Capitolo
17.
Maggio 1968. Parigi.
La situazione era
precipitata.
Dal tre maggio la città
di Parigi era ufficialmente sotto assedio e testimone di numerosi
scontri fra forze armate e protestanti.
Un nome fra tutti spiccò
fra questi ultimi; Daniel Cohn-Bendit, che la storia ricorderà
quale motivatore delle proteste universitarie e simbolo di tutte le
altre. Si partì dall'università di Nanterre, dove gli
studenti vennero sfrattati dopo quaranta giorni di assedio, per poi
prendere occupazione alla Sorbona. L'intero quartiere latino fu
teatro di grandi cortei e barricate, non senza conseguenti scie di
sangue e centinaia di feriti.
L'apice si toccò il
tredici di maggio, con l'università occupata da sempre più
accoliti e un corteo di ottocentomila persone che portò al
collasso la città.
Nessuno dimenticò
quella data.
Io e la mia famiglia ne
uscimmo devastati.
*
L'ospedale continua ad essere
sotto assedio, ma si è giunti a un compromesso interno, che
non impedisce di negare sussitenza a chi neccessiti di cure urgenti.
Il pensiero che i miei bambini
siano tutelati, mi rende il cuore più leggero ma certo non
posso negare a me stessa la preoccupazione per ciò che accade
fuori queste mura. Patrick fa la spola dal cortile in sala
chirurgica, io stessa ho tolto il camice per fare la sentinella
pacifica. Richard e Geremia ci guardano consumarci fra la
stanchezza e l'orgoglio da dieci giorni ormai, temendo di vederci
accasciati su un pavimento o vittime di chissà quale
pestaggio.
Le forze dell'ordine sono
aumentate, una fitta barricata in divisa, ma non si è mai
venuti allo scontro, prego perchè questo non accada mai.
La tv è perennemente
accesa, i notiziari si susseguono in un valzer di immagini cruenti
che facciamo fatica a restare impassibili; ogni giorno decine di
ragazzi e ragazze vengono scortati in pronto soccorso, malconci e sul
filo della vita.
Sto medicando un giovane che
avrà si e no ventanni, quando Patrick irrompe nella sala e
alza il volume della televisione.
Scioperanti a Nanterre hanno
iniziato ad occupare le fabbriche, con un bilancio di almeno venti di
esse sotto assedio; ero così presa dai punti di sutura sul
volto pesto del giovane, che ho del tutto messo una pausa sulla
realtà.
"Non ci vorrà molto
perchè i parigini li imitino." Strepita in un misto di
orgoglio, cautelato dalla mia situazione personale. In effetti non
credo di aver messo su una delle mie espressioni più
rassicuranti, tanto che ho persino un punto di sutura a mezz'aria da
un pò. "Perchè non lo lasci a me e provi a
chiamare tuo fratello?" Dice, avvicinandosi. Annuisco come un
automa, temendo il peggio.
Esco dalla stanza con il terrore
nelle pupille, mi precipito al primo telefono libero e compongo un
numero a memoria.
Diversi squilli a vuoto mi fanno
protestare lo stomaco per l'ansia.
Decido di chiamare casa, quando
la mamma risponde, sa già cosa voglio sentirmi dire.
"Tuo fratello è
sotto sequestro alle fabbriche. Non lo lasciano andare via, finito la
riunione con i sindacati terrà un dibattito." Esordisce
con voce rotta. "Non vogliono azioni violente, si definiscono
pacifici, vogliono solo un manipolo di giornalisti per essere
ascoltati e a questo sta già pensando Richard." Un
discorso sentito altre volte, penso in angoscia. Finito di parlare
Deesire scoppia a piangere; dai primi minuti della nostra
conversazione, sento tutta l'impotenza della mia frustrazione. "Se
gli dovesse accadere qualcosa io.." Aggiunge, squassata dai
singhiozzi.
"Mamma non dire così!"
Protesto, scacciando via qualsiasi pensiero nefasto. "Benjamin è
un uomo giusto, sono sicura non gli torceranno un capello."
"Fabien non fa che
ripetermelo, come una litania. E' più agitato di me, è
corso alle fabbriche appena lo ha saputo."
"E' solo o anche Richard è
lì?"
"Richard è riuscito
ad entrare." Sussurra secca. "Pensavo lo sapessi, lo hanno
detto anche al notiziario."
Il mio cuore manca un battito.
Parick sull'uscio, nero come la pece, conferma le parole di mia
madre. "Mamma devo lasciarti.." dico in un fil di voce.
"Najla Louise.." il
suo tono si fa fermo e protettivo. "Per l'amor del cielo, ti
prego di non prendere iniziative avventate!"
"Cosa dovrei fare?"
Strepito ancora. "Dentro quella fabbrica ci sono mio fratello e
l'uomo che amo!"
"Najla.. siete la mia vita,
se vi accadesse qualcosa io morirei insieme a voi."
"Smettila di dirlo!"
Protesto immaginando scene devastanti. "Forse per la prima volta
dopo tanti anni, questo paese sta reagendo a una situazione che lo ha
annichilito e svalutato.. e tu, pensi solo alla catastrofe? Dovresti
essere la prima a scendere in strada, darti da fare, non piagnucolare
per i tuoi figli!"
"Ingrata!" Ribatte,
furiosa e piangente. "Vi ho tirati su quando non avevamo più
nulla, se non un buon nome. Ho ricostruito un'intera famiglia con le
mie sole forze, come ti permetti di darmi della piagnucolona?"
Abbozzo una risata cattiva, i
brividi mi scuotono come corde di violino. "Credo che Fabien ti
abbia dato una grossa mano a riguardo."
"Cosa c'entra Fabien?"
Sento gli argini dei miei
segreti taciuti, esplodere; sono sconvolta e disperata, stanca e
sicuramente poco lucida, ma parlo.. e sono senza freni.
"Credo tu lo sappia bene,
infondo. Quale uomo lascia i conti aperti a una donna.. se non perchè
questa è la madre di suo figlio?"
Lei non ribatte dapprima e il
suo silenzio è una lama che mi percuote l'anima. Non ci siamo
mai parlate con tanta durezza e disprezzo nel corso della nostra
vita, mi sento come a un punto di non ritorno e la cosa strana è
che non sono per nulla pentita delle mie parole.
"Come lo hai saputo?"
Dice dopo un pò, non tentando neanche di giustificarsi.
Sento la sua domanda, ma non
l'ascolto veramente. Quella verità, mi squarcia il cuore e lo
lascia sanguinare.
Patrick si avvicina, brandisco
ancora la cornetta, riaggancia e mi prende per mano fino alla sala
con il televisore.
"Mi dispiace." Dice
funereo, indicando Benjamin in diretta sul canale cittadino.
*
Il soprabito lungo e nero
svolazza nei cortili antistante le aziende; ogni passo che percorre,
ogni volantino che consegna, presagiscono la faccia funerea che
Hamilton metterà su quando verrà smascherato e il clan
Chedjou affossato. Passa un foglio a un gruppo di uomini stipati
vicino all'ingresso, chiede loro di farlo entrare, ma questi lo
trattengono con la forza senza neanche badare a ciò che gliè
stato consegnato.
Ringhia. "Sono quì
per aiutarvi ad ammutinare il vostro capo! Ho le prove che lui non è
ciò chi dice di essere!" Uno di questi gli ride in
faccia additandolo a pazzo, per spintonarlo all'indietro. Vacilla ma
torna dritto e alza le spalle più fiero che mai. "E'
scritto là, razza di idiota! Hai la verità fra le mani
e non te ne sei neanche accorto." Quello getta una rapida
occhiata annoiata al foglio, quando ha fatto rialza lo sguardo e lo
fissa esterrefatto. "Già. E se vi ha mentito sulla sua
identità.." ribatte, affilando il tono di voce ed
ergendosi con il petto. "Cosa vi fa credere che non menta anche
sulla vostra attuale situazione? Ho ricevuto una soffiata che
riguarda la sua decisione di oggi; non cederà ai vostri
ricatti nemmeno sotto tortura!"
Un uomo gli si para di fianco,
stringe in mano il volantino che ha fatto stampare con il referto
medico che attesterebbe la non consaguineità di Benjamin con i
Chedjou. "Come hai avuto questa prova?" Dice fra i denti.
"Da qualcuno che li conosce
bene."
"Stronzate."
Ribatte.
"Come le vostre, che vi
state raccontando oggi! Lui è un gran cantastorie, non cederà
e voi non vedrete il becco di un quattrino." Ride sarcastico e
chiassoso. "Con questa prova potete ridurlo in poltiglia;
pensateci bene, sarà così soprafatto dall'essere stato
smascherato che sarà il momento giusto per affondare il
coltello e prendervi ciò che vi spetta di diritto."
Il manipolo di uomini si guarda
fra loro in un cupo silenzio, dopo pochi minuti si avvicinano altri
uomini e poi altri ancora.
"E' vera questa storia?"
Chiede uno.
"Ah quanto pare sì."
"Ci ha ingannati."
Risponde un altro.
"Che si fa?!" Chiede
un altro ancora dalle file.
"Fra un pò terrà
la conferenza. Facciamoglielo avere mentre è in atto il
dibattito." Ghigna l'uomo che aveva accusato Morgan di
dire stronzate. "Tu che dici sei dei nostri?" Si volta a
cercarlo, ma Morgan è già lontano, oltre i portoni
dell'azienda con una macabra risata stampata sul volto.
"La sorella di Chedjou è
quì?" Chiede dopo un giro di ispezione nel quale ha
intravisto la sagoma di Richard Hamilton; Il bavero del soprabito
tirato fin sul volto, lo ha salvato per un soffio dall'essere
riconosciuto.
Il tizio sotto al palchetto
pronto per la conferenza, lo fissa torvo. "Pare che non sia la
sorella." Gli passa un volantino e la soddisfazione accresce nel
suo petto ancora di più. "Comunque no. Da quanto so è
piantonata al Salpietrere da giorni ormai." Poi gli fa cenno di
scansarsi. "Voglio il posto migliore quando lo vedrò
cadere nelle sue bugie."
"Goditi lo spettacolo."
Risponde, addentrandosi nei cunicoli dell'azienda.
*
Benjamin sente il cuore
martellargli negli orecchi, mentre scende le scale che dagli uffici
lo portano al centro del cuore dell'azienda; in un attimo file di
ricordi belli e brutti lo investono, facendolo vacillare sui suoi
stessi passi. Sente nell'aria una strana sensazione di sconfitta,
nonostante la riunione con i sindacati abbia portato a una buona
soluzione. Il periodo storico in cui vessa Parigi lo ha messo nella
condizione di andare di pari passo alle richieste dei suoi operai ma
daltronde nei suoi impegni futuri si era già prefigurato di
rivedere la loro la paga base, dopo che l'intervento sanatorio di
Chedjou volto ai conti dell'azienda, aveva portato buoni frutti. Si
sentiva pieno di orgoglio verso quegli uomini, anche se lo avevano
messo sotto torchio e la sua posizione in quel momento non era delle
migliori, sapeva che avrebbero gradito vedere i loro sforzi ripagati.
"Lavoratori e lavoratrici
delle aziende Chedjou, sono quì per comunicarvi l'esito della
discussione avuta con le sigle sindacali che vi rappresentano."
Prende il respiro ma subito un boato di fischi si leva dalle file,
tenta di sorvolare ma questi si fanno più forti e più
incessanti. "Cosa avete da fischiare se non ho ancora parlato?"
Chiede nell'immediato, sbottonandosi i primi bottoni della camicia.
"Bugiardo! Sei un vile"
Gli risponde un uomo.
"Vile!"
"Fanatico!"
"Traditore!"
Gli insulti si moltiplicano,
coprendo la sua voce e persino il suo respiro; getta un'occhiata agli
uomini che tengono stretti fra le mani dei fogli tutti uguali e
lascia il proprio posto per accaparrarsi uno di quei volantini. Non
c'è bisogno che arrivi molto lontano, perchè qualcuno
glielo consegna senza battere ciglio.
I flash gli puntano addosso.
"Bastardo!" Ululano in
coro gli uomini esaltati dal suo sguardo perso e vacuo.
"Bastardo usurpatore, dicci
chi è il tuo vero padre!"
"Bastardo!"
Quelle voci gli penetrano il
cervello, Paul gli è subito accanto, gli sfila il foglio dalle
mani e nel leggerlo viene montato dalla rabbia; lo accartoccia e lo
getta ai piedi, guardando spiritato i suoi sottoposti. "Ma che
vi prende? Da quando date retta a certe fandonie?" Ulula. "Avete
davanti l'uomo che ha rivoluzionato questa azienda per far si che il
vostro futuro fosse dei migliori. E ci ha impiegato un solo anno
solare! Che vi prende?"
"Sappiamo che non cederà
alle richieste dei sindacati." Abbozza un tipo tozzo e calvo lì
accanto.
Paul si agita, sta per
rispondere ma Benjamin gi posa una mano sulla spalla, pregandolo di
mettersi da parte.
E' annientato da un tale gesto
ma sa che spetta a lui difendersi, proprio come gli ha insegnato suo
padre.. e prega che dal cielo, stia guardando altrove in quel
momento. "Non mi avete lasciato parlare. Vi siete soggiogati e
montati a vicenda così tanto, che avete dimenticato chi
sono e cosa ho fatto per questa azienda." Alza di un tono la
voce, così che possa essere chiaro. "Ero giunto quì
pieno di speranze, certo che i miei uomini avrebbero apprezzato la
discussione di una nuova paga salariale." Il brusio si spegne,
l'attenzione è alle stelle, le stesse facce accusatorie si
fanno ancora più scure e presto ammantate dai sensi di colpa.
"Non credevo fosse una questione di sangue, uomini che non fanno
parte di questa famiglia hanno amministrato l'azienda al loro meglio,
prima di me. Io sono nato per questo, non mi è stato chiesto
cosa volessi fare della mia vita, semplicemente questo è il
posto in cui dovevo essere." Come se si fosse levato un vento
improvviso, i volantini scivolano di mano dagli uomini. "Ma
questo è qualcosa che va al di là, di ciò che
devo essere. Questo gesto mi fa capire che il mio tempo quì è
terminato e che non posso più dare nulla a questa azienda o a
voi. Mi dimetto!"
Paul lo sovrasta, il volto
cenereo. "Benjamin che dici? Sistemeremo tutto, per quanto è
vera questa rivoluzione metterò a soqquadro l'intera azienda,
per trovare l'artefice di questa pagliacciata. Ma aspetta! Ragioniamo
insieme!"
"Paul, a quale scopo se non
hanno la minima fiducia nel sottoscritto?!" Risponde affilato.
"Lo hai detto tu, gli animi
sono incendiati, Parigi è in guerra.."
"Parigi non può
essere una scusa per tutto." Lo mette a tacere, negando con il
capo. "Ti prego di prendere i documenti di cessione di Hamilton.
E fallo chiamare, che si precipiti quì."
Paul è ammutolito e il
suo corpo non risponde ai richiami.
"Benjamin!" La voce di
Richard sovrasta dalle file ormai scarne di persone. I più
avviliti hanno lasciato la sala, i più agguerriti non sanno se
esultare o piangere. I giornalisti non battono più le dita
sulle macchine, i fotografi hanno smesso di armeggiare le loro
macchine fotografiche; c'è grande patos e attesa. "Sono
quì per l'amor del cielo!" L'uomo è sollevato nel
vederlo. "Mi dispiace." Dice nell'immediato, secco.
Ben scuote il capo. "Avevi
ragione tu fin dall'inizio. Senza la fiducia dei miei uomini non c'è
ragione per la lotta."
"Chedjou.."
Richard è teso, il volto una maschera di emozioni nefaste.
"Era una vita fa. E tu non sei mai stato uno che molla, l'ho
capito subito, per questo mi sono fatto da parte, perchè sei
sempre stato un fottuto osso duro."
Ben sogghigna al suono del suo
appellativo. "E' arrivato il tuo momento Richard."
L'uomo scuote il capo, un
volantino fa capolino dalla sua tasca; lo prende e guarda alle sue
spalle. "Maximilianne ha trovato chi lo ha diffuso."
Il sorriso di Benjamin è
un sorriso amaro e diabolico. "Se parliamo di fottuti ossi duri
tu mi sei sempre un passo avanti, Richard. Dov'è?"
"Nel tuo ufficio."
Ribatte Richard. "Ma lascia che ti accompagni, devo raccontarti
qualcosa."
Il pugno di Benjamin era
qualcosa che attendeva, dopo avergli raccontato per filo e per segno
di suo nonno e dell'accordo preso per impossessarsi delle aziende;
non si è scansato di mezzo millimetro, accogliendolo come se
fosse una carezza.
"Credo di meritarlo."
Dice, massaggiandosi la guancia. "Ma dalla teoria alla pratica,
non c'è stato attimo in cui ho pensato di fregarti. Quando mi
sono reso conto di ciò che provavo per Najla, sapevo già
che mio nonno non avrebbe vinto."
Benjamin lo guarda duro, si
massaggia le nocche e parla serafico. "Non sei degno di starle
accanto, questo lo sai?"
"Ti sbagli." Risponde
fiero. "Il suo amore mi ha cambiato e adesso sono l'uomo che
voglio essere e di cui lei ha bisogno."
Un sorriso di scherno trasforma
le labbra serrate di Benjamin. "Sì, ma a quale prezzo?"
"Non ci sono io dietro
questa storia, Maximilianne lo ha messo sotto torchio, puoi farti
dire da lui ciò che ha rivelato."
"Potreste mentire entrambi,
per quanto mi riguarda."
"Chedjou, se avessi voluto
farti fuori avrei avuto diverse occasioni, non trovi? Ho accesso ai
bilanci e ad ogni cavillo di questa azienda."
Il volto di Ben si dipinge di
una smorfia. "Vuoi mettere la gogna pubblica? L'esaltazione
dell'umiliazione? Per quanto mi riesce difficile pensarti così
meschino, che tu abbia ragione oppure menta.. le aziende saranno tue
Hamilton. Proprio come hai sempre voluto."
"Si le ho desiderate."
E' questo che risponde il cuore di Richard. "Le ho desiderate
tanto, ma non al prezzo dei miei sentimenti!"
Un lampo passa negli occhi verde
azzurro di Chedjou. "Ti sbagli, tutto può essere
comprato. Perchè tutto può essere venduto."
Le stesse parole di allora,
quelle che aveva pronunciato quando ancora la sete di rivalsa faceva
di lui un ragazzo ricco e arrogante, lo lasciano con il cuore colmo
di tristezza, senza parole. Si limita a seguirlo in silenzio fino
all'ufficio, nonostante Benjamin lo guardi molto male.
La scena che gli si para favanti
è quella di Maximilianne che tiene stretto Morgan per il
bavero, minaccia qualcosa ma quando li vede entrare, si volta
immediatamente verso Hamilton. "Avevi ragione capo, era quì
per te."
Richard tace ancora. Benjamin a
grandi passi afferra una sedia e la piazza dinnanzi a Morgan. "Chi
ti ha dato questo documento?" Chiede angosciato da una verità
che va via via assumendo delle tinte sempre più terrificanti.
A quel punto la sua carriera, il lascito delle aziende.. nulla
sembrava più importante e doloroso quanto scoprire la verità
della sua paternità da perfetti sconosciuti.
"Me lo sono procurato da
solo." La risata arcigna dell'uomo provoca in Richard una
reazione, tanto che gli si scaglia contro.
"Stai in disparte
Hamilton!" Bercia Benjamin, volgendogli uno sguardo carico
d'odio.
Richard stringe i pugni,
arretrando lentamente.
"Te lo chiedo con le buone
affichè questo colloquio resti in forma pacifica."
Abbozza Benjamin tornando su Morgan con disprezzo e un sorriso
sarcastico sulle labbra. "Dalle condizioni del tuo occhio deduco
tu non gradisca essere preso a pugni fino a quando non tirerai fuori
qualcosa di bocca. E bada bene, tutti e tre abbiamo più di un
motivo per cavarti gli occhi dalle orbite. Richard Hamilton mi sembra
il più motivato fra tutti."
"Quell'uomo non è lo
stinco di santo che vuole farti credere." Ringhia l'altro fra i
denti.
"Non l'ho mai creduto."
Ribatte Benjamin. "Come non voglio credere che tu sia un pazzo
megalomane."
Morgan contrae nervoso la
mascella. Fissa Maximilianne e il pugno fermo a mezzaria e si
convince a parlare."L'ho prelevato dal suo vecchio appartamento
del Claridge, quello in cui risiedeva fino allo scorso anno;
fino ad allora aveva un patto con suo nonno per dimostrare che la
cessione delle aziende a tuo carico fosse un illecito."
"Perchè non sono uno
Chedjou." Risponde asciutto non tradendo la minima emozione.
"Mi sovviene di quanto tu
possa essere così sprovveduto da non sapere chi si è
infilato nel letto di tua madre.." Benjamin tira indietro la
sedia, scosso da una scarica di rabbia da volerlo colpire a sangue.
Maximilianne intercetta la sua intenzione e stringe il bavero ancora
più forte.
"Finora abbiamo solo
giocato. E forse non hai capito quanto delicata sia la tua
posizione. Te lo faccio capire io.." Lo molla, spostandosi la
giacca e scoprendo una pistola. I loro occhi si incrociano,
Maximilianne sorride."Sta a te decidere se vuoi uscire da quì
con le tue gambe o trascinato in un sacco."
"Continua." Benjamin
lo incalza, approfittando del suo volto impaurito.
"Raymond Hamilton mi
ha dato l'incarico di procurare le prove, vedeva vacillare la volontà
di suo nipote, così la scorsa primavera mi sono introdotto in
quella grande casa del Marais e ho trafugato alcune carte, fra
le quali è spuntato fuori il referto medico che Raymond
Hamilton gli ha successivamente fatto avere." Indica
Richard con il mento e prosegue. "Ma questo non è servito
a granchè, solo a rendere più netto il distacco dei
rapporti fra i due. Sono stato minacciato dal quì presente
Hamilton di stare lontano da questa famiglia..ma prendere ordini da
quel damerino non mi è mai piaciuto gran che." Per un
attimo tutta la vena sprezzante del pericolo torna prepotente
nell'uomo. "Nel mio quartiere subisco ancora l'onta del suo
attacco. Diciamo che non sono nemmeno abituato a farmi mettere i
piedi in testa."
"Così hai deciso di
vendicarti del suo gesto, copiando i volantini e organizzando una
sommossa alla mia persona." Ben riflette ad alta voce.
"Complimenti per
l'intuito." L'uomo abbozza un riso di disprezzo.
"Non è stata proprio
una grande mossa." Benjamin si alza lentamente rivolgendo lo
sguardo alla porta; due agenti della polizia scortati da Paul fanno
irruzione nella stanza, intimando a Morgan di restare immobile. "Ha
confessato di essere il mandante della sommossa e di essersi
introdotto con scasso nell'abitazione di mia sorella." Soffia
agli agenti che lo prelevano. Quello protesta ma la sua voce si perde
nel corridoio fino a divenire solo un sussurro lontano.
Il silenzio piomba sui tre, un
silenzio assordante al quale Richard abbozza con parole confuse. "Mi
dispiace.. non volevo finisse così."
"Questo non cambia le cose,
almeno non del tutto; vorrei credere che ti dispiace Richard, ma ho
bisogno di starmene da solo e riflettere. Ti prego di andartene e di
non farti vedere fino a nuovo ordine aziendale." Benjamin ha il
volto sfinito, Richard fa cenno a Maximilianne di andare.
"Chedjou..io queste aziende
senza di te non le voglio."
L'uomo alza le spalle e si
mette seduto, fissa la scrivania, le foto di suo figlio e di
Charlotte e infine quelle con suo padre, scoppiando a piangere.
*
"My friend, per
l'amor del cielo non credo sia il caso di andare!" Patrick mi
trattiene per un braccio, siamo sull'uscio della porta a vetri che
conduce fuori al piazzale, dove gli uomini come sentinelle sono ormai
da più di dieci giorni. Credo di non aver mai versato così
tante lacrime come oggi in tutta la mia vita, vedere mio fratello
alla gogna pubblica e costretto a sapere del nostro segreto in questo
modo.. mi annienta.
"Quel foglietto potrebbe
essere dello stesso fanatico che ha organizzato tutto, cosa te ne fai
di un ulteriore dispiacere?"
"Patrick." Rispondo
fra i denti, ribellandomi alla sua stretta. "Se Richard è
invischiato in questa storia io devo saperlo."
Era successo tutto
all'improvviso, mentre guardavamo l'orribile conferenza stampa di
Benjamin alla tv, uno degli strutturati è entrato in stanza e
mi ha consegnato un biglietto da parte di un vetturino postale. Non
vi erano firme, ne mittenti. Il testo molto chiaro.
"Recati al Claridge e
avrai tutte le risposte che vorrai."
"Fammi venire con te."
Insiste.
Il mio sguardo è lontano
e assente. "Tu devi restare quì e proteggere il nostro
ospedale." Gli passo una carezza sul volto alla quale si
aggrappa.
"Stai attenta e promettimi
che quando avrai bisogno di me, farai in modo di farmelo sapere."
Soffia sulla mia mano tesa.
"Va bene." Dico,
deglutendo un boccone di ansia.
Mi tira a se e ammetto a me
stessa di avere avuto bisogno di quell'abbraccio come di aria nei
polmoni.
Salgo sul taxi e i pensieri mi
conducono in un vortice di afflizione e inquietudine; tutto sembra
esserci piombato sulla testa all'improvviso, ovunque guardi solo
catastrofi, sciagure e Dio solo sa cos'altro c'è in serbo.
Benjamin il figlio di Fabien. Per quanto questa realtà
mi provochi una fitta allo stomaco, mi rendo conto di averlo sempre
saputo; la mamma ha più e più volte tentato di farmelo
capire, la protezione oltre l'amore folle che Fabien ha da sempre
messo nei riguardi di Ben e con il passare del tempo anche i loro
tratti somatici.. quei tratti somatici così simili sono stati
sempre sotto ai miei occhi. E Benjamin non fa che somigliargli,
umanamente parlando, come nel fisico.
Cerco di respirare per
mantenermi integra, quando mi domando come mio padre abbia
scoperto la cosa, come abbia accettato questo destino e perchè
ha poi deciso di tenere nascosto questo segreto; poi penso alla loro
epoca così bigotta e puritana, la guerra piombatagli addosso e
al poco tempo che gli è stato concesso.. e un sorriso triste
mi dipinge il volto. Sento il respiro venire meno, prego l'autista di
farmi scendere.
Una fitta piogerellina scende
dal cielo, improvvisamente commosso.
Pioggia.
Mi
piace l'odore della pioggia.
E
Parigi è maledettamente bella quando piove. Ma piove sul
serio, non quella fitta nebbiolina bagnata che urta il sistema
nervoso e basta.
Mi
piace essere bagnata in questo momento, ho come la sensazione che
tutti i problemi vengano lavati via e al loro posto una tela
immacolata da sporcare daccapo; oh.. il cielo è in tumulto, il
mio cuore è in tumulto.
La
città è in tumulto. E non si parla d'altro. Deesire
Bonnet e il suo amante, Fabien Moreau.
Resto inerme, dinnanzi al quadro
di mia madre in quella che era la cabina armadio di Richard.
Sento le gambe cedermi, mentre
lo porto nel salotto alla luce del giorno, quasi incredula di averlo
fra le mani. E invece è proprio quì con me, bello e
perfetto.. e dolorosamente vero. Dietro di esso è attaccata
una busta, la tiro via di forza e la apro scoprendo l'originale del
referto medico incriminante.
Scorro avida gli occhi su quel
foglio; si capisce chiaramente che la paziente e chi per lei ha
sorvolato sul periodo di gestazione, solo che la mia mente si rifiuta
di accettare anche questa, perciò addito la colpa di tali
lacune sempre al periodo storico in cui mia madre ha vissuto la
gravidanza.
Non vi erano ecografie ergo
dati imprecisi. E per di più si trovava dall'altro capo
del mondo.
Si come no. Risponde la
parte razionale di me che è rimasta lucida, in preda a un riso
isterico.
Il riso se ne va presto e al suo
posto un pianto amaro con una terribile verità; Richard sapeva
tutto e in qualche modo ha fatto sì che lo sapesse il mondo
intero.
Sento dei passi alla mia
sinistra, me lo trovo proprio in quella stanza nel suo volto
perfetto, zuppo e sconvolto. Mi alzo come punta da uno spillo.
"Sei
contento adesso?" Chiedo con la voce asciutta. "Hai
ottenuto quello che volevi." Trattengo a stento l'aria che
brucia nella gola.
"Najla."
Si avvicina, vedo le sue mani circondarmi le braccia, lo scanso
malamente. "Non è come pensi tu! Non sono stato io!"
"Le
tue bugie mi nauseano." Gli lancio contro le prove, il quadro si
squarcia a contatto con le sue braccia alzate, nel tentativo di
difendersi.
Si
piega a raccoglierlo, mi guarda con una faccia tetra. "Ero in
accordi con mio nonno per impossessarci delle aziende, ma io non li
ho mai rispettati e quello che sta accadendo oggi ne è la
conseguenza."
"Mi
fai schifo, Hamilton." Sento una costante e pungente
sensazione di nausea, ho bisogno di aria.
Apro
la finestra di scatto e l'aria fredda che mi sferza sul viso mi
rigenera.
"Najla,
non potrei mai farti una cosa del genere, lo sai!" Strepita,
agitandosi dal suo posto.
Mi
volto a guardarlo, in una calma che non mi riconosco. "La cosa
che mi fa più paura invece è che da te mi aspetto
esattamente il peggio."
"Stai
parlando così perchè sei sconvolta e non conosci tutta
la verità."
Sa
che non deve avvicinarsi ma il suo corpo non vuole e si agita in
passi scordinati verso la mia persona; alzo la mano e metto
definitavemente un muro fra di noi. Un muro invalicabile e di cemento
armato; il dolore per le sue menzogne.
"La
verità è che non so chi ho davanti e questo mi rende
immensamente triste. L'uomo che per il potere ha lacerato ogni forma
di fiducia e amore, annienta in solo colpo quello compassionevole e
generoso. Questa eterna salita e discesa mi ha stancato Richard. Se
ti guardo provo disgusto..e sai una cosa? Sono contenta di non essere
tua moglie, non avrei sopportato l'onta di vergogna nell'essermi
unita ad un essere tanto spregevole." Lui non si muove,
non parla più. Annuisce e basta. "E' finita Hamilton."
Sento di non avere altro da aggiungere, gli passo accanto senza
toccarlo e mi dirigo al telefono.
"Fabien
sono Najla."
"Oh
signore ti ringrazio." La sua voce mi fa scoppiare in un
mare di lacrime. "Dimmi dove sei, ti raggiungo."
"No,
ho bisogno di..capire. Vediamoci tutti
al Marais, sto andando a casa."
Mette
giù e mi volto; guardo Richard sentendo con consistenza il
dolore della sua ultima immagine nei miei occhi.
E'
terribile e straziante.
*
Entriamo
in casa sconvolti. Con stizza serro tutte le finestre, fino a che c'è
un buio innaturale in casa.
La
mamma è una latania continua, li precedo nel salone per
accendere la tv: passano a raffica notizie di diversi scontri ma non
una parola sulla mia famiglia. Sospiro, solo allora mi accorgo di
Raymond Hamilton ritto in un angolo della sala, come un fantasma.
"Che
cosa ci fa in casa mia?!" Gracido per la paura. Ben, Fabien e la
mamma accorrono preoccupati.
Benjamin
gli va subito contro come un razzo, lui si mette sulla difensiva ma
porge la guancia.
"Avanti,
colpiscimi ragazzo!" La sua voce è ferma e sicura, a Ben
tremano le braccia mentre tenta di auto-controllarsi.
"Ha
sentito mia sorella? Cosa ci fa quì?"
"Sono
venuto a parlare con lei. Civilmente, per
favore solo due parole." Mi indica, poi alza le mani.
Tiro
Ben per un lembo della camicia, lui arretra e mi guarda confuso. "Ci
penso io." Rispondo non distogliendo lo sguardo dal vecchio
Hamilton. "Lei non è affatto gradito quì, la prego
di andarsene."
"Lo
farò, ma prima mi deve dare la possibilità di
spiegare."
"Spiegare
cosa?" Rantolo nella mia stessa bile. "Ci guardi!"
Indico la mia famiglia. "Mia madre e suo marito sono a pezzi.
Mio fratello è distrutto. Come si permette di sentirsi in
diritto di parlare..ancora?!"
"Sono
quì per Richard." Mi zittisce, facendomi piombare in un
silenzio inquieto. "Glielo devo è ingiusto che paghi per
delle colpe non sue."
Un
conato mi squassa. "Non ho intenzione di ascoltare nulla che lo
riguardi." Dico, piegata su me stessa.
Mia
madre è su di me, mi prende sotto braccio e incrociare i suoi
occhi mi annichilisce. Vorrei scusarmi con lei ma lei annuisce, come
sempre in linea con i miei pensieri. Poi fissa Hamilton, con lo
sguardo da battagliera che le ho sempre visto, quando si è
trattato di proteggerci.
"Mia
figlia ha riposto in suo nipote fiducia e molto amore.
Gli sono state aperte le porte delle nostre case, nonostante Clorine
Bonnet, che lei conosce molto bene, ci avesse avvisati. Abbiamo
accettato di buon grado la sua promessa di matrimonio..ed ora
questo?! Cosa può dire in sua discolpa che ai nostri lembi non
risulti artefatto?" Domanda ma non chiede veramente, stanca di
vedere i suoi figli nella sofferenza. "L'ha sentita Hamilton, se
ne deve andare e con immediatezza, se non vuole che riversi su di lei
tutta la mia rabbia di madre addolorata."
"Signora,
la prego.."
"FUORI!"
Non
credo di aver mai sentito mia madre urlare in questo modo. Hamilton
ha un sussulto di paura e si accascia sul divano.
Deesire
gli va contro, viene intercettata da Benjamin che si fa avanti;
Raymond non riesce a respirare, si tocca il petto annaspando.
Tutto
ciò che è dopo è trambusto e il mio riso
isterico.
I
suoi occhi di ghiaccio mi scrutano. Sento tutta l'invadenza di quello
sguardo, mi adiro.
"Cosa
ha da guardare?" Slego la fascia dell'apparecchio per la
misurazione della pressione, dal suo braccio e mi scanso.
"Come
ti senti?" Ignora del tutto la domanda, ponendomene un'altra.
"Ha
davvero una faccia da schiaffi." Bercio, inorridita. "Ho
appena saputo che mio fratello in realtà non è mio
fratello. Come vuole che sto?"
Piega
il capo e fa ammenda. "Non è stata colpa sua. E' un
ragazzo ambizioso ma l'idea di sabotare Benjamin Chedjou è
stata mia."
"Non
mi interessa." Rispondo scostante, piegandomi a controllare i
valori della pressione.
Lui
mi afferra il polso con una certa predominanza, costringendomi a
guardarlo. Sento le guance andarmi a fuoco.
"Dovrebbe
invece!" Tuona con voce accalorata. "Ti ha amato dalla
prima volta che ti ha visto, ed io troppo scettico e illuso da una
vita meschina che ho vissuto, non gli ho creduto." Inizia a
tremare, getto ancora un occhio alla pressione. E' alle stelle.
"Deve
darsi una calmata..rischia un infarto." Lo interrompo,
provocandogli uno spasmo.
"No!" Brontola
laconico. "Ho amato mia moglie allo stesso modo.."
"Che
strano.." rispondo sarcastica. "Mi risulta che abbia
passato la maggior parte del suo tempo a sollazzarsi con altre
donne."
"E'
per questo che ti parlo così, testona!"
Non
posso credere che l'abbia detto veramente. Sono adirata. "Ah, io
sarei testona? E lei cosa sarebbe?! Vuole farmi la morale, ma si
guardi!"
"Sono
un farabutto." Risponde con il sorriso mesto, eppur senza segni
di pentimento. "Ma Richard è di un altro stampo. Mi ha
contrastato in ogni modo possibile, costringendomi a ritirarmi in
America."
"Sì,
lei è davvero un farabutto.." rimarco con fare ironico.
"So tutto dei suoi affari americani, non tenti di abbindolarmi
con queste sciocchezze." Gli slego il braccio e mi sposto, ha la
faccia tosta di venirmi dietro. "Mi sta stancando, la riluttanza
tipica degli Hamilton per il rispetto degli altri esseri umani è
un qualcosa con cui non voglio più avere a che fare."
"Sbaglieresti,
ragazza." La sua voce si fa tragicamente seria. "Perchè
perderesti l'amore della tua vita per qualcosa che non ha mai avuto
modo e ragione di esistere." A quel punto torna al lettino per
recuperare la sua camicia e vestirsi. "Quando gli ho parlato per
la prima volta di questo affare ero così pieno di
livore per quello smacco del passato, che ho agito come un vero
stupido. Il suo diniego poi, mi ha creato nient'altro che
indignazione; voleva fare le cose a modo suo, con onestà."
Quella parola mi gela il sangue, sento gli occhi lucidi, mi torturo
una guancia a morsi per non piangere. "Era determinato e pieno
di aspirazioni, non credevo che dietro tutto questo ci fossi tu."
"Io?"
Chiedo in un sussurro straziato.
"Najla
Louise, tu sei stata la sua salvezza e io pagherei qualsiasi prezzo
per tornare indietro."
"Il
denaro." Bercio, riappropriandomi del sarcasmo. "Tipico
vostro, dare un prezzo anche ai sentimenti."
"Io
non posso cambiare la mia natura. Ma quì è di Richard
che stiamo parlando! Volevo che fosse come me, invece lui è
meglio di me."
Mi
mordo le labbra. "Cosa è successo poi?"
"Ho
commissionato il furto del referto medico e del quadro che hai
trovato. Nonostante fosse in possesso della verità, Richard mi
ha dato un ultimatum e lo ha dato anche al mio scagnozzo; starti
lontano, il più lontano possibile. Così ho fatto, ma
l'altro senza scrupoli gli ha servito la sua vendetta. E' stato lui a
diffondere quei volantini nell'azienda, Maximilianne lo ha tenuto
sotto torchio.." dice con un sorriso sinistro che mi gela. "E
ha confessato." Mi guarda, sta zitto e mi guarda, come volesse
trapassarmi. Sono impassibile, il pianto ricacciato nella gola. "Vivi
con lui da un anno, se fosse il mostro che tu credi, non pensi te ne
saresti accorta da subito?"
"Sì,
come credevo che lei fosse un uomo buono." Getto sarcastica.
"Non ci provi a sostenere questa conversazione con me, non sono
stupida signor Hamilton, so abbastanza bene che non serve la
filantropia o un mucchio di soldi per essere un uomo degno di tale
appellativo."
"Adesso
sei tu che stai spostando la questione sui soldi." Lo guardo, ha
occhi così limpidi che credo impossibile stia mentendo anche
adesso. Poi scuoto il capo, non so dire chi ho di fronte. "Najla
Louise non mi sei mai sembrata una sprovveduta e non voglio
convincerti di nulla. Avevo promesso a Catherine di rimediare ai miei
errori.. non ci sono riuscito. Forse." Già, la mia
mente è vorticosamente confusa. "La cosa che mi dispiace
è che io sono abituato a questo genere di etichetta, loro
no." Finito di parlare mi viene vicino, non ho la prontezza
di reagire, lo vedo allungare la mano verso i miei capelli e
depositarvi una carezza. "Mi dispiace veramente tanto. Spero che
nel tuo cuore ci sia la verità." Lascia la frase
aleggiare intorno a noi. Si ritira e mi lascia al centro della
stanza, con un enorme macigno nel cuore. "E' in aeroporto. Sta
tornando a Londra."
Spara
l'ultima cartuccia e lo maledico altre cento volte, quando chiude la
porta e mi lascia sola.
Oh
Richard Hamilton.. chi sei veramente?
Ripercorro
con la mente il meraviglioso anno vissuto insieme; il nostro primo
incontro, lo sfiorarsi delle nostre mani e il sussulto nelle ossa
fino a sentirlo ancora adesso, a distanza di mesi. Rivedo la nostra
prima incomprensione, Lydie e i suoi occhi liquidi, i mesi passati a
cercare di strapparlo dal mio cuore. Come nulla cambia lo scenario,
la festa di fidanzamento di Benjamin e il nostro primo bacio. Un
bacio appassionato, di due persone che mentivano già allora..
e che chiedevano solo un'opportunità, il voler stare insieme
senza avere il coraggio di dirselo. Poi la normalità
finalmente, quella di una coppia giovane e
spensierata, il susseguirsi di attimi che hanno portato quei due a
voler condividere la quotidianità, senza regole troppo
austere.. e non senza scontrarsi nuovamente! Il pensiero di quella
lite sul matrimonio, mi fa sorridere. Fra quattro mesi ci
sposiamo. Ecco arrivare l'estate
ed ecco un timido Richard chiedermi di seguirlo a Londra, un viaggio
di piacere per annunciare a suo padre il nostro fidanzamento.
L'estate scoppia nel mio cuore e sul mio anulare fa la comparsa un
diamante, a sugellare una promessa d'eternità. Questo ricordo
potente mi annienta, sento le lacrime scivolarmi dagli occhi senza
prepotenza, libere di esternare il mio dolore, semplicemente. Mi
sento vigliacca in confronto a quella ragazza di allora.
Sto
quì con la verità in tasca, eppure voglio oltremodo
osteggiarla, perchè mi sento tradita. La mia
famiglia. Aperta e diliniata nel
peggiore dei modi. Ma infondo Richard non è che stato un
mezzo, penso amaramente. Un mezzo attraverso le quali persone hanno
mosso fili e ombre al fine di farci fuori.
Non lo vedo come una vittima, questo no, ha consapevolmente deciso di
prendere parte a una macchinazione ma devo anche credere che se ne
sia tirato fuori praticamente da subito, visto come sono andate le
cose. Oh.. la testa mi scoppia.
Richard
Hamilton.. chi sei veramente?
"Posso
entrare?"
Benjamin
fa capolino nella stanza, annuisco e non so dire come ci guardiamo.
Non
faccio in tempo ad asciugarmi una lacrima che ne scende subito
un'altra e un'altra ancora.
Ci
troviamo abbracciati, alle sue spalle vedo entrare la mamma e Fabien,
si mettono in un angolo e aspettano.
"Tu
sei mia sorella." Dice con la sua voce potente.
"E
tu sei mio fratello." Faccio eco, con la voce più
ferma che posso.
Entrambi
ci giriamo verso la mamma e l'uomo che adesso come non mai, piange
delle lacrime silenziose dagli occhi verdi-azzurri.
"Voglio
dirti che io lo sapevo già, Ben." Prima che possano
parlare ho delle cose da dichiarare, lui mi guarda accigliato. "No,
non sapevo che tu fossi il figlio di Fabien, ma che la mamma lo ha
sempre amato, questo sì. E' stato un grande amore osteggiato
dal tempo e dalla famiglia e dalle loro condizioni sociali. Ecco, non
mi stupisco che tu sia figlio suo." Mi sento a disagio nel
pronunciare questa cosa, ma so che è solo uno stupido
dettaglio, questo benedetto ragazzo non avrà il mio sangue, ma
me lo sento scorrere nelle vene. "Tutto il resto è
spazzatura per copertine scandalistiche."
La
mamma mi manda un bacio silenzioso. "E' così Benjamin.
Sei nato da un amore profondo." E' girata completamente nella
sua direzione, lo zio le stringe la mano lei si volta e si guardano
come li ho visti guardarsi negli ultimi otto anni. Con amore,
semplicemente. "Probabilmente ti aspetti delle risposte. Siamo
pronti a qualsiasi domanda."
"Deesire,
io ho bisogno di dire qualcosa prima." Interviene Fabien, la
donna annuisce compita. "Inanzitutto desidero scusarmi con voi."
Si asciuga gli angoli degli occhi mentre parla per poi alzare lo
sguardo verso entrambi. "Non è stato facile mentirvi,
solo necessario. Sono entrato nelle vostre vite che eravate
già una famiglia solida, provata da un terribile lutto. Sono
stato io a insistere con vostra madre nel non turbarvi con certe
notizie."
"Fabien,
lo abbiamo deciso insieme. Non voglio che ti colpevolizzi. Sono
artefice quanto te di questa menzogna." Ribatte lei.
"Fabien."
Benjamin sovrasta le loro voci. "Non credo tu debba scusarti.
Scusarti per cosa? Per aver amato mia madre? Per aver silenziosamente
nascosto nel tuo cuore una verità..che Dio, mi fa mancare il
fiato solo a pensarci. Come ci sei riuscito, senza impazzire?"
"Quando
ero in Spagna abitavo in un quartiere di orfani. Ho giocato a fare
loro il padre, fino a quando ho sentito forte e chiaro il richiamo
del mio stesso sangue. Sono tornato a Parigi, ma era cambiato tutto.
Il destino ha voluto che incontrassi tua madre quella mattina,
ma questa storia la conosci già." Prende il respiro,
continua a parlare ma stavolta la sua voce è rotta. "Mi
sono sentito impazzire quando avevi un problema e correvi da me
sapendo che lo avrei risolto, mi sono sentito impazzire quando hai
incontrato Charlotte e sei corso a dirmelo. Dimmi qualcosa sul vero
amore zio, avevi chiesto. E io volevo rispoderti quello che
provo io per te. Ho rischiato spesso di impazzire sì, ma
sapere che avevi fatto di me tuo padre, mi ha aiutato ad
andare avanti. Mi hai dato così tanto, che non ho sentito la
mancanza di null'altro. "
Benjamin
ha gli occhi lucidi e anche io. Li guardo e mi sento spettatrice di
un miracolo.
"Ti
ho sempre sentito vicino."
"Ho
fatto del mio meglio."
"Abbiamo
perso delle occasioni, però." Puntualizza Benjamin con la
voce incrinata.
"No,
non le abbiamo perse. Eravamo entrambi lì, solo con altri
ruoli."
Ben
annuisce, lo avvicina, allungando le mani sulle sue spalle. "Mio
padre." Sussurra e lo abbraccia; la mamma si scioglie in un
pianto, io nascondo il viso girandomi nella direzione opposta. Dopo
qualche attimo sento le braccia di mio fratello tirarmi verso loro e
fare la stessa cosa con la mamma. "Basta bugie, d'ora in
avanti." Pronuncia serio. "Tra qualche anno quando Lukas
sarà più grande, gli diremo tutto. Questa farsa avrà
fine una volta per tutte. Siamo una famiglia, lo siamo sempre stati
nonostante le avversità e i ruoli sbagliati, adesso ci
meritiamo la felicità e l'equilibrio alla luce del sole."
Annuiamo
in un coro di braccia strette l'una all'altro. "Che ne sarà
delle aziende?" Chiede la mamma, tesa e preoccupata.
"Richard
le ha rifiutate." Questa notizia mi rende inquieta. Tremo.
Benjamin si volta a guardarmi, passa le sue braccia dalle spalle di
Fabien alle mie. "Dovresti correre da lui. Ti ama veremente,
Najla Louise. Per tutto l'anno che abbiamo passato insieme, non ha
mai e dico mai fatto un passo falso. Nella contrattazione è
stato sempre netto e pulito; gli confessai che pensavo di vendere se
avessi fallito, lui mi ha sempre spinto al massimo e si è
proposto di acquistare l'azienda indebitata, solo alla mia
rinuncia. C'ero quando quel Morgan questa mattina ha confessato
di aver sparso i volantini, certo non mi fa piacere sapere cosa aveva
architettato prima della stipula del contratto, ma ciò che è
giusto dire, io devo dirlo."
A
questo punto non so più perchè odi così tanto
Richard.
Ho
tutte le prove dinnanzi ai miei occhi..manca solo la ciliegina sulla
torta, ma per averla, ho bisogno della sua voce.
"Che
devo fare..sta partendo.." blatero, nel panico.
Ben
guarda l'orologio, mi stringe forte cercando di calmarmi. "Ti
accompagno in aeroporto." Pronuncia, guardando sommessamente i
nostri genitori. "Stasera ceneremo insieme e parleremo ancora di
noi." Senza dire altro mi spinge fuori dalla stanza.
"Dove hai il passaporto?" Mi domanda, indico il settimino
all'ingresso con un dito. Credo di essere in stato di trance.
Benjamin lo trova e lo infila nella mia borsa; al mio sguardo tetro
mi accarezza le braccia e mi conduce alla macchina. "Non fare
così, doveva passare a ritirare le sue cose in azienda,
sicuramente sei ancora in tempo." Poi mi squadra da capo a
piedi. "E comunque hai il tuo passaporto. Vai a Londra e te lo
riprendi."
Mi
scappa da ridere. "Grazie Ben.. ma sono uno straccio."
"Lo
ami o no?"
"Certo
che si." Ammetto, disperata. "L'ho distrutto. Gli ho detto
delle cose orrende.."
"Najla
era un tuo diritto dirle." Dice con voce dolce, stringendomi la
mano. "E' solo che non gli hai fatto la domanda più
importante."
"Lo
so.." mi metto le mani sulla faccia, sprofondando nel sedile.
"Adesso
che sia quel vecchio coglione a dirtelo oppure io, non ti cambia la
vita, ma è importante che tu veda l'insieme. Chiudi gli occhi
e senti dentro di te se è vero o no, che Richard ti ama
veramente. Ma sono sicuro che la risposta ce l'hai già..devi
solo chiedergli altro."
Annuisco,
chiudo gli occhi per qualche minuto e li riapro sorridendo. "Da
quando sei così saggio?"
"Da
quando sono padre. Aurelien ha cambiato la mia testa."
Sorrido.
"Era già bellissima. Diciamo che l'ha riempita fino
all'orlo."
Sorride
sghembo, schizzando verso l'aeroporto.
C'è
caos. C'è tanto caos. Mi perdo senza sapere dov'è che
sto andando.
Cerco
nei volti qualcosa di familiare. Una cappotto, un vestito, una
camicia, camminando come una forsennata lungo il gate delle partenze.
Di
Richard non c'è traccia. Scendo le scale che danno
all'entrata, percorro a ritroso il passaggio sperando che dalle porte
scorrevoli entri quel viso tanto amato, ma nulla. Decido di far dare
un annuncio, fingendomi persa, ma trascorso diverso tempo nessuno
viene a cercarmi.
Disperata
salgo ancora al gate partenze e mi metto seduta; il flusso di persone
mi calma, anche se ho il cuore in gola.
In
un secondo di innaturale silenzio, sento la voce di una hostess
annunciare il prossimo volo per Londra; controllo le file dinnanzi ai
miei occhi e salto in piedi come un grillo.
"Richard!"
Lo chiamo in un ultimo disperato tentativo. "Richard!"
Alcune
persone si voltano a guardarmi. "Posso essere io il tuo
Richard.." dice un ragazzo, canzonandomi.
Sbuffo
e mi volto, in preda a una crisi isterica. Metto a fuoco, poche
spanne da me quel volto tanto amato e una valigia mi fissano
immobili.
Ha
uno sguardo confuso, perplesso. Mi guarda come se fossi
un'apparizione. Gli corro incontro, abbracciandolo forte.
"Non
ci credo." Esala, rivitalizzandosi. "Sei tu!" Lascia
andare la valigia e ricambia l'abbraccio.
Mi
scosto, lo guardo, lo bacio e poi l'accarezzo. "Perchè
non mi hai detto nulla?" Domando, senza senso, ma che ha
molto senso per me.
"Avevo
paura di perderti. Quando arrivava il momento giusto per dirtelo,
accadeva sempre qualcosa che mi faceva capire che se non ti avevo
perso per il rotto della cuffia fino ad allora, sicuramente ti avrei
persa svelandoti questo piano. Ma c'ho provato Najla Louise, tante
volte te lo giuro."
"Non
serve che giuri. Perchè non ti sei fidato di me, di noi?"
"Non
pensare questo perchè è il falso. Quando è
accaduto di Lydie e del bambino siamo stati così vicino alla
fine.. eppure quel giorno avevo deciso di dirti tutto. Ho sempre
creduto in noi, ma la paura mi ha reso un vigliacco."
"Lo
sei stato Richard. E mi devi giurare sul tuo amore che non mi
mentirai mai più."
Fa
di più, si inginocchia. "Sposami e ti giuro sul mio onore
che non ci saranno più ombre sulla nostra vita. Najla Louise
io ti ho sempre amata tanto."
"Lo
so." Mi inginocchio anche io e lo bacio. Intorno a noi si è
formato un capannello di persone che applaudono e fischiano. Ridiamo,
abbracciandoci. "E ti sposo, perchè non so immaginare la
mia vita senza te accanto."
"Mi
fa piacere sentirtelo dire." Mi aiuta a rialzarmi, ride e non
posso fare altro che andargli dietro.
Dai
suoi occhi poi scende una lacrima che asciugo prontamente,
abbracciandolo forte. "Andiamo a casa."
*
Marsiglia, 1974.
Il
porto di Marsiglia dalla terrazza dell'hotel riluce dei raggi del
sole; è una delle estati più calde di Francia, penso
mentre coccolo Mathia
Louise che questa
mattina si è svegliato un pò capriccioso. Lalì
con su le gambe la
piccola Rose Isabelle
ed io nonostante il caldo, amiamo fare colazione qua su con i bambini
per goderci questo panorama così rilassante.
Richard ci raggiunge con un
sorriso trionfante. "Il marinaio ci aspetta per le dieci."
Si piega leggermente sul mio capo, baciandomi i capelli.
"Siete
pronti per le calanques?"
Dico raggiante ai nostri figli più grandi.
Lalì è la prima
che sorride in segno di approvazione; compiuta la maturità ha
formalmente deciso di stabilirsi da noi, c'è voluto molto
tempo ma siamo in attesa di adottarla. La guardo nel fiore dei suoi
ventanni e penso che è un vero miracolo. Philippe si
dondola sulla sedia annuendo energicamente con il capo; lui per ovvie
ragioni, non può essere adottato, Lidye vessata da un
difficile riconoscimento di paternità, non ha trovato giusto
che ricevesse il cognome di Richard ma questo non ha influito sul
rapporto che ha con noi e specialmente con lui che a tutti gli
effetti chiama padre.
Sono passati tanti anni da
quello che fu ribattezzato, Maggio francese. La situazione
politica si è fatta nel tempo più stabile e nonostante
nuovi tumulti nei primissimi anni a seguire, mai nella storia di
Parigi si è ripetuto un evento di così importante
chiasso mediatico e portata.
La nostra vita invece.. quella
si che è cambiata molto.
Mathia e Rose sono i figli
bioligici che Dio ci ha mandato dopo le nostre nozze ed hanno
rispettivamente due e quattro anni.
Richard ha aperto il suo studio
di consulenze e nonostante le prime avversità, ora gli affari
vanno discretamente bene.
La profonda ferita che Raymond
Hamilton senior ha tracciato con la farsa delle aziende
non si è ancora risanata del tutto, con il tempo si è
rivelato un bisnonno amorevole ma pensando a ciò che ci ha
fatto, i momenti di attrito sono dietro l'angolo. Alle volte consolo
Richard dicendogli che il tempo aggiusterà tutto e che infondo
qualsiasi creatura di Dio merita il perdono. I coniugi Hamilton
purtroppo non la pensano ancora allo stesso modo.
Catherine non è guarita.
Combatte la sua battaglia con ostinazione e coraggio, la tempra che
l'ha sempre contraddistinta.
La mia ricerca dopo tanti anni è
stata brevettata e attualmente se non proprio miracolosa quanto
desiderassi, è di aiuto a molte persone. Patrick ne è
orgoglioso e insieme a un team di specialisti è in giro per
l'Europa a diffonderla; il prossimo inverno lo raggiungerò e
insieme daremo vita a una rivoluzione, me lo sento.
Lalì è il
nostro piccolo miracolo, le stille di cancro sono regredite, per
sparire del tutto quest'anno. Il mio cuore balla il jazz quando la
guardo.
Dice che vuole diventare medico
e pereorare la causa di Richard, sull'ultimo desiderio dei bambini.
Il mare le piace ancora molto.
Benjamin ha lasciato le aziende,
di cui ora si occupa una persona designata da egli stesso. In un
futuro molto lontano spetterà a Lukas o Aurelien decidere cosa
farne, perchè mio marito ha mantenuto stabile la sua promessa
di non farle fallire, ma non le ha mai reclamate.
Il mio adorato fratello dopo
accurati studi oggi fa il pasticcere, il primo vero amore di
gioventù. La mamma non lo ha ancora ammesso ma è andata
in visibilio quando le ha comunicato la buona nuova. Charlotte
attende il loro secondogenito, sarà una meravigliosa
femminuccia e per la prima volta nella nostra famiglia, acquisterà
il cognome di Fabien.. la prima Moreau della nuova
generazione, dopo Benjamin che ha voluto fortemente il cognome del
padre nel suo stato di famiglia.
Infine ci sono io, un medico ma
sopratutto una madre.
Non avevo idea di cosa
significasse amare qualcuno al punto di rivedere le priorità
di una vita ma sono felice di aver presto cambiato idea e di aver
messo al mondo i figli miei e di Richard; ci barcameniamo come
possiamo nel ruolo di uomo e donna impegnati con le nostre carriere,
senza dimenticare quello che per noi è diventato il ruolo più
importante.. essere genitori.
Non ci sono state più
bugie dal quel sessantotto di battaglie politiche e dentro al nostro
cuore.
Continuiamo a vivere questo
profondo amore, legati ma dissimili, proprio come menta e
cioccolato.