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Autore: Mistral    20/06/2009    2 recensioni
Spesso è il Conte ad approfittare delle tragedie umane per creare i suoi akuma, ma a volte è proprio da queste tragedie che nascono gli apostoli che ne decreteranno la fine...
[Speculazioni sul passato di Yu Kanda][Non tiene conto delle rivelazioni della Night 186 e seguenti]
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Yu Kanda
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata al mio fratellino

Quarta e ultima parte di questa fic. Ho cercato di far venire al pettine un po' di nodi, ma non so quanto si capisca... ^^"

Grazie a tutti quelli che hanno seguito e recensito.

 

 

SIK

Lost & Found

 

Part IV

Ending Theme

 

La mattina dopo, Tiedoll viene svegliato, come il giorno precedente, dal silenzio assoluto che regna nel villaggio, ma anche dalla luce chiara che filtra attraverso i sottili pannelli di carta.

La sera prima, le parole del ragazzino che continuavano a vorticargli in testa gli hanno impedito di addormentarsi e così ha disegnato per ore al chiarore incerto di una lanterna, fino a crollare per la stanchezza. Ancora un po’ intontito per il sonno si tira seduto, trovandosi tutto dolorante per aver dormito direttamente sdraiato sul tatami, i fogli dei suoi schizzi sparpagliati attorno a lui sul pavimento. Mentre li raccoglie, non può fare a meno di notare le forme contorte e le tinte cupe di quei disegni, stupendosi di essere stato proprio lui a farli: evidentemente, conclude, il racconto di quel bambino e la discussione che hanno avuto subito dopo l'hanno segnato più di quanto avesse immaginato.

 

Sospira profondamente e scuote la testa, mentre si dirige verso la sala comune per preparare la colazione per entrambi; arrivato lì trova il fuoco acceso, la teiera già calda e accanto un piatto con degli strani dolci spalmati di marmellata, ma del piccolo spadaccino non c’è traccia. Il generale non riesce a trattenere un sorriso commosso, mentre se lo immagina intento a dare l’addio a tutti gli angoli del dojo cui è più affezionato.

Mangia in fretta e poi va a raccogliere le sue poche cose, aspettandosi da un momento all'altro di veder sopraggiungere il suo giovane allievo (già lo pensa come tale e si ripromette che, arrivato al Quartier Generale, farà di tutto perché lo affidino alle sue cure) così da poter partire al più presto: il viaggio sarà lungo, impiegheranno almeno quattro mesi a raggiungere il cuore dell'Europa dove si trova la sede della Dark Religious, ma l'esorcista conta di sfruttare quel tempo per poter cominciare ad addestrare il bambino - anche se, da quel che ha visto, sembra che se la sappia già cavare egregiamente.

 

Quando la sacca è pronta si siede sulla veranda ad aspettare; ascolta il vento che scivola lentamente tra le piante e le gocce d’acqua che cadono dalle fronde, dando l’impressione a chi passi sotto le chiome degli alberi che la pioggia non sia ancora cessata nonostante il sole. Il cortile è silenzioso e tranquillo e, guardandolo in quel momento, Tiedoll stesso fa fatica a credere che quello sia il medesimo luogo che, due giorni prima, ha fatto da scenario al massacro forse più orrendo di cui è stato costretto ad essere testimone da quando ha iniziato a fare l’esorcista. Eppure le tracce di sangue che, a dispetto del forte temporale, ancora impregnano la terra scura non mentono.

Mentre il generale percorre lentamente il perimetro dello spiazzo, non riesce a togliersi da davanti agli occhi le immagini dell’attacco degli akuma e quelle del bambino che fino a quel momento non si è visto; la sua espressione si incupisce. Non è preoccupato per lui, razionalmente sa di non averne motivo, però non gli piace che ancora non si sia fatto vivo, benché il sole sia già alto e la sera prima avesse dimostrato di aver fretta di partire (fretta dettata da ragioni terribili, che l’uomo capisce ma non comprende, e tuttavia rispetta).

Lo sguardo gli scivola su un sentiero stretto il cui inizio si perde tra le felci, passando quasi inosservato; più per impegnare il tempo che per reale curiosità, l’esorcista inizia a seguirlo, nel suo inerpicarsi serpeggiante su per un lieve pendio, allargandosi man mano fino a far presagire la presenza di un prato sulla sommità. Arrivato a metà strada, Tiedoll vede in alto, al termine della salita, la figura sottile del suo futuro allievo stagliarsi nitida contro il cielo azzurrissimo e sgombro di nubi.

 

Il bambino è in piedi, immobile; la casacca candida che indossa, lunga fino alle ginocchia e decorata da inserti blu, colpita dai raggi del sole sembra di un bianco ancora più abbagliante, anche a contrasto con i suoi capelli corvini. Sta con il viso rivolto verso l’orizzonte, là dove oltre la foschia si intravede la vallata  e in fondo l’oceano; il generale si affretta a raggiungerlo, ma anche quando arriva nel prato sulla cima della collina il ragazzino non si muove, quasi che non l’avesse nemmeno sentito arrivare (ma l’uomo sa che non è così).

Rimangono entrambi in silenzio per qualche istante, a sentire il vento che soffia forte piegando l’erba e le foglie degli alberi e modellandole al suo capriccio, poi il piccolo si volta appena verso l’altro.

 

“Ehi esorcista… quant’è grande il mondo oltre quel mare?”

 

Sentendo quelle parole, il generare accenna un sorriso che però non riesce a distendersi come dovrebbe e vorrebbe: perché Tiedoll si è reso conto che, benché quella domanda rifletta un’ingenua curiosità infantile, perfettamente consona al bimbo che l’ha sollevata, lui l’ha pronunciata con un accento incolore e distaccato – perché sa che la risposta a quella domanda (per quanto sia impossibile averne una) condizionerà i progetti di vendetta che sta costruendo e su cui baserà la sua intera vita. Prima di rispondere, l’esorcista sospira.

 

“Molto grande, ragazzo mio…”

“Non importa. Io lo troverò lo stesso, quel bastardo”

 

La replica ha lo stesso tono monocorde di prima, ma con in più una determinazione sorprendente.

Osservando quegli occhi di ghiaccio, quel viso di porcellana senza espressione e sentendo quella voce fredda, il generale capisce, con una chiarezza disarmante e dolorosa, che il bambino che ha davanti ormai non può più essere definito tale. La sua infanzia è bruscamente terminata nell’arco di due giorni e lui si è fatto già quasi adulto, perché ha preso per intero sulle sue esili spalle il peso della sua vita e ha deciso di portarlo da solo su qualunque strada sceglierà di percorrere.

Quando l’aveva incontrato appena scampato al massacro del suo villaggio, Tiedoll si era ripromesso che l’avrebbe aiutato a superare quel trauma, ma ora si rende conto con amaro sgomento che non solo lui non ha nessuna intenzione di farsi aiutare, ma che forse non ne ha più nemmeno bisogno.

L’uomo fa scivolare lo sguardo dalla sua figura, lasciandolo vagare tra l’erba alta punteggiata di fiori rossi.

 

“Ci sono davvero tanti papaveri in questo prato…”

 

È un commento futile il suo, fatto solo per riempire con qualche frase insignificante un silenzio che, altrimenti, nella sua testa sarebbe dominato da troppe riflessioni difficili da gestire.

Eppure il ragazzino sembra prenderlo molto sul serio, perché si volta anche lui ad osservare i fiori smossi dal vento.

 

“L’altra mattina quando sono venuto qui non ce n’era neanche uno… sono fioriti dopo il massacro. Il maestro diceva sempre che quando un uomo buono viene ucciso ingiustamente, nasce un papavero che si tinge del rosso del suo sangue”[i]

 

A quella risposta mesta, il generale rimane un attimo incerto poi abbozza un sorriso. Non conosceva quella leggenda sui papaveri, ma soprattutto non si aspettava che uno come lui, all’apparenza così distaccato (ma chissà com’era quel bambino prima che succedesse tutto questo), si interessasse di cose del genere.

 

“Vedrai giovanotto, faremo in modo che non fioriscano più papaveri”

Una smorfia amara e disincantata increspa per un attimo le labbra del piccolo. “Credo sia impossibile, esorcista”

“Forse hai ragione tu” conviene l’altro, mentre il suo sorriso si allarga un poco “Ma nulla ci impedisce di crederci e provarci, no?” Poi intreccia le mani dietro la schiena e comincia a scendere lentamente per il pendio “Coraggio, mettiamoci in cammino…”

 

Il giovane spadaccino si gira e lo osserva sospettoso per un istante prima di seguirlo, la katana troppo lunga che strascica rumorosamente sul terreno; e per alcuni minuti quello è l’unico suono che spezza il silenzio caduto tra loro.

 

“Giovanotto, credo sia meglio che tu inizi a portare la spada sulla schiena, altrimenti finirà per rovinarsi a furia di essere trascinata per terra” fa notare pacato Tiedoll. E lo dice tutto d’un tratto, senza nemmeno voltarsi, ma la sua voce tradisce il sorriso paterno che gli sta illuminando il viso.

 

Il ragazzino non risponde, ma si sente punto sul vivo da quell'osservazione. Si ferma di botto in mezzo al sentiero e velocemente si toglie la katana dalla cintura per allacciarsela di traverso sul dorso; quando ha terminato l’operazione, prova con un po’ di incertezza a sfoderare l’arma, un’espressione infastidita sul viso a celare un grazie per il suggerimento che l’esorcista non sentirà mai pronunciare.

Nel frattempo l’uomo rimane immobile e continua a dargli le spalle, perché intuisce che il suo scontroso allievo non gradirebbe essere osservato né tantomeno aiutato in quella sua prima piccola sfida.

Pochi istanti dopo, il bambino con la spada ora legata sulla schiena lo supera velocemente e lo incita con un cenno del capo a fare presto.

 

“Arrivo ragazzo mio, so che hai fretta… perché non mi precedi e inizi a recuperare i tuoi bagagli?”

A quella domanda, il piccolo si ferma e allunga a fianco a sé il braccio destro. Al generale che lo osserva perplesso, fa notare il braccialetto di perline di pietra dura che ha al polso. “È questo tutto il mio bagaglio, esorcista”

Tiedoll annuisce e gli si affianca. “Allora andiamo, giovanotto. Il viaggio fino alla sede della Dark Religious sarà lungo”

 

 

_________________________________

 

 

Quattro mesi dopo

 

Una riunione in piena estate alle tre del pomeriggio è veramente un supplizio e, se i suoi colleghi hanno intenzione di star lì a crepare di caldo e noia discutendo di cose totalmente inutili… beh, affari loro. Cross Marian, a dispetto del suo nome e delle vesti che indossa (la talare e la divisa da generale dell’Ordine), non ha intenzione di morire per una qualsivoglia causa come fece Nostro Signore – il cui esempio dovrebbe in teoria imitare. Ma solo in teoria.

Ha appena annunciato a tutti che non ne può più di sentire i latrati di Leverrier e che preferisce uscire a fumarsi una sigaretta e così ha fatto, ignorando platealmente le proteste dell’Ispettore. Adesso se ne sta beatamente seduto sul parapetto di marmo che si apre sul cielo terso, a cercare ogni minimo refolo di vento che gli dia sollievo dall’afa quando, dalla penombra oltre cui si perde l’angolo del corridoio, vede sbucare un bambino con la divisa da esorcista, una katana sulla schiena e i capelli raccolti in un codino basso. Il generale salta giù dalla balaustra e osserva il nuovo arrivato con aria di scherno.

 

“Ehi, da quando in qua prendiamo anche i mocciosi?”

 

L’altro non risponde, ma si limita a regalargli un’occhiata gelida; sta per proseguire per la sua strada quando nota le bordure dorate sull’uniforme che l’uomo (stranamente) indossa. È un generale, quindi un suo superiore, e gli insegnamenti che il suo maestro gli ha trasmesso mentre viveva ancora felice al dojo non gli permettono di lasciarselo alle spalle e ignorarlo, benché la tentazione sia tanta, vista la sua strafottenza. Si ferma e accenna un lieve inchino, poi un saluto freddo e formale.

 

“Buongiorno generale”

Cross sorride, ma stavolta non sta deridendo il ragazzino, sebbene le sue parole possano farlo pensare. “Allora ce l’hai la lingua per parlare, eh?”

 

Il giovane spadaccino stringe i denti per costringersi a non rispondere a tono a quel tizio, giudicando più saggio passare oltre. Ma non fa in tempo a fare che pochi passi, poi il suo istinto allenato lo avverte di una minaccia. Con un movimento che, in quattro mesi di allenamento, si è fatto fluido ed elegante, estrae la katana e si volta di scatto, andando ad incrociare la lama con la canna bianca della pistola che l’altro esorcista gli sta puntando contro.

Quando le due Innocence si toccano, in un cozzare fastidioso di metallo contro metallo, entrambe vengono avvolte da uno strano bagliore, che si spegne non appena il ragazzino allontana stupito la sua spada. Anche se vorrebbe chiedere spiegazioni in merito, nulla traspare dalla sua espressione corrucciata, mentre continua a fissare Cross con occhi gelidi e senza abbassare la guardia.

Il generale, dal canto suo, scoppia in una risata e ripone la propria arma nella fondina che tiene legata alla coscia. Il bambino lo guarda sospettoso.

Sul viso del generale si allarga un sorriso sincero e soddisfatto.

 

“Ottimi riflessi, ragazzo. Dimmi un po’, come ti chiami?”

Lo spadaccino rinfodera la katana, ma non si rilassa minimamente, continuando a sostenere senza apparente difficoltà lo sguardo dell’uomo. “Il maestro mi ha sempre insegnato che è buon uso presentarsi prima di chiedere a qualcuno di fare altrettanto”

L’esorcista ride di nuovo. “Il tuo maestro era uno che sapeva come va il mondo. Bene, allora. Io sono Marian Cross”

Il più giovane annuisce appena, ma non fa in tempo nemmeno a dire una parola che l’altro ricomincia a parlare. “No aspetta, ragazzo, non dire niente. Facciamo così: se tra un mese sarai ancora vivo, allora vorrà dire che dovrò imparare il tuo nome”

Il ragazzino stringe gli occhi e lo fissa; se è rimasto stupito dalla proposta dell’uomo non lo dà affatto a vedere.

“D’accordo generale. A tra un mese dunque” Afferma infine con voce sicura, prima di andarsene senza più aggiungere una parola.

 

Mentre il bambino si allontana, Cross lo segue con lo sguardo, una luce strana nelle iridi castane. “Devo dire che tutto ha funzionato alla perfezione, anzi forse meglio di quanto avevo previsto… difficilmente quell’Innocence avrebbe potuto avere compatibile migliore”

 

Ha appena finito di parlare, quando Tiedoll esce dalla sala in cui si sta tenendo la riunione. L’altro generale al vederlo inarca le sopracciglia, mostrandosi teatralmente stupito. “Ehi Froi, sei scappato anche tu da quel mortorio?” domanda, accendendosi una sigaretta e buttando subito in alto una nuvola di fumo.

L’artista sospira, poi risponde con pazienza, come se stesse parlando ad un bimbetto capriccioso. “Mi hanno mandato a chiamarti, Marian… dobbiamo…” Ma sul finire della frase la sua voce si spegne, quando nota la sagoma minuta del suo allievo poco prima che questi scompaia giù dalle scale al termine del lungo corridoio. Un sorriso affettuoso si disegna sul suo viso.

Cross se ne accorge e sorride ambiguo, accennando con la testa al bimbo.

“Ci ho parlato un attimo fa. Hai avuto fortuna a trovare quel ragazzino… credimi, farà strada”

L’altro annuisce lentamente. “Ha un carattere difficile, ma certo non gli si può imputare nulla visto quello che ha passato… però sono convinto anch’io che abbia delle potenzialità”

“Ne ha molte più di quante immagini, Froi” Una risposta sibillina, sciolta in un’altra risata. Poi il generale se ne va, incamminandosi nella direzione opposta a quella presa dal giovanissimo spadaccino.

 

Rimasto solo, Tiedoll si stringe nelle spalle e scuote la testa. “Marian, Marian… so che in realtà sai molto di più di questo e che non mi dirai nulla. In fondo, noi tutti siamo poco più che pedine di una tua misteriosa strategia. Ma va bene così, l’importante è che tu mi permetta di prendermi cura di Yu-kun… quel bambino se lo merita, dopo tutto. Anche se lui non lo ammetterà mai”

Un sorriso gli illumina il volto mentre il generale rientra dai colleghi ad annunciare che, per l’ennesima volta, Cross Marian è sparito e non presenzierà alla fase finale della riunione.


 

NOTA: Il tema dei papaveri come ricordo di una persona scomparsa non è tutta farina del mio sacco, quindi mi sembra giusto dare i credits a chi se li merita. Nel costruire questa metafora sono stata influenzata in primis da una canzone meravigliosa quale “La guerra di Piero” di De Andrè e poi da una fic che lessi tempo fa, pubblicata sempre qui su EFP ma nel fandom di Slayers, vale a dire “Papaveri” di Fren. Il mio ovviamente non intende essere un plagio, ma solamente un omaggio a due opere che, seppur diversissime, mi sono rimaste entrambe nel cuore.

   
 
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