mater I
Mater, I
Ha ancora un viso demetriesco:
stabat mater, dolorosa di sette figli
- il naso arcigno di chi è sceso nell'Ade
delle molteplici guerre, e dei lumi a petrolio;
il passato è una foto sbiancata dove rifulge lei bella
bella, quasi che la bellezza fosse un baluardo
in cui torcere i capelli e strozzarcisi, magari;
le gravitano attorno come tanti uccellacci che sibilano, sibilano
- sibili di terra straniera smozzicati fin ora tra le labbra,
l'arcano indugiare nel vuoto fisso di occhi che 'a forestiera
non piega a questi costumi di oggi così truci e selvaggi,
e a quell'amaralingua, che con la scusa vorrebbe impastàrciti;
sta lì nella sua rocca in penombra di grano, e la sala da ballo
colorata d'Estate adesso è una stanza: ci latra un cane,
languisce l'Inverno, e figlia mia, come una madre...!
le mani rubate all'Inferno annaspano, artritiche,
cercando Persefone – e il senno è una terra straniera;
lei lo sa che son lì che aspettano, che l'hanno sempre aspettata,
tutti questi figli come tanti uccellacci e come gambi di piante
che soffochino la terra col nascere, e poi l'accusano di essere marcia.
Note
I numi tutelari della produttività e della 'vita vera' saranno
contenti di questi tempi così disgraziatamente poco poetici, in
cui le giornate sono fisicamente occupate e, fuor d'elucubrazione, le
ispirazioni poetiche si riducono e si inseguono come queste comete post
San Lorenzo in un cielo nuvoloso; da una parte dunque, sono contenta
– se uno non ha tempo per pensarci, per 'ricamarci' sopra, vuol
dire che va tutto bene, salvo qualche piccolo e sporadico pegno alla
mia psiche sempre in cerca di passatempi freudiani - , d'altra parte
avrei desiderato essere meno scostante a livello di scrittura, ma
meglio tardi che mai, e soprattutto meglio assecondare l'ispirazione
naturalmente, piuttosto che cavarla a forza fuori dai tubi della
propria creatività come oggetti estranei dai lavandini
(?). Comunque, il pensiero a questa raccolta non è mancato
nemmeno in questa abbondantissima settimana, e il progetti su questo
quinto capitolo sono stati dei più diversi, fino a sboccare
(com'era ovvio) in ciò che non avrei mai pensato, in un fuori
programma su cui non sono stata più di un'ora.
Lasciandomi alle spalle pretese architetture interne un po' troppo
aliene da me e dalla mia situazione presente (salvo l'aver rinominato
il precedente capitolo, così già mi par meglio), ho
deciso di dare libero sfogo o quasi all'inventiva del momento, cercando
di farla collimare quantomeno col mio desiderio iniziale e
programmatico di costruire, ove possibile e senza appesantire il tutto,
il soggettivismo ecc ecc, una serie di ritratti più o meno
estivi e più o meno ancorati sia ai miei schemi emotivi e
poetici, che mi hanno accompagnato fin qui, sia (direi
soprattutto) all'idea di fondo della raccolta come da introduzione. In
poche parole: dovevo iniziare in qualche modo, e questo è
l'inizio. Sono abbastanza soddisfatta: il linguaggio è
più semplice, più primo-novecentesco per certi aspetti
(la conclusione è un'assonanza molto forzata, meglio dire che
è un fulmen in clausola latino/pavesiano) , mi auguro mai
banale. Mi auguro anche di aver saputo ben congegnare i rimandi interni
nei versi: la figura di Demetra (scusate i neologismi), che stranamente
fino a questo momento non mi era mai venuto di associare alla 'madre',
assieme a questa Persefone vaga e inconscia, al tema dell'immigrazione
che si mischia al folclore, disseminato qua e là, fino a
giungere a un ripugno 'etnico-sociale' della comunità di
non/finta accoglienza, la stessa che si sublima alla fine nelle
immagini della vecchiaia e della malattia – sempre da
interpretare, e volevo che questo fosse chiaro (paradossalmente) dal
ritmo vagamente allucinato, ammutolito, che la poesia di tanto in tanto
e più o meno simmetricamente assume.
Ora, di solito riservo queste note, come si vede, a una trattazione a
metà fra il cinico (per ciò che riguarda le mie personali
sensazioni metatestuali) e l'arido (come rischia di essere qualunque
spiegazione che usi l'espressione ripugno etnico-sociale
) , perché il coinvolgimento circa la materia trattata lo
riservo alla poesia, diciamo che ivi si esaurisce. Ma. Non è mai
facile parlare di vecchiaia, di morte, di figli che soffochino le
madri, delle colpe reciproche. E' sempre tutto un po' ambiguo come in
poesia. Dovreste però sapere che quel 'figlia mia' mi è
stato rivolto in circostanze dolci e tristi, e che questa mia
inaspettata ultima è dedicata alla signora M.S, che è
difficile che campi altri cent'anni, ma il mondo e la terra lo
richiederebbero senz'altro.
A presto.
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