ReggaeFamily
NOTA IMPORTANTE:
nello scorso capitolo, nel POV Sako, era presente un'imprecisione che
modificherò non appena il sito si deciderà a
collaborare (ho un piccolo problema nel sostituire i documenti html,
ma ho già scritto all'amministrazione e spero di risolvere
presto).
Ho
detto che Sako sarebbe dovuto partire in tour il 7 ottobre con i
System e i Souls e si sarebbe recato in Europa; in realtà,
prima delle tappe nel Vecchio Continente, hanno affrontato un
minitour in Sud America. La prima data è stata il 28 settembre
2011 a Città del Messico, quindi ho supposto che i ragazzi
avessero lasciato Los Angeles il giorno prima, il 27.
Sako,
Serj, Shavo, Daron e John staranno lontani dai Souls una decina di
giorni prima del tour.
Queste
date sudamericane, ovviamente, esistono davvero, a differenza di
quelle europee.
Ho
voluto chiarire prima la cosa perché avevo paura potesse
creare confusione. Se avete notato altre incongruenze di questo tipo
nei capitoli precedenti, fatemi pure sapere e provvederò a
correggerle!
Grazie
a chiunque leggerà questo capitolo e, soprattutto, ai miei
sostenitori abituali, che mi danno la forza di andare avanti e non
gettare la spugna anche nei momenti di dubbio e insicurezza *-*
Always
changing
Daron
Malakian & Scars On Broadway - Never Forget
♫
Ellie ♫
“E
con questo click, il nostro album sarà online anche su
Spotify!” annunciò Noah in tono solenne, la mano ben
salda sul mouse grigio.
“Schiaccia
quel fottuto tasto, fratello!” esclamò Jacob,
saltellando da un piede all'altro in preda all'entusiasmo.
“Oddio,
che ansia!” borbottò mia sorella, poggiando i gomiti sul
piano in legno della scrivania e sporgendosi verso il monitor del
computer.
Io
tacevo e mi limitavo a torcere tra le dita il mio foulard azzurro,
abbandonato sulla mia spalla, fissando la scritta The Soul of
Souls sul display luminoso.
Quello era il nome della nostra prima fatica discografica, undici
tracce in cui avevamo messo tutto il nostro impegno. Undici brani in
cui avevano preso forma i miei testi, in cui la mia voce era stata
impressa.
Undici canzoni che sarebbero
state disponibili sul web per sette miliardi di persone. E sarebbero
state il nostro biglietto da visita, avrebbero fatto la differenza
tra una band di quartiere e un gruppo musicale affermato. Di quale
delle due categorie avremmo fatto parte? Solo il tempo ce l'avrebbe
saputo dire.
Noah rivolse uno sguardo a
tutti in cerca di conferma. “Siete pronti?”
“Vai” dissi con
sicurezza, guardando dritto di fronte a me.
Click.
“Porca puttana, porca
puttana!” strillò Jacob, sventolando in aria la sua
copia di The Soul of Souls. Si lasciò sfuggire un grido
di gioia, poi venne ad abbracciarci uno a uno.
“Ecco a te.” Con
un enorme sorriso sulle labbra, porsi la custodia di plastica a
Melanie e lei la afferrò con cura, poi la aprì e si
illuminò.
“Ci sono anche i
vostri autografi!” osservò meravigliata.
“Ma certo!”
esclamò Johanna.
“Ragazze, non vedo
l'ora di ascoltarlo! Già ho imparato a memoria i primi due
singoli, ora posso andare in fissa con nove canzoni nuove!”
cinguettò la nostra amica con un enorme sorriso sulle labbra.
“Saprò a chi
chiedere se mi dimenticherò i testi” commentai con
un'alzata di spalle.
“Sarebbe bello venire
in tour con voi e suggerirteli” disse, rabbuiandosi appena.
Sapevo che
quell'affermazione era vera per metà: Melanie sarebbe voluta
venire in Europa con noi anche per poter stare con Sako. I ragazzi
erano partiti per il Sud America da una manciata di giorni e io non
avevo ancora avuto occasione di parlare con la mia amica, ma già
aveva accennato a me e Johanna che aveva parecchio da raccontarci.
“Ti chiamerò
ogni volta prima di salire sul palco per ripassare.” Le regalai
un occhiolino e contemporaneamente le diedi un piccolo calcio colmo
di significato.
Lei strizzò l'occhio
a sua volta con fare complice.
“Avete deciso cosa
ordinare?” ci chiese Jacob, giungendo alle mie spalle e posando
il gomito sullo schienale della mia sedia.
In realtà non avevo
neanche dato uno sguardo alle opzioni possibili. Decisi quindi di
farmi consigliare dal chitarrista e da Melanie, che mangiavano al
McDonald's molto più spesso di me e conoscevano il menu a
memoria. Optai per una porzione di patatine, una Coca Cola e un
panino con fishburger e un'infinità di altri ingredienti.
“Mi offro per farvi da
cameriere!” affermò Jacob, sventolando davanti ai nostri
occhi un bigliettino con le ordinazioni di tutta la tavolata.
“Ti do una mano,
tesoro!” strillò Roxanne, comparendo al suo fianco e
posandogli la mano su un fianco.
Ridacchiai sotto i baffi e
ringraziai i due volontari, poi rivolsi il mio sguardo altrove: Noah
e Kate, seduti alla sinistra di mia sorella, conversavano con
Anthony, il cugino texano di Jacob che aveva deciso di trascorrere
una settimana a Los Angeles ed era quindi stato coinvolto nella
nostra cena di festeggiamento per l'uscita del disco. Quel ragazzetto
dal viso tondo doveva avere al massimo diciannove anni, ma
evidentemente era dotato della stessa esuberanza del cugino, perché
non aveva smesso di parlare e ridere un attimo.
Noah in realtà teneva
un occhio sempre rivolto allo schermo del suo cellulare, sicuramente
curioso di monitorare la situazione del nostro album sulle varie
piattaforme in cui era stato caricato. O forse il suo essere
distratto non dipendeva solo da quello...
Sospirai. In realtà
avevo notato che, da quando il mio amico aveva accettato
quell'impiego a New York, lui e Kate si erano allontanati parecchio e
tra loro non scorreva più la sintonia di un tempo. Lei aveva
detto di essere d'accordo con la scelta del suo ragazzo, ma dal suo
sguardo traspariva la sofferenza che l'aveva avvolta in quel periodo.
In fondo Noah aveva preferito un bello stipendio a un futuro con lei
e, se da un lato cercava di essere orgogliosa di lui, dall'altro si
sentiva in secondo piano nella scala delle sue priorità.
Non sapevo se essere dalla
sua parte o no, perché non mi ero mai ritrovata in una
situazione del genere e non potevo sapere cosa si provava, non ero
nella posizione per giudicare.
“Certo che quei due
certe volte potrebbero anche evitare di dare spettacolo.”
Il commento di mia sorella
mi riportò alla realtà; io e Melanie puntammo il nostro
sguardo su di lei, curiose.
“Jake e Rox, intendi?”
chiese Melanie.
“Sì. Lei è
bravissima in studio, nulla da dire, molto brava nel suo lavoro... ma
certe volte è proprio una piattola. Okay, si può fare
Jacob quante volte vuole e nessuno la criticherà, ma almeno
quando ci siamo noi potrebbe darsi un minimo di contegno. Non
immagini quante volte, quando siamo tutti in studio, Jacob se la deve
scrollare di dosso e dirle di darci un taglio. E se ci arriva lui,
che è un essere di sesso maschile privo di un cervello, allora
la situazione è grave” spiegò Johanna,
riassumendo in breve un discorso che io e lei ci eravamo ritrovate a
fare diverse volte tra noi.
“Certo, avete tutte le
ragioni per lamentarvi! Cioè, è fastidioso stare
accanto a due persone che stanno appiccicate come calamite e sono a
un passo dallo strapparsi i vestiti” convenne Melanie.
“Dovremmo parlarne con
Jake, perché tra i due è quello con cui abbiamo più
confidenza” riflettei.
“Chissà cosa ne
pensa Noah...” si chiese Johanna.
“Dopo chiedete anche a
lui, magari scoprite che gli dà fastidio” ci consigliò
Melanie.
Ma in quel momento fummo
costrette a interrompere la conversazione perché Jacob e
Roxanne stavano tornando al tavolo con due vassoi pieni di cibo.
Subito addentai il mio
panino, che trovai discreto, mentre ascoltavo distrattamente le
domande che Anthony poneva a Roxanne a proposito del suo studio di
registrazione. Il ragazzo sembrava parecchio interessato e
affascinato dall'argomento.
“Ellie, come va con
Daron?”
La domanda improvvisa di
Melanie mi colse alla sprovvista e le lanciai un'occhiata stranita.
Lei alzò le spalle e
prese a ruminare una patatina fritta. “È una domanda
così strana? Tu e lui avevate fatto pace, giusto?”
Mandai giù il boccone
che avevo in bocca. “Come dovrebbe andare? Siamo in buoni
rapporti, non abbiamo avuto l'occasione né di passare del
tempo assieme né di discutere” spiegai, ed era vero. Dal
giorno della festa di Jacob, avevo rivisto i ragazzi dei System
pochissime volte e avevo scambiato con Daron solo qualche parola,
quindi lui ancora non mi aveva potuto dimostrare nulla di ciò
che mi aveva promesso.
“E non vi sentite per
telefono?” indagò ancora la mia amica.
Johanna ridacchiò tra
sé e io la fulminai con lo sguardo.
“Sentirci per
telefono? Perché mai? Non abbiamo nulla da dirci. E poi Daron
riesce a malapena a sbloccare lo schermo del cellulare...”
spiegai in fretta. Forse avevo messo le mani avanti e la cosa poteva
essere fraintesa, ma non volevo che Melanie si mettesse in testa
strane idee. Daron ancora mi inquietava e dovevo ben inquadrarlo, il
fatto che avessimo chiarito non significava nulla.
“Okay... ma che te ne
pare di lui?” domandò ancora la mia amica, dandomi
leggermente di gomito.
“Nulla. Vedremo come
va in tour” la liquidai rapidamente, già stufa di quella
conversazione. Daron non era uno dei miei argomenti preferiti, aveva
degli atteggiamenti ambigui che ancora non mi convincevano e mi
davano da pensare.
“Piuttosto... tu e
Sako?” bisbigliai in tono malizioso, giusto per metterla un po'
in difficoltà.
Lei si illuminò, ma
subito dopo si portò il dito indice di fronte alle labbra. “Ne
parliamo dopo, quando usciremo per fumare.”
Io e Johanna ci scambiammo
un'occhiata complice, poi ci fiondammo letteralmente sul nostro cibo
per finirlo il più in fretta possibile. Eravamo troppo
curiose.
“Allora?”
incalzai subito io.
“Allora?” ripeté
Johanna, facendo scattare la pietrina del suo accendino.
“Un attimo, con
calma!” Melanie ridacchiò e si appoggiò con la
schiena alla parete arancione dietro di lei.
Ci trovavamo finalmente
fuori dal McDonald's, a qualche metro di distanza dal resto dei
clienti che fumavano e conversavano tra loro; io e Johanna avevamo
praticamente messo all'angolo la nostra amica e la stavamo divorando
con lo sguardo, affamate di informazioni e scoop.
“Allora ragazze, il
punto è che...” cominciò a raccontare Melanie a
bassa voce, ma subito fece una pausa a effetto e ci osservò
con un'espressione tremendamente seria, come se stesse per rivelare
il colpevole di un omicidio.
Aveva sempre avuto un gran
gusto per il melodramma e si divertiva a sfruttare le sue abilità
nel lasciare la suspense durante i racconti, soprattutto perché
noi due eravamo curiose per natura e ogni volta la pregavamo di
sputare il rospo.
Ma quella volta rimasi
zitta, mentre il cuore mi batteva talmente tanto forte nel petto che
pareva sul punto di spezzarmi le costole.
“Sako mi ha baciato. E
mi è piaciuto.”
Il sangue defluì dal
mio viso e gli occhi mi si sgranarono. “Sako ti ha...?”
balbettai, incredula.
“Cos'ha fatto?! Ma è
rincoglionito?” esplose mia sorella, basita almeno quanto me.
“Ehi, calma!” ci
ammonì Melanie. “Non è questa la cosa
sconvolgente, prima o poi era inevitabile che accadesse. Sapete qual
è la cosa più grave? È che... beh, lui mi piace.
Molto. Mi fa sentire amata, è dolce e premuroso... ma...”
Io e Johanna tacemmo, a
corto di parole, e attendemmo che Melanie continuasse. Io intanto
continuavo a chiedermi se fosse davvero lei la ragazza che mi trovavo
di fronte e che dichiarava di essere interessata seriamente a un
ragazzo.
“CI sono tre problemi
principali e pure abbastanza palesi. Il primo è che io, poco
più di un mese fa, ho abortito proprio il frutto di una nostra
scopata e sinceramente non me la sento di impegnarmi in un'eventuale
relazione, tanto meno con lui. Il secondo problema è che tutto
ciò non è da me e non so come affrontarlo: sapete
quanto sono stata incostante con i ragazzi in questi anni, non ho mai
permesso a nessuno di entrare nel mio cuore e non pensavo nemmeno che
fosse possibile. E infine, ultimo ma non in ordine di importanza: non
so se lui ricambia questi miei sentimenti. So che è attratto
da me, fin qui ci sta, ma... e se non fosse disposto a fare sul serio
con me? Se lui mi desiderasse e basta? Ho paura di affrontare
l'argomento e scoprirlo, potrei rimanerci molto male.”
Assorbii quelle parole con
attenzione, una a una, chiedendomi quando mi sarei svegliata da quel
sogno surreale. Conoscevo Melanie come le mie tasche e non avrei mai
pensato che delle parole simili potessero uscire dalla sua bocca.
Ma lei pareva così
serena e padrona di sé, di ciò che ci stava spiegando.
“Dal giorno del bacio
non vi siete più visti o sentiti?” chiesi chiarimenti,
dopo qualche secondo di silenzio.
“Ci siamo visti solo
una volta, il giorno prima della partenza, e per messaggi ci sentiamo
ogni giorno. Ma stiamo ben attenti a non cadere nell'argomento,
perché nessuno dei due saprebbe come commentarlo. Penso si
senta in colpa per avermi baciato.”
“E c'è qualcosa
di preciso che gli vorresti dire?”
Melanie annuì sicura.
“Vorrei dirgli che non si deve sentire in colpa perché
anche io lo volevo, poi vorrei chiedergli quali sono le sue reali
intenzioni con me. Infine vorrei spiegargli quali sono i miei dubbi e
chiedergli una mano d'aiuto per superarli, se gli va.”
“Sako è una
brava persona, ti ascolterebbe e ti starebbe accanto in ogni caso”
commentai io.
“Secondo me questa
lontananza non può che farvi bene” intervenne Johanna,
che fino a quel momento aveva fumato la sua sigaretta in silenzio.
“Ora lui è partito in tour e ci rimarrà fino a
novembre, quindi entrambi avrete tempo per riflettere e chiarirvi le
idee senza farvi pressione a vicenda. Lui cosa vuole davvero? Tu cosa
vuoi? Qual è il modo migliore per chiederlo all'altro? Hai
ancora tante ferite aperte, Mel, ed è giusto dar loro il tempo
di rimarginarsi.”
Ci riflettei su un attimo,
poi sorrisi. “Concordo: avete bisogno di queste settimane di
distanza, ognuno da solo con i propri pensieri.”
Melanie ci abbracciò
entrambe. “Grazie ragazze, siete mitiche! Come farò
senza di voi?”
“Non stiamo mica
partendo al fronte!” la rassicurò Johanna con una
risata.
“Oh Mel, siamo così
felici che tu abbia trovato un punto di riferimento! Sako poi, che è
un ragazzo così dolce!” esclamai io invece con gli occhi
a cuoricino. Già, avevo sempre fatto il tifo per loro, ma non
ci avevo mai davvero sperato perché Melanie non sembrava
intenzionata a interessarsi a lui.
Ma forse lei stava
cambiando, così come Sako. Tutti noi, in un modo o nell'altro,
stavamo crescendo e maturando.
E, nel bene e nel male,
eravamo sempre più uniti.
♫
Daron ♫
Non ne potevo davvero più
di grida e mani estranee che mi si appiccicavano addosso. Ormai lo
sapevo e forse avrei dovuto farci l'abitudine, ma ogni volta che
capitavo in Brasile era un delirio. I numerosi fan dei System erano
talmente ossessionati da noi che a malapena riuscivamo ad andare in
bagno da soli: ci seguivano in strada, si appostavano in ogni angolo,
ci pedinavano fino all'ingresso del backstage, si infiltravano negli
alberghi o si fiondavano contro il tour bus, eludendo perfino la
sicurezza. E strillavano come dannati, la maggior parte non sapeva
neanche parlare l'inglese e pretendeva che noi capissimo comunque.
Così, quando mi
ritrovai nel backstage del Rock In Rio in compagnia dei miei amici e
colleghi, tirai un sospiro di sollievo e mi andai a posizionare in un
angolino tranquillo e appartato. Osservavo il viavai dei tecnici, i
componenti delle band di supporto che strepitavano e importunavano
gli altri dei System, i musicisti occasionali dei Guns N' Roses che
si aggiravano ogni tanto nei paraggi e facevano la spola tra area
ristoro e camerini. Si atteggiavano a star perché facevano
parte dei Guns, ma nessuno se li filava.
Di certo, se Axl Rose si
fosse fatto vedere, le reazioni non sarebbero state le stesse. Ma lo
conoscevo abbastanza per sapere che avrebbe messo il naso fuori dal
suo camerino solo al momento del concerto.
“Certo che è
surreale” commentò John, facendomi sobbalzare. Il
batterista prese posto sul divanetto accanto a me, poi si chinò
per legarsi una scarpa.
“Cosa è
surreale?” borbottai, cadendo dalle nuvole.
“Apriremo per i Guns
N' Roses. O forse dovrei dire: apriremo per Axl con gli schiavi di
turno al seguito.”
“Io non apro nessuno:
noi e Axl siamo co-headliners” gli feci notare.
“Già.” Si
tirò su e posò la schiena sulla spalliera del divano,
poi prese a lanciarmi brevi occhiate indagatrici.
“Che c'è?”
sbottai infastidito dopo una manciata di secondi.
“Ti vedo stanco, è
una mia impressione?”
Sbuffai. “No, è
questo posto che mi manda in corto circuito il cervello. Il Brasile,
intendo. Ma dico io, si può essere più pedanti di così?
Ho paura che qualche fan mi impianti un microchip per potermi spiare
e seguire.”
John rise, poi spostò
lo sguardo su Sako che, trafelato ed entusiasta, si dirigeva a passo
spedito verso di noi.
“Ricordatemi che devo
fare i complimenti a Amy Lee quando scende dal palco! Certe volte mi
dimentico quanto sia brava... ma poi oggi sta spaccando tutto!”
esclamò, buttandosi su un divanetto vuoto di fronte al nostro.
Sorrisi. Lo potevo capire
benissimo perché anche io ero un grande fan degli Evanescence;
mi sarei anche avvicinato al palco per assistere al loro live, ma
quel giorno non ero dell'umore giusto.
“Di che
chiacchieravate?” chiese poi il tecnico della batteria.
“Niente di che,
commentavamo la soap opera firmata Guns N' Roses... che va avanti
dall'85” disse John con un'alzata di spalle.
Sako ridacchiò.
“Certe volte mi sento fortunato a essere il vostro tecnico”
commentò.
“Solo certe volte?”
lo punzecchiai.
“Beh, certe volte non
è facile accontentare le richieste di quest'orso qui”
scherzò, accennando a John.
“Ti licenzio, razza
d'idiota” lo minacciò l'altro senza troppa convinzione.
“Senza di me saresti
fottuto, Dolmayan!”
Sbadigliai e mi rannicchiai
ancora di più su me stesso.
Trascorse circa un minuto di
silenzio in cui origliai distrattamente le conversazioni tra Shavo e
i ragazzi delle band di supporto – ovviamente il bassista non
perdeva occasione per fare amicizia con qualsiasi essere vivente gli
capitasse a tiro –, poi Sako sbuffò, attirando la mia
attenzione. Sollevai appena lo sguardo e lo trovai assorto nei suoi
pensieri, mentre fissava lo schermo del suo cellulare.
“Che c'è?”
gli chiese John cautamente, dando voce alla domanda che ronzava anche
nella mia testa.
“Cosa vuol dire?
Perché mi ha scritto questa cosa?”
Io e John sapevamo
perfettamente a chi si stesse riferendo Sako.
“Quale cosa?”
m'informai, raddrizzando la schiena e sporgendomi appena verso di
lui.
Il tecnico si schiarì
la gola e lesse: “Sai, in fondo questo mesetto di lontananza
non può che farci bene. Ci ho pensato e sono dell'idea che
entrambi dobbiamo schiarirci le idee, riflettere, definire per bene
ciò che vogliamo.” Sollevò lo sguardo su di
noi, confuso. “Cioè... non stiamo neanche insieme, e già
vuole prendersi una pausa?”
Questa situazione con
Melanie stava diventando sempre più intricata e io vedevo il
mio amico sempre più distrutto dentro. Aveva perso la testa
per una ragazza – cosa che da lui non mi sarei mai aspettato –,
l'aveva messa incinta, l'aveva accompagnata ad abortire e poi l'aveva
baciata. Non sarei mai voluto essere al suo posto, ero già
abbastanza confuso e incasinato così.
“Non credo intendesse
quello...” cerco di farlo ragionare John, ma ormai Sako era
partito in quarta e aveva solo voglia di sbraitare e sfogarsi.
“Ma perché mi
tratta così? Che colpa ne ho se mi ha rubato il cuore? Ma poi
non è neanche colpa sua, cioè, sono stato io a fare la
cazzata. La grande cazzata. Perché l'ho baciata? È
ancora troppo presto, e poi non so nemmeno se mi ricambia. Ho
rovinato tutto... e adesso c'è pure questo tour del cazzo in
mezzo, quando tornerò a Los Angeles mi avrà già
gettato nel dimenticatoio!” Sako era disperato, gesticolava e
si agitava.
“Non è un tour
del cazzo!” protestai, sperando di stemperare l'atmosfera;
l'unica cosa che ottenni, però, fu un'occhiataccia da parte di
John.
Quest'ultimo poi, con la sua
estrema calma, sollevò appena una mano per far tacere Sako e
disse: “Penso che Melanie non intendesse questo. Ha solo
cercato di trovare qualcosa di positivo in questa vostra lontananza:
potrete riflettere sui vostri sentimenti e, al ritorno dal tour,
parlerete e deciderete che fare del vostro rapporto”.
“Ciò non toglie
che ho fatto una cazzata!”
“Non è detto.
Non sai se Melanie ricambia i tuoi sentimenti... e del resto in quel
momento non ti ha respinto.”
Sako posò il mento
sul palmo di una mano e sospirò. “Non lo so. Sono
preoccupato perché non la voglio perdere e non so cosa pensa
lei di me.”
“Ragazzi, tra poco gli
Evanescence scendono dal palco e tocca a noi!” esclamò
Serj, materializzandosi di fronte a noi.
Sako si ricompose subito,
sorrise e si mise in piedi, pronto a svolgere il suo lavoro. “Sono
qui per servirvi!” esclamò, pieno di grinta.
Quanto lo invidiavo! Era
sempre allegro, non si lamentava mai e nascondeva sempre le sue
sofferenze; difficilmente si lasciava andare a momenti di
disperazione come quello appena trascorso. Sako era una forza, una
persona positiva e solare, che metteva sempre gli altri prima di lui.
E poi c'ero io, sempre di
malumore, sempre sovrappensiero. Anch'io stavo affrontando un periodo
delicato con Ellie, ero preoccupato per come sarebbero andate le cose
in tour con lei, avevo paura di deluderla nuovamente o di non
riuscire a controllarmi in sua presenza... ed era tutto così
palese, me lo si leggeva nello sguardo, nel tono della voce, in ogni
singolo gesto. La mia anima era tormentata e io non lo riuscivo a
nascondere.
Al contempo non mi andava di
aprirmi e parlarne con nessuno, quindi mi crucciavo da solo, immerso
in un mare di dubbi da me stesso creati.
L'ultima cosa che vidi prima
di salire sul palco fu il volto di Amy Lee che, esausta dal concerto,
ci augurava buona fortuna con un sorriso raggiante.
Ero pronto a darmi in pasto
al pubblico brasiliano.
Lo ero davvero?
♫
Johanna ♫
La verità era che
l'ansia mi stava mangiando viva perché non avevo mai preso
l'aereo, non ero mai stata così lontana da casa per un periodo
di tempo così lungo, non avevo mai suonato in luoghi così
importanti e non ero sicura di essere all'altezza di affrontare tutto
ciò.
La verità era che mi
sentivo un fascio di nervi, e per questo continuavo a sbraitare
contro tutti coloro che mi si paravano davanti, gatto compreso, e
controllavo convulsamente borse e valigie per assicurarmi che ci
fosse tutto, nonostante avessi progettato per due settimane la
posizione di ogni singolo oggetto in valigia.
La verità era che
sentivo il peso di ogni singolo commento al nostro album, ogni
singola visualizzazione su YouTube, ogni singolo ascolto su Spotify.
Forse avevo paura di rendere
nota la musica dei Souls. Ma ormai il danno era fatto.
“Johanna, ti vuoi dare
una mossa?” gridò Ellie, affacciandosi alla porta
d'ingresso. Lei e mamma mi stavano attendendo in auto da almeno dieci
minuti.
“Aspetta, sto
controllando le ultime cose! Ago e filo ci sono? Hai preso le
pinzette? Io però aggiungerei un altro pacco di fazzoletti...
e se a una di noi viene il ciclo due volte? Come facciamo? L'ho
detto, dovevamo comprare più assorbenti!” Cominciai ad
agitarmi e sentii il viso andarmi a fuoco, mentre aprivo e chiudevo
ossessivamente tutte le tasche della mia valigia.
“Innanzitutto abbassa
la voce, c'è la porta aperta e non penso che ai nostri vicini
interessi!” mi ammonì Ellie. “E poi l'Europa non è
un deserto, se ci manca qualcosa ce la possiamo comprare! Adesso esci
da questa diamine di casa, altrimenti giuro che ti lasciamo a Los
Angeles e ti sostituiamo con John!”
Borbottando e sbuffando,
trascinai i miei bagagli all'esterno e li caricai nel portabagagli.
Nostra madre sedeva sul
sedile del guidatore e mi lanciava occhiate sospettose. La sua
presenza non mi rassicurava: aveva insistito per accompagnarci
personalmente all'aeroporto perché voleva assolutamente
conoscere i nostri accompagnatori, ancora non si fidava. Ellie non
aveva opposto resistenza e le aveva dato ragione, secondo lei era
giusto che nostra madre sapesse la nostra compagnia, ma a me dava
fastidio. Insomma, non eravamo più delle bambine, non avevo
bisogno della sua approvazione per decidere chi frequentare.
Durante il viaggio verso il
LAX, l'aeroporto internazionale della città, non feci che
ripassare mentalmente gli oggetti che avevo sistemato in valigia e
l'ordine dei pezzi che avremmo suonato ai live. Questo mi aiutava a
non pensare ad altro, perché avevo fin troppi motivi per
essere agitata e in ansia.
Ellie, sul sedile del
passeggero, chiacchierava con mia madre e le raccontava in breve la
storia dei System in quanto band.
All'entrata principale
dell'aeroporto, come stabilito, Jacob e Noah ci attendevano. Mia
madre li salutò calorosamente, dal momento che ormai li
conosceva bene, e cominciò a conversare col bassista del suo
nuovo futuro lavoro a New York.
“I ragazzi ci stanno
aspettando dentro, al piano terra, vicino al McDonald's”
annunciò Ellie, consultando il suo cellulare.
Così tutti e cinque
ci addentrammo in quel labirinto di persone e gates che era il LAX.
Io arrancavo per il pavimento lucido, portandomi dietro la mia enorme
valigia porpora e il trolley azzurro, e nel frattempo mi guardavo
attorno per capire dove accidenti si trovasse il McDonald's.
“Da questa parte, ho
visto Shavo!” esclamò Jacob a un certo punto, virando
verso destra.
Mi dovetti infilare tra una
classe di studenti in partenza per una gita scolastica, un gruppo di
turisti messicani che sbraitavano in spagnolo, una famigliola con una
mole impressionante di bagagli e alcuni passeggeri solitari che mi
tagliarono la strada senza neanche chiedermi scusa. Tra un insulto e
l'altro, giunsi a destinazione più o meno sana e salva e per
poco non rimbalzai contro Serj. Incespicai sulla sua valigia nera, ma
lui prontamente mi tenne per un braccio.
“Ehi, non cadere, ai
Souls serve la batterista tutta intera!” esclamò lui con
un sorriso.
Lo strinsi subito in un
abbraccio, poi mi voltai e corsi a salutare anche gli altri. Quando
arrivò il turno di Shavo, lui intrappolò come sempre me
ed Ellie in un grande abbraccio. “Mi siete mancate, bambine
mie!” esclamò.
Io mi guardai subito intorno
in cerca di mia madre e la avvistai che conversava con Serj e John.
La cosa mi rassicurò parecchio: loro due erano in grado di
tranquillizzare un oceano in tempesta, avrebbero sicuramente fatto
una buona impressione su di lei.
Vinta dalla curiosità,
mi avvicinai a loro per assistere alla conversazione.
“Siamo abituati a
viaggi del genere” stava dicendo John, rilassato come sempre e
con le mani affondate nelle tasche dei jeans neri.
“Bene. Per Ellie e
Johanna invece è la prima esperienza lontane da casa... ma
entrambe mi sembrano abbastanza positive e tranquille” commentò
mia madre.
“Ma sì, andrà
tutto bene. In fondo stanno per fare un viaggio di lavoro ed è
giusto così.” John sorrise appena.
“La casa le sembrerà
vuota senza loro due!” commentò Serj con una risatina.
“Certo, mi mancheranno
molto! Da ventun anni sono abituata ai loro battibecchi, alla musica
a volume alto, ai loro passi per casa...”
Sorrisi tra me. Mamma in
fondo era contenta per noi, il fatto che si preoccupasse era più
che normale. Eravamo le sue due figlie, ci adorava e non voleva che
ci capitasse qualcosa di male.
Anche lei mi sarebbe
mancata.
“Ehi.” La voce
di Sako alla mia sinistra mi fece sobbalzare.
“Eh... oh, mi hai
spaventato!” mugugnai, osservandolo con la coda dell'occhio.
“Sei pronta per
l'Europa?”
“Certo! E tu sei
pronto a essere schiavizzato da me?”
Lui scosse la testa. “Io
non sono il tuo tecnico, mi dispiace deluderti!”
“Chiederò a
John se posso prenderti in prestito!”
Sako ridacchiò.
Mi feci più seria e
fissai i miei occhi nei suoi. “Sako, come stai?”
Lui abbassò subito lo
sguardo. “Alla grande” mentì.
“Ragazzi, andiamo!
Abbiamo ancora il controllo bagagli da fare!” esclamò un
tizio che non avevo mai visto, probabilmente uno dello staff,
interrompendo tutte le conversazioni in atto.
Io e mia sorella stringemmo
nostra madre in un ultimo abbraccio e lei ci stampò un bacio
sulla fronte a testa, poi afferrammo le nostre valigie e seguimmo il
resto del gruppo verso la zona del controllo bagagli.
Presi Daron sottobraccio,
dato che se ne stava in disparte e in silenzio. “Allora
Malakian, che te n'è parso dell'America Latina?”
“Sempre uguale. Sempre
pieno di gente invasata. Sai che ci aspetta un noiosissimo volo di
almeno quindici ore?”
Sbuffai. “E cosa
facciamo nel frattempo?”
“Prima di andare a
cercare il nostro imbarco, entriamo in un negozio di gadget e lo
svaligiamo, che te ne pare?” propose con fare complice.
Mi illuminai. “Oh sì!
Voglio dei libri e un giornale di enigmistica!”
“E se comprassimo uno
di quei giochi di società tipo Battaglia Navale?”
propose Shavo, che ci camminava accanto.
“Ci sto! E un pacco di
caramelle, perché anche masticando si ammazza il tempo!”
aggiunsi.
E fu così che,
vaneggiando e progettando attività da fare in volo, ci
preparammo per lasciare la nostra madrepatria e portare la nostra
musica nel Vecchio Continente.
♪
♪ ♪
Ohhh
ragazziiii, finalmente si parteeee *-*
Scusate
se anche stavolta mi sono dilungata e ho scritto un capitolo a tratti
noioso, ma avevo bisogno di spiegare le ultime cosette prima di
concentrarmi sul tour!
Perché
ho usato questa canzone? Perché volevo qualcosa che desse
l'idea di cambiamento, ma allo stesso tempo che avesse un'atmosfera
un po' malinconica, in modo da rispecchiare i sentimenti di Melanie e
Sako e l'ansia di Jo per l'imminente tour.
Allora,
cosa ne pensate del rapporto tra Mel e Sako? E del titolo dell'album
dei Souls? Più avanti avrete modo di scoprire le canzoni che
contiene e, chissà, magari vi farò leggere anche
qualche testo ^^
Benissimo,
ora allacciate le cinture, mettete i cellulari in modalità
aerea e state attenti che le orecchie non vi si tappino, perché
sta per decollare l'aereo... e sarà carico di sorprese per
voi!!!!
Grazie
a tutti coloro che sono giunti fin qui e che avranno ancora voglia di
seguirmi in questa stramba avventura :3
Alla
prossima (che non si sa quando sarà, perché non ho
altri capitoli pronti... spero di trovare tempo e ispirazione per
scrivere!!!) ♥
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