capitolo 6
"Prendetela! Non
deve scappare, prendetela!"
Saltò in
macchina con gli occhi pieni di lacrime.
Alexsander le corse
dietro affannato, il petto nudo e i pantaloni slacciati.
Emily, nell'ovetto,
piangeva disperata. Non aveva il tempo di assicurarla, perciò
con una mano afferrò il volante e con l'altra la teneva salda
al sedile. Il tirapiedi di Alexsander, le si parò davanti
tentando di fermare la sua corsa, accellerò verde d'ira,
costringendolo a ripiegare su un fianco e caracollare in terra.
Sprangò il
cancello automatico con il Dodge antiproiettili che era riuscita a
individuare, fortunatamente appena tirato fuori dalle rimesse per il
piacere di Barajev e delle sue scorribande fra i monti ucraini del
fine settimana, creando un foro in cui passò senza intoppi,
ripendo mentalmente di restare calma ed essere lucida.
Controllò lo
specchietto retrevisore, sapeva che era questioni di attimi prima che
qualcuno, lo stesso Alexsander se fosse stato altrettando lucido da
tirarsi su i pantaloni, si lanciasse all'inseguimento; la guancia
dove aveva ricevuto il malrovescio, iniziava ad arrossarsi.
Si era ribellata.
Aveva rovesciato le
carte in tavola e come un leonessa chiusa in gabbia per troppo tempo,
aveva mostrato al pubblico pagante il suo ringhio; c'era ancora, era
lì, era stata calcolatrice e subdola e alla fine c'era
riuscita, non senza qualche intoppo, un guancia dolorante, ma ora era
lì con la sua bambina a cercare la via di fuga.
Aveva rubato una lista
di nomi e cognomi qualche tempo prima, ed era saltato fuori che
quella lista fosse di vitale importanza per Barajev, dei contatti
punitivi, gente che gli doveva dei soldi, deliquenti con debiti,
strozzini a loro volta, mercenari.. e lei l'aveva rubata. Ne aveva
fatto delle copie e le aveva spedite ad ogni singolo nome con un
avvertimento; morte. Capì che i messaggi erano arrivati
a destinazione perchè Alexsander si faceva di giorno in giorno
sempre più cupo, nervoso, indossando in viso una maschera che
non gli aveva mai visto prima; la paura.
Era incredibile
vederlo così piccolo, frustrato, inutile.
Fra loro era sceso il
gelo, non la toccava ne si occupava della bambina, così che
nei sempre più frequenti momenti di solitudine, era riuscita
ad escogitare un piano di fuga che comprendesse l'espatrio nel minor
tempo possibile.
Tutto stava filando
liscio, Alex era via da qualche giorno e non le aveva lasciato
nessuno dei suoi tirapiedi addosso, quando rincasò la notte
prima della fuga, sporco di sangue e con degli evidenti segni di
collutazione sul corpo.
Uno dei contatti alla
quale aveva destinato il messaggio, fedele scagnozzo insospettito
dalla missiva ritenendola fosse una prova di fiducia del criminale
nei suoi confronti, per paura d'essere tormentato a vita, si era
autocostituito con Barajev, mostrandogli il reperto; non c'era voluto
molto tempo perchè Alexsander arrivasse a lei quale fautrice e
ringraziò l'amico per la fedeltà piantandogli una
pallottola in fronte.
Ekaterina aveva capito
tutto, appena udite le sue grida nel cortile.
I suoi occhi di
ghiaccio vibravano fiamme nelle pupille, le sue mani tremanti
stringevano la pistola, il suo animo grigio gridava vendetta; si era
accorta di lui e si era nascosta in una delle stanze al pian terreno
ma Emily aveva pianto, smacherando il nascondiglio.
"Viaggio
improvviso?" Aveva detto con quel tono di voce piatto e
mellifluo, mirando alla sacca a tracolla.
"Ho in braccio
Emily, non fare cazzate."
"Dammi la
bambina." Le aveva ordinato inflessibile.
"Mai."
"Non ti farò
nulla se me la dai." Insistè, posando lentamente la
pistola ai suoi piedi; Ekaterina inarcò il sopracciglio e
sputò in terra, sfidandolo. "Questo non dovevi farlo."
Aggiunse in fine l'uomo, con il volto rattrappito d'odio.
Con una mano si era
sfliato la cintura e l'aveva scagliata contro il suo braccio nudo; il
dolore della cinghiata si fece da subito prepotente e per un attimo,
chiudendosi a riccio, aveva dato le spalle; Alexsander le si era
avventato contro, strappandogli la bambina dalle mani e lasciandola
in terra, dove giaceva la pistola, prendendo a spogliarsi.
"Brutto bastardo,
lasciami stare!" Gridò, immobilizzata dalla sua morsa.
Per tutta risposta e
con una risata perfida le aveva rifilato un malrovescio,
scaraventandola contro il pavimento.
La paura per quello
che le avrebbe fatto l'annientò e lui ebbe tutto il tempo di
montarle addosso nuovamente stringendo la cintura in mano; guardò
la sua bambina contorcersi sul pavimento, lontano da lei, e urlò
più forte che potè.
"Dovevi solo
ubbidire, Ekaterina. Solo ubbidire. Ubbidiscimi ora e giuro che non
farà tanto male."
Vide la pazzia infondo
alle sue pupille, vide la cattiveria, vide la morte.
Ma vide anche la
speranza. Alexsander si sdraiò su di lei, attorcigliandole la
cintura intorno al collo.
"Farò
quello che vuoi." Disse con voce rotta e flebile.
I suoi occhi
guizzarono. "Oh si che lo farai." Sembrò cambiasse
idea, levò la cintura dal collo spostandosi leggermente per
legarle le mani, ma liberando una delle braccia da sotto il peso
delle sue ginocchia, le lasciò tempo e istinto di graffiargli
una guancia, con tutta la foga che poté. Gridò come un
ragazzino, il sangue già in superficie.
La colpì in
pieno viso ma nel farlo, liberò anche l'altro braccio.
Ekaterina capì
che quella era la sua ultima possibilità; afferrò la
cintura che aveva lasciato cadere per tastarsi il viso e affondò
il gancio della stessa contro il collo di Alexsander, che nello
schivare il colpo, si tirò indietro sbloccandole anche le
gambe.
Si alzò come
una gatta infuriata e senza pensare due volte, corse incontro alla
bambina, l'afferrò e scappò via.
L'uomo strepitò,
lento nel rialzarsi forse per le precedenti collutazioni, regalandole
così, attimi preziosi per la rincorsa alla libertà.
Quella follia, quella
cattiveria, l'avevano salvata.
Guardò ancora
nello specchietto, afferrò il cellulare, rigettando alle
spalle i terribili attimi d'angoscia passati.
Una voce femminile le
rispose concitata.
"Marishka sono
io. Alexsander mi ha scoperta e non sono riuscita a portare con me la
borsa con i documenti, sto raggiungendo la statale, ti prego vedamoci
al casolare sulle colline. Piano b."
Non avrebbe mai voluto
ci fosse un piano B, ma in quel momento era necessario; riagganciò
malamente il cellulare gettandolo dal finestrino verso i campi,
affondò il piede sull'accelleratore e proseguì dritta
fino a destinazione.
Quando arrivò,
la donna minuta era li ad aspettarla.
"Prendila tu."
Esordì, indicando la bambina. "Quando sarò
sistemata, tornerò a prenderla."
I suoi occhi erano
annegati di lacrime; non avrebbe mai permesso che qualcuno gliela
strappasse via, ma non poteva rischiare che le accadesse qualcosa
costringendola, così piccola, alla traversata dell'Adriatico
-nuovo mezzo di ripiego nel lasciare Odessa, ora che non aveva i
documenti con se- o peggio rischiare che le trovasse prefigurando il
suo futuro in mano a quell'assassino. Quest'ultima opzione, le diede
una botta allo stomaco.
Doveva salutarla. Non
v'era più tempo, lo aveva capito, guardando il sole al centro
esatto del cielo.
"Ma.."
"Niente ma. Le
tue consorelle si prenderanno cura di lei. Io troverò il modo
di arrivare al porto entro sera."
"Dove andrai
esattamente?" Chiese quella in apprensione.
"Non posso
dirtelo. Dio non voglia arrivino a te e ti costringano a farsi dire
tutto." Le accarezzò la guancia al terribile pensiero che
quella donna così buona, morisse a causa sua. "Si
chiamerà Dorotea, dono di Dio, alle tue consorelle
dovrebbe piacere. Promettimi che salverai la mia bambina, ti prego."
Quella unnuì e
smise di fare domande. "Te lo prometto. Sulla mia vita."
Ekaterina inspirò
così forte che Emily rise ascoltando quel suono. Le baciò
dolcemente la fronte e abbracciò forte Marishka. "Dille
che l'ho amata dal primo istante che l'ho vista e che quando tornerò,
staremo persempre insieme."
Si asciugò le
lacrime con il dorso della mano e le allontanò dolcemente da
lei. "Va.. adesso va."
La donna annuì,
voltando le spalle in silenzio.
Rimasta sola
s'accasciò sulle sue stesse gambe, il volto piegato fra le
mani, in un pianto disperato.
Non si accorse dei
passi silenziosi alle sue spalle, ma udì chiaramente il rumore
della rivoltella contro la sua nuca.
Sussultò,
l'ombra dell'uomo che la teneva sotto tiro le passò accanto,
fino a trovarsela davanti.
"Quella
macchina.. ho sempre detto al capo di non usarla durante un
inseguimento. Non puoi farla sparire."
Rise mostrando denti
rancidi, sistemandosi sulle gambe per eseguire l'ordine d'esecuzione.
La finestra era aperta
alle spalle del suo aguzzino, riuscì a scorgere dal limbo
della sofferenza, una striscia del mare di Odessa e fu
felice di morire guardando per l'ultima volta, qualcosa che le
ricordasse casa sua.
Era sciocco pensarci.
Era sciocco non
provare una parvenza di paura.
Era sciocco
patriottismo e vana speranza di essere appartenuta veramente a
qualcosa.
I suoi genitori
l'avevano venduta. Così, tutto era cominciato. E così,
tutto stava per finire.
Era sciocco, sì.
Era
sciocco avere diciassette anni
e trovarsi sul punto di morte.
"Dì le tue
ultime preghiere."
Udì, prima che
il boato di uno sparo, risucchiò la sua vita in un secondo.
Cadde a terra,
terrorizzata, agitandosi e tremando come una foglia; una macchia di
sangue andava allargandosi sotto ai suoi occhi sbarrati. Una macchia
di sangue proveniente dal corpo rigido difronte al suo.
Non sono morta,
pensò ancora più spaventata.
"Non sono morta!"
Esalò, voltandosi.
Marishka era in piedi
accanto all'entrata, le braccia ancora protese in avanti con una
pistola fumante fra le mani.
"L'ho sentito
arrivare, appena assicurato la bambina in auto." Pronunciò
con labbra serrate. "Hai la via libera."
Ekaterina si alzò.
"Mi hai salvato la vita due volte."
"Te ne devi
andare subito. Non sei più al sicuro quì."
Annuì
sconvolta. "Taglierò per i campi. Non mi vedranno."
"Prendi questi.
In macchina ho un camice da lavoro." La donna si tolse la
maglietta e il giubbino, porgendoglieli.
La ragazza si spogliò
delle sue vesti, gettandole in terra con stizza e indossando le
nuove.
"Non so come
ringraziarti."
"Tieni in salvo
la tua vita."
"Lo farò."
E dopo un'ultima
occhiata, corse fuori verso i campi, verso la libertà.
Stringeva quel
biglietto da visita come se d'un tratto potesse sparire dalle sue
mani.
La visuale era
confusa, anche se la strada percorsa era piuttosto familiare; nella
sua testa un grande vortice le stava risucchiando i pensieri, l'ansia
graffiava già nel fondo nella gola, il piede tremante appena
appoggiato sull'acceleratore indicavano lo stato di smarrimento in
cui versava.
Aveva preparato la
valigia con il cuore in tumulto, il Paradise era stata la sua casa in
quei lunghi sette anni.
Lì si era
trasformata nella persona che non credeva di diventare ma era
diventata anche molto forte.
Marcello l'aveva
tradita o forse voleva tradirla, chi lo sa, quel dolore lancinante
che sentiva dentro al petto era la chiara e netta sensazione
d'abbandono che conosceva bene, essendo stata venduta da chi l'aveva
messa al mondo, ma era anche la spia salva vita che la costringeva a
guardare in faccia la realtà e preservare la sue esistenza.
Non si erano
incrociati, il suo avviso molto chiaro, perciò era fuggita
via.. non senza prima garantirsi un pò di sopravvivenza; il
contatto che Guido aveva lasciato alla reception, il biglietto da
visita con le sue generalità, adesso ce l'aveva lei, stretto
fra le mani, insieme al cellulare.
Ed era proprio la sua
voce, quella che rispose dall'altro capo.
"Elena.. sei tu?"
Abbozzò un sì
tetro e fugace, trattenendo un pianto colmo di speranza. "Puoi
aiutarmi?" Chiese.
"Dove sei? Ti
sento malissimo."
"Credo di essere
sotto casa tua." Biascicò. "Sono in strada, accanto
il gabbiotto della vigilanza."
Guidò sospirò.
"Arrivo subito."
L'indirizzo
corrispondeva ad un cancello di ferro imponente, sul finire di una
strada alberata, un cancello con delle mura molto alte, dalla quale
oltre, si intravedeva il profilo del tetto di una villa; il tizio di
guardia la fissò, quando il cancello si aprì e un
ciuffo biondo apparve, si rilassò all'istante.
Guido le venne
incontro, vestito casual, la camicia sbottonata e il jeans slavato
con i mocassini chiari; più lo guardava avvicinarsi, più
la sua estrazione borghese le sbatteva in faccia la realtà dei
fatti. Aveva passato con quel ragazzo forse la notte più
intima di tutta la sua vita, si era presa la sua verginità, ma
quel viso così pulito, quel sorriso così sincero, la
presero alla bocca dello stomaco, facendola sentire sporca.
Illividì e
accese di nuovo il motore della macchina.
Guido intuì le
sua intenzione e con uno scatto, bloccò la partenza infilando
la mano nell'abitacolo, sul volante.
"Non scappare."
Disse perentorio.
"Siamo troppo
diversi." Esalò Elena.
"Hai bisogno di
aiuto e hai chiamato me. Non senti questa grande differenza,
dopotutto."
Mollò il
volante e tirò indietro la schiena contro il sedile. "Ho
paura."
"Elena di che
cosa? Di chi?" Si protese verso l'abitacolo, incoraggiandola a
parlare.
Lo fissò a
lungo prima di parlare. Era chiaro che si fidava di lui, era chiaro
che provava verso quel giovane un sentimento puro del quale non
conosceva un nome ma che la terrorizzava; non era mai stata guardata
con quegli occhi, non era mai stata il "pensiero" di
qualcuno, tutto questo era nuovo e scioccante.
"Il mio nome è
Ekaterina Murjel e vengo da Odessa, Ucraina. Ho una figlia di sette
anni che non vedo da quando era poco più che una neonata.
L'uomo che ho sposato all'età di quindici anni è sulle
mie tracce perchè vuole uccidermi." Prese un respiro
profondo, il viso di Guido era una statua, ma profondo nello sguardo.
"Ed io sono a quì per chiederti di aiutarmi ma ho paura
perchè tu sei così limpido, pulito. Non avevo capito
chi fossi veramente se non vedendoti uscire da quel cancello."
"E' solo un
cancello." Bofonchiò Guido, sorridendole. Girò
intorno all'auto e si accomodò sul sedile passeggero; fece
cenno all'uomo che li osservava di aprirlo e si voltò verso
Elena. "Metti in moto, il resto me lo racconti di fronte una
buona tazza di caffè."
"Hai sentito
quello che ti ho detto?"
"Parola per
parola. Adesso vai." Insistè incoraggiandola.
Elena ingranò
la prima ed imboccò cautamente il viale di ghiaia circondato
da un giardino di finissima erba rasata e aiule di azalee viola e
bianche; la proprietà, qualche migliaia d'ettari non seppe
giudicare bene, si aprì alla sua vista come un ventaglio. Un
delicato cespuglio di ibisco lilla ne percorreva tutta la cinta
muraria e si perdeva dietro la villa sullo sfondo, bassa e a due
piani, con un grande portico che celava le vetrate ampie
dell'ingresso.
Il ragazzo indicò
di svoltare verso destra dove terminava la ghiaia e nasceva un
percorso fatto di pietra lavica che portava ad una costruzione più
isolata e leggemente rialzata, rispetto all'altra. Dallo specchietto
retrovisore si accorse di aver lasciato una piscina a forma di
goccia, nascosta da alcune roccie e cascate stile paradiso perduto,
alle spalle.
Si voltò a
guardarlo truce. "E scommetto che quella è solo una
piscina?"
"Esattamente."
Rispose Guido laconico. "Quella è solo una villa."
Proseguì indicando il paesaggio intorno a loro. "E
quest'altra, solo la dependace in cui vivo. Come vedi.. solo
dettagli."
"Si certo.
Dettagli." Elena guardò velocemente in giro, quando
accostò accanto alla porta d'entrata. "I tuoi genitori..
non ci sono? Li hai descritti come due.."
"Rompicoglioni?
Si, proprio così. Ma attualmente infestano un lussuoso resort
delle Maldive dove si ritirano due volte l'anno per dimostrare al
loro manipolo di amici ricchi di essere altrettanto ricchi, trendy e
sopratutto felici. Che schifo."
Elena rise. "Adesso
sei tu l'ipocrita."
"Mi era parso di
capire che fossi dalla mia parte." La invitò ad entrare,
seguendola subito dopo.
La dependance era
piccola e accogliente, moderna nello stile, grandi pavimenti grigio
scuro e mobili bianchi, vetrate che davano sul bel portico con
eleganti elementi da giardino, soffitto di travi a vista smaltate.
C'era un discreto
disordine tipico maschile e tipico dei ragazzi della loro età,
parecchi capi formali sparsi sulle sedie del bancone cucina di cui
lui si accorse e che si apprestò a riordinare e portare via in
una sala attigua che immaginò fosse la camera da letto.
"Caffè o
preferisci altro?" Le chiese di ritorno.
Elena sospirò.
"Vorrei qualcosa di forte."
Guido attraversò
la sala principale fino ad arrivare alla parete attrezzata, dove con
una leggera pressione delle dita aprì un'anta che nascondeva
una riserva di gran vini e liquori; afferrò un paio di
bottiglie, poi trafficò in cucina voltandosi infine con lo
shaker fra le mani sorridendo.
"Un'altra delle
cose finite nella lista da primatista del cazzo di mio padre."
Versò il preparato in due coppe e sorrise ancora. "E'
un'arte che mi ha sempre appassionato."
Elena lo ringraziò
portandosi la coppa alle labbra. "Sono stupita."
"Lo so." Le
rispose demoralizzato. "La mia immagine mi tradisce ancora una
volta,"
La ragazza lo fissò
torva. "Veramente sei tu che ti affossi senza alcuna ragione."
Posò il bicchiere sul tavolo bianco e perfetto della cucina e
rise. "Bello, ricco e anche barman. Questo ti aiuterebbe con le
ragazze, non dimenticare di dirlo al primo appuntamento. E non
dimenticare di aggiungere la vodka.. fa meno cocktail di classe, ma
ti assicuro che mette tutti a proprio agio."
"Ah si? Sei
un'esperta?"
"Qualche migliaia
di consumazioni al club mi rendono esperta?" Chiese divertita.
"Direi di si."
Annuì. Poi la guardò, lasciando il bicchiere in
sospeso. "Se vuoi metterti comoda, ti mostro dov'è il
bagno." I pensieri angoscianti tornarono a tormentarla, Guido se
ne accorse, stringendole la mano. "Quì sei al sicuro
davvero, puoi rimanere quanto vuoi, ma dovrai spiegarmi bene l'intera
faccenda se vuoi che ti aiuti."
Elena annuì e
dopo aver ingollato quanto restava dell'alcolico, tutto d'un fiato,
raccontò la storia dall'inizio, da quando era una ragazzina
che amava ballare sulle punte ad Odessa fino a diventare la
stripdancer di un club a luci rosse. Parlò di Marishka, di
Leonardo e Marcello, della sua intoccabilità e del probabile
invischiamento di quest'ultimo circa il suo ritrovamento, per conto
del folle Barajev. Parlò delle sue paure, prima fra tutte di
non riabbracciare mai più sua figlia Emily o Dorotea non
sapeva più neanche come si chiamasse, così tanto che il
corpo venne squassato da singhiozzi che Guido curò con altro
alcool, stavolta non dimenticando la vodka, stordendola a tal punto
che ad un tratto si rese conto di essere a letto.
Si agitò,
tastando le coperte intorno a lei e quando lo trovò, vigile e
fermo a vegliare sul suo sonno, si strinse forte alla sua camicia,
trovando il suo caldo abbraccio. "Sono quì." Le
bisbigliò fra i capelli. "Non vado da nessuna parte."
"Mi aiuterai?"
Chiese, inspirando il suo odore così buono e rassicurante.
"Ho già
chiamato il tuo amico, Leonardo, ci sono delle novità."
Elena aprì gli
occhi spaventata. "Che cosa hai fatto?" Si tirò su,
pallida in viso.
Guido la fissò
negli occhi. "In qualità di tuo avvocato -forse ho
dimenticato di dirti che mi occupo di scienze umane, sociali e
gestionali- ho il diritto di sapere lo sviluppo delle indagini. Per
quanto riguarda la bambina c'è molto altro da scoprire ma ho
già preso contatto con qualche istituzione clericale e
orfanotrofi di Odessa e dintorni ma come puoi ben immaginare di
lavoro dietro ce n'è abbastanza e la piccola potrebbe essere
finita ovunque, tanto più che la donna che vi ha aiutate non
mi sembrava una sprovveduta da farla ritrovare. Dovrai darmi tutti i
contatti che ti ricordi, numeri di telefono, tutto ciò che
riguarda Marishka, se vogliamo arrivare alla bambina in tempi brevi."
Elena annuiva senza
capire, il cervello in estasi. "C-come faremo poi a..?"
"Di questo non
devi preoccuparti ora, una volta individuata non manderemo in fumo il
sacrificio al quale ti sei sottoposta per tenerla al sicuro, per la
mera fretta. Dobbiamo agire cautamente e con astuzia. In tal caso ho
già preso contatti anche con un'amica dei servizi sociali, se
serve a tranquillizzarti per il futuro. Purtroppo non è
abbastanza Elena te lo dico con sincerità, sarà
difficile, ma intanto possiamo tenere quello stronzo lontano da voi."
Poi s'azzittò,
guardandola indeciso.
"Che c'è,
perchè mi guardi così?"
"L'ispettore
Colonna mi ha detto che trovandosi in territorio italiano c'è
un'alta probabilità che possano prenderlo per processarlo
secondo le nostre leggi. Stavolta c'è la possibilità
che tu possa ricevere un'identità legale alternativa,
trattandosi di un soggetto altamente pericoloso e legato alla mafia
internazionale, quindi anche questo non sarà un problema come
vedi."
Elena alzò un
sopracciglio. "Quindi gli hai detto la verità circa la
mia identità?"
"E' un
poliziotto, credi non lo sapesse? E da me non un fiato in più
ma ritengo oppurtuno, in quanto tuo avvocato, mettere in chiaro la
totale e reciproca fiducia che ci vedrà cooperare. Nel miglior
modo possibile, spero."
Elena sospirò,
straiandosi di nuovo. "Come ti ho raccontato ho usato Colonna
per farmi da scudo contro Alexsander, senza però affrontare la
questione apertamente. Volevo mi raccontasse tutto, non riuscivo a
fidarmi completamente di lui. Ne di chiunque altro se proprio
vogliamo dirla tutta. Ma di te sì. Tu mi hai mostrato chi sei
senza vergogna."
Guido si toccò
il mento. "Possiamo fidarci di lui." Sorrise e scosse il
capo. "Un pò scorbutico certo, ma ha mostrato un
interesse sincero, quasi oltre il compassionevole senso umano, quando
ha capito che parlavo di te. E questo caso, risolvere questo caso,
apporterà alla sua carriera un'impronta importante." La
donna annuì, ma il suo sguardo si perse sulla sua fronte
corrugata. Guido annuì a sua volta. "Non gli ho detto
dove ti trovi, vuole incontrarti solo se anche tu sei d'accordo e con
cautela; Alexsander Barajev è in Italia, Elena. Ha fatto
affari con la mala Brenta, giri di droga e prostituzione, i servizi
segreti sono sulle sue tracce e si hanno prove concrete che abbia
avuto ripetuti contatti con Marcello Moretti per un grosso
affare, ergo anche Colonna vuole mantenere riserbo."
Le si sdraiò di
fianco, guardandola profondamente negli occhi, lasciandole il tempo
di metabolizzare le sue parole.
Elena prese a
respirare affannosamente, il petto si gonfiava e si svuotava ad un
ritmo frenetico, che Guido temette le scoppiasse il cuore da un
momento all'altro; le accarezzava la schiena senza fiatare,
incatenando i loro sguardi, l'unica arma che possedeva al momento per
farla tranquillizzare.
Era spaventata, il
viso pallido dal quale schizzavano fuori i suoi occhi cinerei, la
bocca contratta.. un angelo ferito che aveva disperatamente voglia di
baciare. E la baciò, avvicinandosi piano, cercando il suo
consenso, dal momento che in quelle pupille, attraverso il terrore,
leggeva di cosa era fatta la sua paura e tremò egli stesso.
Non era riuscito a
togliersela dalla testa, da quando il Paradise si era fatto sempre
più piccolo alle sue spalle il giorno in cui ci aveva messo
piede, sapeva che non l'avrebbe dimenticata tanto facilmente.
Aveva sperato ogni
giorno in una telefonata da parte di Moretti. "Sì,
accetto." Immaginando queste parole.
Il consenso ad averla
per se. Anche se significava comprare il suo tempo.. tutto, pur di
strapparla alla realtà della quale si circondava; non aveva
mai fatto sesso con una donna prima di allora e non sapeva nulla
delle donne in generale ma non riusciva ad accettare che una ragazza
tanto intelligente, dolce e carismatica come Elena, accettasse
bonariamente quella vita così dissimile da ogni tratto che la
riguardava.
Le aveva letto negli
occhi, nei gesti del corpo, le sue movenze.
Voleva essere
salvata. Gridava silenziosamente.
E non si era
sbagliato, perchè adesso era lì fra le sue braccia, a
chidergli di fare ciò per cui si era ossessionato fino ad
allora. Lo avrebbe fatto. E non cercava ragioni.
Voleva salvare
quell'angelo ferito.
Migliaccio bussò
alla porta d'ufficio del capo con due bicchieri colmi di caffè.
Sarebbe stata una
lunga mattinata, quella. E l'avrebbero segnata sul calendario, ne era
certo.
L'intoccabile Marcello
Moretti, appariva meno intoccabile di sempre, oppure era stata la
caparbietà di Leonardo di rivoltare il sistema -dopo
l'assassinio di un esponente della politica locale si era fatto
portavoce di legalità- fatto sta che dopo velate minacce
dall'alto di lasciarlo in pace, tutto a un tratto Moretti appariva
come un'aringa in un mare di squali. Un'aringa solitaria, perduta.
La mafia ucraina era
alle sue calcagna, dai tabulati telefonici e le intercettazioni era
saltato fuori un grosso giro d'affari legato alla criminalità
organizzata di prostituzione, droga e rachet, un giro finito male,
qualche intoppo, forse lo stesso Moretti e la sua ambizione da
piccolo "imprenditore" locale lo avevano portato a pestare
i piedi ad Alexsander Barajev, noto esponente della Solncevskaja
bratva attualmente
a piede libero in Italia.
Questo significava una
sola cosa; arresto immediato, prima di vederlo sparire alla volta di
qualche meta esotica e lontana, dove sarebbe divenuto irraggiungibile
per chiunque, persino Barajev.
"L'hanno
trovato?" Chiese Leonardo con una faccia stravolta, da poche ore
di sonno.
"La pattuglia di
ronda è tornata dal club a mani vuote. Quelli della speciale,
idem. Non c'è traccia al momento." Rispose Migliaccio
intuendo già la sua smorfia di disapprovazione. Odiava quel
ghigno, come odiava deluderlo. "Sono stati allertati i maggiori
areoporti, dogane. Lo troveremo capo, sono sicuro che lo troveremo."
Leonardo sospirò,
tornando a quel fotomontaggio stampato che ritraeva la foto di
Barejev in un distrubutore di benzina; la fissava torvo, preoccupato,
quasi cercasse in quella faccia slavata la risposta alle sue domande:
Che fosse lui il vile
dalla quale stava scappando Elena?
Perchè la
ragazza aveva ingaggiato un avvocato?
E sopratutto, cosa
legava Elena-Ekaterina Murjel- ucraina di Odessa, a quel giro losco?
Odiava non avere
risposte. Era sempre stato così.. impaziente, frenetico,
desideroso di verità.
Ma c'era di più;
non riusciva a togliersi quello sguardo tormentato dalla testa.
Si erano tenuti
sporadicamente in contatto, dopo il funerale, più che altro
per tenerla aggiornata sull'andamento delle indagini proprio come da
accordo, poi c'era stata la sua tresca con Francesca, il muto
silenzio reciproco fatto di prudenza, paura del giudizio.. tutto fino
ad allora, alla bomba esplosa e alla verità piano-piano venuta
a galla.
Sembrava un grande
quadro incompleto e a quel quadro mancavano tocchi che solo lei
poteva aggiungere, ma aveva promesso d'incontrarla solo quando
sarebbe stata pronta e capiva che qualsiasi risposta gli fosse
tornata indietro, doveva prepararsi al peggio. Non era di difficile
intuizione data la sua presentazione; ballerina nel club di
Marcello Moretti, il magnaccia travestito da imprenditore che aveva
infestato il nord con i suoi festini a luci rosse quando era stato
solo un giovane figlio di papà, fino ad insozzarlo con la
scalata odierna di attività illegali del suo locale.
Si chiedeva dove fosse
finita, ora che non risiedeva più lì, fino a sentirsi
quasi preoccupato per lei.
Il suo avvocato era
stato chiaro, non glielo avrebbe rivelato e lui non poteva avvelersi
di un diritto non suo.
Non era una testimone,
per lo meno non ancora, non era un'indagata.
Ma forse..
"Sta pensando
alla Murjel non è così?" Migliaccio lo riportò
indietro dai pensieri.
"E' la chiave di
svolta di questo caso, ne sono quasi sicuro." Affermò,
sorseggiando dal bicchiere.
"Capo, parliamo
di un uomo pericoloso, la piaga dell'est Europa osarei dire, come può
arrivare a pensare che ci sia una donna dietro la sua barbaria
omicida? Mi spiego meglio, avrebbe trucidato quelle donne, per
arrivare a una soltanto?" Ogni parola detta, nell'eco della sua
stessa voce, appariva come una realtà un pò meno
improbabile. "Lei crede sia arrivato al Moretti perchè a
conoscenza della protezione che garantiva alla donna?"
"Sono quasi
sicuro che sia così. Voglio sapere perchè. E senza
Moretti non posso saperlo."
"Ci sarebbe
sempre la Murjel da interrogare.."
Si guardarono consci
dei segreti che nascondevano i quali non potevano più far
finta di non considerare.
"Non mi
istigare." Rispose Leonardo tracannando il caffè come
fosse vodka. "Ho dato la mia parola di tenerla fuori al momento.
Ma sto pensando di mettere alle armi tutto il Brenta, pur di
cacciarla fuori dalla tana di quell'avvocato da strapazzo. Ha
ventiquattro anni, ti rendi conto?"
Miliaccio rise dietro
il bicchiere. Leonardo Colonna era un uomo molto controllato, lucido,
perfettamente padrone delle sue emozioni; davanti a quella donna
diventava un ragazzino.. un ragazzino geloso. Un ragazzino.. alla
prima cotta. Chiuse gli occhi e inspirò forte. Li riaprì
e lui era lì che si tormentava il labbro, mentre gli occhi
vagavano ancora su quella foto dai pixel sgranati. "Cazzo,
Colonna in che guaio ti stai andando a cacciare?"
"Che hai
da fissarmi?" Gli chiese freddamente, alzando gli occhi dal
tavolo.
Non poteva essere
diretto, anche se da amico, da uomo che lo rispettava al di là
delle loro posizioni, avrebbe voluto. Come dirgli che si sentiva uno
scemo in quel momento, per aver creduto che c'entrasse davvero un
probabibile ritorno a Napoli, in pompa magna e nelle nuovi veste di
eroe?
Aveva creduto che
dietro quei furenti occhi di ghiaccio si nascondesse l'ambizione per
una carriera tutta in salita, fino a quel momento, il suo riscatto
nel mondo delle forze dell'ordine e agli occhi di chi lo giudicava
solo un ribelle dalle mano facile, che spaccava la faccia ai
superiori, uno che dava noie.
E invece dentro quegli
occhi.. la sagoma di una donna.
"Forse ha ragione
lei. Meglio non tormentarla." Disse fingendo un sorriso.
Leonardo lo guardò
sottecchi, prese la foto e la infilò malamente in una
cartellina.
"Certo che ho
ragione." Parlò e Migliaccio finalmente tornò a
respirare. "Sono il capo."
Gli sembrò che
sorridesse, la testa già altrove, ma restò a guardarlo
fino a quando non si rimise capochino su altri file, lasciandolo
completamente in silenzio. Il suo cellulare vibrò, il volto
affascinante di Francesca coprì tutto lo schermo, Leonardo con
gesto secco annullò la chiamata e tornò su di lui.
"Ma ancora quà
stai?" Chiese.
"Non mi ha
congedato, capo."
"Vai, ma torna
con due caffè." Scosse il capo, brandendo la cornetta del
telefono fisso. Dalla voce che replicò dall'altro capo della
cornetta, capì che era in contatto con qualche collega. "Non
raccontare nulla a Francesca." Disse ancora, coprendo la
cornetta con la mano.
Sembrava una minaccia
e anche un'ammissione.
Migliaccio sospirò
e pensò che era venuto il momento di delegare qualche affare
alla nuova recluta; chiuse la porta e lo lasciò lì, con
una penna stretta fra le labbra, il capo verso la finestra mentre
pensava a chissà cosa.
La schiena nuda di
Elena, riluceva al baluginio fioco della lampada.
Guido era estasiato,
totalmente infettato dal suo odore, dalla sua presenza.
Avevano fatto l'amore,
stavolta. Ed era stato qualcosa di molto forte, diverso dalla prima e
non solo perchè quella volta si era presentato inesperto e
impacciato, c'era stata come una sorta di elevatura nel loro
rapporto, se così poteva chiamarlo. Era il suo
avvocato, ma era anche il suo amante. Qualcosa era cambiato.
Sorrise e si alzò,
lasciandola riposare.
Il pc in sala trillò.
Mosse il mouse per tornare alla schermata desktop ed aprì la
mail.
I suoi contatti
iniziavano a produrre qualcosa; scorse velocemente alcuni file di
posta, captando parole chiave e annotando numeri e nomi su un
taccuino quando una mano delicata gli accarezzò le spalle.
Si voltò. Elena
era alle sue spalle. "Ti sei riposata?" Domandò.
"Qualcuno mi ha
fatto fare gli straordinari." Rispose guardando lo schermo del
pc. "Novità?"
"Nulla di
particolarmente eclatante." Le baciò la mano e la invitò
a sedersi sulle sue gambe. Elena acconsentì, girando intorno
alla sedia. "Devi stare tranquilla, qualcosa verrà fuori,
devi solo avere pazienza e lucidità. Al resto ci penso io, va
bene?" Si protese verso le sue labbra ma la donna schivò
quel bacio con un'innata naturalezza.
"Forse dovremmo
parlare del nostro rapporto non lavorativo." Azzardò,
guardolo negli occhi.
Guido socchiuse le
palpebre. "Ero insicuro sulla sua definizione. Grazie per averla
trovata per me."
"Sei proprio un
avvocato." E rise, appoggiando distrattamente le mani sul suo
petto nudo e definito. "Allora, il nostro rapporto non
lavorativo ha bisogno di regole."
Guido strappò
un foglio e scrisse la parola baci con una X sopra. "Niente
baci. Peccato, sono un bravo baciatore a dispetto della mia scarsa
esperienza sessuale."
Eena gli strappò
la penna dalle mani e scrisse. "No ironia sessuale. Il sesso si
fa, non se ne parla."
"Questa regola mi
piace." Guido riprese la penna. "Fiducia?!" Elena
annuì.
"Libertà
reciproca." Ordinò poi.
Il ragazzo alzò
un sopracciglio. "La libertà pone diversi aspetti
interessanti."
Elena sgranò
gli occhi. "Giuro che non volevo trasformarti in un pervertito.
Ma se serve a far ampliare la tua esperienza sessuale.." Risero
in coro, ma azzittandosi l'aria si fece pesante.
"Un giorno te ne
andrai. E può essere anche domani, va bene. Non ti
costringerei mai a restare." Le passò una mano fra i
capelli mossi e lucidi, sorridendo. "Nel frattempo potrei
prendermi cura di te e tu.. fare di me quello che vuoi."
Concluse con una risata argentina ed Elena ebbe una gran voglia di
baciarlo.
Era bellissimo; un
ragazzo divertente, intelligente, socialmente attivo.. e con un gran
bel fisico.
Si sentiva molto
attratta da lui, innegabilmente attratta. O forse era la figura del
salvatore, ancora non lo sapeva, ma doveva pensarci su,
decidere cosa fare di questo bellissimo salvatore. Intanto
l'idea di farsi proteggere da lui non era affatto male ed era sicura
ne sarebbe stato capace, in cambio avrebbe levigato le sue paure di
non essere abbastanza e fatto nascere la farfalla rinchiusa nel suo
bozzolo.
"Perchè
sorridi in quel modo?" Le chiese a pochi centimetri dalla sua
bocca.
"Perchè
pensavo a te come a una crisalide." Guido fu sul punto di
replicare, ma Elena si posò sulle sue labbra, suggellandole
con un bacio. "Piccola clausola sui baci; sì, nei momenti
intimi. Dopotutto qualsiasi regola ha margine di flessibilità
ma.. tu non te ne approfitterai."
Guido le morse il
labbro, negando il controllo di sè, Elena impazzì e gli
montò a cavalcioni, togliendo via la vestaglia, rimase nuda
fra le sue braccia; con entrambe le mani fece scivolare un pò
la tuta dai suoi fianchi e con un gesto rude gli liberò il
pene dagli slip. "Voglio baciarti.." Soffiò sulle
labbra del ragazzo che si protese verso di lei, ma la donna scivolò
dalle sue gambe fino al pavimento, facendosi spazio fra le sue cosce.
Guido seguì la scena con stupore e lei rise maliziosa e non
disse null'altro, beandosi dei gemiti, che di li a poco, il ragazzo
liberò nell'aria.
"Quello ha tutta
l'aria di essere un mandato, capo."
"Perchè lo
è." Leonardo si passò la lingua sui denti,
beandosi del senso di soddisfazione che provava.
"Gioca sporco per
uno che fa promesse." Silvio sentiva montare la preoccupazione
per le scelte dell'uomo, ora dopo ora, sapeva che non si sarebbe
tirato indietro nel fargli da spalla e questo se possibile lo
preoccupava ancora di più. "Come mai questo cambio
repentino d'idea?" Chiese cercando di apparire interessato ma
non terrorizzato.
"Smettila di
cagarti addosso." Rispose quello stizzito. "Ho capito che
genere di idee ti passano per la testa. Vuoi la verità?"
Chiuse la porta dell'ufficio con un calcio e lo trascinò
vicino alla finestra, lontano dal corridoio e dai quei muri di
cartone. Migliaccio ammutolito non potè fare altro che annuire
con il capo. "Voglio chiudere questo ciclo e voglio farlo quì
e ora. Per anni sono stato trattato come un delinquente e sai che ti
dico? Forse lo sono, ho spaccato la faccia ad un superiore e se
tornassi indietro lo farei di nuovo, perchè vedi Silvio, sotto
questa divisa c'è un uomo. E l'uomo sbaglia, paga i suoi
errori e poi si rimette in carreggiata. Sempre più spesso vedo
molte divise perseverare in questi sbagli e questo non sono
io. Ecco ciò per cui lotto oggi, ecco perchè sto
sul cazzo a più di una persona. Ma io i miei errori li ho
pagati tutti, anzi li sto ancora pagando, eppure non ho perso di
vista i valori che mi hanno insegnato indossando questa divisa. Se
vuoi farti togliere da questo caso, se non la pensi come me, io ti
comprendo. Ci vuole il coraggio per cambiare le cose, ed io non sono
quì in giudizio di nessuno."
Migliaccio lo guardò
corrucciato, come se non dovesse neanche rispondere a quell'offesa;
scosse un pò il capo e Leonardo lo colpì
affettuosamente sulla spalla, grato per rinnovargli la sua tacita
fiducia.
Eppure non riuscì
a trattenersi. "Quella donna non c'entra proprio nulla?"
Leonardo sorrise
sghembo, le mani sui fianchi, totalmente arrendevole. "Le donne
indifese sono il mio punto debole."
Migliacciò
insistè. "Lei lo ha capito che la Murjel è tutto
fuorchè indifesa, vero?"
"Cosa vuoi
sentirti dire, Silvio?" Replicò senza inflessione.
"Che cercherà
di anteporre il movente di questa operazione nei confronti
della donna, anzichè gli ormoni." Leonardo
spalancò la bocca e sventolò le ciglia ripetutamente.
Migliaccio lo guardò truce. "Quella faccia non attacca
con me, capo."
"Mi farò
una doccia fredda semmai i miei ormoni impazzissero alla sua vista."
"Neanche la sua
ironia attacca."
Leonardo sbuffò.
"Quando verrà il momento, ti ordino di fermarmi anche con
la forza, se fossi incapace di farlo da solo."
I duei uomini si
guardarono, Silvio socchiuse gli occhi e allungò la mano verso
l'altro. "Questa la registro però."
Colonna abbozzò
un sorriso sarcastico e ricambiò la stretta. "C'è
dell'altro che non ti torna?" Quando lesse il nome di Francesca
nei suoi enormi occhi castani, alzò gli occhi al cielo.
"Francesca non c'entra niente con questa storia, teniamola
fuori. E' una situazione che possiamo gestire entrambi, da adulti. E
mi scoccia doverlo sottolineare."
"Lei e mia moglie
sono amiche." Tentò di giustificarsi l'altro con un tono
di voce flemmatico.
Leonardo prese
possesso nuovamente della sua sedia. "Migliaccio torna a
lavorare!" Gracidò divertito. "Ti pagano per questo,
forza siediti!" E l'altro ubbidì frastornato, sedendosi
al suo posto.
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