Dedicata al mio fratellino
Quarta e ultima parte di questa fic. Ho cercato di
far venire al pettine un po' di nodi, ma non so quanto si capisca... ^^"
Grazie
a tutti quelli che hanno seguito e recensito.
SIK
Lost & Found
Part IV
Ending Theme
La mattina dopo,
Tiedoll viene svegliato, come il giorno precedente, dal silenzio assoluto che
regna nel villaggio, ma anche dalla luce chiara che filtra attraverso i sottili
pannelli di carta.
La sera prima,
le parole del ragazzino che continuavano a vorticargli in testa gli hanno
impedito di addormentarsi e così ha disegnato per ore al chiarore incerto di una
lanterna, fino a crollare per la stanchezza. Ancora un po’ intontito per il
sonno si tira seduto, trovandosi tutto dolorante per aver dormito direttamente
sdraiato sul tatami, i fogli dei suoi schizzi sparpagliati attorno a lui sul
pavimento. Mentre li raccoglie, non può fare a meno di notare le forme contorte
e le tinte cupe di quei disegni, stupendosi di essere stato proprio lui a farli:
evidentemente, conclude, il racconto di quel bambino e la discussione che hanno
avuto subito dopo l'hanno segnato più di quanto avesse immaginato.
Sospira
profondamente e scuote la testa, mentre si dirige verso la sala comune per
preparare la colazione per entrambi; arrivato lì trova il fuoco acceso, la
teiera già calda e accanto un piatto con degli strani dolci spalmati di
marmellata, ma del piccolo spadaccino non c’è traccia. Il generale non riesce a
trattenere un sorriso commosso, mentre se lo immagina intento a dare l’addio a
tutti gli angoli del dojo cui è più affezionato.
Mangia in fretta
e poi va a raccogliere le sue poche cose, aspettandosi da un momento all'altro
di veder sopraggiungere il suo giovane allievo (già lo pensa come tale e si
ripromette che, arrivato al Quartier Generale, farà di tutto perché lo affidino
alle sue cure) così da poter partire al più presto: il viaggio sarà lungo,
impiegheranno almeno quattro mesi a raggiungere il cuore dell'Europa dove si
trova la sede della Dark Religious, ma l'esorcista conta di sfruttare quel tempo
per poter cominciare ad addestrare il bambino - anche se, da quel che ha visto,
sembra che se la sappia già cavare egregiamente.
Quando la sacca
è pronta si siede sulla veranda ad aspettare; ascolta il vento che scivola
lentamente tra le piante e le gocce d’acqua che cadono dalle fronde, dando
l’impressione a chi passi sotto le chiome degli alberi che la pioggia non sia
ancora cessata nonostante il sole. Il cortile è silenzioso e tranquillo e,
guardandolo in quel momento, Tiedoll stesso fa fatica a credere che quello sia
il medesimo luogo che, due giorni prima, ha fatto da scenario al massacro forse
più orrendo di cui è stato costretto ad essere testimone da quando ha iniziato a
fare l’esorcista. Eppure le tracce di sangue che, a dispetto del forte
temporale, ancora impregnano la terra scura non mentono.
Mentre il
generale percorre lentamente il perimetro dello spiazzo, non riesce a togliersi
da davanti agli occhi le immagini dell’attacco degli akuma e quelle del bambino
che fino a quel momento non si è visto; la sua espressione si incupisce. Non è
preoccupato per lui, razionalmente sa di non averne motivo, però non gli piace
che ancora non si sia fatto vivo, benché il sole sia già alto e la sera prima
avesse dimostrato di aver fretta di partire (fretta dettata da ragioni
terribili, che l’uomo capisce ma non comprende, e tuttavia rispetta).
Lo sguardo gli
scivola su un sentiero stretto il cui inizio si perde tra le felci, passando
quasi inosservato; più per impegnare il tempo che per reale curiosità,
l’esorcista inizia a seguirlo, nel suo inerpicarsi serpeggiante su per un lieve
pendio, allargandosi man mano fino a far presagire la presenza di un prato sulla
sommità. Arrivato a metà strada, Tiedoll vede in alto, al termine della salita,
la figura sottile del suo futuro allievo stagliarsi nitida contro il cielo
azzurrissimo e sgombro di nubi.
Il bambino è in
piedi, immobile; la casacca candida che indossa, lunga fino alle ginocchia e
decorata da inserti blu, colpita dai raggi del sole sembra di un bianco ancora
più abbagliante, anche a contrasto con i suoi capelli corvini. Sta con il viso
rivolto verso l’orizzonte, là dove oltre la foschia si intravede la vallata e
in fondo l’oceano; il generale si affretta a raggiungerlo, ma anche quando
arriva nel prato sulla cima della collina il ragazzino non si muove, quasi che
non l’avesse nemmeno sentito arrivare (ma l’uomo sa che non è così).
Rimangono
entrambi in silenzio per qualche istante, a sentire il vento che soffia forte
piegando l’erba e le foglie degli alberi e modellandole al suo capriccio, poi il
piccolo si volta appena verso l’altro.
“Ehi esorcista…
quant’è grande il mondo oltre quel mare?”
Sentendo quelle
parole, il generare accenna un sorriso che però non riesce a distendersi come
dovrebbe e vorrebbe: perché Tiedoll si è reso conto che, benché quella domanda
rifletta un’ingenua curiosità infantile, perfettamente consona al bimbo che l’ha
sollevata, lui l’ha pronunciata con un accento incolore e distaccato – perché sa
che la risposta a quella domanda (per quanto sia impossibile averne una)
condizionerà i progetti di vendetta che sta costruendo e su cui baserà la sua
intera vita. Prima di rispondere, l’esorcista sospira.
“Molto grande,
ragazzo mio…”
“Non importa. Io
lo troverò lo stesso, quel bastardo”
La replica ha lo
stesso tono monocorde di prima, ma con in più una determinazione sorprendente.
Osservando
quegli occhi di ghiaccio, quel viso di porcellana senza espressione e sentendo
quella voce fredda, il generale capisce, con una chiarezza disarmante e
dolorosa, che il bambino che ha davanti ormai non può più essere definito tale.
La sua infanzia è bruscamente terminata nell’arco di due giorni e lui si è fatto
già quasi adulto, perché ha preso per intero sulle sue esili spalle il peso
della sua vita e ha deciso di portarlo da solo su qualunque strada sceglierà di
percorrere.
Quando l’aveva
incontrato appena scampato al massacro del suo villaggio, Tiedoll si era
ripromesso che l’avrebbe aiutato a superare quel trauma, ma ora si rende conto
con amaro sgomento che non solo lui non ha nessuna intenzione di farsi aiutare,
ma che forse non ne ha più nemmeno bisogno.
L’uomo fa
scivolare lo sguardo dalla sua figura, lasciandolo vagare tra l’erba alta
punteggiata di fiori rossi.
“Ci sono davvero
tanti papaveri in questo prato…”
È un commento
futile il suo, fatto solo per riempire con qualche frase insignificante un
silenzio che, altrimenti, nella sua testa sarebbe dominato da troppe riflessioni
difficili da gestire.
Eppure il
ragazzino sembra prenderlo molto sul serio, perché si volta anche lui ad
osservare i fiori smossi dal vento.
“L’altra mattina
quando sono venuto qui non ce n’era neanche uno… sono fioriti dopo il massacro.
Il maestro diceva sempre che quando un uomo buono viene ucciso ingiustamente,
nasce un papavero che si tinge del rosso del suo sangue”[i]
A quella
risposta mesta, il generale rimane un attimo incerto poi abbozza un sorriso. Non
conosceva quella leggenda sui papaveri, ma soprattutto non si aspettava che uno
come lui, all’apparenza così distaccato (ma chissà com’era quel bambino prima
che succedesse tutto questo), si interessasse di cose del genere.
“Vedrai
giovanotto, faremo in modo che non fioriscano più papaveri”
Una smorfia
amara e disincantata increspa per un attimo le labbra del piccolo. “Credo sia
impossibile, esorcista”
“Forse hai
ragione tu” conviene l’altro, mentre il suo sorriso si allarga un poco “Ma nulla
ci impedisce di crederci e provarci, no?” Poi intreccia le mani dietro la
schiena e comincia a scendere lentamente per il pendio “Coraggio, mettiamoci in
cammino…”
Il giovane
spadaccino si gira e lo osserva sospettoso per un istante prima di seguirlo, la
katana troppo lunga che strascica rumorosamente sul terreno; e per alcuni minuti
quello è l’unico suono che spezza il silenzio caduto tra loro.
“Giovanotto,
credo sia meglio che tu inizi a portare la spada sulla schiena, altrimenti
finirà per rovinarsi a furia di essere trascinata per terra” fa notare pacato
Tiedoll. E lo dice tutto d’un tratto, senza nemmeno voltarsi, ma la sua voce
tradisce il sorriso paterno che gli sta illuminando il viso.
Il ragazzino non
risponde, ma si sente punto sul vivo da quell'osservazione. Si ferma di botto in
mezzo al sentiero e velocemente si toglie la katana dalla cintura per
allacciarsela di traverso sul dorso; quando ha terminato l’operazione, prova con
un po’ di incertezza a sfoderare l’arma, un’espressione infastidita sul viso a
celare un grazie per il suggerimento che l’esorcista non sentirà mai
pronunciare.
Nel frattempo
l’uomo rimane immobile e continua a dargli le spalle, perché intuisce che il suo
scontroso allievo non gradirebbe essere osservato né tantomeno aiutato in quella
sua prima piccola sfida.
Pochi istanti
dopo, il bambino con la spada ora legata sulla schiena lo supera velocemente e
lo incita con un cenno del capo a fare presto.
“Arrivo ragazzo
mio, so che hai fretta… perché non mi precedi e inizi a recuperare i tuoi
bagagli?”
A quella
domanda, il piccolo si ferma e allunga a fianco a sé il braccio destro. Al
generale che lo osserva perplesso, fa notare il braccialetto di perline di
pietra dura che ha al polso. “È questo tutto il mio bagaglio, esorcista”
Tiedoll annuisce
e gli si affianca. “Allora andiamo, giovanotto. Il viaggio fino alla sede della
Dark Religious sarà lungo”
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Quattro mesi
dopo
Una riunione in
piena estate alle tre del pomeriggio è veramente un supplizio e, se i suoi
colleghi hanno intenzione di star lì a crepare di caldo e noia discutendo di
cose totalmente inutili… beh, affari loro. Cross Marian, a dispetto del suo nome
e delle vesti che indossa (la talare e la divisa da generale dell’Ordine), non
ha intenzione di morire per una qualsivoglia causa come fece Nostro Signore – il
cui esempio dovrebbe in teoria imitare. Ma solo in teoria.
Ha appena
annunciato a tutti che non ne può più di sentire i latrati di Leverrier e che
preferisce uscire a fumarsi una sigaretta e così ha fatto, ignorando
platealmente le proteste dell’Ispettore. Adesso se ne sta beatamente seduto sul
parapetto di marmo che si apre sul cielo terso, a cercare ogni minimo refolo di
vento che gli dia sollievo dall’afa quando, dalla penombra oltre cui si perde
l’angolo del corridoio, vede sbucare un bambino con la divisa da esorcista, una
katana sulla schiena e i capelli raccolti in un codino basso. Il generale salta
giù dalla balaustra e osserva il nuovo arrivato con aria di scherno.
“Ehi, da quando
in qua prendiamo anche i mocciosi?”
L’altro non
risponde, ma si limita a regalargli un’occhiata gelida; sta per proseguire per
la sua strada quando nota le bordure dorate sull’uniforme che l’uomo
(stranamente) indossa. È un generale, quindi un suo superiore, e gli
insegnamenti che il suo maestro gli ha trasmesso mentre viveva ancora felice al
dojo non gli permettono di lasciarselo alle spalle e ignorarlo, benché la
tentazione sia tanta, vista la sua strafottenza. Si ferma e accenna un lieve
inchino, poi un saluto freddo e formale.
“Buongiorno
generale”
Cross sorride,
ma stavolta non sta deridendo il ragazzino, sebbene le sue parole possano farlo
pensare. “Allora ce l’hai la lingua per parlare, eh?”
Il giovane
spadaccino stringe i denti per costringersi a non rispondere a tono a quel
tizio, giudicando più saggio passare oltre. Ma non fa in tempo a fare che pochi
passi, poi il suo istinto allenato lo avverte di una minaccia. Con un movimento
che, in quattro mesi di allenamento, si è fatto fluido ed elegante, estrae la
katana e si volta di scatto, andando ad incrociare la lama con la canna bianca
della pistola che l’altro esorcista gli sta puntando contro.
Quando le due
Innocence si toccano, in un cozzare fastidioso di metallo contro metallo,
entrambe vengono avvolte da uno strano bagliore, che si spegne non appena il
ragazzino allontana stupito la sua spada. Anche se vorrebbe chiedere spiegazioni
in merito, nulla traspare dalla sua espressione corrucciata, mentre continua a
fissare Cross con occhi gelidi e senza abbassare la guardia.
Il generale, dal
canto suo, scoppia in una risata e ripone la propria arma nella fondina che
tiene legata alla coscia. Il bambino lo guarda sospettoso.
Sul viso del
generale si allarga un sorriso sincero e soddisfatto.
“Ottimi
riflessi, ragazzo. Dimmi un po’, come ti chiami?”
Lo spadaccino
rinfodera la katana, ma non si rilassa minimamente, continuando a sostenere
senza apparente difficoltà lo sguardo dell’uomo. “Il maestro mi ha sempre
insegnato che è buon uso presentarsi prima di chiedere a qualcuno di fare
altrettanto”
L’esorcista ride
di nuovo. “Il tuo maestro era uno che sapeva come va il mondo. Bene, allora. Io
sono Marian Cross”
Il più giovane
annuisce appena, ma non fa in tempo nemmeno a dire una parola che l’altro
ricomincia a parlare. “No aspetta, ragazzo, non dire niente. Facciamo così: se
tra un mese sarai ancora vivo, allora vorrà dire che dovrò imparare il tuo nome”
Il ragazzino
stringe gli occhi e lo fissa; se è rimasto stupito dalla proposta dell’uomo non
lo dà affatto a vedere.
“D’accordo
generale. A tra un mese dunque” Afferma infine con voce sicura, prima di
andarsene senza più aggiungere una parola.
Mentre il
bambino si allontana, Cross lo segue con lo sguardo, una luce strana nelle iridi
castane. “Devo dire che tutto ha funzionato alla perfezione, anzi forse meglio
di quanto avevo previsto… difficilmente quell’Innocence avrebbe potuto avere
compatibile migliore”
Ha appena finito
di parlare, quando Tiedoll esce dalla sala in cui si sta tenendo la riunione.
L’altro generale al vederlo inarca le sopracciglia, mostrandosi teatralmente
stupito. “Ehi Froi, sei scappato anche tu da quel mortorio?” domanda,
accendendosi una sigaretta e buttando subito in alto una nuvola di fumo.
L’artista
sospira, poi risponde con pazienza, come se stesse parlando ad un bimbetto
capriccioso. “Mi hanno mandato a chiamarti, Marian… dobbiamo…” Ma sul finire
della frase la sua voce si spegne, quando nota la sagoma minuta del suo allievo
poco prima che questi scompaia giù dalle scale al termine del lungo corridoio.
Un sorriso affettuoso si disegna sul suo viso.
Cross se ne
accorge e sorride ambiguo, accennando con la testa al bimbo.
“Ci ho parlato
un attimo fa. Hai avuto fortuna a trovare quel ragazzino… credimi, farà strada”
L’altro annuisce
lentamente. “Ha un carattere difficile, ma certo non gli si può imputare nulla
visto quello che ha passato… però sono convinto anch’io che abbia delle
potenzialità”
“Ne ha molte più
di quante immagini, Froi” Una risposta sibillina, sciolta in un’altra risata.
Poi il generale se ne va, incamminandosi nella direzione opposta a quella presa
dal giovanissimo spadaccino.
Rimasto solo,
Tiedoll si stringe nelle spalle e scuote la testa. “Marian, Marian… so che in
realtà sai molto di più di questo e che non mi dirai nulla. In fondo, noi tutti
siamo poco più che pedine di una tua misteriosa strategia. Ma va bene così,
l’importante è che tu mi permetta di prendermi cura di Yu-kun… quel bambino se
lo merita, dopo tutto. Anche se lui non lo ammetterà mai”
Un sorriso gli
illumina il volto mentre il generale rientra dai colleghi ad annunciare che, per
l’ennesima volta, Cross Marian è sparito e non presenzierà alla fase finale
della riunione.
NOTA: Il tema dei papaveri come ricordo di una persona scomparsa non è
tutta farina del mio sacco, quindi mi sembra giusto dare i credits a chi
se li merita. Nel costruire questa metafora sono stata influenzata in
primis da una canzone meravigliosa quale “La guerra di Piero” di De
Andrè e poi da una fic che lessi tempo fa, pubblicata sempre qui su EFP
ma nel fandom di Slayers, vale a dire “Papaveri” di Fren. Il mio
ovviamente non intende essere un plagio, ma solamente un omaggio a due
opere che, seppur diversissime, mi sono rimaste entrambe nel cuore.
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