Capitolo
42
(Bared Fangs)
C’erano delle precise istruzioni iscritte
nell’istinto di sopravvivenza di un mezzo lupo, quando ci si trovava in cattive
acque e c’erano valide possibilità di essere feriti gravemente ed eventualmente
mortalmente, ed era tutta una questione di anatomia e punti a cui mirare o da
proteggere durante una lotta. L’istinto sembrava avere un’innata conoscenza
della fisiologia basilare dell’organismo che lo possedeva: il centro del mirino
erano banalmente i punti vitali, perciò quelli a cui mirare più definitivamente
sull’avversario, e i primi da proteggere ad ogni costo su se
stessi.
Era come se anche il cambiamento
fisiologico che il corpo assumeva per riflesso in caso di combattimento
sottolineasse quelle priorità d’attacco e difensive. Il cuore accelerava
spingendo più velocemente il sangue nelle vene, come a ricordare che ogni
ferita era una perdita di sangue, e che la perdita di sangue era un diminuire
di energia e lucidità necessarie per combattere al massimo delle proprie capacità.
Sembrava allora di sentire quel pulsare fattosi più vivo che si concentrava in
quei punti fondamentali per la sopravvivenza.
La posizione non era casuale: proteggere
la gola abbassando la testa, proteggerla a qualsiasi costo tenendo la carotide
lontana dall’affondo delle zanne dell’avversario: che fosse recisa mortalmente
o che fosse tenuta sotto la costante minaccia di un morso che poteva affondare
da un momento all’altro, era una differenza dal margine talmente sottile da
sembrare quasi inesistente. E allo stesso tempo non si poteva abbassare troppo
la testa, mai oltre la linea dello sguardo, che non poteva perdere di vista
l’avversario nemmeno per un momento, seguirne ogni mossa d’attacco per subirla
il meno possibile, individuare ogni minima breccia nella sua difesa e ogni
possibile occasione di attacco e contrattacco.
Lontano dall’essere un regolare incontro
di boxe, uno scontro tra lupi non solo giocava su un ritmo di frammenti di
secondi a stento riconducibili ad una precisa sequenza di movimenti, ma era
anche un immancabile schema di schegge di attacco e ritirate così fulminee da
dare alla testa persino a chi fosse riuscito a seguirne l’avvicendarsene
follemente rapido. Ogni ritrarsi dell’avversario tra un affondo e l’altro
poteva coincidere con un momento di pausa in cui si apriva la tenue possibilità
di un preziosissimo estendersi della propria sopravvivenza, così come poteva
rappresentare la striminzita possibilità da cogliere al volo di attaccare a
propria volta.
‘Un
lupo è una lancia, i suoi denti sono la sua lama. Tutto il resto è solo
questione di affondo, ritrarre e ri-affondo. Finché
chi in cui la lama viene affondata non è più in grado di respirare.’ gli aveva
detto Mara una volta a mo’ di spiegazione.
Aldilà dello spietato modo di dipingerlo,
Danny sapeva che quella era una descrizione esatta nel suo essere ridotta
all’osso. Perché questo era esattamente ciò che era: ridotta all’osso. Sebbene
in realtà la maggior parte degli scontri tra lupi o tra mezzi lupi fossero ben
lontani dal dover finire per forza con la morte di qualcuno di coloro che si
stava battendo.
Spesso era più che sufficiente la non
detta minaccia che poteva benissimo andare a finire anche in quel modo a
convincere chi stava avendo la peggio a desistere. C’era un meccanismo
istintivo altrettanto efficiente, e sempre deputabile a quello di
auto-conservazione, che Danny aveva letto da spiegato qualche parte, e che
aveva un che di totalmente opposto a quella nuda e cruda spietatezza enunciata
da Mara. Ma lei, dopotutto, sembrava non sapere assolutamente che cosa fosse
quello che gli studiosi avrebbero chiamato ‘inibizione del morso*’.
Gli occhi erano da proteggere perché era
necessario poter continuare a vedere gli attacchi dell’avversario e prendere le
misure dei propri, e perché per definizione ogni dolore troppo intenso è
appunto accecante. Le orecchie appiattite sul capo perché erano uno dei punti
più esposti a causa del loro essere sporgenti.
Piegarsi sulle zampe, talvolta e nelle
situazioni più gravi fino al punto da risultare quasi con il ventre a filo di
terreno, per tenere più coperti dagli attacchi i punti vitali di gola e addome,
ma anche per poter sfruttare l’allungare fulmineamente le zampe in uno scatto
di evitamento o di affondo che poteva risultare decisivo, e non da ultimo per
evitare per quanto possibile eccessive ferite alle zampe stesse.
Le zampe di un lupo erano il suo movimento
e la sua rapidità, la sua capacità di cacciare e combattere, di spostarsi e di
correre, di scegliere momento per momento la sua direzione, la sua
sopravvivenza e la sua libertà. Un lupo senza denti e/o senza zampe era un lupo
morto. Per questo anche uscendo vivi da uno scontro ma seriamente azzoppati, si
avevano poche possibilità di sopravvivere se non si era parte di un branco che
avrebbe permesso di nutrirsi delle prede cacciate dagli altri.
E poi la coda, estremamente vulnerabile
nel suo sporgere, e quella che perciò ogni lupo o mezzo lupo avrebbe, in caso
di serio scontro imminente, portato subito aderente alle zampe posteriori o
addirittura contro il ventre. Ma era inevitabile che sarebbe comunque stato
necessario renderla di nuovo esposta durante il combattimento, perché essa era l’equilibrio
di un lupo, il poter bilanciare ogni scatto e cambio di direzione improvviso.
Il muso la prima cosa davanti a tutto il
resto, appuntito come per traforare strati d’aria in velocità, per insinuarsi
tra le difese di una preda o di un avversario e aprirsi snudando le zanne,
mostrandole in difesa e/o minaccia, le fauci per richiudersi come lo scatto di
una trappola mortale su un punto vitale o, quando non si intendeva uccidere
oppure non si aveva altra e migliore scelta a disposizione, su qualsiasi altro
punto si riuscisse.
Un lupo in corsa o in salto o affondo,
fosse caccia o combattimento, era come una freccia che si stendeva tra il muso
puntato in avanti e la coda indietro a definire la sua direzione nello spazio,
le zampe che lo muovevano, il tutto che lo rendeva vivo e reattivo, capace di
dare un seguito fisico e pratico ad ogni sua decisione mettendola in atto.
Ma Mara era ancora immobile, di fronte a
Danny e a metri di distanza da lui in mezzo alla strada, e nessuno dei due
stava affatto assumendo la tipica posizione da lotta. Forse perché erano mezzi
lupi e in parte potevano prescindere da certe leggi istintuali puramente da
lupo; o forse semplicemente perché Mara era fatta così, talmente sicura di
vincere e poter uccidere chiunque avesse deciso di eliminare che non poteva
sentirsi abbastanza allarmata da essere spinta ad assumere quella posa, o forse
dopotutto voleva puntualmente rifiutarsi di assumerla come ulteriore
provocazione. E per quanto riguardava Danny, perché da un lato non aveva tutta questa
fretta, e dall’altro forse non voleva darle tutta questa soddisfazione.
Metà dell’esito di uno scontro lo decidevano
l’atteggiamento e la convinzione di vincere o perdere che si poteva racimolare
dopo un’attenta considerazione delle proprie forze e capacità contro quelle
dell’avversario.
A parere di Danny, mostrare più sicurezza
in se stessi in una sorta di ostentata spacconaggine
era più nella natura degli esseri umani che in quella dei lupi; e forse per
quanto riguardava i mezzi lupi la loro natura permetteva loro abbastanza spazio
di gioco da poter propendere per l’una o l’altra a seconda del carattere
individuale. Ad esperienza di Danny, Mara adorava mostrarsi sicura di se stessa, e per lui era ancora – come sempre – impossibile
capire quanto quella sicurezza fosse effettivamente fondata o più che altro
ostentata, e in quale misura, per quanto molte volte avesse visto coi suoi
occhi chiara prova di quanto potesse essere terribilmente e puntualmente efficace
una volta che veniva scatenata alle spese dell’obbiettivo finale di lei.
Quanto a lui, se si poteva parlare di
sicurezza attualmente nel suo caso, ciò che più vi assomigliava al momento era
il ritenere con una certa probabilità che stava per morire. Ma era quanto mai
lontano dalla tentazione di trovarlo in qualche modo un dato triste o
preoccupante: semplicemente e per qualche motivo non vi riusciva. Di
conseguenza, aveva il discreto sospetto che in quel momento lui poteva
risultare semplicemente inintelleggibile, un dato
neutrale che non rivelava né sicurezza in se stesso ne
tantomeno timore. Forse era la sensazione così inesplicabilmente profonda di
trovarsi esattamente dove doveva essere e nel momento in cui doveva esserlo.
L’unica cosa che avrebbe potuto davvero terrorizzarlo, era la prospettiva di
non essere proprio lì e proprio in quel momento, lì dove in qualche modo doveva essere. In nessun’altro posto, in
nessun’altro modo, dopotutto e in fondo.
Ma il tempo si stava espandendo fin
troppo, come se mano a mano che sciorinava via momento dopo momento si stesse
dilatando, le maglie si stessero iniziando a sfilacciare per lo sforzo, il
senso a diluire mano a mano che veniva messo troppo duramente alla prova.
Danny riconobbe quella sensazione.
Aspettare o lasciare scorrere ancora il tempo in quella sorta di immobilità non
poteva che peggiorare le cose. I suoi sensi dunque si raccolsero e si
radunarono, si acuirono e sembrarono come involarsi in un imbuto, il condotto
che si stringeva via via, convergendo su quanto stava per iniziare e sulla sua avversaria.
Nel loro acuirsi, gli sembrò di captare la sensazione vivida della sospensione
acuta dell’immobilità degli altri mezzi lupi silenziosi, che assistevano come
se il risultato fosse in qualche modo scontato e non per questo meno dotato di
un suo notevole peso specifico, della sicurezza glaciale che emanava Mara nella
sua versione di incarnazione della morte altrui in persona, dell’acuta tensione
del dito di Uther sul grilletto del fucile puntato che impugnava metri al di
sopra delle loro teste.
Perciò Danny si mosse per primo.
L’immobilità e il movimento erano quanto
mai determinanti in contesti del genere. Ogni immobilità era attesa, e
automaticamente certezza che nessun attacco stesse venendo messo in atto,
perlomeno non in quel preciso istante, per quanto riguardava l’istante
successivo chissà; ed era insieme una raccolta di forze e tensioni che non
erano affatto immobili, ma si stavano preparando nel loro stesso fluire
attraverso una minutezza variante di linee di forza dirette nelle più svariate
direzioni. Ogni movimento troppo rapido era l’equivalente dell’elastico che si
spezza, dell’equilibrio che si rompe sonoramente, lo sparo d’inizio della corsa
competitiva, il fragore di una valanga che inizia a scivolare inesorabilmente,
lo scatto che si mette in moto senza possibilità di ritorno, l’attacco che
cessa di attendere e inizia il suo percorso ovunque debba andare a finire.
Tutto ciò che Danny fece fu muoversi,
lentamente ma inesorabilmente, rompendo l’immobilità senza al contempo farlo
così brutalmente da spezzare il sottile ghiaccio su cui si trovava ormai, e nel
quale si sentiva ormai così profondamente immerso che la memoria di aver
camminato in precedenza su qualcos’altro sembrava stare impallidendo come un
lontano ricordo, possibilmente un sogno.
Si mosse in quella stretta terra di
nessuno tra la completa statica e l’inizio dei movimenti così impietosamente rapidi
che sapeva perfettamente sarebbero stati padroni nello scontro che stava per
avvenire: spostando un poco il suo peso, alzando di pochi millimetri le zampe
dal cemento che ora sentiva acutamente sotto i polpastrelli sensibili per
spostarle in modo da allargare la sua base di appoggio, e piegando le zampe per
abbassarsi un poco con il ventre più verso terra.
Solo alla fine appiattì le orecchie sul
capo, irrigidì le labbra sollevandole così a malapena da non mettere nemmeno
allo scoperto i denti, e si portò la coda contro le zampe posteriori, abbassando
la testa per coprire anche solo allo sguardo la gola e il ventre, fino al punto
massimo in cui le sue pupille alzate al massimo potevano appena raggiungere in
linea d’aria la sagoma di Mara ancora ferma a guardarlo.
E sapeva che facendo così il messaggio
sarebbe stato limpido, che avrebbe attraversato in meno di un battito di palpebre
lo spazio che lo separava da Mara, giungendo chiaramente e nettamente nella sua
semplicità. Il tempo dell’attesa era finito. E non perché la tensione lo stesse
dilaniando o l’attesa spaventando. Semplicemente perché… perché aspettare
ancora, dunque?
Gli parve di poter percepire per un
istante un’esitazione all’ultimo nella tensione del dito di Uther tenuto sul
grilletto, come se fosse stato percorso da un fuggevole tremito, in bilico
sulla possibilità di far partire il colpo: giusto per poter essere sicuro che
Mara cadesse a terra prima dell’inizio di tutto quello, giusto per poter essere
sicuro che Danny non morisse, perlomeno non per mano di lei, perlomeno non
proprio lì e in quel momento. E Danny fu profondamente e infinitamente grato
quando dopotutto non udì partire il colpo. Uther doveva aver capito: che non
spettava a lui iniziare e finire quella situazione, e che non era quello il
modo.
Dopodiché Mara scattò.
***
Un momento prima Mara era perfettamente
immobile, in quella posizione semplice e tutto sommato apparentemente rilassata,
come se non avesse veramente intenzione di fare altro che restare lì a
contemplare il tutto con una sorta di soddisfazione in sordina. Il momento
successivo era una saetta nera che correva quasi rasoterra, solcando con poche ampie
falcate fulmineamente veloci la distanza che li separava.
Danny non mosse un muscolo, come se stesse
semplicemente assistendo alla sua morte che gli veniva incontro, da spettatore
paralizzato dalla consapevolezza di un’implicita inesorabilità totalizzante
d’essa. Quando lei fu così vicina da essergli quasi addosso però, e non appena
ne vide le fauci iniziare ad aprirsi per affondare il morso, Danny si mosse a
sua volta e altrettanto fulmineamente.
Mara cambiò direzione quasi nello stesso
istante, e non perché fosse stata in grado di prevedere la sua mossa, ma
semplicemente perché fin dall’inizio quella era stata la sua intenzione. La sicurezza
in se stessa che emanava e la semplicità netta con cui
poteva condurre un attacco mortale sembravano perfettamente coincidenti con un
banale affondo condotto in linea diretta contro l’avversario, ma era proprio
quella la tecnica che lei utilizzava. Era abbastanza astuta da sapere
perfettamente con che cosa di se stessa poteva giocare
per trarre in inganno. Per questo quell’attacco apparentemente in linea diretta
era fin dall’inizio destinato a spezzarsi proprio sul finale, per curvare
repentinamente in un’angolazione acuta, scartare a velocità sempre sostenuta a
pochissima distanza dalla vittima, virare facendo perno su un ristretto spazio
di terreno molto appresso all’obbiettivo, e ritornare diretto in un affondo
finale in un punto diverso da quello a cui sembrava mirare inizialmente senza
ombra di dubbio.
E Danny non era abbastanza stupido da
cascarci. Sapeva che lei lo avrebbe fatto, senza bisogno di rifletterci o
pensarci, ma semplicemente perché lei era Mara e lui la conosceva;
semplicemente perché Mara si divertiva troppo nel mettere in atto certe
raffinatezze strategiche di abilità giocata sul filo del rasoio, improvvisata e
calcolata insieme, e forse perché dopotutto sapeva di starsi battendo non
contro l’ultimo sprovveduto tra tutti i mezzi lupi.
Improvvisata e calcolata allo stesso
tempo, appunto. Danny sapeva che lei avrebbe virato all’ultimo per cambiare la
direzione dell’attacco, quella era la parte calcolata, ma non poteva sapere
quale sarebbe stato il nuovo punto verso cui sarebbe stato diretto, perché
quella era la parte improvvisata. E lui non era così ingenuo da aver fatto
l’errore di scoprire un punto debole al quale lei potesse puntare perché si era
fatto ingannare dall’iniziale semplice direzione diretta dello scatto di lei.
Perciò quello a cui Mara si ritrovò a
rivolgere il micidiale morso d’affondo era un punto ancora coperto dalla difesa
di Danny. Ma in ogni caso lui sapeva che anche i morsi profondi, per quanto non
mortali, non solo sono spiacevoli, ma sono anche un iniziale punto di possibile
svantaggio, anche quando sono un’inevitabile prezzo da pagare pur di riuscire a
propria volta a colpire un punto debole.
Danny si mosse abbastanza rapidamente da
sottrarsi a malapena dalla scattante chiusura secca e netta delle zanne di
Mara, e tentò solo per provare a sua volta di affondare i denti, sebbene non
avesse avuto il tempo di riuscire a rendere il suo tentativo di attacco
abbastanza efficace da superare la capacità di lei di sottrarsi ad esso.
Entrambe le loro fauci si chiusero con un schiocco secco e tagliente nell’aria,
e l’istante successivo Mara si stava rapidamente ritraendo dall’attacco per
riguadagnare un poco di distanza, e lo stesso stava facendo Danny, entrambi
girandosi un poco su se stessi per continuare a
fronteggiarsi e mantenere il maggior campo visivo possibile attorno
all’epicentro dell’avversario.
Affondo e ritirata e ri-affondo.
Certe regole di base raramente venivano a cadere o si prestavano troppo a
variazioni. Naturalmente, c’era sempre la possibilità di fingere solo un
affondo per invece ritrarsi, o viceversa, al preciso scopo di indurre
l’avversario a commettere in reazione alla finta qualche movimento sbagliato
che gli facesse scoprire incautamente qualche punto nella guardia, o indurlo a
farsi avanti troppo scopertamente, o semplicemente per misurarne la prontezza
di riflessi, la capacità di azione e reazione, la forza tout-court, l’agilità
nei movimenti.
Ma Mara e Danny si conoscevano abbastanza
da sapere già queste caratteristiche di base reciproche, e le reciproche
differenze, alcune delle quali potevano già essere calcolate ad occhio. Così,
Danny sapeva che Mara avrebbe giocato tutto sulla strategia secca, sulle finte
e sulla rapidità fulminante. A lui rimaneva il poterne prevedere in certa
misura le mosse conoscendola, il fatto che fosse un poco più pesante di lei,
abbastanza da poter riuscire forse se l’avesse colta di sorpresa a farle
perdere in parte l’equilibrio semplicemente con una spinta con tutto il suo
peso contro di lei, e la precisione con cui poteva individuare un punto
scoperto suo o di lei non appena si fosse presentato, attaccarlo o proteggerlo
senza porvi in mezzo altre potenziali alternative, senza nemmeno concedersi lo
spazio di pensarci sopra. Metà dell’abilità individuale si poteva misurare sulla
capacità di conoscere i punti di forza e i punti deboli propri e
dell’avversario, e trovare il modo di sfruttarli tutti e il più possibile
unicamente a proprio vantaggio, in qualsiasi modo possibile. L’esperienza
poteva non valere nulla senza l’inventiva, e tranquillamente viceversa.
Tutto divenne semplicemente una sorta di
danza mortale, così terribilmente rapida che solo gli occhi di un lupo o di un
mezzo lupo avrebbero potuto stare veramente al passo. Niente più che un
turbinare di movimenti fulminanti nella loro rapidità e nella potenzialità di
ferire in profondità, con un sottofondo ingannevolmente leggero di sottili
fruscii di aria spostata violentemente dalla velocità degli scatti, e un più
pressante succedersi di suoni schioccanti delle mandibole che si chiudevano con
un micidiale scatto; ma quest’ultimo suono si udiva solo quando il morso andava
a vuoto.
La prima a riuscire ad affondare le zanne
nel suo obbiettivo fu Mara; Danny non ne rimase stupito. Né si poté concedere
nemmeno per un istante di provare alcuna conseguente emozione o sensazione per
quello, tantomeno di permettere ai suoi movimenti o alla sua prontezza di
riflessi di rallentare di fronte all’improvvisa pungente trafittura di dolore
che si sparse per tutto il corpo a raggera dal punto dove Mara gli aveva
affondato i denti nella carne, come un grido muto e lancinante di allarme,
tuttavia vano. Tutto ciò che lui sapeva importare, era non quello che era già
successo o stava succedendo, ma solamente ciò che poteva o stava per succedere.
Tutta la sua concentrazione rapida e i suoi movimenti in buona parte istintivi
si focalizzarono sul non permetterle di riuscire ad assestargli altri morsi in
un solo colpo: un canide può mordere in successione con una rapidità assai
incalzante. Evitò i morsi successivi e allo stesso tempo riuscì a farle perdere
la presa, costringendola a ricorrere alla fase di ritrarsi per non rischiare a
sua volta di essere morsa.
Danny sentì la familiare sensazione del
sangue che usciva dalla ferita aperta imbrattargli il manto circostante,
appesantendolo e imbevendolo, iniziando a colare lentamente giù dalla spalla
colpita. Ma sapeva che Mara si era dovuta in un certo senso accontentare di
morderlo in quel punto, perché la pazienza di lei stava iniziando a cedere, e
la sua crudeltà insita nel piacere che le procurava riuscire ad affondare i
denti per ferire e dilaniare la stava incalzando. Lui seppe con certezza che da
quel momento in poi lei avrebbe cambiato tattica: non più continuare a cercare
di sorprenderlo con nuovi movimenti in folle rapidità, attendendo di trovare un
punto debole scoperto dove affondare con fulminea prontezza, ma affondare le
zanne in qualsiasi punto del suo corpo le fosse stato possibile raggiungere,
fintanto che non fosse riuscita a farlo a brandelli morso dopo morso.
Sì, Danny non ne avrebbe mai dubitato.
Poteva vederlo in quella sfumatura diversa della posa più rigidamente tesa e
minacciosa di lei, e nel suo sguardo più ottenebrato e tagliente: si era
stancata di giocare nell’anticamera della vera e propria fine, e la spazientita
furia si stava facendo strada in lei, incalzandola ad accelerare per trovare la
più rapida scorciatoia possibile verso l’ucciderlo, e percorrerla con ogni sua
forza e fibra.
Un tempo Danny sarebbe stato semplicemente
preda del terrore, vedendo quella sorta di trasfigurazione rapida di lei. Se
prima Mara poteva essere un’ottima incarnazione della Morte in persona che si
appressa con infinita pazienza e insita eleganza, avvolta in un impenetrabile
alone di altera superiorità impermeabile ad ogni possibile emozione, ora
sembrava la lama della falce che sta già calando in un unico colpo sicuro. Ma
ora come ora, Danny stesso non riusciva a trarre da sé nemmeno un tentativo di
emozione, financo si trattasse di un’oncia di inquietudine cupa. Forse era
diventato semplicemente indenne.
Di lì a poco stavano di nuovo entrambi
scattando, perché le pause non potevano che essere brevi, e il ritmo divenne
ancora più deciso e implacabilmente incalzante. E l’esito dello scontro, che
Danny avrebbe dato quasi per certo in suo sfavore, iniziò a vacillare da un
certo punto che non avrebbe saputo stabilire. Non tanto perché anche lui iniziò
a mettere a segno dei morsi dritti dritti su Mara;
non per via del fatto che, nonostante le lacerazioni sanguinanti prodotte dalle
taglienti e appuntite zanne si stessero moltiplicando, sparse come una pioggia
di fendenti sulle loro membra, nessuno di quei colpi riusciva a superare la
difesa dell’altro andando a segno anche solo un poco vicino a qualche punto vitale.
Era per via di qualcos’altro.
Solo ad un certo punto, e di punto in
bianco, Danny realizzò di che cosa si trattava esattamente. Ed era il semplice
fatto che lo scontro stava già proseguendo da qualche minuto. In qualsiasi
altra circostanza di una lotta che dovesse finire con la morte di uno dei due
contendenti piuttosto che con una semplice resa, quello non sarebbe stato un
tempo così lungo dopotutto. Ma era un tempo lunghissimo se uno dei due
contendenti era Mara. Danny si rese conto che non solo non aveva mai visto, ma
non avrebbe mai immaginato che a Mara potesse occorrere tanto tempo per
riuscire ad uccidere qualcuno che aveva intenzione così chiara e determinata di
eliminare. E nello stesso istante capì anche il perché, gli risultò di colpo
chiaro come un raggio che trapassa all’improvviso una coltre di nubi,
impossibile da non notare e vedere esattamente per quello che è: perché lui la
conosceva troppo bene.
E per questo lei non riusciva in effetti
ad ingannarlo completamente, a coglierlo veramente di sorpresa con le sue
astuzie strategiche da combattimento e le sue improvvisazioni fulminee, a
trovare la strada per colpirlo in un punto debole di vitale importanza
eventualmente lasciato scoperto dalla sua difesa.
L’aveva vista cacciare centinaia di volte,
e aveva cacciato con lei centinaia di volte: in ognuna di quelle singole volte,
la sua priorità era stata esattamente quella di riuscire a immaginare e
prevedere la successiva mossa di lei a sufficienza in modo da poterla
affiancare come compagno di caccia. E decine di volte l’aveva vista piovere su
di lui come una furia cieca, ogni singola volta senza sapere se ne sarebbe
uscito vivo e anzi dubitandone seriamente, e ogni singola volta guidato dal
terrorizzato puro istinto di sopravvivenza tendando comunque una disperata
difesa per non essere ucciso. L’aveva vista così tante volte attaccare una
preda per uccidere o attaccare lui per sfogarsi, che nemmeno volendolo avrebbe
potuto ignorare quella familiarità radicatasi in lui verso i modi di Mara di
attaccare, combattere, cacciare, cercare di uccidere.
Nello stesso momento realizzò che lei ora
era dopotutto quello che quel branco di mezzi lupi come impazziti aveva scelto
proprio come loro punto di maggiore forza; ma solo adesso lui si accorgeva che
quello, rispetto a lui, rappresentava esattamente il loro punto debole.
Per questo, realizzò, se c’era qualcosa
che doveva richiedere a se stesso, e se quell’unica
cosa non era più la sua stessa sopravvivenza ma il riuscire ad evitare la morte
di Uther e quella successivamente di almeno buona parte degli abitanti di Tairans, l’unica cosa che poteva e doveva fare era colpire
esattamente quell’unico punto debole. Quel punto debole che coincideva con
Mara, e quindi che coincideva con la sua stessa morte in lei incarnata.
Soundtrack: Voodoo people (the Prodigy)
Note
per la comprensione:
*
INIBIZIONE DEL MORSO: nell’ambito dell’etologia (in parole povere: studio del
comportamento degli animali), e spiegato molto semplicemente, è il modo in cui i
cuccioli di specie animali carnivore e predatorie imparano a gestire i propri
denti e artigli, perché quando esagerano nel gioco e fanno troppo male vengono
“puniti” da “ramanzine” della madre o di altri adulti e/o comunque dal fatto
che chi è stato morso troppo forte emette forti versi di dolore e protesta e
rabbia, così che si sentiranno istintivamente inibiti per il resto della loro
vita dal mordere/graffiare troppo forte quando non ne hanno l’intenzione. Allo
stesso modo se tutto va bene i canidi imparano fin da cuccioli a riconoscere e
mostrare i segnali di “resa” (es. scaravoltarsi a
pancia in su esponendo proprio i punti vitali), per evocare nell’altro proprio
questa ‘inibizione del morso’ che lo spinge a non continuare ad attaccare perché
se lo facesse con l’altro in tale posizione rischierebbe di ucciderlo.
Naturalmente possono esserci eccezioni a seconda dei casi o del carattere dei
singoli individui o da eventuali loro problemi nella loro vita durante
l’apprendimento, potrebbero non avere imparato l’inibizione del morso o non
averla imparata correttamente o ignorarla o superarla se hanno veramente
intenzione di fare del male in senso grave o proprio di uccidere. Si dice per i
cani che alcune razze da (sic!) combattimento siano state selezionate proprio
facendo riprodurre gli individui che presentavano un’inibizione del morso più
debole…