Lo specchio
Il piccolo Regulus Black era coricato sul pavimento
della propria
stanza, l’orecchio premuto per terra in un infantile
tentativo di captare qualcosa della conversazione che si stava
svolgendo al piano inferiore.
I lucidi
capelli corvini gli ricadevano in ciocche davanti agli occhi
scuri, mentre il viso era teso in un’espressione concentrata,
il respiro sospeso.
Dopo
qualche istante si alzò. Non aveva capito molto
– ad essere onesto, quasi nulla – di quello che i
genitori stavano dicendo al piano di sotto, ma aveva captato quel
quanto che bastava per sapere che Sirius era uscito per andare ad
Hogsmeade. Aveva anche capito che la zia Druella avrebbe organizzato un
party a casa sua quel fine settimana. Ma di quell’ultima
notizia non si interessava.
Piuttosto,
lo incuriosiva che il fratello fosse riuscito ad andare
fuori. I loro genitori erano così arrabbiati con lui,
infatti, che parevano avere tutte le intenzioni di segregarlo in casa
per tutta l’estate.
Con un
sospiro, si strofinò gli occhi e si guardò
attorno. La sua stanza, come sempre, era ordinata in maniera
impeccabile. Gli occhi di carbone del ragazzino esile indugiarono sulle
pareti, soffermandosi sui drappi argento e smeraldo che decoravano la
stanza.
A passi
lenti, camminò sino al letto, per poi gettarvisi
sopra con un sospiro.
Afferrò
un libro dal comodino e si immerse nella lettura.
Quando
udì un battibecco ad alto volume, si riscosse
bruscamente dalla storia. Abbassò il libro, improvvisamente
accigliato. Solo una persona era in grado di scatenare un tale
frastuono…
«Sirius…»
mormorò.
In
fretta, poggiò nuovamente il volume sul comodino,
alzandosi e dirigendosi velocemente verso la porta. Si
affacciò, in ascolto.
«…il
rispetto?! Come ti sei permesso di uscire
senza chiedere ad alcuno? Io e tuo padre siamo molto indignati dal tuo
rozzo comportamento, in tutta la storia della nostra Casata, mai
nessuno…»
La voce
di Walburga continuava la propria ramanzina, animata dalla
particolare flemma delusa che la caratterizzava durante i rimproveri
rivolti al primogenito.
Regulus,
per uno spiacevole istante, si ricordò di quando
era piccolo. Al sentire quei toni arrabbiati si tappava le orecchie e
mormorava disperato, sperando di coprirli.
Finalmente,
dopo essere salita di almeno un’ottava, la voce
di Walburga si spense, chiaro segno che Sirius era stato spedito con
due secche parole in camera sua.
Regulus
indugiò. Ben presto iniziò a sentire i
tonfi frustrati provocati dai passi di Sirius sulle scale che
conducevano al piano sul quale si affacciavano le loro stanze; non ci
volle molto che il viso del maggiore dei fratelli Black si affacciasse
al pianerottolo.
I capelli
corvini gli incorniciavano il volto pallido nel quale erano
incastonati due occhi splendenti, dalle iridi di cobalto. La sua figura
era attraente, così come Regulus non sarebbe mai stato.
Forse era quella scintilla ribelle a renderlo così
affascinante, fatto sta che i suoi lineamenti aristocratici da Black
avevano un carisma particolarmente spiccato.
Regulus
lo osservò. Aveva le guance infiammate, forse per il
tempo trascorso all’aria aperta – incredibilmente
frizzante, in quelle giornate di Giugno –, forse per la
rabbia dovuta alla discussione che aveva appena avuto luogo.
Il suo
viso, però, era anche animato da una soddisfazione
che raramente Regulus riusciva a scorgervi.
Quando
Sirius vide il fratellino si arrestò.
«Ciao»
lo salutò Regulus, senza riuscire
ad evitare un tono sospettoso. «Che hai combinato?»
aggiunse, dal momento che la sua voce aveva già reso
evidente quella domanda.
A dire il
vero non si aspettava seriamente una risposta. Da quando
avevano iniziato a frequentare Hogwarts, infatti, aveva notato che
Sirius si era fatto sempre più propenso ad ignorarlo.
Rimase
pertanto a bocca aperta quando il fratello, dopo averlo valutato
per un momento, rispose: «Mi sono limitato a prendermi la
libertà di movimento che mi spetta».
«Cosa
sei andato a fare?» aggiunse Regulus. Ormai
le domande gli affollavano la gola e gli inondavano le labbra.
Sirius
ghignò. «Cosa si può mai fare ad
Hogsmeade, Regulus? Sono andato a far compere, è
ovvio».
Il suo
sarcasmo era così irritante… Regulus
avrebbe voluto allungargli un pugno sonoro sul naso, ma si trattenne.
Sirius,
sotto lo sguardo del fratellino, aprì la porta della
propria stanza, apprestandosi ad entrare in quel rifugio dove non
ammetteva altre presenze.
All’ultimo
momento, si fermò, un piede dentro ed
un piede fuori. Frugò nelle tasche. «Sai
cos’è questo?» domandò a
Regulus, mostrandogli un involucro che evidentemente conteneva qualcosa
di sottile.
Il
ragazzino fu combattuto tra la curiosità e lo sbattere la
porta indifferente. Alla fine si avvicinò, seppur
riluttante, a Sirius.
Questi,
intanto, aveva disfatto l’involucro e teneva in mano
due piccoli specchi identici. «Ricordi quando zio Alphard ci
ha parlato degli specchi a doppio senso?» domandò.
Regulus
annuì, senza riuscire a staccare lo sguardo dagli
oggetti che Sirius teneva in mano…
Nevicava. Grossi fiocchi di neve turbinavano
davanti alle finestre di
Grimmauld Place, osservati dagli occhi scuri e spalancati del
più piccolo dei Black, il nasino schiacciato contro il vetro
freddo.
Lui e il fratello si trovavano in salotto, dove un
gran camino scaldava
e illuminava l’ambiente. Sirius sedeva sul tappeto, e poco
dopo Regulus andò a raggiungerlo. Si scambiarono uno sguardo
eloquente: entrambi stavano pensando al racconto dello zio.
Alphard era il fratello della loro madre, ma, come
spesso si lagnava
Sirius, era molto meno noioso dei genitori, e il maggiore avrebbe
voluto vivere con lui.
Quando veniva in visita era sempre una festa. Usava
raccontare ai
nipoti – che lo ascoltavano attenti, ad occhi sgranati
– di vari manufatti magici. Sirius apprezzava che scegliesse
di parlare di cose vere invece che delle “solite
favole”.
Quel giorno, poi, aveva raccontato loro degli
specchi a doppio senso,
ossia specchietti di scarse dimensioni apparentemente normali, ma che
permettevano a coloro che li possedevano di comunicare a grande
distanza. Bastava pronunciare il nome dell’altro
e… puf! Ecco che saltava fuori la sua immagine nella
superficie riflettente.
«Di’, Reg, ti piacerebbe avere
quei due
specchi?» chiese Sirius, distendendo le gambe e fissandolo
con i grandi occhi grigi.
Regulus annuì, accoccolandosi sul
tappeto.
«Così potremmo restare in contatto anche quando la
mamma mi porta in visita dalla nonna Irma». Non capiva per
quale motivo toccasse sempre a lui andare da quella donna vecchia e
noiosa, sempre pronta a criticare ogni minima cosa.
Sirius sogghignò.
«Così non ti
annoierai troppo» concordò. Si
ammorbidì appena e scrutò comprensivo il
fratellino. Ormai Walburga non portava più il figlio
maggiore da sua madre, dal momento che Sirius era una vera peste, ma
non aveva problemi a portarsi appresso il più piccolo, da
tutti considerato un autentico angioletto.
Regulus voltò il viso ad osservare le
fiamme che guizzavano
nel camino. Le lingue di fuoco si riflettevano brillanti nei suoi occhi
scuri.
Sirius lo guardò per un momento, poi
esclamò:
«Ehi, Regulus, ho un’idea!»
Il minore si girò verso di lui,
interrogativo.
«Secondo me non dev’essere
tanto difficile
procurarsi questi specchi a doppio senso» continuò
spedito il fratello, «quindi» proseguì,
«quando sarò grande andrò a cercarli e
li comprerò» concluse trionfante.
Gli occhi di Regulus si riempirono
d’entusiasmo mentre
annuiva con forza. «Giusto! Che bella idea, Sirius!»
Sirius sorrise. Era troppo orgoglioso per dire un
“grazie”, ma in quel momento era davvero grato al
fratellino che aveva approvato la sua idea, e quella parolina
aleggiò chiaramente tra loro.
«Quindi
li hai trovati davvero?»
domandò, sbalordito.
Sirius
annuì, riavvolgendo con cura i due specchietti nel
piccolo panno. Sorrise soddisfatto. «Ti avevo detto che non
doveva essere difficile» disse, con un’alzata di
spalle.
Regulus
allungò automaticamente una mano verso
l’involucro che reggeva il fratello, ma Sirius lo
scostò in fretta. «Che fai?»
domandò.
Regulus
lo guardò e capì che non stava
scherzando. Era davvero perplesso, interrogativo, stupito. Ma
com’era possibile che avesse scordato la loro conversazione?
Certo, ormai le visite da nonna Irma – grazie al cielo
– non erano altro che un brutto ricordo, ma potevano sempre
usarli per altri momenti…
«Sono
per me e James!» concluse Sirius, stringendo
i due specchietti.
Regulus
sobbalzò come se il fratello lo avesse picchiato.
«C-come?» balbettò.
«Per
me e James» ripeté Sirius, con
l’aria di chi dice una cosa talmente ovvia da essere
sottintesa.
Il
fratellino voltò di scatto il viso per fare in modo che i
capelli corvini nascondessero a Sirius l’espressione ferita
che gli si era disegnata in volto.
Sirius si
infilò l’involucro in tasca, gli occhi
grigio blu illuminati dall’entusiasmo. In quel modo, lui e
James avrebbero potuto chiacchierare anche se fossero finiti in
punizione separati! Gettò un’occhiata perplessa al
fratellino immobile. «Regulus?» azzardò.
Lui si
riscosse. Lo fissò torvo, quasi con ferocia, poi si
voltò e con uno scatto repentino entrò nella
propria stanza, chiudendo di botto la porta alle proprie spalle sotto
lo sguardo confuso di Sirius.
Una volta
nella propria camera, la schiena contro la porta, si
guardò attorno col respiro affannoso. Udì Sirius
entrare nella propria stanza.
Avanzò
appena. La rabbia gli ribolliva nello stomaco. Per un
attimo, quando aveva visto quegli specchi in mano al fratello, aveva
pensato che indicassero il fatto che qualche legame di quello che
avevano condiviso da bambini fosse sopravvissuto. Invece no. Erano per
James Potter!
Digrignò
i denti. Insomma, Sirius era stupido o cosa?! Si
era forse scordato di avere un fratello?! Si era forse dimenticato
della loro chiacchierata sugli specchi a doppio senso?!
No,
rifletté amaramente, se l’era ricordata, ma
solo quanto occorreva per stare sempre con il suo amichetto,
quell’insopportabile di Potter!
Furibondo,
percorse ad ampi passi il perimetro della stanza. Si
fermò davanti alla porta di legno scuro.
Ora non
nevicava.
Ora
Sirius aveva gli specchi.
Ora
nessuna parola grata aleggiava fra loro due, lasciando
quell’aria di soffocante rancore.
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