ReggaeFamily
I'm
so drunk... on you
“Conor,
per favore...” borbotto, mentre il mio amico ridacchia e si
riempie nuovamente il bicchiere di birra. Le braccia gli tremano
leggermente, è un miracolo che la bottiglia in vetro non gli
sia ancora scivolata di mano.
Un
po' mi preoccupa, lo devo ammettere. Non è da lui bere così
tanto in una volta sola e perdere così il controllo di sé,
Conor detesta non ricordare ciò che fa. Ma oggi è
Capodanno, è un'occasione speciale.
“E
dai, Phil, non rompere... però forse questa birra non mi va...
ho la nausea...” Il cantante stringe il bicchiere nella mano
destra, si sporge verso di me e lo avvicina al mio viso.
Gli
lancio un'occhiata interrogativa.
“Bevi,
è per te” biascica lui con un sorriso storto.
Scuoto
la testa e gli sfilo il bicchiere di mano, prendo un sorso e lo poso
sul tavolo. “Che ne dici se tornassimo a casa?”
Conor
mi guarda con gli occhi offuscati e prende a giocherellare col bordo
della sua camicia color panna.
Mi
metto in piedi e raggiungo Joe, Dominic e James, che stazionano su
delle sedie dal lato opposto del tavolo.
“Che
dite, ragazzi? Sono quasi le quattro...”
Joe
scatta subito in piedi, come se non aspettasse altro. “Sì,
vi prego, andiamocene.”
Mi
lascio sfuggire una risata. Il biondo è sfinito, me ne sono
resa conto dall'inizio della serata.
“Phil,
mi potresti aiutare con Dom? È fuori come un balcone, non
riuscirò mai a trascinarlo fuori” mi domanda poi,
accennando all'altro chitarrista che continua a blaterare alle sue
spalle, stravaccato su una sedia.
Così
incarico James – stranamente sobrio e lucido – di dare
una mano a Conor, mentre io e Joe tentiamo di convincere Dominic ad
alzarsi e vestirsi.
Una
volta sul marciapiede davanti al locale, mi lascio sfuggire un
sospiro di sollievo. L'aria fredda è rigenerante, spero che
faccia bene anche a Dominic e Conor.
Mi
guardo attorno: per la strada e la piazza sono sparse bottiglie di
vetro vuote e spazzatura di vario genere. Dall'altro lato del grande
piazzale, alcuni ragazzini ridono e barcollano. È strano
pensare che, appena qualche ora fa, in questo esatto punto si
accalcava una grande e festosa folla, ipnotizzata dallo spettacolo
pirotecnico.
Torno
a concentrarmi su Dominic, abbandonato di peso addosso a me, che
ancora sta articolando frasi insensate e sta tormentando i capelli di
Joe. Quest'ultimo non sembra particolarmente entusiasta. “Dom,
ma tu sei venuto in macchina?” chiedo al chitarrista.
“Certo,
tesoro. L'ho parcheggiata nel ripostiglio, ma non rubarmela eh!”
risponde prontamente lui, serio.
Mio
dio, ma che sta dicendo?
“Nel...
ripostiglio?” borbotta Joe con una risatina.
“Tesoro?!”
aggiungo io, roteando teatralmente gli occhi, poi mi volto verso Joe:
“Tu che sei venuto in taxi potresti portare via auto e
proprietario? Non penso che sia in grado di guidare”.
“Non
vedo altre alternative. Lo porto da me” sentenzia lui,
stringendosi nelle spalle. “Piuttosto... mi sa che Conor non è
conciato molto meglio.”
Lo
so bene, e so anche che lo dovrò accudire ancora per un po'.
Chiedo
a Joe se se la sente di stare con Dominic mentre io vado a
controllare la situazione di Conor: è accucciato sul
marciapiede e non sembra stare affatto bene.
Sono
più allarmato di quanto do a vedere. Ho sempre avuto un occhio
di riguardo per il cantante, soprattutto nell'ultimo periodo.
Mi
avvicino a lui e James e noto che Conor biascica qualcosa di
incomprensibile, si stringe nel suo pesante giubbotto e ha la testa
posata contro il palo di un lampione. Rivolgo un'occhiata preoccupata
al batterista. “Che ha?”
“Nausea,
e gli gira la testa. Ho pensato che se l'avessi fatto sedere sarebbe
stato meglio, ma io non me ne intendo: in genere sono io quello
sbronzo e bisognoso di cure” spiega lui.
Prendo
posto sul marciapiede accanto a Conor, accovacciato su se stesso e
col mento posato sulle ginocchia, e gli circondo le spalle con un
braccio. “Ehi...”
“Io
voglio vomitare” mugola lui senza muoversi. I capelli chiari
gli ricadono sulla fronte ancora più disordinati del solito,
il suo volto è verdognolo.
“Se
devi vomitare, fallo. Dopo starai meglio” lo rassicuro in tono
pacato.
“Ma
non sulle mie scarpe, grazie” aggiunge prontamente James, che
intanto si è posizionato di fronte a noi e ci osserva
dall'alto in basso.
“Non
ci riesco. Mi fa male lo stomaco... Philip... mi porti a casa?”
mormora ancora il mio amico in tono lamentoso, facendosi ancora più
vicino e poggiando un gomito sul mio ginocchio.
Spero
che i conati non lo colgano di sorpresa proprio ora che è
addosso a me.
“Tranquillo,
dai, tra poco Price ci dà un passaggio.”
“Che
c'entro io?” si rivolta James, incrociando le braccia sul
petto.
“Io
sono venuto con te e Conor ha preso il taxi. Sei l'unico munito di
macchina” gli faccio notare in tono ovvio.
“Mi
rovinerà i sedili, i succhi gastrici sono corrosivi!”
protesta lui in tono esasperato
“Non
succederà.”
“Mi
fa troppo male” piagnucola Conor. Si raddrizza e si porta una
mano all'altezza dello stomaco. Mi si spezza il cuore quando incrocio
i suoi occhi velati dalle lacrime, d'istinto lo stringo in un
abbraccio.
Normalmente
non sono così affettuoso, ma con Conor è diverso.
Spero che James non pensi
male di me.
Per fortuna proprio ora il
batterista sta scambiando qualche parola con Joe, che si è
avvicinato a noi insieme a Dominic per salutarci. Almeno loro possono
già tornare a casa, a differenza mia.
Saluto i ragazzi prima che
si allontanino lungo il marciapiede. Per Joe sarà dura, lo so
già. Domani gli chiederò com'è andata.
Ormai Conor piange senza
ritegno tra le mie braccia, ma dubito sia per il mal di stomaco. Si è
preso davvero una bella sbronza, è del tutto fuori controllo.
“Ehi, Conor,”
sussurro, “ce la fai a metterti in piedi? Così ci
avviamo verso l'auto di James.”
Il mio amico non rispondo.
Sollevo lo sguardo verso
James. “Tentar non nuoce, no?”
Lui si stringe nelle spalle
e si china per aiutarmi a sollevare Conor da terra. Lo prende per le
braccia, mentre io gli cingo la schiena e faccio leva sulle gambe per
sollevarmi.
“Quant'è
leggero, il nostro piccoletto” commenta James con una risatina.
In effetti Conor si mette in
piedi senza troppa difficoltà, ma proprio mentre tenta di
trovare l'equilibrio, un conato lo porta a piegarsi in avanti.
“Oh, cazzo!”
James scatta indietro, lasciandomi solo a sostenere il suo peso. Ma
io non mi faccio trovare impreparato: stringo il braccio sinistro
attorno alla vita di Conor e faccio in modo che la sua schiena
aderisca al mio petto, mentre con la mano destra gli tengo i capelli
indietro.
“Scarpe e giubbotto
sono pieni di vomito. Spero che non si ricordi di questo momento,
perché altrimenti si incazzerebbe con se stesso”
commenta James con una smorfia disgustata e divertita.
Lo fulmino con lo sguardo.
“Hai intenzione di fare la telecronaca di ciò che viene
fuori dallo stomaco di Conor, o puoi anche andare a recuperare dei
fazzoletti?”
“Va bene, scusa.”
Detto questo, si precipita all'interno del locale in cui abbiamo
trascorso la serata, per poi ripresentarsi da noi qualche secondo più
tardi con un intero dispenser di tovagliolini in mano.
“Quello l'hai rubato
da un tavolo?” mi informo, perplesso.
“Potrebbe essere”
sghignazza lui, porgendomi un fazzoletto.
Conor intanto sembra aver
finito, così glielo passo sul muso. Dopodiché lo faccio
indietreggiare e allontanare dalla pozzanghera formatasi ai suoi
piedi. Nell'aria si è diffuso un odore nauseante, mi devo
trattenere dall'impulso di tapparmi il naso.
Che situazione di merda. Non
è proprio così che intendevo iniziare il 2019.
Con l'aiuto di James,
ripulisco il giubbotto di Conor – per fortuna è
impermeabile – e cerco di salvare ciò che si può
delle sue scarpe da ginnastica.
Lui intanto non reagisce, si
tiene in piedi a stento e ha gli occhi chiusi.
“Lo devo ficcare nella
mia macchina in questo stato? Non potreste prendere un taxi?”
borbotta James, andando a gettare i fazzoletti usati in un cestino
dei rifiuti poco distante.
Io stringo Conor contro di
me e lascio che mi si abbandoni addosso, la testa poggiata sulla mia
spalla. Non ha più nessuna forza, penso si stia perfino
addormentando.
“Ti prego, Price,
fammi questo favore. Conor starà a casa mia, così non
farai troppa strada per riportarlo. E ti giuro che non ti sporcherà
i sedili.”
James sospira. “Va
bene, prendo l'auto e la porto qui, così lo carichiamo e non
se ne parla più!”
Sorrido. “Grazie
fratello, ti devo un favore.”
Sposto lo sguardo dalla
strada che scorre fuori dal finestrino al volto disteso e sereno di
Conor. Adesso dorme beatamente accoccolato contro di me, con il capo
posato sul mio petto. Io lo cullo tra le mie braccia e di tanto in
tanto gli accarezzo la schiena attraverso il giubbotto. Non emana un
odore tanto invitante, ogni tanto borbotta nel sonno, ma è
tenero e la sua vicinanza non mi dispiace affatto. Anzi, mi sento
onorato dal fatto che mi prenda come un punto di riferimento, che si
appigli a me e cerchi le mie attenzioni.
Eppure so che non mi dovrei
illudere troppo: Conor è ubriaco, ecco perché si
comporta così. Lui non prova certo le mie stesse sensazioni.
“Siamo arrivati!”
annuncia James, parcheggiando l'auto di fronte a casa mia.
Apro lo sportello, scosto
Conor dal mio petto e lo faccio adagiare sul sedile, poi esco
dall'abitacolo e lo aiuto a fare lo stesso.
“Phil...”
mormora lui, schiudendo appena le palpebre.
Oh, si sta risvegliando.
“Shh, è tutto a
posto” lo rassicuro, stringendolo subito al mio fianco. È
incredibile, appena lo lascio un attimo sulle sue gambe rischia di
rovinare a terra.
“Serve aiuto?”
chiede James, abbassando il suo finestrino.
“No, tranquillo.
Cioè... effettivamente se mi aprissi la porta... oh cazzo.”
Afferro le chiavi di casa dalla mia tasca, ma subito dopo mi cadono a
terra.
Il mio amico subito scende
dalla macchina, recupera il mazzo di chiavi e mi aiuta a trascinare
Conor fino al divano di casa mia. Lo ringrazio di cuore.
“Mi devi una birra,
amico” è l'ultima cosa che dice prima di rientrare nella
sua auto.
“Non nominare alcolici
proprio ora, altrimenti vomito come Conor!”
Rientro in casa, dove Conor
mi aspetta sul divano con gli occhi sgranati. Deglutisco, leggermente
inquietato: com'è che adesso sembra completamente sveglio?
“Philip.”
“Sì?”
“Ci sono i piatti
sporchi. Devo lavare i piatti.”
Scoppio a ridere. In effetti
dopo pranzo non avevo voglia di rimettere a posto e ho lasciato le
stoviglie nel lavello.
Mi avvicino a Conor e gli
scompiglio i capelli, poi lo aiuto a sfilarsi il giubbotto. “Adesso
non ci pensiamo. Andiamo, ti devi dare una lavata.”
Lui sbuffa.
“Dai Con, hai
vomitato, non ti puoi addormentare così.”
Si lascia sfuggire un
mugugno, chiude gli occhi e poggia la testa sulla spalliera del
divano.
Sospiro e mi passo una mano
tra i capelli. Tutto ciò sta cominciando a stufarmi, ma non
voglio perdere la pazienza. Non ci riesco, perché in fondo il
mio amico mi fa troppa tenerezza.
Lo
trascino in bagno, lo aiuto a sciacquarsi il viso, ma subito dopo mi
blocco, indeciso sul da farsi. Lo dovrei svestire, sbarazzarmi di
jeans e camicia sporchi, dargli uno dei miei pigiami. Ma mi sento a
disagio a toccarlo così.
Inizio a sbottonargli la
camicia e gliela sfilo con delicatezza, mentre le mie guance vanno in
fiamme. Gli poso due dita sotto il mento e lo invito a sollevare il
capo. “Conor, apri gli occhi.”
Lui mi obbedisce subito.
“Devo lavare i piatti.”
Scuoto la testa. “Vado
a prendere una tuta per te, anche se ti starà grande. Tu
riesci a rivestirti da solo?”
Lui tace e mi guarda, gli
occhi persi.
“Okay.” Mi
allontano da lui ed esco dal bagno. Mi fiondo verso il mio armadio e
recupero una felpa verde bottiglia e un paio di pantaloni della tuta
grigi.
Per fortuna dormiremo in due
stanze diverse, altrimenti oggi potrei impazzire.
Scaravento il giubbotto di
Conor sull'appendiabiti nell'ingresso, poi recupero le scarpe che si
è sfilato mentre era sul divano. Domani controllerò il
loro stato e se si possono recuperare, ma oggi mi limito a metterle
in un angolo.
Sto per spegnere la luce e
recarmi in camera mia, quando Conor appare sulla soglia della sala e
si appoggia con una mano allo stipite.
Lo squadro da capo a piedi e
sorrido nel rendermi conto che si è messo la felpa al
contrario, con le cuciture verso l'esterno. È troppo tenero.
“Che cos'è
tutto questo disordine, Philip? Diamo una pulita, devo lavare i
piatti!” esclama.
“Basta Con, andiamo a
dormire. Domani metteremo in ordine” ribatto subito, cercando
di essere autoritario.
“No, io voglio lavare
i piatti! Lo sai che il casino mi dà fastidio, non riesco a
dormire altrimenti!” insiste lui, sollevando il tono della
voce.
Gli poso le mani sulle
spalle e lo faccio indietreggiare per poter uscire dalla stanza. Per
fortuna è ancora molto debole e non oppone resistenza.
“Devo. Lavare. I.
Piatti. Cazzo!” scandisce ancora Conor, divincolandosi dalla
mia stretta.
Allora lo prendo per un
polso e lo trascino nella piccola stanzetta degli ospiti, dove
passerà la notte. Chiudo la porta e mi ci poggio contro in
modo che non la possa aprire, poi gli lancio un'occhiata disperata.
Lo prego mentalmente di darsi una calmata, perché sono
distrutto e le sue grida in questo momento non sono per niente
piacevoli.
Lui incrocia le braccia sul
petto e mette su un broncio abbastanza buffo.
“Conor...”
“Che vuoi?”
strilla lui.
Sbuffo. Di questo passo
sveglierà i vicini.
Non lo sopporto quando è
così isterico.
“Ma tu non eri stanco?
Sdraiati” gli consiglio.
Conor emette un gemito
esasperato che mi ferisce le orecchie, poi mi si piazza davanti e mi
preme le mani sul petto.
Rabbrividisco a quel
contatto, ma cerco di non scompormi troppo. Non è questo il
momento giusto per lasciarsi trasportare dalle emozioni.
“Come faccio a dormire
senza aver lavato i piatti? Sono in disordine!” strilla ancora
Conor.
Non è in sé, è
evidente.
Con una mano gli intrappolo
i polsi, mi stacco dalla porta e lo conduco delicatamente verso il
letto, ma lui cerca di divincolarsi e continua a gridare e
lamentarsi.
“Conor, basta,
sveglierai tutto il vicinato!” sbotto, davvero spazientito.
Ma lui non ne vuole sapere.
“Lasciami stare!”
Ora basta.
Senza allentare la presa sui
polsi, lo stringo forte contro di me. Lui mi si spalma addosso,
stavolta senza opporsi. Ha il viso a pochi centimetri dal mio.
È un'impresa riuscire
a controllarmi, ora che è così vicino a me.
“Stai zitto ora?”
sibilo.
“No, devo andare a...”
comincia a blaterare.
Premo con decisione le mie
labbra sulle sue, almeno così smetterà di tormentare le
mie povere orecchie.
E infatti nella stanza,
finalmente, cala il silenzio.
Conor non reagisce, rimane
così, con le labbra intrappolate nelle mie. Solo dopo qualche
istante si libera dalla stretta della mia mano e mi posa le sue sulle
braccia.
Io sono completamente
scombussolato da quel contatto. Per quanto tempo ho sognato quel
momento? Per quanto tempo ho creduto che non sarebbe mai arrivato?
Non dovevo baciare Conor, ho
sbagliato. Sono riuscito a reprimere quell'istinto per mesi e ora mi
sto approfittando di lui, che è ubriaco.
Il mio amico si stacca da
me, indietreggia di qualche passo e cade a sedere sul letto alle sue
spalle. Mi guarda con gli occhi sgranati e le labbra leggermente
schiuse. Ora non urla più, sembra essersi calmato del tutto.
Mi viene quasi da piangere.
Ho rovinato tutto e ho paura che domani Conor ricorderà ogni
cosa.
“Scu... scusa”
balbetto, torcendomi le mani e distogliendo lo sguardo da lui. Mi
vergogno talmente tanto che non riesco più a sostenere il suo
sguardo. Mi fisso le mani, escogito un piano per fuggire da quella
stanza.
Ma qualche istante dopo
sento un tocco leggero all'altezza della spalla, due dita che si
posano sulla mia maglia e scorrono dolcemente per il braccio.
Trovo finalmente il coraggio
di sollevare appena lo sguardo. Conor è di nuovo in piedi
davanti a me, ha le labbra increspate in un enorme e sbilenco
sorriso. “Phil...”
“L'ho fatto per farti
tacere” mi giustifico, le guance che mi vanno in fiamme. Di
nuovo.
Rimango di sasso quando lui
mi scaraventa sul letto. Mi sollevo sui gomiti, allarmato, ma lui
subito mi si sdraia sopra e comincia a tempestare il mio viso di
baci, fino a impossessarsi nuovamente delle mie labbra e approfondire
quel contatto che prima era rimasto così superficiale.
Il cuore mi batte
all'impazzata nel petto, non so che fare. Una parte di me mi
suggerisce di ricambiare, di godermi quel momento che ho sempre
desiderato; dall'altra parte però c'è la mia coscienza,
che mi suggerisce di non dare retta a Conor, perché lui è
ubriaco e non è consapevole delle sue azioni.
Ma alla fine non resisto
più: stringo Conor tra le mie braccia e lo bacio con
trasporto, con la dolcezza e il rispetto che merita.
“Allora strillerò
più spesso” mi soffia sulle labbra in tono fintamente
innocente, con il sorriso nella voce.
Gli accarezzo piano un
fianco e gli rubo un altro bacio a fior di labbra. “Meno male
che ti sei lavato i denti.”
Lui ridacchia in quel modo
dolce e leggero che ogni volta mi fa perdere la testa.
Sorrido e lo abbraccio
forte, lasciandogli dei leggeri baci sulla fronte e tra i capelli. Mi
fa impazzire la sua voce così delicata, il suo viso da
bambino, la sua spontaneità, la sfacciataggine che porta fuori
quando esagera con l'alcol. Mi chiedo come ho fatto, per tutto questo
tempo, a stargli lontano e fingere di essergli semplicemente amico.
Conor ha sepolto il viso
nella mia spalla e il suo respiro pesante e caldo mi fa rabbrividire.
Mi irrigidisco quando
insinua le sue dita fredde sotto la mia maglietta e mi accarezza il
ventre.
“Conor...”
mugolo.
“Dimmi” sussurra
lui contro la mia spalla.
“Hai le mani
congelate. Lascia stare, non è il momento.”
“Dai...”
protesta lui.
Lo allontano con dolcezza da
me. Lui solleva il capo e punta i suoi occhi nei miei.
“Dobbiamo dormire”
affermo.
“Stai qui con me?”
mi chiede, sbattendo le ciglia come un cerbiatto.
“Ma siamo su un letto
singolo, non ci staremo mai” gli faccio notare.
Conor storce il naso. “Certo
che ci stiamo!” Detto questo, si intrufola nel piccolo
spazietto rimasto sul materasso accanto a me e io sono costretto a
sdraiarmi su un fianco per fargli spazio.
Mi bacia di nuovo sulle
labbra e mi trasmette tutto il desiderio che prova nei miei
confronti. Lo stesso desiderio che provo anch'io.
È assurdo che Conor
mi ricambi. E stavolta non credo sia l'effetto dell'alcol, l'ha
voluto davvero.
Lo desidero così
tanto, vorrei soltanto eliminare tutta quella stoffa che ci separa e
averlo ancora più vicino. Ma non è questo il momento, e
se mai accadrà, voglio che Conor sia sobrio e padrone di sé.
Per il momento mi limito a lasciargli piccoli baci sul viso,
accarezzargli i capelli e la schiena, godere della sua vicinanza e
del calore del suo corpo.
Lui si addormenta poco dopo.
Era prevedibile, anzi, mi sorprende che non sia crollato prima.
Lo cullo ancora tra le mie
braccia, finché il sonno non rapisce anche me. È un
sonno pesante e sereno, proprio ciò di cui avevo bisogno,
allietato ancora di più dalla presenza del mio amico.
Lo posso ancora definire
così?
Devono essere almeno le
quattro del pomeriggio quando riapro gli occhi di scatto. Mi sono
risvegliato di botto, forse ero nel bel mezzo di qualche incubo che
non ricordo.
Sono stipato in un angolino
del letto, ma accanto a me non c'è nessuno.
Dove si è cacciato
Conor?
Scatto a sedere con gli
occhi sbarrati. E se avesse deciso di tornare a casa senza avvisarmi?
E se si fosse pentito di ciò che è successo ieri notte?
La tempia destra mi pulsa
leggermente, ma non è poi così fastidioso. Ieri ero
appena brillo, non dovrò combattere contro gli infiniti
effetti collaterali dell'alcol.
Dei rumori in cucina mi
avvisano che qualcuno è in casa, così tiro un sospiro
di sollievo. Allora Conor non se n'è andato!
Mi metto in piedi e, senza
nemmeno fare tappa in bagno, mi dirigo subito nella direzione da cui
provengono i rumori. So già cosa mi troverò di fronte,
e so anche che scoppierò a ridere.
Mi fermo sulla soglia e
osservo Conor, ancora con la felpa al contrario e i pantaloni troppo
lunghi che rischiano di incastrarglisi sotto i piedi scalzi. Sta
canticchiando distrattamente mentre, con le mani ricoperte di
schiuma, passa con cura la spugnetta su un piatto.
Non ci posso credere. Inizio
a ridere senza riuscire a contenermi, sempre più forte.
Conor si volta appena nella
mia direzione e aggrotta le sopracciglia. “Buongiorno. Ieri non
scherzavo quando te lo dicevo. Il disordine mi dà fastidio.”
“Allora ti porto a
casa di Dom” ribatto tra le risate.
Lui mi sorride, lascia
piatto e spugnetta nella vaschetta del lavabo, si avvicina a me e mi
regala un bacio a fior di labbra.
Divento di pietra. Quindi
anche quello era una sua decisione, se lo ricorda.
“Che c'è?”
mi chiede dolcemente, con un sorriso.
“Quindi tu...?”
Lui si avventa nuovamente
sulle mie labbra e fa aderire il suo corpo al mio, attento a non
sgocciolare sul pavimento con le mani ancora piene di schiuma.
“Senti, continuo a
lavare i piatti, tu mi procureresti un antidolorifico? Ho una guerra
nucleare in testa!”
Scuoto la testa e gli scocco
un sorriso intenerito. “Sei allucinante!”
Lui ridacchia.
Nella sua imperfezione, è
talmente perfetto che ancora non posso credere di averlo qui, accanto
a me.
Forse questo 2019 non è
cominciato poi così male.
♥
♥ ♥
Ehilà,
buona Epifania a tutti! *-*
Vi
devo raccontare una cosa a proposito della Befana e dell'altra shot
di questa raccolta XD dopo aver scritto “My bloody lip never
tasted so sweet”, ho fatto un sogno in cui mia madre mi
regalava due pacchi di marshmallow! Non sto scherzando, è
successo davvero :D
Ebbene,
ho raccontato questo sogno a mia sorella Kim e lei ha ben pensato di
regalarmi un pacco di marshmallow oggi, in occasione dell'Epifania!
Grazie Kim, sei sempre sul pezzo, ora la DomxJoe è ancora più
dolce e concreta nella mia mente :'D
Ora
la pianto di blaterare e dire cose che non interessano a nessuno!
Innanzitutto
vi segnalo che il titolo di questo racconto è un verso del
testo di “You Know Me Too Well” dei Nothing But Thieves,
che vi consiglio!
Poi...
che ne pensato di quest'altra ship? Già da qualche tempo il
mio cervello stava macinando sulla ConorxPhil, poi un colpo
improvviso di ispirazione mi ha praticamente costretto a scrivere
questa storia ed ecco il risultato!
Eh
sì, alla fine Conor ha lavato 'sti diamine di piatti,
ahahahah!
Grazie
a coloro che hanno recensito la shot precedente e grazie a Emy e
Arianna che hanno deciso di accettare questa storia nel loro contest
:3
Alla
prossima avventura, stay rock!!! ♥
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