Note
moleste iniziali:
Quello
che state per leggere è il prequel di un’altra
storia che ho scritto due anni
fa ormai (potete trovarla qui),
ma può essere letta senza problemi anche
da chi non conoscesse la prima :3 Le date non sono di per sé
importanti, se non
per individuare l’arco temporale della vicenda, e detto
questo, spero vi
piaccia e vi lascio alla lettura!
Dedicata a Zaira,
come regalo di
Natale in ritardo
Manipolazioni,
messaggi e
fratelli protettivi
21 gennaio 2015,
Mercoledì
Mentre
si soffiava del fiato caldo tra le mani coperte dai guanti,
Trafalgar Law si ritrovò a pensare che era davvero stupido
il modo in cui si
sentiva. Aveva venticinque dannatissimi anni, ed era fuori da una
dannatissima
palestra di kick-boxing, di sera e nel bel mezzo della settimana, con
le
temperature rigide di gennaio, quando avrebbe potuto essere a casa a
studiare,
e solo perché un ragazzino l’aveva raggirato in
modo da fargli promettere che
sarebbe andato a vedere il suo incontro.
Era
stupido, perché non doveva niente a quel nanetto, eppure non
era riuscito a dirgli di no. Forse erano stati gli occhioni speranzosi,
forse
era stata la sua vocetta insistente, Law non lo sapeva; ciò
che invece sapeva
era che gli si stava gelando il culo e ancora quei due tipi di fronte a
lui non
volevano decidersi ad entrare, costringendolo fuori.
Law
riservò loro un’occhiataccia che venne bellamente
ignorata, e
si strinse ancora di più nel giubbotto; decise infine di
oltrepassarli e farsi
strada all’interno. Forse avrebbe anche trovato una
macchinetta alla quale
prendere del tè caldo.
Era
un idiota, pensò di nuovo, quando finalmente fu
all’asciutto e
al calduccio. Si tolse il giaccone pesante, liberandosi anche della
sciarpa e
dei guanti che ripose in una delle tasche, poi tirò fuori il
cellulare da
un’altra tasca e controllò l’orario.
Mancava ancora qualche minuto all’inizio
dell’incontro, e il suo collo si stirò alla
ricerca di una zazzera scura.
Non
la trovò; al suo posto, il suo sguardo venne catturato da un
casco rosso che saltellava in un angolo della palestra, nei movimenti
che Law
riconobbe come quelli di qualcuno che si sta riscaldando in vista di un
incontro, li aveva visti fare a Shachi e Penguin un sacco di volte.
Era
quasi tentato di nascondersi dietro gli altri spettatori e far
finta di non essere mai stato lì, ma qualcosa di
più forte della sua volontà lo
trascinò verso quella figura saltellante.
«Ehi,
Rufy-ya.» lo salutò.
Il
diretto interessato alzò gli occhi castani, tanto scuri da
sembrare quasi neri, su di lui; il suo viso, da freddo e concentrato
quale era,
si sciolse in un sorriso che Law non si sarebbe mai aspettato e che lo
lasciò
per un attimo con la bocca leggermente aperta e il fiato bloccato in
gola.
«Torao!
Alla fine sei venuto!» ricambiò Rufy. Il suo corpo
si
bloccò il tempo di un secondo, prima che il ragazzo
riprendesse a menare calci
e pugni all’aria, senza perdere il sorriso. Law
alzò un sopracciglio a quel soprannome,
memore di come gli fosse stato appioppato la settimana prima, con la
giustificazione che il suo vero nome fosse troppo lungo e complicato.
Aveva
detto a Rufy che non amava i soprannomi, ma pareva che quel commento
gli fosse
entrato in un orecchio per poi uscire direttamente
dall’altro.
«A
quanto pare…» fu l’eloquente risposta di
Law, che aveva ancora
la faccia stordita di chi è stato preso a padellate sul naso.
Rufy
gli lanciò un’occhiata contenta, poi
allungò il collo per
controllare il grosso orologio appeso alla parete di fronte.
«Gli scontri
stanno per cominciare. Io sono nel secondo cerchio.
Stai a vedere!» scattò in avanti e si
avvicinò al suo ring.
Law
alzò un angolo della bocca in un sorrisetto, dirigendosi
subito
dopo verso gli spalti, che si erano riempiti senza che lui se ne
accorgesse.
Per
fortuna, la gente aveva pensato che fosse meglio assistere agli
scontri dalle panche più alte, così gli venne
facile trovare un posto nelle
prime file, in modo da avere una posizione avvantaggiata rispetto al
livello
dei ring, ma non troppo in alto da non vedere niente.
Cercò
il cerchio di Rufy, e quando lo trovò, lui stava agitando
una
mano nella sua direzione. Alzò la propria in un breve cenno
di saluto, prima di
capire che quel saluto non era rivolto a lui; accanto a sé,
infatti, i due tizi
che bloccavano l’entrata poco prima stavano letteralmente
saltando sul posto e
non ci mise molto a capire che stavano gridando il nome di Rufy come se
fosse
un urlo di incitamento.
«Vai
fratellino!» gridò uno dei due, quello con i
capelli biondi,
un sorriso accecante ad illuminargli il volto. Law lo guardò
un po’ di sbieco,
prima di accorgersi che anche il secondo dei due aveva preso a saltare
e
scuotere le braccia alzate in aria. L’individuo
arrivò perfino a dargli una
gomitata e sussurrargli: «È mio fratello
minore.» con un ghigno fiero in volto,
e Law avrebbe voluto replicare che chiunque dei presenti aveva
afferrato il
concetto da parecchi minuti, ma sollevò un angolo della
bocca in sorrisetto
costipato, con le sopracciglia pericolosamente inarcate, sedendosi di
nuovo
comodo sulla propria poltroncina.
Non
ci capiva molto di kick-boxing, nonostante i suoi amici
avessero provato per anni a dargli una cultura in merito, ma era sicuro
che il
modo in cui Rufy continuava ad evitare i colpi che gli venivano
sferrati fosse
quello giusto, considerato che riusciva a tirarne lui stesso
all’avversario.
Era
quasi certo, tra l’altro, che sarebbe rimasto sordo
dall’orecchio sinistro, considerato il casino che facevano i
fratelli di Rufy.
Era contento che quei non sapessero che il loro fratellino pareva aver
sviluppato una eccessiva, quanto istantanea, simpatia per Law stesso.
Ci
mancava solo che il resto della famiglia di squilibrati gli stesse alle
calcagna.
Con
uno sbuffo infastidito, riportò il proprio sguardo su Rufy;
era
preciso, nei colpi che sferrava, nel modo in cui schivava e non
lasciava spazio
di respiro all’avversario, spingendolo verso il bordo del
tatami con ogni
colpo. Law si ritrovò a stringere i pugni quando parve che
stesse per uscire
dal cerchio, mentre i due accanto a lui urlavano come forsennati, ma
poi il
tipo si riprese e cominciò a rispondere con altrettanta
energia. Non ci volle
molto prima che Rufy ritornasse in vantaggio, comunque, e Law
sentì una strana
ondata di orgoglio espandersi nel suo petto. Era bravo, non
c’era che dire.
Alla
fine del primo round, Rufy si ritirò nel suo angolo, dove un
uomo robusto con i capelli grigi, probabilmente il suo maestro, lo
aspettava
con una bottiglietta di plastica contente un liquido dal dubbio colore
azzurro.
Gli disse qualcosa a cui Rufy rispose con un sorrisetto tirato, prima
di
asciugarsi il collo con un panno. Poi alzò lo sguardo,
lanciando un’occhiata
sugli spalti e aprendosi in un sorriso degno di quel nome. I due
fratelli gli
sorrisero di rimando. «Stai andando benissimo,
Rufy!» strillò il biondo.
«Fallo
nero!» rincarò l’altro; Law si aspettava
quasi che Rufy si
voltasse di nuovo a prestare attenzione agli altri incontri, quando
sentì il
suo nome, o meglio, il suo soprannome, pronunciato dalla voce
squillante del
ragazzo.
«Hai
visto, Torao?» gli aveva urlato e Law avrebbe voluto
scomparire inghiottito dal legno degli spalti. Lanciò
un’occhiata accanto a sé,
trovando due paia di occhi a fissarlo, ma si impose di non
preoccuparsene.
Fece
un cenno con la testa, il collo inclinato di lato, per dirgli
che sì, l’aveva visto. Prima che Rufy potesse dire
altro, il campanello della
giuria richiamò i contestanti al cerchio.
Il
secondo round sarebbe stato molto simile al primo, se non fosse
che Law sentiva lo sguardo dei due fratelli perforargli il fianco e
bruciare
come schizzi di acqua bollente sulle mani; fu alla fine di quello che i
ragazzi
decisero di rivolgergli la parola.
Il
moro si voltò totalmente verso di lui, con le braccia
incrociate
e gli occhi scuri assottigliati. «Sei un amico di
Rufy?»
Law
alzò un sopracciglio alla domanda, ma gli rispose comunque.
«Più un conoscente direi.»
«E
come mai un conoscente è qui a vedere l’incontro
di Rufy?»
Quella volta era stato il biondino a parlare, sospettoso.
«Me
l’ha chiesto lui la settimana scorsa. Ero qui per dei miei
amici.» Omise che Rufy non gliel’aveva esattamente
chiesto, ma l’aveva quasi
costretto, eppure dalle espressioni dei due fratelli capì
che potevano intuirlo
da soli.
«Allora
come mai-» riprese il primo, ma non arrivò mai a
finire la
frase poiché il campanello squillò di nuovo e Law
era sicuro che nessuno dei
due si sarebbe perso un secondo dell’incontro per nulla al
mondo.
Passarono
solo due o tre minuti, che però gli parvero molto
più
lunghi del solito, fino a quando l’arbitro non
chiamò la fine del terzo ed
ultimo round e i giudici contarono i punti segnati sul taccuino, quello
Law lo
sapeva; la giuria calcolò i punteggi totali e li
passò all’arbitro che procedette
a sollevare la mano di Rufy in aria, designandolo vincitore.
I
suoi fratelli scattarono in piedi, abbracciati, prima di
catapultarsi giù dagli spalti e strizzare Rufy, ancora
sudato e con i guantoni
addosso. Law li seguì da un po’ più
lontano, con un sorrisetto nascosto sotto
la sciarpa scura che si era di nuovo annodato al collo.
La
risata sibilata di Rufy era riconoscibile anche da quella
distanza, ed era talmente contagiosa che Law sentì le
proprie labbra stirarsi
appena di più, senza riuscire a controllarsi. Quel ragazzino
era davvero una
peste.
Rufy
lasciò andare i suoi fratelli, mentre quelli provavano a
scompigliargli i capelli liberi dal casco rosso, e si diresse a passi
veloci
verso di lui. «Torao! – chiamò
– Come sono andato?» gli chiese, prendendolo in
contropiede.
Law
corrugò la fronte, stranito dalla domanda, dopotutto Rufy
sapeva che la boxe non era tra i suoi interessi primari, per cui la sua
opinione era inutile. Sospirò, decidendo di rispondere nel
modo più generale
possibile. «Hai vinto, quindi suppongo abbastanza
bene.»
Rufy
parve soddisfatto di quella risposta. «Quel tipo era un osso
bello duro. Schivava male, ma incassava bene… E mi ha messo
in difficoltà un
paio di volte. Mi ha sottovalutato troppo però! Non
sarò un peso massimo, ma se
sperava in una vittoria facile, ci sarà rimasto proprio di
merda.» disse,
passando poi a spiegare quali fossero state le mosse che
l’avevano colto di
sorpresa. Law lo ascoltò, con un sorriso nascosto a
metà dalla sciarpa e molta
più attenzione di ciò che voleva ammettere, come
se solo il fatto che quelle
parole fossero pronunciate da Rufy le rendesse automaticamente
più
interessanti. Si diede dell’idiota per l’ennesima
volta, ma nulla in confronto
a quando Rufy decise di chiedergli il numero di telefono.
Law
lo fissò per qualche secondo, come se non credesse alle
proprie
orecchie. Che le costanti urla di Pinco Panco e Panco Pinco gli
avessero
danneggiato l’udito per davvero?
Ma
poi Rufy gli sorrise e ripeté la domanda. «Se mi
dai il tuo
numero ti dico quando sono gli altri incontri e vieni a vedermi. Oh! E
poi
questo sabato esce quel nuovo film di supereroi, che ne dici di vederlo
insieme? Posso dirlo anche ai miei amici e tu ai tuoi!»
Il
suo primo pensiero corse ai suoi amici, e al fatto che con tutta
probabilità sarebbero stati contenti di accompagnarlo, ma un
parte di Law
voleva dire di no, voleva dire che non aveva voglia di uscire con lui a
vedere
un film di cui non gli importava un fico secco, tra l’altro,
voleva dire che
non gli andava di dargli il suo numero di telefono perché
era molto probabile
che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui si vedevano.
Come intuibile,
quella parte venne zittita dal suo inconscio, che lo tirava verso Rufy
come una
corrente in pieno oceano.
«Non
so se posso sabato. Forse ho il tirocinio in ospedale.» disse
infine, con un sospiro che gli sciolse il petto.
Rufy
parve colpito da una realizzazione proprio in quel momento, e
la sua espressione si fece meno luminosa. «Giusto, tu vai
all’università.»
Law
si rese conto di quanto fosse innaturale vedere Rufy senza un
sorriso. Era come se ci fosse qualcosa di sbagliato nel mondo,
così si affrettò
a rimediare. «Non so ancora se avrò il tirocinio.
E poi ci sono altri giorni.»
propose, stupendosi delle proprie parole.
«Bene,
allora! Segnati il mio numero e poi mandami un messaggio.»
Aspettò che Law tirasse il cellulare fuori dalla tasca e
facesse quanto gli era
stato detto, poi alzò il pollice. «Io devo andare
a cambiarmi, mi aspetti?» gli
chiese subito dopo.
Un
piccolo colpo di tosse risuonò dietro la figura sottile del
ragazzo, e Law colse gli sguardi indignati dei due fratelli,
evidentemente
scontenti d’essere stati ignorati.
Sospirò.
«Non credo proprio, Rufy-ya. Ci vediamo.» Si
infilò i
guanti e girò i tacchi, ma non fece che pochi passi, prima
che la voce di Rufy
lo raggiungesse di nuovo. «Ci conto, Torao!»
Law
strinse i denti e affondò di più il viso nella
sciarpa,
consapevole di essersi appena scavato la fossa, ma con un sorriso che
ancora
gli increspava le labbra.
*
23 gennaio 2015,
Venerdì
A Torao:
Allora ci vieni
al cinema?[14:23]
Da Torao:
Ho scelta?
[14:39]
A Torao:
Certo! Possiamo
andarci domani sera o la prossima settimana [14:41]
Da Torao:
…
[14:49]
Immaginavo.
Domani andrà bene [14:50]
A Torao:
Ci sono anche
due miei amici, i tuoi vengono? [14:58]
Da Torao:
Non ho ancora
chiesto, ma molto probabilmente sì [19:06]
A Torao:
Ci hai messo
tantissimo a rispondere. Pensavo mi stessi ignorando
[19:13]
Da Torao:
Non tutti stanno
con il telefono in mano 24/7 [19:14]
A Torao:
Eri al
tirocinio? [19:16]
Da Torao:
Sì,
sono uscito un quarto d’ora fa [19:18]
A Torao:
Posso chiamarti?
[19:19]
Da Torao:
Perché?
[19:24]
A Torao:
Perché
così ci mettiamo d’accordo per andare al cinema
[19:26]
Da Torao:
Non lo stiamo
già facendo? [19:30]
A Torao:
Non mi piace
scrivere [19:35]
Da Torao:
Non è
un mio problema [19:36]
A Torao:
Toraoooooooooooooo
[19:37]
Tanto ti chiamo
lo stesso [19:37]
Da Torao:
Fammi almeno
arrivare a casa, peste. [19:40]
A Torao:
Sei in macchina?
[19:41]
Da Torao:
E secondo te
starei qui a parlare con te mentre guido? Sono in
metro [19:44]
Devo anche
cenare, quindi se proprio insisti ti chiamo io quando
finisco [19:45]
A Torao:
Va bene! [19:47]
Chiamata in
entrata da Torao [20:44]
*
23 febbraio
2015, Lunedì
Era
già da qualche settimana che Sabo e Ace osservavano il
comportamento del loro fratellino minore; non l’avevano mai
visto in quello
stato, anche se Rufy era generalmente una persona solare e
chiacchierona, non
era mai stato tanto euforico, forse solo quando vinceva gli incontri di
boxe.
Era
cominciato tutto il giorno delle sue gare di kick-boxing,
quando l’avevano visto salutare quel tipo, tutto sorridente,
prima sugli spalti
e poi di presenza, dimenticandosi totalmente di loro.
Non
avevano voluto forzare l’argomento, fintantoché
non fossero
stati certi di avere prove inconfutabili, e alla fine le avevano
trovate: Rufy
aveva preso a guardare il cellulare molte più volte di
quanto avesse mai fatto,
rinunciando perfino a giocare ai videogame con loro per poter fare
lunghe
chiacchierate che si protraevano fino a tarda sera, condite di grasse
risate.
Che cosa c’era di tanto divertente, poi?
Sabo
aveva un’idea molto chiara di ciò che stava
succedendo,
soprattutto dopo che Rufy c’era anche uscito un paio di volte
con quel tipo, in
più non era stupido e conosceva bene suo fratello; Ace,
invece, nonostante
fosse altrettanto al corrente della situazione, non riusciva a capire
come si
potesse concepire qualcosa di più divertente che starsene
tutti e tre
ammucchiati sul letto a due piazze di Sabo a sparare contro pixel su
uno
schermo, soprattutto dopo una giornata passata fuori casa. Sabo aveva
evitato
di ricordargli che aveva fatto lo stesso mentre ancora lui e Marco
stavano solo
“vedendo come andava”.
In
ogni caso, per tutta una serie di ragioni più o meno
logiche, Ace
e Sabo avevano deciso di chiedere spiegazioni al diretto interessato
quella
sera stessa. E fu per questo che, dopo una abbondante cena che Rufy
aveva
spazzolato come se non vedesse cibo da giorni, entrambi misero
l’espressione
più innocente di cui erano capaci, finendo per dare il via
ad uno strano
scenario che faceva molto “poliziotto buono, poliziotto
cattivo”.
Rufy
li fissò per qualche secondo, con lo sguardo confuso di chi
non è del tutto sicuro di cosa stia accadendo, appoggiato
com’era sul tavolo
della cucina.
Sabo
gli sorrise mellifluo, gli occhi azzurri che adocchiavano il
telefono già pronto nelle mani del fratello, ben
intenzionato a non
lasciarglielo usare, ma consapevole che le possibilità di
successo fossero ben
poche.
«Rufy!»
esclamò, forse con un po’ troppa enfasi.
L’altro si aprì un
sorriso, prima che anche Ace si decidesse a parlare. «Adesso
che hai mangiato e
recuperato le forze, che ne dici di raccontarci un po’ della
tua giornata, fratellino?
La scuola? La palestra?»
Sapevano
entrambi benissimo di quanto sembrasse finta quella
conversazione, perché l’interessamento di Ace
nella vita scolastica di Rufy era
praticamente inesistente; di contro, nutriva un interesse genuino per
la sua
vita atletica, mentre era Sabo a tenere d’occhio il fratello
minore e a fare in
modo che studiasse e non si distraesse tutto il tempo.
Rufy
sorrise, luminoso come sempre, con gli occhi socchiusi.
«Bene.
A scuola non è successo niente di che e in palestra ci siamo
esercitati su un
nuovo calcio fichissimo!» Scattò in piedi nel
tentativo di illustrare la mossa
al meglio, ma venne bloccato dalla mano di Sabo che si posò
sulla sua spalla.
«Allora
ti va di finire quella missione di GTA insieme?» gli
propose.
Ace
ghignò. «Non vorrai bidonarci di nuovo?»
Il suo sguardo
tagliente non prometteva nulla di buono, ma Rufy non colse
l’avvertimento,
ingenuo come sempre, e fece un sorrisetto colpevole.
«Law
mi ha detto che chiama dopo il tirocinio. Vogliamo andare di
nuovo al cinema uno di questi giorni, a vedere quel nuovo film horror
che è
uscito la settimana scorsa. Avevo chiesto a Usopp e Chopper di venire,
ma sono
dei fifoni e hanno detto di no. – sghignazzò
– Se è bello torno a vederlo con voi,
vi va?» La punta di senso di colpa era stata sostituita
dall’eccitazione
all’idea di vedere quel film, nonostante il genere horror non
fosse tra i suoi
preferiti; Sabo evitò di chiedersi da cos’altro
potesse derivare tutta quella
trepidazione.
Se
aveva tirato un sospiro di sollievo la prima volta, nel sentire
che almeno suo fratello e quel tipo non sarebbero stati da soli, e se
la
seconda aveva chiuso un occhio, visto che Rufy gli aveva detto che
andavano
solo a fare una passeggiata, questa volta invece il suo sangue si fece
gelido
nelle vene. I cinema erano bui, quasi intimi, e Sabo non era tanto
ingenuo da
non sapere cosa facessero le coppiette durante i film. Non
rifletté neanche sul
fatto che Rufy aveva nominato un horror, e quindi era improbabile che
potessero
sbaciucchiarsi con quel genere di tensione. Tuttavia, non gli
sfuggì la smorfia
che storse il viso di Ace, ed era sicuro che lo stesso pensiero avesse
attraversato anche la sua mente, prima che il ragazzo sgranasse gli
occhi ed
esclamasse, sorprendendolo. «Tirocinio?!»
In
mezzo alle sopracciglia di Ace si formarono due rughe e la sua
bocca prese la forma di una piccola “o”, mentre
tirava uno scappellotto sulla
nuca del fratello minore. «Si può sapere quanti
anni ha questo tizio, Rufy?»
continuò, anche se non aveva molto diritto di giudicare
proprio la differenza
d’età, considerato tutto; in effetti Sabo non
ricordava di aver reagito tanto
male quando un diciassettenne Ace gli aveva detto di stare con un uomo
più
grande di dieci anni, ma forse in quel caso si era trattato del delirio
di
onnipotenza adolescenziale, e poi doveva ammettere che a distanza di
quattro
anni, la loro relazione andava ancora a gonfie vele. In quel momento,
però, si
stava parlando del suo fratellino minore.
Rufy
protestò ad alta voce a quel gesto, mentre si massaggiava il
punto in cui l’aveva colpito, poi ammutolì e parve
riflettere sulla domanda che
gli era stata posta. Alzò tutte e dieci le dita delle mani,
abbassandone sette,
una dopo l’altra. «Io ne ho diciotto e lui ne ha
venticinque, quindi sono…» La
voce di Rufy si spezzò quando il ragazzo notò
Sabo strozzarsi con la sua stessa
saliva e rischiare di perdere quella calma controllata che lo
distingueva; non
c’era bisogno di essere un genio in matematica per capire che
lì ci fosse
qualche problema. Sabo si girò di scatto a cercare lo
sguardo di Ace, la cui
bocca era di nuovo aperta, come un pesce abbastanza comico; alla fine
decise di
prendere in mano la situazione, visto che l’altro pareva non
aver intenzione di
riprendersi da quella notizia.
Si
passò una mano sulla fronte, scostando una ciocca bionda
ribelle
dai propri occhi e si sforzò di non far trasparire la
confusione che albergava
nella sua mente. «Non ti sembra che sia un po’
troppo grande?» Fu un commento
camuffato dalla voce diplomatica che lo caratterizzava, ma che aveva lo
scopo
di far riflettere Rufy.
L’interessato
sporse le labbra in fuori, sembrò pensare a lungo, ma
prima che potesse anche solo provare a rispondere, la voce bassa ed
ancora
parecchio incredula di Ace risuonò nella piccola cucina.
«Sì, scemotto, non mi
pare che tu sia un esperto di relazioni.» Socchiuse gli occhi
con aria di
superiorità, ed in effetti poteva permetterselo, visto che
lui e Marco erano
fidanzati dall’alba dei tempi ed erano stati eletti
“coppia d’oro” del loro
gruppo. Se anche Rufy avesse trovato qualcuno, Sabo avrebbe finito per
sentirsi
messo da parte…
Rufy
si imbronciò ancora di più. «Scemo
sarai tu! E mica siamo
fidanzati!» replicò, sottraendosi alle grinfie del
fratello che aveva preso a
dargli pizzicotti sul fianco.
Sabo
scoccò un’occhiataccia ad Ace e questi
incrociò le braccia sbuffando
offeso, poi si rivolse di nuovo al minore. «Non siamo stupidi
sai? È la prima
volta che ti vediamo così.»
Ace
fece schioccare la lingua. «Come faccia a piacerti un tipo
con
la faccia perennemente disgustata, questo ancora non lo capisco,
Rufy.» Scosse
la testa in segno di disapprovazione. Ed era un po’ ridicolo,
a pensarci,
perché Sabo continuava a vedere la faccia inespressiva di
Marco davanti ai
propri occhi. Ace sapeva essere davvero ipocrita, quando voleva.
Rufy
lo fissò, confuso. «È carino con
me… e poi ad essere sincero
la sua faccia non mi interessa molto. Potrebbe anche avere tre occhi e
due
nasi, non cambierei idea.»
Sabo
era quasi stupito di ciò che aveva detto Rufy, mentre una
certa ipotesi cominciava a farsi strada nella sua mente, ma non
arrivò a darle
voce perché Ace ormai continuava a briglia sciolta.
«Ma poi hai visto i suoi
capelli? Potrebbe pettinarli una volta tanto! E invece no! Assomigliano
a un
nido abbandonato…»
Sabo
avrebbe voluto ricordargli che il suo, di ragazzo, aveva un
ananas sulla testa, ma preferì rimanere in silenzio e
sorbirsi il suo monologo
di non-apprezzamento verso Law. Si mise una mano sulle labbra a celare
il
sorrisetto che le increspava: certo che Ace aveva proprio da ridire su
tutto,
perfino sul modo in cui il ragazzo si era annodato la sciarpa
l’unica volta che
l’aveva visto. Era assurdo che ricordasse quel tipo di
particolari, anche se
conoscendolo, era più probabile che se li fosse inventati
sul momento.
Quando
finalmente Ace sputò la sua ultima critica, Sabo si
sentì
nuovamente chiamato in causa. Prese un profondo respiro, voltandosi a
fronteggiare Rufy che aveva messo su una strana espressione
inquietante;
sembrava pronto a ribattere su ogni singola parola detta dal fratello
maggiore,
ma Sabo non gli diede quella possibilità.
«Rufy,
noi non vogliamo dirti come vivere la tua vita…»
«Ah,
no?»
«Sta’
zitto, Ace!» gridò, per poi riprendere con voce
bassa e
serena, rivolto al fratellino. «Ma siamo preoccupati per te.
Dopotutto è la
prima volta che qualcuno ti interessa così tanto. Siamo
solo… stupiti, ecco. È
molto più grande e molto diverso da te.»
Rufy
scoppiò a ridere. «Non mi pare, solo
perché non gli piacciono i
videogiochi e preferisce guardare documentari non significa che siamo
“molto
diversi”.»
Ace
alzò un sopracciglio. «Ma se non l’ho
mai visto ridere neanche
mezza volta, mentre tu hai sempre quel sorriso da beota stampato in
faccia.»
«È
anche vero che l’hai visto una sola volta.» Sabo si
era portato
una mano dietro la nuca e la sua considerazione venne bellamente
ignorata,
mentre Ace si passava una mano tra i capelli scuri, in un gesto di
stizza forse
un po’ troppo drammatico. «E quella volta non ci ha
neanche salutato prima di
andarsene. Non ci ha degnato di uno sguardo.»
puntualizzò.
«Non
ha degnato noi di uno sguardo, ma Rufy è
stato degnato
anche troppo.» Alzò un angolo della bocca, in un
sorrisetto complice.
Rufy
ghignò allo sguardo indirizzatogli dal fratello, sotto gli
occhi sconcertati di Ace. «E poi a me sorride.»
commentò, come se fosse una
cosa da niente.
A
quell’ultima affermazione, né Sabo né
Ace sapevano come
rispondere.
Sabo
alzò le mani in segno di resa. Se Rufy non voleva accettare
la
realtà, ossia di essersi preso una bella cotta per quel
fantomatico Law, allora
non poteva farci niente. Che poi la cotta fosse con tutta
probabilità
ricambiata, quello lo tenne per sé, perché non
riusciva a capire come fosse
possibile che un venticinquenne volesse realmente passare del tempo con
suo
fratello. Non che Rufy fosse una persona sgradevole, ma sapeva essere
davvero
molto immaturo alle volte, e pesante. Sabo era solo preoccupato che
quel tipo
potesse stancarsi di lui, ad un certo punto, e non era pronto a vedere
Rufy con
il cuore spezzato. Però, se c’era una cosa che
aveva capito nella sua vita, era
che bisognava lasciare che il tempo facesse la sua parte, e soprattutto
doveva
permettere agli altri di fare degli errori.
Così,
sorrise al suo fratellino e gli scompigliò i capelli,
notando
come lo sguardo di Ace si fosse rasserenato: probabilmente anche lui
aveva
pensato le stesse cose.
Si
scambiarono un’occhiata rassegnata, mentre la mano di Ace si
aggiungeva alla sua e stropicciava il volto di Rufy. «E chi
se lo aspettava che
uno scemo come te potesse far colpo!»
Rufy
gli afferrò i polsi, tentando di allontanarlo da
sé. «Io non
ho picchiato proprio nessuno!»
Sabo
roteò gli occhi, con uno sbuffo divertito. Sarebbe stata
davvero una bella avventura.
*
3 marzo 2015,
Martedì
Da Torao:
Sei sveglio?
[22:54]
A Torao:
Sto morendo di
sonno [22:57]
Da Torao:
Allora ci
sentiamo domani [22:58]
A Torao:
No no no [22:58]
Spara [22:58]
Da Torao:
Domani posso
passare a prenderti direttamente dalla palestra [23:01]
A Torao:
Per il film?
[23:03]
Da Torao:
No per andare a
vedere un balletto a teatro [23:05]
A Torao:
Davvero? [23:06]
E il cinema?
[23:06]
Hai pure scelto
tu il film! [23:07]
Da Torao:
…
[23:07]
Fai sul serio?
[23:08]
A Torao:
?? [23:08]
Da Torao:
Stavo
scherzando. Parlo del cinema [23:10]
A Torao:
Allora ok. E la
cena? [23:11]
Da Torao:
Possiamo cenare
insieme da qualche parte [23:25]
A Torao:
IO VOGLIO LA
CARNE [23:26]
Da Torao:
Non
l’avrei mai detto [23:27]
A Torao:
Voglio gli
hamburger [23:28]
Da Torao:
Vedremo [23:30]
A Torao:
Toraooo [23:31]
Da Torao:
Cosa vuoi
ancora? [23:31]
A Torao:
Devo chiederlo a
Sabo ed Ace [23:32]
Da Torao:
E cosa
c’entro io? [23:40]
A Torao:
Niente [23:42]
Te lo volevo
solo dire [23:42]
Perché
non gli stai tanto simpatico [23:43]
Da Torao:
Ma davvero?
[23:43]
Come mai? [23:43]
A Torao:
Credo siano
gelosi [23:44]
Perché
non gioco più con loro dopo cena [23:44]
Da Torao:
Mi sento quasi
in colpa [23:45]
A Torao:
Davvero? [23:46]
Da Torao:
No [23:46]
A Torao:
Prima o poi li
devi conoscere [23:47]
Da Torao:
Il
più tardi possibile, spero [23:50]
A Torao:
Sono divertenti
[23:51]
Da Torao:
Non ne dubito
[23:52]
A Torao:
A volte non
capisco se sei serio o no [23:53]
Da Torao:
Si chiama
sarcasmo, è proprio questo il punto [23:54]
A Torao:
Bah, sei proprio
un tipo strano [23:55]
Da Torao:
Sarà
[23:55]
Ma tu non stavi
morendo di sonno? [23:55]
A Torao:
Sì
[23:56]
Infatti sono a
letto [23:56]
Da Torao:
Vedi di dormire,
altrimenti domani ti addormenti durante il film e
io non voglio la tua bava sulla giacca [23:57]
A Torao:
Noioso [23:57]
Va bene,
buonanotte [23:57]
Aspetta [23:58]
Come fai a
sapere che sbavo? [23:58]
È
STATO USOPP VERO??? [23:58]
Da Torao:
Usopp
è innocente. Me l’hai appena confermato tu [23:59]
E adesso dormi,
peste [23:59]
A Torao:
Che palle che
sei [00:00]
Domani ti faccio
vedere io [00:00]
Da Torao:
Non vedo
l’ora [00:01]
*
4 marzo 2015,
Mercoledì
Era
la terza volta che a Law capitava di provare una cosa del
genere, mentre guardava Rufy con le labbra stirate in un sorriso, che
scrutava
le chiavi sotto la luce un po’ aranciata del portico.
C’era una temperatura
tiepida, nonostante fosse solo inizio marzo; il clima
quell’anno era stato più
mite rispetto agli altri, con grande gioia di Law che il freddo proprio
non lo
poteva soffrire.
Sentiva
un piacevole venticello fresco accarezzargli il volto,
scompigliandogli i capelli. Si appoggiò allo stipite della
veranda, un
sorrisetto accennato sul viso, le braccia incrociate ed
un’irrefrenabile voglia
di togliere il mazzo di mano a Rufy e spingerlo contro il legno scuro
della
porta principale.
Era
la terza volta, ne era sicuro, perché le volte prima aveva
già
dovuto imporsi contegno. La prima quella sera, non sapeva bene se
mentre
cenavano e Rufy si era sporcato il naso di maionese, o al cinema, con
le luci
spente e quelle dannate scene d’amore (stavano guardando un
horror, quindi non
riusciva a spiegarsele). Poi in macchina mentre Rufy gli parlava delle
cose che
succedevano nelle sua vita; gli aveva detto di non poterne
più delle superiori,
anche se in realtà era il suo ultimo anno, di Sabo che gli
faceva simulare i
test universitari per prepararlo meglio e lui li odiava, nonostante Ace
gli
mandasse pane e cioccolato di nascosto. Gli aveva anche parlato dei
suoi
progressi a kick-boxing e gli aveva chiesto di andare ad assistere ai
suoi
allenamenti, qualche volta.
Law
non era tanto sicuro che ci sarebbe andato; prima di tutto
perché era probabile che coincidessero con il suo tirocinio
settimanale, ma
soprattutto perché non sapeva cosa avrebbe potuto creare la
sua testa alla
vista di Rufy in tuta e nel suo elemento. Già era abbastanza
dover contrastare
l’effetto che gli faceva di solito, proprio come in quel
momento.
Anche
se c’era calma e silenzio, Law riusciva perfettamente a
percepire quella strana tensione che impregnava l’atmosfera,
rendendola
vibrante di aspettative. Ed era già successo, succedeva
sempre.
Rufy
non riusciva mai a ricordarsi quali fossero le chiavi che gli
servivano, i suoi movimenti di ricerca, però, erano lenti ed
esasperanti… troppo
lenti ed esasperanti, tanto che Law aveva cominciato a chiedersi se non
lo
facesse di proposito.
Poi
gli bastò lanciare un’occhiata per capire. Rufy
stava solo
facendo tintinnare le chiavi con le dita, non aveva neanche provato a
cercare
quella che apriva il portoncino di casa, e Law cominciava a pensare che
sapesse
benissimo quale fosse. Quella piccola peste lo stava facendo
assolutamente di
proposito, se gli occhi castani che guizzavano su di lui potevano
considerarsi
una prova bastevole. Mise su un ghigno e si mosse piano verso Rufy, che
sembrava aver infine abbandonato la propria ricerca; se ne stava
appoggiato di
schiena contro la porta e lo fissava con un ghigno gemello sul viso.
«Vedo
che hai trovato le chiavi.» Alzò un dito verso il
mazzo
finalmente appeso alla serratura.
Rufy
fece le spallucce e annuì.
«E
perché non sei ancora entrato?» chiese ancora. Di
nuovo
spallucce, ma quella volta Rufy parlò.
«Perché devo salutarti.» Il suo sguardo
si illuminò di una luce furba e Law fu ad un passo dal
mandare all’aria i suoi
buoni propositi di andarci piano con quel ragazzino che, a conti fatti,
aveva
solo diciotto anni.
«Adesso
l’hai fatto.» gli fece notare e Rufy non smise un
attimo di
guardarlo.
«Ti
voglio salutare bene, Torao.» La gola di Law divenne il
deserto
del Sahara e lui deglutì, nel tentativo di portare un
po’ di idratazione, non
sapeva neanche se per l’aspettativa o il fatto che
quell’espressione risoluta
sul volto di Rufy gli stava davvero facendo venir voglia di spingerlo
proprio
contro quella dannatissima porta molto più delle altre
volte; la cosa di cui
era certo era che, se Rufy era ancora lì fuori, allora anche
lui stava
aspettando qualcosa.
Non
gli venivano altre battutine sarcastiche, o meglio, certo che
gliene venivano, semplicemente non gli andava di dirle ad alta voce.
Quindi per
una volta decise di starsene zitto ed aspettare che la situazione
evolvesse in
qualche modo.
Rufy
gli sorrise. «Tu non vuoi salutarmi bene?»
Law
provò un’inspiegabile sensazione di calore allo
stomaco.
Dannazione a quel ragazzino.
Si
sporse in avanti, poggiandogli piano una mano sul petto, sopra
la giacca e lo tirò piano verso di sé, mentre la
sua schiena andava ad
appoggiarsi alla porta. «Salutare così va
bene?»
Rufy
si era tirato un po’ su sulle punte dei piedi, mentre Law
aveva dovuto piegarsi in avanti; le loro fronti quasi si toccavano e
Law poteva
sentire il respiro tiepido di Rufy sulle guance. Osservò per
un attimo quelle
iridi scure e calde, rese più chiare dalla luce della
veranda, stupendosi del
fatto che le ciglia di Rufy fossero molto più lunghe ed
arcuate di quanto si
fosse immaginato, ma d’altra parte non le aveva mai viste
tanto da vicino. Fu
quasi automatico chiudere la distanza tra loro, senza smettere di
guardarlo.
Dapprima fu un semplice contatto, labbra chiuse contro labbra chiuse,
in una
vicinanza tanto inaspettata quanto desiderata, che prese entrambi alla
sprovvista; Law non si sentiva di prendere in giro Rufy
perché era arrossito,
era sicuro che le proprie guance fossero altrettanto colorate, e quella
volta
non poteva dare la colpa al freddo.
Poi,
Law sentì l’inconfondibile sensazione di dita che
si andavano
a stringere ai suoi capelli, in un tocco un po’ invasivo ed
energico e che
tuttavia non gli fece venire voglia di scattare indietro, come avrebbe
fatto se
la persona di fronte a lui non fosse stata Rufy. A lui poteva dare quel
permesso. La bocca di Rufy si stirò in sorriso e Law
sentì il suo fiato uscire
tra le labbra in una piccola risatina sibilata. «Hai i
capelli morbidissimi,
Torao, mi piacciono!»
Non
perse neanche tempo per alzare gli occhi al cielo, occupato
com’era a lasciar scivolare la lingua contro quella
dell’altro, in un tentativo
di zittirlo. Gli avrebbe anche detto che gli piaceva il suo modo di
sorridere,
se non fosse stato così poco da lui, così decise
di posare una mano sul suo
fianco e stringere. Un’altra risata, più sospirata
quella volta, prima che Rufy
utilizzasse le proprie mani per spingerlo verso di sé.
E
– dannazione a lui, per davvero – Law non riusciva
più a
staccarsi. Era come se il suo intero essere, e non solo i suoi capelli,
fosse
ormai nelle mani di Rufy, completamente alla sua mercé. In
quel momento
realizzò che, se mai quel bacio potesse considerarsi come
l’inizio di una
relazione, avrebbe accettato molti più compromessi di quanto
volesse ammettere.
La
sua mano si era lentamente spostata sulla schiena di Rufy, e il
suo pollice aveva preso a disegnare dei piccoli cerchi attraverso la
giacca del
ragazzo, mentre le dita di Rufy continuavano ad accarezzargli il cuoio
capelluto; lasciò andare un sospiro, rassegnato al fatto che
probabilmente non
ne avrebbe mai avuto abbastanza di tutto quello, anche se da qualche
parte
nella sua testa aleggiava ancora la consapevolezza che era
già tardi, che Rufy
il giorno dopo doveva andare a scuola e lui doveva ancora tornare a
casa, senza
contare il fatto che i fratelli del ragazzo erano in casa e lo stavano
aspettando. Era strano che non avessero sentito il rumore delle chiavi,
né del
loro chiacchiericcio, né che non fossero appostati alle
finestre ad attendere
il ritorno del fratello prodigo, a dirla tutta.
Non
aveva neanche finito di formulare quel pensiero, pregustando
già il momento in cui sarebbe passato e avrebbe potuto
riprendere a baciare
Rufy come si deve, che la serratura della porta scattò con
un suono metallico e
piuttosto rumoroso.
«Buonasera.»
La voce bassa di uno dei due risuonò nell’aria
tiepida, tagliente come la lama di un rasoio.
L’intera
figura di Law si irrigidì si colpo e scattò
all’indietro,
senza però togliere la mano dalla schiena di Rufy. Stringeva
la stoffa di
quella giacca con forza, non perché fosse spaventato, ma
perché fosse stato per
lui avrebbe volentieri piazzato un pugno sul bel nasino
all’insù di quel
damerino biondo. Era stato un bel momento fino a quando
quell’altro non aveva
deciso di rovinarlo.
Rufy
invece non si scompose. Sorrise a trentadue denti e passò
anche lui un braccio intorno al busto di Law. «Ciao
Sabo.» esclamò.
Dietro
il biondino fece capolino una testa scura, visibilmente più
assonnata. «Rufy! Ti pare orario di tornare a casa?»
Law
sentì il corpo di Rufy vibrare piano accanto a
sé, in una risata
celata. «Siamo arrivati prima, però non trovavo le
chiavi, e poi ci siamo
baciati.»
Law
sgranò gli occhi e il suo sguardo saettò da Rufy
a Sabo e vice
versa. Il moro, Ace, sembrava non essere nel pieno delle proprie
facoltà
mentali, ma l’occhiata assassina che gli rivolse fu comunque
terribile. Sabo
accennò un sorrisetto tirato, come se si stesse trattenendo
dal fare qualcosa
di cui si sarebbe pentito. «Non me ne ero proprio
accorto.» sputò tra i denti.
«Davvero?»
chiese Rufy, un piccola ruga in mezzo alle sopracciglia
a svelare la sua confusione. Law ne era quasi intenerito, e forse
avrebbe anche
voluto portare le dita sul suo mento e voltarlo verso di sé
per strappargli un
altro bacio… peccato che le due mamme chiocce avessero
deciso che la sua serata
non si sarebbe conclusa con uno sbaciucchiamento in stile film.
Sabo
sorrise, un sorriso finto e davvero poco convincente. «Certo
che me ne sono accorto, Rufy. Non c’era bisogno che me lo
ricordassi.» sibilò.
«Ti
conviene sbrigarti ad entrare ed andare a letto, domani la
sveglia è alle sette, lo sai.» aggiunse Ace.
Rufy
roteò gli occhi. «Che palle.» e, con
grande disappunto di Law,
il leggero peso sui suoi fianchi sparì, come anche il calore
del corpo di Rufy
accanto al proprio, mentre il ragazzo si dirigeva piano verso casa. Poi
però
parve ripensarci, facendo dietro-front come il migliore dei soldati, e
piazzandogli una mano sulla nuca per spingerlo contro di sé
e far combaciare le
loro labbra in un bacio a stampo che si interruppe con uno schiocco
sonoro e
umido. «Buonanotte, Torao!»
Law
rimase fermo sul posto, osservando la testa di Rufy che si
allontanava e spariva dietro Ace, accompagnata da un lieve
scappellotto; quando
riuscì finalmente a processare che Rufy l’aveva
appena baciato di fronte ad entrambi
i suoi fratelli, per poi lasciarlo solo con suddetti fratelli che non
avevano
smesso un attimo di riservagli occhiate diffidenti e a tratti
assassine. Ah, se
gli sguardi potessero uccidere, Law era sicuro che si sarebbe trovato
stecchito
a terra il momento in cui Sabo aveva aperto la porta.
Si
infilò le mani nelle tasche, sentendole d’un
tratto fredde, e
anche per evitare di torturarsele e mostrare il suo vero stato
d’animo;
l’ultima cosa che gli serviva era che quei due credessero che
fosse spaventato
di loro. Non che lo fosse, ma era abbastanza intelligente da capire che
quella
situazione era anche troppo aggrovigliata e che avrebbe dovuto
districarsene da
solo.
«Torao?»
chiese quindi Sabo, una volta sicuro che Rufy non potesse
sentirli.
Law
prese un profondo sospiro, maledicendo quel ragazzino e lo
stupido soprannome che gli aveva dato. Le sue labbra divennero una
linea
sottile e dritta, in un’espressione di fastidio: si era
abituato al fatto che
fosse Rufy ad usarlo, e non gli piaceva sentirlo pronunciare da una
voce
differente.
«Trafalgar
D. Water Law.» corresse.
«Bene,
Trafalgar Waterloo – o
come diavolo ti chiami
– che intenzioni hai?» Era stato Ace a parlare;
teneva il braccio appoggiato
alla spalla del fratello e aveva lo sguardo di chi è stato
buttato giù dal
letto contro la sua volontà.
Sabo
gli diede una breve occhiata per poi tornare con gli occhi su
Law. Per quanto detestasse ammetterlo, Law doveva riconoscere che le
iridi
cerulee del biondino era davvero incredibili: la sinistra era
più chiara
dell’altra e l’effetto era senza dubbio suggestivo.
Certo, le sfumature scure e
più dorate negli occhi di Rufy gli facevano tutto un altro
effetto, ma si
doveva a Cesare quel che era di Cesare, giusto?
Tutto
quello, però, non importava, perché quelle stesse
iridi
azzurre lo stavano scrutando con astio e sospetto.
«Che
intenzioni ho per cosa?» li provocò. Non ci voleva
un genio
per capire la vera domanda di Ace, ma potesse andare
all’inferno se
gliel’avesse resa così facile.
Sabo
sbuffò.
«Non mi sembri una persona stupida, almeno non fino a questo
punto, sai
benissimo di cosa stiamo parlando.»
«Lo
so?» chiese
di nuovo, con un ghigno insolente che gli si dipingeva sul viso. Sapeva
che non
era il modo giusto di ingraziarseli, ma non gli andava di abbassare la
testa e
sentirsi dire cose che aveva già ben ponderato da solo.
«Con
Rufy,
idiota.» tagliò corto Ace, con voce secca. Law
decise di sorvolare
sull’insulto, dopotutto se l’era cercata e il
ragazzo continuava a sopprimere
sbadigli; la sua dedizione nei confronti del fratello minore era
elogiabile, ma
d’altra parte, Law avrebbe fatto lo stesso con Lamy. Se
avesse trovato sua
sorella a sbaciucchiare un quasi sconosciuto sul portico di casa, il
malcapitato avrebbe passato davvero una mezz’ora poco
piacevole. Peccato che in
quel caso il malcapitato fosse lui stesso.
«Che
intenzioni
dovrei avere?»
Sabo
alzò di
nuovo il sopracciglio. «Non lo sappiamo, per questo te lo
stiamo chiedendo…
anche se potremmo provare ad indovinare.» Il suo sorriso era
talmente zuccherino
che Law sentì la propria glicemia schizzare alle stelle solo
guardandolo.
Roteò
gli
occhi. «Non ho alcuna intenzione. Ci siamo solo baciati, due
volte, e le avete
viste entrambe.» Al ricordo di quei baci si
inumidì velocemente le labbra,
constatando che sì, anche se lieve, il sapore di Rufy
c’era ancora. Non sapeva
bene come sentirsi a riguardo.
«Hai
sette anni
più di lui. Come facciamo a sapere che non vorrai anche
altro?» Ace aveva
appena posto la domanda che Law temeva di più. Non
perché credeva che l’età, in
quello specifico caso, fosse un problema, piuttosto perché
era ciò che lo
tormentava da quando lui e Rufy avevano iniziato a frequentarsi
Rufy,
a volte,
gli sembrava davvero troppo ingenuo. E non si riferiva solo al modo
semplice
che aveva di esprimere i propri stati d’animo, fluttuando
dall’uno all’altro
con una velocità al limite del patologico; a volte, Rufy
sembrava non rendersi
conto di come alcuni suoi gesti, alcune parole, riuscissero a deviare
la mente
di Law su sentieri che era meglio rimanessero inesplorati. Almeno per
il
momento.
Law
ricordava
ancora con imbarazzo quella volta in cui Rufy, attraverso lo scollo
della
maglietta, aveva scorto un pezzo del tatuaggio che aveva sul petto e
aveva
tentato di convincerlo a toglierla per farglielo vedere.
Poi
però, lo
stesso individuo aveva orchestrato il trucchetto delle chiavi e gli
aveva
afferrato la nuca con foga per baciarlo davanti ai suoi fratelli
iperprotettivi, appena dopo essere stati beccati dagli stessi fratelli
a
baciarsi in maniera un po’ più approfondita.
Lo
confondeva,
e non era una cosa negativa, ma Law aveva bisogno di più
certezze per poter
decidere le cose, e quel comportamento non gli facilitava il compito.
Fino ad
allora, quindi, aveva deciso che avrebbe proseguito un piccolo passo
alla
volta, senza lasciarsi superare da Rufy e non superandolo a sua volta.
Doveva
essere un itinerario alla stessa velocità.
Però,
non
capiva come la cosa potesse interessare Ace e Sabo. L’unica
giustificazione
valida era che non volessero vedere Rufy finire “sedotto ed
abbandonato”, anche
se Law era abbastanza sicuro di essere lui quello sedotto, indi per cui
parte
lesa in tutta quella vicenda.
Spostò
il peso
da una gamba all’altra. «L’ultima volta
che ho controllato, Rufy aveva diciotto
anni. È perfettamente in grado di capire cosa vuole e cosa
no.»
Vide
il volto
di Sabo cambiare: la sua espressione ostile si fece stupita, poi si
rasserenò.
Sembrava ancora sospettoso, ma quella luce omicida che aveva negli
occhi aveva
lasciato il posto ad un brillio più curioso.
«Quindi possiamo stare sicuri che
non ti verrà mai in mente di spingerlo a fare qualcosa che
non vuole?»
«Lo
conoscete
meglio di me, sapete che non fa mai quello che non vuole. E di sicuro a
me non
interessa pregarlo.» Le parole uscirono con stizza, come se
la sola
insinuazione l’avesse disgustato. Ed era così, in
effetti. Se poteva capire la
preoccupazione dei due ragazzi, non poteva però accettare
che potessero pensare
certe cose di lui.
A
quella
risposta, sia Sabo che Ace parvero capire di aver oltrepassato una
linea troppo
sensibile, di aver formulato un’accusa pesante, sebbene
velata e mitigata da un
futuro in cui era esclusa.
I
due fratelli
si scambiarono uno sguardo, sospirando all’unisono.
«E
va bene.»
esordì Ace. «Non mi stai tanto simpatico, e
potresti pettinarti i capelli, ma
conosco mio fratello e se gli piaci così tanto da baciarti,
allora credo che ti
avremmo intorno per ancora parecchio tempo.»
Sabo
lo seguì a
ruota. «Già. E se dobbiamo convivere in qualche
modo, è meglio farlo con
serenità. Basta che non vi scambiate smancerie sul divano di
casa – scoccò
un’occhiata furente ad Ace –, Rufy ha la sua stanza
per un motivo.»
Ace
ghignò, un
po’ stonato dal sonno. «Non erano solo smancerie,
quelle mie e di Marco, ti
ricordo che avevo in mano il suo…»
Sabo
gli
pizzicò un braccio, strappandogli un mugugno offeso.
«Sto ancora cercando di
dimenticare e non mi interessano i particolari, grazie mille.»
Law
aveva
assistito al battibecco, perplesso e sconcertato. Non aveva idea di chi
fosse quel
famoso Marco, ma non voleva neanche provare ad immaginare la scena, e
si
ritrovò a simpatizzare per Sabo in quel momento.
«Per
quanto mi
piacerebbe continuare questa conversazione, domani devo presentarmi a
lezione e
vorrei arrivarci nel pieno delle mie facoltà
mentali.» La sua voce era atona,
senza alcuna inflessione, nel tentativo di mascherare il fatto che non
aveva
assolutamente voglia di continuare a stare lì, e soprattutto
a stare con quei
due. Non che loro non lo sapessero, comunque.
Ace
tirò un
sospiro di sollievo. «Bene, allora me ne torno a letto, ci si
vede Waterloo.»
Sbadigliò vistosamente, rintanandosi dentro casa e
lasciandolo solo con Sabo.
Il
biondino
sorrise di nuovo, ma quella volta non sembrava uno dei soliti
sorrisetti falsi.
«Ace non sa cosa sia la comune decenza.»
commentò, e a Law non sfuggì la
sfumatura affettuosa nella sua voce. «Tu e Rufy avete
intenzione di vedervi
domani?» gli chiese dopo.
Si
strinse
nelle spalle. «Se gli va, sì.» Non
sapeva ancora come Rufy avrebbe reagito a quella
nuova situazione; poteva sperare solo che fosse una reazione positiva,
considerato che l’aveva anche baciato, ma appunto, Law non
avrebbe mai dato per
scontato niente quando si trattava di lui.
Sabo
annuì,
pensieroso. «Gli andrà.»
Law
avrebbe
voluto dire “Lo spero”, ma rimase in silenzio per
qualche secondo, prima di
togliere una mano dalla tasca e alzarla in un cenno di saluto.
«Buon
proseguimento, allora.»
Il
ragazzo
ricambiò quel cenno e gli lanciò
un’ultima occhiata prima di richiudersi la
porta alle spalle.
Solo
allora Law
si ritrovò a tirare un sospiro sollevato, dopo tutta quella
tensione che aveva
inavvertitamente accumulato sulle spalle. Si diresse a passi lunghi
verso la
macchina, ancora un po’ frastornato. Era stranamente
contento, e non solo per
l’essersi tirato fuori da quel terzo grado senza aver messo
in allarme i
fratelli. Si sentiva abbastanza patetico a pensarlo, ma era convinto
che fosse
per la maggior parte merito di Rufy e del modo che aveva di fare e dire
le
cose. Era imprevedibile, vero, era un peste insopportabile, vero anche
quello,
ma per lo meno sembrava agire sempre in sintonia con ciò che
pensava, pareva
privo di qualunque forma di pregiudizio e a Law piaceva. E di sicuro il
fatto
che avesse anche un bel faccino e due occhi grandi e luminosi giocava a
suo
favore.
Entrò
nell’abitacolo e inserì la chiave, ma poco prima
di mettere in moto, un
pensiero molto casuale gli passò per la testa, e Law si
ritrovò con il
cellulare tra le mani e la chat di Rufy aperta con l’ultimo
selfie stupido che
il ragazzo gli aveva mandato quel pomeriggio. Mosse piano le dita sulla
tastiera, incapace di credere a quello che stava facendo.
Perché Trafalgar Law
non mandava la buonanotte a nessuno e di sicuro non ad un moccioso col
sorriso
facile. Però, Trafalgar Law non li baciava nemmeno i
mocciosi col sorriso
facile. Peccato che lui l’avesse appena fatto e che la sua
reputazione non
fosse più tanto credibile.
Mandò
quel
messaggio.
La
riposta
arrivò la mattina dopo, alle 7:03. “Ti devo
baciare due volte adesso, Torao.
Buonanotte e buongiorno.”
Law
sperava
davvero in più di due volte.
_____
Note moleste
finali:
Salve
gente!
Chi non muore si rivede, eh?
Non
so dove sia
finito il fandom italiano della Lawlu in questi anni, ma il mio amore
per loro
ha ricominciato a bruciare forte, ad ennesima riprova che, anche dopo
anni, continuo
a tornare alle sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque. Mi
sono
ricordata che avevo voglia di scrivere un prequel alla prima
Manipolazioni da
un bel po’ di tempo :’) perché quella
storia me la porto nel cuore.
Mi
sono
divertita tantissimo a scriverlo, perché la testa di
Trafalgar
Law è il mio posto preferito, potrei scrivere dal suo pov
per il resto della
mia vita e ne sarei contenta lol
Però
ci tengo a
precisare che il modo in cui Sabo e Ace chiamano Law (Waterloo) non
è farina
del mio sacco, ma di quello della persona a cui è dedicata
la storia, e mia
beta reader, _Lady
di inchiostro_, e se vi piace la Lawlu vi consiglio vivamente
di andare a dare un’occhiata alle sue storie,
perché sono bellissime <3
Detto
ciò, non
credo che ci sia nient’altro da specificare, se non che sono
molto contenta di
questa storia e spero lo siate anche voi. Se vorrete lasciarmi un
commento mi
rendereste un’autrice felice, ma grazie comunque a tutti
coloro che hanno letto
<3 <3
Vi
auguro un
buon proseguimento di queste feste, un felice anno nuovo e tanto
ciccolato!
(Psst! Se
volete venire a parlare con me ho un blog
personale e uno autrice
entrambi su tumblr *si
dilegua*)
LysL
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