Capodanno.
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E'
la notte più triste dell'anno, se ti guardi intorno e il mondo
non fa che sbatterti in faccia la tua solitudine.
Ma
per fortuna io ho Patrick. Lui è il mio salvagente, mia madre
ha adirittura messo fine alle domande sul mio futuro da quando si è
trasferito in città.
Credo
sospetti una liason fra di noi e per quanto il pensiero risulti
bizzarro, vedrò di godermi questa pace e tranquillità
il più a lungo possibile.
Fisso
un punto lontano dinnanzi a me cercando di trattenere il sorriso,
mentre il discorso di ringraziamento che Patrick sta volgendo alla
sala gremita di persone, scorre lento e ricercato in quel suo
delizioso accento british che cattura e conquista tutti.
Eccoli
tutti quà, la creme dell'alta società parigina
venuta in missione caritatevole, agli occhi di tutti, in realtà
festival dell'autocelebrazione per la conquista di un posto in
paradiso, persone facoltose alle quali una volta l'anno, per amore
della ricerca, dedichiamo salamecchi farciti di gratitudine per le
gentili donazioni fatte a nome dell'ospedale in cui operiamo,
dimenticando tutto il resto.
Il
Salpêtrière
per
mezzo del direttore sanitario e consorte famosa organizzatrice di
eventi, hanno
preferito mandare le due punte di diamante alla fête
più
esclusiva dell'anno, caricando di responsabilità e aspettative
noi due poveri parigini single in un covo lussuoso fatto di
champagne, caviale, pellicce e ostentazione.. e quale dispiacere è
stato per noi due accettare.
Ancora
una volta cerco di rimanere impassibile ; la ricerca è un
tema che mi sta a cuore, avvicinarla a questo mondo patinato, sebbene
le mie origini mi insegnino che una buona pubblicità agli
occhi di certi ambienti resta del tutto necessaria, resta sempre
un'idea un pò ostica per me.
Non
so fingere, ma ho imparato ad accettare qualche compromesso. In
questo somiglio molto a mio zio Fabien.
Di
colpo un applauso mi riportà alla realtà, Patrick mi
guarda e mi sorride.
"Passerei
ora nuovamente la parola alla mia collega Chedjou, se ha
qualcos'altro da aggiungere."
Afferro
il microfono e prendo qualche secondo per schiarirmi la voce. Ho
l'attenzione della sala, so che è il momento di parlare e lo
faccio.
"Spenderei
qualche parola ancora per lei dottor Thompson, per la fiducia e il
sostegno che impiega nella mia ricerca." Patrick sorride
grato ed assume un atteggiamento del tutto dedito all'ascolto delle
mie parole. "Senza il suo valido supporto, che ricordo con
affetto nato ai tempi del nostro dottorato in quel di Londra, temo
che annegherei in un mare di Cisplatino e Carboplatino." I più
che conoscono nozioni di medicina sorridono. "Ecco, credo che
ognuno di noi abbia bisogno di qualcuno che ci sostenga sempre nei
fallimenti come nelle vittorie e in lei non è mai mancata
nessuna delle due cose. Per questo motivo desidero augurarle
affettuosamente un anno nuovo ricco di altrettanti successi,
personali e lavorativi, a lei e a voi tutti signori !"
Patrick
mi stringe la mano con rispetto, abbozzando un'occhiolino divertito.
Ci
voltiamo verso gli invitati ed un coro mi fa eco. "Buon
anno ! "
L'atmosfera
cambia deciamente tono, mentre io e Patrick scendiamo dal palco che
prontamente, viene fatto sparire dagli inservienti.
Le
porte della sala da ballo vengono aperte e dopo pochi minuti il primo
flusso di ospiti paganti fa capolino con un leggero brusio di
eccitazione.
La
musica intorno è soft, una composizione di musicisti in frack
e le donne in eleganti abiti di pizzo nero, e la luce dai lampadari
in cristallo del Meurice Hotel in Rue Rivoli, fa apparire la
sontuosa sala come avvolta da una polvere incantata.
Resto
sempre estasiata dalla bellezza delle opere d'arti e questo posto lo
è; stile Luigi XVI che ricorda molto Versailles, con le sue
modanature dorate, le sue colonne in marmo e i candelieri in bronzo e
cristallo sui tavoli stondati posati su pavimenti lucidi, questo
luogo invita a vivere una vera e propria un'esperienza fuori dal
tempo, che sento scivolarmi appena sulle spalle e lasciarmi
squisitamente affascinata.
Patrick
è sparito nel nugolo di folla come un grillo, mi volto per
afferare un flute dal vassoio di un cameriere di passaggio, quando la
mia mano sfiora delicatamente un'altra mano.
"Mi
scusi." Una voce calda, mette a fuoco il volto di un uomo che mi
sorride.
Bene,
penso guardando infastidita il vassoio vuoto con un unico bicchiere
al centro.
L'uomo
sembra leggermi in viso, fa una leggera piroetta e me lo trovo di
fianco che mi porge il flute. "La prego, tutto suo."
"Grazie."
Abbozzo, soffermandomi sul suo sorriso sicuro, oserei dire plastico,
senza rinunciare allo champagne che accetto volentieri, sfiorandogli
di nuovo e inavvertitamente la mano. Questa cosa mi infastidisce e
non so perchè. "Buon anno." Dico serafica,
dirigendomi verso un punto impreciso della sala. Cerco dalla mia
generosa altezza di scovare Patrick e quell'avvocato dell'altra
sponda della Senna, come ha
ironizzato il mio amico in una tempesta alcolica di qualche ora prima
del party, sorridendo fra me e me, quando sento la stessa voce calda
di prima raggiungermi alle spalle.
"Non
mi ha lasciato nemmeno il tempo di presentarmi." Parla
flessuoso, se le sue vocali prendessero corpo le vedrei con riccioli
e ghirigori rosa fluttuare nello spazio intorno a noi.
Tuttavia
quell'alito caldo mi mette i brividi. Mi volto e lo guardo
corrucciata. "Sto cercando il mio uomo."
Lui
tentenna ma si lascia andare ad un sorriso. "Le rubo qualche
minuto per farle i complimenti sulla sua ricerca del genoma K-ras e
rendermi conto con piacere che le donazioni a mio nome destinate a la
clinica Salpêtrière
hanno un volto, un nome e un cognome."
Resto
pietrificata. Il magnate dell'industria anglosassone di cui tanto si
chiacchierava fra colleghi in laboratorio, era lì difronte a
me.
E
non solo, lo avevo trattato come il solito tombeur
de femme
da ultima notte dell'anno.
In
quel preciso momento sarei voluta sparire, prendermi a calci o
ingoiare la lingua più lunga di tutta la città di cui
dispongo, ma tento come posso di restare in me stessa e non
sfasciarmi in mille pezzi di vergogna.
Il
suo sguardo indugia sulla pelle della mia mandibola dove sento un
gran fuoco nascere, perciò mi do una bella strigliata interna
e concentrandomi sul respiro cerco di non risultare un'ameba,
sorridendo il più possibile.
"Signor
Hamilton, sono costernata dalla mia barbarie, io sono la dottoressa
Najla Louise Chedjou." Avrei voluto aggiungere anche gratitudine
per le offerte a più zeri che ogni anno gira a nome
dell'ospedale, ma limito la mia più che prepotente personalità
a porgergli la mano sperando che l'accetti.
Per
mia fortuna ricambia il gesto e solo allora mi rendo conto che non
può essere il buon vecchio Raymond Arthur Shelley Hamilton,
classe inizi del novecento di cui ricordavo le belle parole spese
sulla ricerca medica e il suo interesse fin da bambino, in alcune
interviste rilasciate.
Lo
fisso perciò curiosa, attendendo che dimostri d'essere ancora
molto loquace.
"Si
prepari perchè il mio nome è molto più lungo."
Ride smorzando la mia ansia crecente e noto che ha un sorriso
piacevole. "Richard Raymond Wright Hamilton, nipote di Raymond
senior mandante delle donazioni, di cui io sono curatore nonché
entusiasta responsabile."
Sembra
simpatico e a questo punto cattura la mia attenzione completamente,
appurato che non sia il vecchio Hamilton, mi soffermo sull'intera
figura trovandola oltremodo familiare. Dovrebbe avere la mia età
circa, ma per gli uomini mi è sempre difficile trovare una
collocazione anagrafica specie se tirati a lucido. Ha una bella ruga
di espressione al centro della fronte e questo me lo fa apparire come
un pensatore, una caratteristica che trovo subito molto affine. Il
suo volto è marcato, piuttosto strano per un europeo del nord
e i suoi colori, la pelle ambrata e i capelli scuri, confermano la
mia tesi. Deve avere una chissà quale discendenza mista.
Gli
sorrido cordiale, sentendomi stranamente ma piacevolmente amichevole.
"E'
interessante che lei si faccia carico di aspetti così preziosi
e delicati, ad oggi mi stupisce trovare così tanta umanità
e impegno nei miei coetanei."
"La
ringrazio per i complimenti ma devo smentirla. Non siamo coetanei."
Lo guardo corrucciata, si affretta a parlare. "Ho letto la sua
scheda di presentazione prima del discorso. Sono nato cinque anni
prima di lei, che è così giovane ed è già
una luminare. I suoi cari saranno fieri di lei."
Penso
a Deesire Bonnet in pena perchè a venticinque anni non ho uno
straccio di uomo e Fabien Moreau che mi appoggia nella mia solitaria
rincorsa alla carriera. Sorrido spontaneamente, Hamilton mi guarda
incuriosito.
"Non
credo si lamentino." Rispondo senza inflessioni.
"Mio
nonno, se posso dirglielo, legge i suoi aggiornamenti con la stessa
intensità con cui un capo di stato leggerebbe bollettini di
guerra. E' incredibile!" Gracida come un bambino ed io
improvvisamente sento di nuovo le guance farsi calde, Hamilton torna
serio rivolgendomi uno sguardo languido. "Spero di non metterla
in imbarazzo."
Non
sono abituata a questo genere di avances, se posso chiamarle tali per
giunta!
Quest'uomo
giovane e bellissimo che ho dinnanzi mi confonde, non riesco a
seguire il suo sottile gioco fatto di complimenti e l'agghiacciante
sicurezza con cui poi si ritira. Sono interessata. Non riesco a
crederlo possibile.
Ci
guardiamo per attimi che sembrano eterno, così intensamente
che l'uomo distoglie lo sguardo per primo.
Sarà
meglio che parli, prima che questo imbarazzante momento mi trasformi
in una Najla che non riconoscerei.
"Non
credo di essere speciale nel desiderare che le persone non soffrino
più. Credo che ogni medico tutti i santi giorni debba
svegliarsi con la voglia di salvare quante più vite gli sia
possibile e sono certa che sia così." Piano piano sento
il sangue circolare normalmente nel mio corpo, scuoto il capo
divertita per il momento appena vissuto e lo guardo con sincera
gentilezza. "Mi lasci far felice suo nonno, lasciandogli avere
l'ultimo aggiornamento sulla ricerca vergato di mio pugno proprio
questo pomeriggio."
Hamilton,
che non ha staccato nemmeno per un istante i suoi occhi dai miei,
sembra entusiasta della mia proposta. "Perchè non davanti
un buon caffè?" Schiudo le labbra stupita -anche se
ammetto di avergli servito un assist perfetto quasi
inconsciamente- e questa reazione sembra colpire più lui che
adesso mi sembra vagamente imbarazzato. "Sempre che non ci sia
un uomo che la reclami, ovviamente."
Sto
per rispondere con una certa premura e un pò di imbarazzo
quando Patrick appare come un angelo dal fondo del salone, i capelli
scomposti che sistema con un veloce gesto lasciando estasiate alcune
dame al suo fianco. Hamilton fissa il mio sguardo lontano e la sua
ruga frontale si increspa, Patrick ci guarda da lontano incuriosito,
annuisco leggermente e lo vedo avvicinarsi a noi.
"Il
mio amico e collega, il dottor Patrick Thompson." I due si
stringono la mano studiandosi a vicenda. "Patrick lui è
Richard Hamilton, curatore responsabile delle donazioni del
Salpêtrière."
Patrick
annuisce con un bagliore malizioso nello sguardo. "Ho sentito
parlare molto delle aziende della sua famiglia, da qualche parte ho
letto che Hamilton
senior
vorrebbe espandere il dominio anche al di là della Manica?"
Richard
sembra colpito dall'affermazione del mio amico, ma sorride come gli
ho visto fare quando gli ho dato del seduttore.
"Parigi
è una piazza molto ambita, dottor Thompson, dopotutto chi
meglio di lei può confermarmi questo?"
Patrick
lo guarda perplesso, a quel punto intervengo io. "Il signor
Richard Hamilton ha studiato le nostre schede personali durante il
colliquio di presentazione della ricerca, per rivolgerci i suoi
complementi in modo competente e sincero."
Richard
sorride in un modo che mi spaventa. Mi sento sovraesposta e spaesata.
Patrick
mi guarda esterrefatto e toglie l'impasse rinforzando
l'armatura con un tono puntiglioso. "La ringrazio signore,
personalmente mi limito ad apprezzare le risorse medico-scientifiche
che Parigi offre, ma se fossi un industriale, dopo la sua
affermazione, tremerei." Lo guarda sornione e poi mi fissa come
se dovessi cogliere al volo l'amo, ma riesco solo a mordermi il
labbro e a sentirmi confusa più che mai.
"Fortuna
che lei sia un medico, allora." Hamilton non molla
l'osso e dopotutto mi avrebbe stupita il contrario.
Ricco
e alla portata di qualsiasi cosa desideri, non lo immagino perdere
con facilità.
Questa
sottile competizione fra i due mi mette decisamente in imbarazzo.
"Adesso
credo di aver bisogno di un pò d'aria fresca, mi fai strada
caro?" Guardo il mio amico con disperato bisogno di
accondiscendenza, lui mi porge il suo braccio, frapponendosi fra me
ed Hamilton il quale limito a salutare con un cenno del capo.
"Arrivederci signore."
"Spero
di rivederla presto."
Anche
io, penso trasognante, mentre Patrick mi trascina verso il terrazzo.
*
* *
La
vista sul parco di Tulliers e la città è
qualcosa che toglie il fiato.
L'aria
è fredda ma secca, nel mio abito a spalle scorperte il gelo
sembra più una carezza persistente.
"Richard!"
Mi fa eco Patrick con la voce stridula, cercando di smorzare la mia
aria corrucciata.
Sorrido
appena, chiedendomi quante volte Dalì ospite fisso
dell'hotel, abbia ammirato la Tour Eiffel da lassù. "Fai
sul serio?" Prosegue l'uomo.
"Mh?"
Mugolo.
"Quel
damerino pettinato. Ti offendi se ti prendo in giro?"
"Figurati."
Alzo le spalle. "Guardavo la Tour. Che tu con le tue chiacchiere
sciocche ti stai perdendo."
Patrick
con le spalle alla balconata, fa una leggera torsione e sospira.
"L'avocat mi ha strappato un appuntamento che aveva tutta
l'aria di non essere per questioni legali, my friend." Mi
metto a ridere, la poesia del momento scivola via in un istante.
"Non
era quello che volevi?"
"My
friend sono teso come una corda di violino!" Alzo un
sopracciglio e lui fa una mossa con la mano invitandomi a farlo
proseguire. "Ho saputo da Guillerme il mio vicino giornalista
anche lui stasera fra gli invitati, che Francoise il tipo del
ministero, intrattiene rapporti assidui con l'avocat!"
Poi
si azzittisce, piantandomi uno sguardo insistente addosso che mi
convinca a farmi raccontare altro.
"Sei
incredibile! Sono a Parigi da venticinque anni e sono sola, tu ci sei
da una settimana e hai già un avocat, un
Guillerme e un
Francoise!"
Patrick
scoppia a ridere nella notte di luci e clacson al di sotto la Rivolì,
ma torna serio subito,
"Non
mi sembra tanto attraente quanto vuoi farmi credere comunque."
Biascico persa nelle sue locubrazioni.
"Fascino
maledetto." Mi corregge con supposizione, poi si avvicina di più
e la sua voce diventa un soffio nel mio orecchio. "Proprio
maledetto, quando si dice il caso.. pare che frequenti Francoise
perchè quest'ultimo recicla il denaro sporco per le
milieu."
"Francoise,
ecco un nome da scartare dalla tua lista." Dico categorica.
"Anzi due, oltre che brutto questo avocat
non mi sembra un uomo pulito."
Patrick
annuisce. "Ho rifiutato il suo invito difatti."
Annuisco.
"Quindi é Guillerme che ti ha scompigliato i capelli?"
Gi chiedo maliziosa.
"Mi
ha fatto qualche foto, tutto qua, che vai a pensare my
friend! Anzi, dopo ne vuole
anche qualcuna insieme, dice che dovremmo creare una specie di
giornale di lavoro o una cosa del genere per incrementare le offerte.
Sostiene che siamo una coppia scenografica."
Scuoto
il capo infastidita. "Non siamo all'opera, per l'amor del cielo!
Ci manca solo la cattiva pubblicità, ci pensi se cominciassero
ad additarci come due frivoli che pensano solo alla visibilità?
Non posso permettere che il duro lavoro di questi anni venga
infangato dalla sciocca e vana rincorsa alla ribalta!"
Patrick
mi guarda dispiaciuto. "Non ci avevo pensato, perdonami mi sono
fatto prendere dall'entusiasmo."
"Lo
so, my friend."
Gli faccio dolcemente eco. "Sono solo suscettibile quando si
tratta del mio lavoro, lo sai."
"Motivo
in più perchè dobbiamo trovarti un uomo." Blatera,
allungando un occhio verso un cameriere alto e carino.
"Ah-ah..
scordatelo!" Bofonchio.
"Ti
farò cambiare idea!" Dice, prima di sparire dietro al
ragazzo.
Poco
dopo, vengo raggiunta da Maude Sastre, una giovane dottoranda della
Sorbona dalle idee liberali molto attuali con il periodo, fatto da
scricchiolii e brusii in tutti gli ambienti sociali importanti del
paese e sopratutto nella politica, la prima grande imputata di
suddetti brusii, considerata vecchia, troppo conservatrice, remissiva
dinnanzi alle nuove idee e proposte che i giovani sentono il
desiderio di realizzare, per cambiare le sorti di una Francia che
appare sempre più come una bella foto in bianco e nero
sbiadita.
Qualcuno
mormora che certi voci non sono altro che il mosto in fermentazione,
prima o poi tutto esploderà in una grande sommossa ed allora i
grandi uomini resteranno impotenti a guardare un cambiamento preso
con la forza e la violenza.
Maude
ha l'aria e l'atteggiamento di una leder; la provenienza da una
famiglia medio-borghese gli regala un portamento dritto nelle spalle
e fiero nello sguardo, parla gesticolando ma con una grande proprietà
di linguaggio e conoscenza dei fatti attuali nazionali e Esteri.
"Se
davvero il Salpêtrière
ha intenzione di creare un suo ordine universitario misto, dottoressa
Chedjou, mi faccio bocciare a tutti gli esami pur di prendere parte
al progetto!” Mi dice, con la sua ironia forte e lo sguardo
curioso di chi ha voglia di sapere ancora e ancora.
La
guardo sorridendo affettuosamente, mi rivedo molto nel suo
atteggiamento, sebbene alcune regole che oggi sembrano essere
assurde, alla sua stessa età vennero accettate semplicemente
perché nessuno ci aveva mai fatto guardare oltre, sperare e
ambire in una società dove non vi fosse distinzione fra uomo e
donna, molto meno patriarcale ma sempre più meritocratica; io
stessa, per quanto stimi professionalmente Patrick, alle volte, rari
momenti di picco glicemico o di crisi esistenziale tipicamente
femminile, mi trovo a dubitare nelle mie capacità, assumendo
la responsabilità del mio successo con la ricerca alla sola
presenza maschile
che
ho voluto fortemente con me, ma per buona pace dei miei ormoni quando
riprendo coscienza di me, penso che è questo che rende forte
un'idea, le donne stesse; l'essere date per scontate, buone sole a
far figli.
“Pensi
a laurearsi presto invece, che il Salpêtrière ha
bisogno di una mente così viva e forte.”
“Grazie
dottoressa, farò del mio meglio per non deludere il presidente
Basile e la sua onorevolissima
consorte..” Fa una specie di sorrisetto canzonatorio e
prosegue. “Che se continua a spendere cifre del genere in
caviale, credo non la si vedrà tanto presto la nuova
università di
Parigi.”
Mi
copro la bocca con lo scialle per non sorridere, davanti a una
matricola, del presidente che tutti i giorni mi da credibilità
e il pane, quando noto due occhi penetranti dalle vetrate della sala;
deve avvertirli anche Maude, perché si volta anch'ella con
un'aria fra il perplesso e il raggelante.
Le
tende spesse e bianche si muovono velocemente, come se l'ombra
accortasi dei nostri sguardi, avesse desistito nello scoprirsi.
La
ragazza torna a me alzando le spalle. “Qualche infiltrato. Si
dice che certi eventi pullulino di giornalisti disposti a vendersi un
rene pur di accalappiarsi una foto peccaminosa o una notizia.”
Annuisco ma vedo i suoi occhi farsi piccoli e maliziosi. “Oppure
è un pretendente che la sta spiando?!”
Ricambio
lo sguardo avvicinandola e la vedo in estasi per chissà quale
segreto le stia per svelare. “Credo che ne io ne lei stanotte
faremmo notizia a Parigi.” Mi guarda delusa, rafforzo il
concetto annuendo forte, poi mi viene un colpo di genio. “Ma
alla brasserie Balzar ho sentito dire da un gruppo di
femministe, che il filosofo Althusser sia alla festa in vesti anonime.” Quella mi guarda con il sopracciglio
alzato, io alzo le spalle. “Non mi guardi così, io
personalmente avrei preferito il maestro Salvador, si figuri. Ma forse vale la pena indagare..”
Faccio per congedarmi ma quella mi trattiene.
“Hanno
dato qualche indicazione?” Chiede sottovoce, faccio finta di
guardarla stralunata. “Le femministe, dico.”
Sorrido
divertita e invento di sana pianta. “Occhiali da vista del
secolo scorso.” Risposi notando un particolare di uno degli
invitati di passaggio sul terrazzo. “Vestito di un colore
neutro, per non dare nell'occhio.” Guardo l'invitato a cui ho
rubato l'idea e mi domando se certe donne lo facciano di proposito,
consigliare ai propri mariti di vestirsi tanto male in eventi così
importanti. “E dicono molta voglia di dar scandalo.”
Gli
occhi vivaci di Maude si accesero ancor di più. La vidi
schizzare via in meno di cinque minuti millantando una non so quale
sete improvvisa.
Mi
voltai e risi in faccia alla luna. Mi divertivo troppo a torturare le
matricole, ma non era cattiveria, quanto più un passaggio
naturale della vita.
Ricordo
ancora di quella volta di uno strutturato che intuito quanto fossimo
giovani e inesperti io e Patrick, passò un pomeriggio intero a
farci correre da una parte all'altra dell'ospedale alla ricerca di un
medicinale, che per vergogna di non ammettere che non sapevamo di
cosa parlasse, io e il mio amico finimmo con il cercare
silenziosamente interpellandoci fra di noi, salvo poi scoprire che
non era mai esistito sulla faccia della terra.
Dopo
l'iniziale shock, ci ridemmo su non so per quanto tempo.
Sono fuori da un pò e la terrazza è ormai desolata. La sensazione di freddo sembra sparita, premurosa di non dare origine a qualche malanno, decido di rientrare.
“Madame
qualcosa da bere?” Il cameriere carino di Patrick, mi ferma con
un tono di voce un po' troppo melenso.
“Grazie.”
Accetto volentieri lo champagne e quello si pianta a fissarmi.
“Volevo
dirle che siete la più bella stasera madame, sono rimasto
incantato dalle vostre movenze.”
“Ti
ringrazio ancora..”
Lo
vedo posare il vassoio sulla consolle a noi vicina e sfilarsi con
garbo il guanto bianco. “Geremia. Geremia Dumas, come lo
scrittore.”
Sorrido
per la fierezza con la quale si vanta dell'omonimia e ricambio stando
al gioco. “Io sono Najla Chedjou, un medico e basta.”
Sorrido un po' frivola, ma gli occhi neri incantatori con la quale mi
fissa Geremia, mi fanno sentire sciocca e felice.
“Oh
ma io so bene chi è lei, madame!” Da una leggera
occhiata intorno e torna su di me. “Suo padre, Aurelien
Chedjou, salvò il mio durante l'incursione nazista alle
fabbriche Chedjou. Da allora, ed anche dopo quando andò in
pensione, non fa che ricordarlo.”
Ed
io che avevo creduto lo avesse mandato Patrick a tampinarmi. Un
fanatico. Un fanatico di mio padre.
Scuoto
il capo creando in lui curiosità, in realtà parlare di Aurelien mi riempie d'orgoglio.
“Ho
detto qualcosa di spiacevole?”
“Oh
no, affatto.” Mi affretto a rispondere. “Sono lieta di
sapere che la sua memoria venga ancora tenuta viva. Mio padre nutriva
un profondo rispetto verso la vita umana.”
“Una
qualità che pare abbiate ereditato, madame.” Mi guarda
ancora con i suoi scintillanti occhi scuri, gli sorrido sincera
sentendomi un po' stordita.
”E
ditemi, siete anche voi dedito alle belle arti?”
“Assolutamente.”
Risponde scandendo bene le parole afferrandomi la mano, che sfiora
con le labbra impercettibilmente.
“Smettetela
Geremia..” gli dico con un risolino. Il freddo e lo champagne
devono aver sortito uno strano effetto su di me e l'uomo sembra
esserne contento perché sorride senza freni e non mi lascia la
mano. “Il dono della seduzione dei Dumas, vi appartiene non c'è
che dire.”
Quello
tira fuori il petto e mi ringrazia. “Le sembrerei troppo
sfacciato se la invitassi ad un pomeriggio di letture delle più
belle opere dell'artista? “ Poi sorride aperto e generoso
“Siamo un gruppo nutrito non c'è di che preoccuparsi.”
Mi
crogiolo per qualche secondo tanto per nascere ancora di più
l'attesa e gli rispondo. “Solo se mi prometterà che
porterà suo padre alle fabbriche. A nome di mio fratello
Benjamin, posso dirle con certezza che saremmo lieti di riaverlo per
un giorno fra noi così. Cosa ne dice?”
“Che
questa notizia lo renderà pieno di gioia.” Poi socchiuse
gli occhi. “E che indirettamente ha accettato il mio invito.”
“Indirettamente,
certo.” Gli faccio eco.
Quello
getta ancora una volta un'occhiata alla sala. “Adesso devo
salutarla Najla. La mezzanotte sta per scoccare e c'è ancora
gente sobria.”
Mi
bacia di nuovo il dorso della mano e se ne va sorridendo.
Che
canaglia! Ma almeno Patrick avrà di che parlare. Il
pensiero mi mette allegria.
Mi
volto per cercarlo ed averlo vicino per il brindisi, quando scorgo
Richard Hamilton da lontano che alza il flute nella mia direzione.
Ricambio
il gesto e poco dopo un altro cameriere mi fa avere un biglietto.
“Spero
di vederla sorridere ancora come stanotte.
Sarò
in città per degli affari ancora qualche giorno, se ne avrà
ancora voglia la aspetto per quel caffè.
Buon
anno dottoressa Chedjou,
Richard
Hamilton.”
Alzo
gli occhi e di lui più nessuna traccia.
Il
conto alla rovescia è partito.
Dieci..
nove.. otto.. sette..
Che
uomo strano, penso. Enigmatico. Così tanto da salutarmi con un
biglietto.
Voglio
andare a quell'incontro? Sì. Ma forse è meglio di no.
Forse sto confondendo gli affari con il personale e questo non sembra
molto conveniente.
Se
solo Patrick fosse qui.. ma dove è andato a cacciarsi?
Sei..
cinque.. quattro.. tre..
Geremia
invece sembra così.. umano, direi. Umano? Uhm, un po' troppo
distaccata come definizione per aver accettato il suo invito, non
trovi Najla?
Indirettamente
accettato. Un mio classico, ecco.
Due..uno..
“Tanti
auguri my friend!” La voce di Patrick mi piomba alle
spalle.
“Tanti
auguri mon ami!”