La lotta del perdono
Sarada
tese le orecchie, ascoltando distrattamente il rumore
dei ciottoli che ticchettavano sotto i suoi sandali. Udì un
altro suono poco
davanti a lei, più silenzioso e delicato, ma ugualmente
svelto e deciso.
Osservò la mantella nera di suo padre ondeggiare seguendo il
vento fresco della
sera e un brivido le percorse la schiena facendola sussultare. Quando
Sasuke,
quella sera stessa, a poche ore dalla partenza per la missione, le
aveva
proposto di combattere, lei gli aveva riservato uno sguardo incredulo,
pensando
che la stanchezza degli ultimi mesi lo avesse sfinito anche
psicologicamente.
Eppure, trovandosi ad incrociare le iridi scure con il barlume sinistro
del
Rinnegan e quello destro dello Sharingan, Sarada seppe che suo padre
faceva sul
serio. Si era alzata dal divano senza dire una parola, congedandosi in
camera
sua per andare a recuperare le armi, dopodiché aveva varcato
la soglia di casa
seguendo le orme di Sasuke, in balia dello sguardo preoccupato di sua
madre.
«Papà,
potresti spiegarmi cosa sta succedendo?» Sarada si
fermò in mezzo alla strada, inchiodando i piedi a terra.
Sasuke
proseguì di qualche metro, per poi voltarsi
impercettibilmente a guardarla. Sembrò esitare, prima di
rispondere. «Non posso
neanche voler duellare con mia figlia, adesso?»
La
ragazza deglutì rumorosamente, irrigidendo i muscoli. Che diavolo era preso a suo padre, negli
ultimi dieci minuti? Non seppe in che modo replicare,
perciò decise di
raggiungerlo poco più avanti, iniziando a camminare sulla
sua stessa linea
d’aria.
Evitò di guardarlo, ma non si fece ingannare da quella scusa
che sarebbe sembrata ridicola anche agli occhi di Boruto. Non lo aveva
mai
biasimato per il tempo che dedicava al suo compagno, anche se, nel
profondo del
suo cuore, aveva accettato la sofferenza che quell’improvvisa
lontananza da suo
padre le provocava.
Allenarsi da sola non sarebbe mai stata la stessa cosa.
«Qui
va bene».
Si
arrestò di nuovo, bloccata dalle parole del padre e
gettò
un’occhiata ai dintorni, riconoscendo il campo
d’allenamento dove si erano scontrati
Boruto e il Settimo. Sarada sospirò, indecisa se commentare
o meno la scelta di
Sasuke, ma poi decise di lasciar perdere, anche se tutta quella
situazione
cominciava ad avere del surreale.
«Papà,
tra cinque ore devi partire. Dovresti riposare». Lo disse
con fare apprensivo, aprendo i palmi delle mani. Non era sicura di
voler
affrontare suo padre prima di quella spedizione la cui durata era
ancora
ignota.
Sasuke
scosse di poco la testa. «Lo sai che non dormo mai
prima di una missione».
Sarada
sbuffò, abbassando il capo. Boruto si lamentava
spesso della testardaggine di suo padre, ma non tutti sapevano quanto
Sasuke
potesse essere ostinato quando si metteva in testa qualcosa.
Si
sistemò le protezioni alle ginocchia, roteò
dolcemente
polsi e caviglie e impugnò con gesto deciso la katana che
teneva riposta in un
fodero nero. Sasuke la imitò, cercando la sua Kusanagi.
«Come
vuoi» accordò Sarada, concentrandosi.
«Io sono
pronta».
Sguainarono
le armi nello stesso momento, facendole cozzare
violentemente l’una contro l’altra. Il colpo di
Sasuke respinse con forza
quello di sua figlia, che fu costretta a indietreggiare, perdendo il
vantaggio
della prima mossa. Come era solito fare, Sasuke non le
lasciò respiro,
colpendola dall’alto con un fendente di precisione. Sarada,
evidentemente in
difficoltà, decise di schivare il colpo capovolgendosi
all’indietro. Quando
vide suo padre comparirle dietro le spalle si abbassò,
passandogli velocemente
sotto le gambe e non appena Sasuke si girò per colpirla, lei
seppe rispondere
con una mossa potente che li fece bloccare entrambi in posizione
d’attacco, con
le lame intrecciate in una morsa senza uscita. Si guardarono per un
attimo che
parve un’infinità, dopodiché Sarada
diede uno strattone alla sua arma e riuscì
a districarsi da quell’incrocio di metalli.
Si
massaggiò il braccio, già indolenzito; suo padre
non si
stava di certo risparmiando. Chiuse gli occhi, riempiendosi i polmoni
di aria
pura: per quanto volesse capire il motivo reale di quello scontro,
riusciva a
percepire ogni suo tendine fremere al pensiero di potersi battere in
uno un
duello equo contro suo padre. Finalmente,
dopo così tanto tempo, poteva mostrargli di
cos’era capace. Abbandonò per un
attimo la ragione, gettando la katana a terra e correndo verso Sasuke
completamente
disarmata.
Il
padre indietreggiò, sgranando gli occhi, eppure la strana
luce nelle iridi di sua figlia lo convinse a non fermare il
combattimento.
L’attaccò con la katana, cercando di colpirle gli
arti inferiori, senza però
sferrare colpi pericolosi. La ragazza riuscì a schivarne uno
dopo l’altro,
piegandosi avanti e indietro col busto, dandosi la spinta con i piedi e
balzando a zig zag come in una danza frenetica. Sasuke
aumentò la velocità dei
colpi, estasiato dalla maestria con la quale sua figlia aveva imparato
ad
evitarli. Forse anche a causa di una sua momentanea distrazione, Sarada
riuscì
a sferrare un calcio ebro di chakra all’arma del padre, che
schizzò in aria con
uno stridio spaventoso, ricadendo velocemente a terra nel cuore della
foresta.
Sasuke
alzò il volto per guardarla roteare, dopodiché
rivolse le attenzioni a sua figlia, già in piedi dinanzi a
lui con le gambe
piegate e pronta a per la prossima mossa.
«Non
mi lascerai il tempo di andarla a riprendere, vero?»
Sarada
accolse la provocazione con un ghigno e si fiondò
nuovamente verso Sasuke. Entrambi attaccarono l’avversario in
un corpo a corpo
serrato, ove ogni pugno trovava un palmo a bloccarlo ed ogni calcio si
scontrava in colpi decisi con l’avambraccio
dell’altro. Sarada aveva imparato a
volteggiare su se stessa, sfruttando il movimento del corpo per
confondere il
padre e la percezione dei colpi; tuttavia, lo Sharingan esperto di
Sasuke
riusciva a vedere attraverso ogni trucco, sfidando anche gli attacchi
più
veloci. La ragazza sentì la forza dei propri pugni
diminuire, così finì per
abbassare la guardia, mossa che permise a Sasuke di sferrare un colpo
decisivo;
Sarada ebbe appena il tempo di adocchiare un chakra viola che prendeva
forma
attorno al braccio di Sasuke, per poi sentire il destro di Susanoo scagliarsi
contro di lei a potenza massima. La cosa più intelligente
che avrebbe potuto
fare, in quel momento, sarebbe stato balzare in alto e schivare il
colpo.
Invece, con estrema sorpresa di Sasuke, antepose davanti a
sé entrambe le
braccia, richiamando tutto il chakra di cui era capace e accogliendo
quel colpo
micidiale in tutta la sua forza. Sasuke non riuscì a
fermarsi in tempo, ma il
suo stupore crebbe in modo esponenziale quando sentì la mano
di Susanoo scricchiolare in modo
raccapricciante
dopo essersi scontrata con la difesa di sua figlia.
Sarada
gemette, ancorando i piedi a terra e cercando di
reprimere con tutta sé stessa la pressione soffocante del
Susanoo. Quando ebbe
riacquistato equilibrio si voltò verso suo padre,
trionfante, ma non trovò
l’espressione che si sarebbe aspettata.
«Mi
dispiace». Sasuke sussurrò piano, lasciando che il
chakra di Susanoo si dissolvesse lentamente.
La ragazza lasciò andare le braccia lungo il corpo, ancora
scossa da quel duro colpo subito. «T-ti dispiace per
cosa?» domandò con voce
tremante, pentendosi un attimo dopo.
Sasuke fece un passo verso di lei. «Per non essere riuscito
a starti vicino mentre diventavi la kunoichi che sei adesso,
Sarada».
Riuscì a percepire il disagio che gli procurava esternare
quelle parole, ma seppe che era sincero e che per la prima volta,
forse, la stava
rendendo partecipe dei suoi sentimenti.
«Io… non fa niente».
Balbettò, ancora sconvolta. Mentì, come
aveva sempre fatto, perché sembrare una ragazzina
capricciosa e viziata non le
era mai piaciuto.
«Ti ho lasciata sola quando avevi bisogno di me».
Sarada cominciò a sentire i dolori dei muscoli propagarsi ad
ogni parte del corpo. «Papà»
replicò, con voce rotta. Non voleva crollare
proprio in quel momento; si prese un attimo per respirare e
continuò. «Tu avevi
Boruto, non puoi fartene una colpa. E poi, io sono stata con la mamma,
ho
imparato più cose di quanto tu creda».
Sasuke fece un lieve cenno con il capo. «Lo vedo»
concesse
con un mezzo sorriso sghembo, ma subito dopo tornò serio.
Colse negli occhi di
sua figlia il desiderio di continuare lo scontro e, per quanto sentisse
che
c’era ancora qualcosa che doveva dirle, decise di rimandare
ed accontentarla.
Si fiondò con uno scatto improvviso in direzione della
foresta, lasciando
interdetta Sarada, che probabilmente si aspettava un attacco diretto, e
recuperò
la sua arma sfiorando appena il terreno, ma non appena si
rialzò trovò la
figlia a bloccargli la strada; la katana di Sarada brillava di riflessi
bluastri, fulminei, che stridevano
come mille uccelli furiosi attorno alla lama di metallo.
Sasuke
si prese un secondo per ammirare il connubio
inaspettato tra l’alterazione delle proprietà del
fulmine e l’arma di sua
figlia, dopodiché rafforzo la presa
sull’impugnatura della Kusanagi e la
rivestì anch’egli di chakra del fulmine, che la
circondò come una seconda
pelle.
Sarada
si lasciò scappare un sospiro di disappunto alla
vista di tutta quella perfezione. Mentre il suo chakra fulmineo pareva
danzare
attorno alla katana in modo scomposto, quello di Sasuke la rivestiva
interamente seguendo le linee rette della lama.
Caos e ordine
l’uno
dinanzi all’altro.
«Ci
ho lavorato poco» si giustificò, non immaginando
l’orgoglio di suo padre alla sola vista di
quell’apprezzabile traguardo che
aveva raggiunto da sola.
A
quelle parole, l’espressione di Sasuke sembrò
incupirsi
nuovamente. «Se solo avessi avuto il tempo di
insegnartelo».
La
ragazza non volle ascoltare oltre, si scagliò contro di
lui facendo incontrare i loro chakra e provocando uno scoppio
assordante che
generò centinaia di scosse elettriche attorno a loro.
Balzarono velocemente
all’indietro, ponendo fine a quell’esplosione
improvvisa che aveva danneggiato
la maggior parte degli alberi nei dintorni. Sarada adocchiò
nervosamente la
sua lama, scheggiata in punta.
«Accidenti»
borbottò, sospirando rumorosamente. Un attimo
dopo si concesse un breve sorriso poiché, conoscendo la
potenza del Chidori
di
suo padre, si sarebbe aspettata come minimo di vedere la sua lama
ridotta a un
cumulo di cenere, invece il rivestimento che le aveva creato, per
quanto
impreciso, era riuscito a proteggerla dal fare una brutta fine.
«Papà»
disse poi, facendo sussultare Sasuke. «Io… posso
immaginare come ti senti. Insomma… forse ci sentiamo allo
stesso modo, in un
certo senso. Ma questo…» si bloccò per
alzare lo sguardo e trovò suo padre
attento ad osservarla. Era stanca di trovare frasi che andassero bene
per lui e
per lei, voleva semplicemente dire le cose come stavano.
«… questo duello. È quello che ho
sempre voluto. Battermi
con te e… farti vedere quanto valgo».
Sentì una lacrima rigarle il volto, ma
decise di ignorarla e continuare. «Non… non ti
dirò che è stato facile, perché
sarebbe una stronzata». Trattenne un singhiozzo e
sentì Sasuke avanzare verso
di lei.
«Ho fatto un sacco di casini e a volte mi sono sentita
sola»
abbassò il capo e tirò sul col naso. Si sentiva
uno schifo a dover ammettere
quelle cose davanti a suo padre, perché sapeva che lo
avrebbe fatto stare
ancora peggio, ma ormai nascondersi sarebbe stato inutile.
«A volte credevo di non farcela, volevo mollare, poi
però mi
sono fatta forza… la mamma, tu, Boruto… lo so
che mi volete bene e che credete in me,
così ho stretto i denti e-» il resto della frase
venne soffocato da un tessuto
morbido contro cui il suo viso venne dolcemente premuto.
Sentì le braccia di
suo padre circondarle le spalle e il suo mento sfiorarle il capo.
«Mi dispiace».
Strizzò gli occhi, stringendolo a sua volta.
Lasciò che
altre lacrime le bagnassero le labbra rosee e annuì
debolmente con il capo.
Avrebbe potuto dire a suo padre di smetterla di scusarsi, ma non lo
fece;
dopotutto, mentre lei aveva bisogno di esternare il suo dolore, Sasuke
aveva
bisogno del perdono.
«Va bene» accordò allora, con voce
flebile. Continuò a
piangere silenziosamente, perché la felicità di
averlo ritrovato dopo
così tanto tempo non era neanche paragonabile alla
sofferenza provata nel sentirlo lontano. Sentì la presa di
suo padre rimanere
salda finché non fu lei a scostarsi da lui. In quel momento
percepì una fitta
lancinante ad entrambi gli occhi e dovette strofinarseli con foga per
riuscire
a trovare un po’ di sollievo.
«Sarada,
che hai?» Sasuke la guardò allarmato, cercando di
capire cosa stava accadendo.
«Non
lo so, io…. Ci
vedo».
La
ragazza sbatté piano le palpebre, cercando di mettere a
fuoco la sagoma di suo padre. Aveva gli occhiali stretti nella mano
destra e
non poteva credere a ciò che le era appena successo.
Sasuke
le si avvicinò e quando si rese conto della portata
di quell’affermazione due iridi color cremisi con una goccia
d’ossidiana si
riflessero nelle sue.
**
«Per
favore, non dirlo alla mamma. Si preoccuperebbe e
basta».
Sarada camminava al fianco di suo padre, strofinandosi un
fazzoletto bianco sugli occhi.
Sasuke sospirò. «Hai intenzione di nasconderglielo
fino a
quando tornerò? E come farai con gli occhiali?»
La ragazza guardò esausta la montatura rossa, ormai del
tutto inutile, che suo padre teneva stretta
fra le dita.
«Lo Sharingan non
è qualcosa che puoi controllare, Sarada. Almeno non
all’inizio» rincarò il
padre, osservandola guardingo.
«Quando tornerai saprò usarlo meglio di
te» buttò lì la
figlia, guadagnandosi un’occhiata scettica da parte del
padre. Sbuffò permettendosi
di tenere un po’ il broncio, poi si arrese. «Glielo
dirò io domani, con calma.
Tu non preoccuparti».
Facile a dirsi,
pensò Sasuke.
«Lo
so che stai pensando quanto sia sbagliato che mi sia
successo proprio adesso che devi partire e blablabla»
riprese Sarada, stranamente
in vena di chiacchiere. Si zittì di colpo non appena si
accorse di aver detto
troppo, ma ad un’occhiata affettuosa da parte del padre si
decise a continuare.
«Quello che voglio dire e che starò bene.
Sì insomma... al tuo ritorno, magari,
se non sarai troppo occupato con Boruto potremmo…».
«Boruto
non è più mio allievo».
Sarada
frenò bruscamente per l’ennesima volta,
lasciandosi
sfuggire di mano il fazzoletto. «Che vuol dire che
non-».
«Il suo apprendistato è finito. Ora deve scegliere
da solo
che strada prendere».
La ragazza lo guardò ad occhi sgranati, incapace di
metabolizzare la notizia.
«Anche
se immagino che dovrò abituarmi ad averlo comunque tra
i piedi, dico bene?»
Ci
volle qualche secondo prima che Sarada potesse rendersi
conto delle allusioni che sottintendeva quella frase.
Arrossì di colpo,
voltando il capo dall’altra parte. Stava succedendo tutto
decisamente troppo in
fretta.
«È… così
evidente?» sussurrò a fior di labbra, incapace di
inventare altre scuse.
«Abbastanza perché uno come Naruto riesca ad
accorgersene»
replicò pronto Sasuke, guardando dritto davanti a
sé.
Sarada si portò dietro l’orecchio una ciocca di
capelli,
ormai cresciuti lunghi e ribelli sin quasi ai gomiti.
«Io… suppongo di sì, allora»
azzardò, evitando lo sguardo
del padre. «Credo di amarlo, papà».
Sentì il cuore martellarle in petto come se volesse
sfondarlo da un momento all’altro «Non che
io… sappia veramente cosa sia l’amore,
però ecco… ».
Sasuke questa volta la guardò e anche Sarada alzò
il volto
per incontrare quello di suo padre.
«Lui mi rende felice. Io stessa voglio renderlo
felice». Si
fermò e fece istintivamente un gesto per sistemarsi la
montatura, per poi
tossicchiare imbarazzata subito dopo essersi ricordata che non la
indossava
più. Sasuke, in quell’esatto momento,
allungò il braccio per porgerle gli
occhiali e lei li afferrò con un sorriso malinconico.
«Boruto mi fa stare bene, papà. Mi fa sentire
sicura,
apprezzata... protetta. Vederlo
star
male mi fa soffrire, invece. Tutto questo potrebbe rientrare nel
concetto di
amare qualcuno?». Lo
chiese
sinceramente desiderosa di ricevere una risposta. Fu strano, ma si
sentì
improvvisamente a suo agio nel parlarne con suo padre, come se in
qualche modo potesse
capirla più di chiunque altro.
Sasuke
si lasciò scappare un sospiro rassegnato,
dopodiché alzò
le spalle, scuotendo il capo. «Non sono esattamente la
persona adatta per
poterti rispondere, Sarada».
E
lei sorrise di nuovo, perché era proprio ciò che
si
aspettava di sentire. Dopotutto suo padre diceva raramente le cose come
stavano, bisognava essere capaci di leggere tra le righe. E quello,
seppur
contorto e apparentemente insicuro, era sicuramente un sì.
Buonsalve, cari lettori.
Ok, lo ammetto: avrei dovuto avvertire ad inizio capitolo che ci sarebbe stata una dose massiccia di legame padre/figlia. Non lanciatemi i pomodori, prometto che dal prossimo ci sarà di nuovo Boruto, ma questo confronto tra i due era veramente necessario. Ho visto il combattimento come unica via possibile per Sasuke; sia lui che Sarada non avevano fatto altro che tenersi tutto dentro, senza riuscire mai a confrontarsi in una vera discussione. Sappiamo che Sasuke è di poche parole, così ho pensato che un duello potesse aiutarlo a sbloccarsi; inoltre è anche la prima volta in cui si confronta davvero con le abilità acquisite da Sarada… e qui, lo so, non mi uccidete. Ho sganciato ben due bombe: chakra del fulmine (Kishimoto ha voluto fare il figo dandolo a Boruto, io invece sono rimasta sul “classico”) e Sharingan. Era da un po’ che ci pensavo e mi dispiaceva lasciare Sarada senza la preziosa eredità del padre… così ho fatto un po’ di testa mia. Dato che lo Sharingan si risveglia a seguito di emozioni molto forti (sia positive che negative) ho scelto questo momento, ovvero il riavvicinamento a Sasuke. Considerate che si tratta di una situazione estrema, nella quale Sarada ha sfogato insieme sia dolore che gioia. Inoltre ho voluto che lo Sharingan le restituisse la vista; non so perché Kishimoto le abbia messo gli occhiali, forse per qualche difetto derivato dal non essere un Uchiha "purosangue" (XD), in ogni caso anche stavolta ho voluto fare di testa mia. Spero comunque che vi sia sembrato plausibile e che non vi abbia dato fastidio.
In ultimo, ovviamente, c’è l’ammissione.
Non so che altro dire, perché ormai a scusarmi per i ritardi sembrerei stupida. Voglio solo ringraziare che mi sta ancora seguendo, siete davvero fantastici. Colgo l’occasione per chiedere anche ai lettori silenziosi, se ne hanno voglia, di farmi sentire anche la loro voce; arrivati quasi alla fine della storia mi farebbe davvero tanto piacere (potete anche insultarmi per i ritardi eh, non mi offendo XD). In ogni caso, sappiate che vi adoro tutti.
Un bacio grande!
Vavi
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