11.
Furono
attimi di panico, di frenesia e di totale confusione ma, prima di
tutto, Dev pensò
a trascinare Iris verso terra, temendo un altro colpo, stavolta
più preciso… e
mortale.
Crollando
in ginocchio sul terreno smosso e poi direttamente a terra, il viso a
un palmo
dal sentiero, Iris strinse i denti per il dolore – quanti
recettori aveva, il
suo corpo?! – e, in un soffio, sibilò:
«Sta scappando… Alyssia sta
scappando…»
«Alyssia?!»
gracchiò Devereux, sgomento.
«Ho
sentito il suo odore, Dev. E’ stato questo a mettermi in
allarme. Assieme alla
puzza della polvere da sparo. Ma ora non c’è
più…» ansimò lei, tenendosi
la
spalla perforata e sanguinante.
Dev
si arrischiò a tirarsela contro per permetterle di stare
seduta e, la schiena
ben premuta contro un cespuglio, le disse: «Scusa, ma devo
controllare.»
Lei
assentì e l’uomo, scostandole il colletto della
camicetta, si accigliò e domandò:
«E’ normale che faccia così?»
«Così,
come?» si preoccupò lei, volgendo il capo a
guardarsi la spalla.
Sotto
i suoi occhi terrorizzati, la ferita da arma da fuoco stava
letteralmente
chiudendosi un millimetro alla volta e il sangue, copioso fino ad
alcuni
istanti prima, stava già smettendo di sgorgare.
«Oh,
Dio, oh, Dio, oh, Dio…»
iniziò a dire
Iris, sgranando sempre di più gli occhi per la paura.
Dev
non perse altro tempo e, caricatala tra le braccia,
borbottò: «Non svenire,
okay? Non crollarmi adesso!»
Lei
assentì in preda al panico, ma le lacrime sgorgarono non
richieste e Dev,
affrettando il passo fin quasi a mettersi a correre,
sussurrò: «Ce la puoi
fare, sottiletta. Coraggio. Lucas ci aiuterà.»
«Ho
paura, Devereux» ammise Iris, non riuscendo a comprendere
perché il suo corpo
stesse comportandosi a quel modo.
Che
fine aveva fatto, il proiettile?
«Vorrei
vedere. Ti hanno appena sparato» cercò di
ironizzare lui. «Cristo, non pesi
niente, ragazza. Altro che sottiletta. Dovrei chiamarti foglio di
carta!»
Iris
rise nonostante tutto, anche se la paura stava prendendo il sopravvento
su
tutto. Avvertiva senza sforzo il corpo estraneo dentro di sé
muoversi come un
serpente, così da stazionarsi in un luogo a lui
più congeniale.
Il
che non voleva dire, necessariamente, che fosse più
congeniale anche per
lei.
I
continui sobbalzi provocati dalla corsa di Dev, poi, non facevano che
peggiorare la sua sensazione di malessere e, quando finalmente ebbero
raggiunto
il campeggio, Iris ringraziò mentalmente il cielo.
Ancora
un poco e avrebbe dato di stomaco.
Rallentando
l’andatura, Dev puntò direttamente verso la casa
dei Johnson, che si trovava
all’interno del camping e, dopo aver bussato freneticamente
alla porta, l’uomo
esclamò: «Clarisse, ci sei?
C’è bisogno di te!»
Iris
percepì i movimenti della donna all’interno della
casa ma, assieme a lei,
avvertì anche altro, un odore che le era familiare ma che
non apparteneva a
Clarisse né, tanto meno, a Lucas.
Si
trattava di Chuck Johnson che, inspiegabilmente, si trovava a casa, a
quell’ora, e non al lavoro.
Questo
la mise in allarme ma, tra la sensazione di malessere e il panico fin
lì
accumulati, non riuscì ad avvisare Devereux del pericolo.
La
porta si aprì proprio mentre Iris afferrava la felpa
dell’uomo per spingerlo ad
allontanarsi e Dev, facendo tanto d’occhi, esalò:
«Ah… Chuck. Che ci fai a
casa?»
«Perché?
Volevi darti alla pazza gioia con la mia Clary?»
ironizzò l’uomo prima di
notare Iris tra le sue braccia ma, soprattutto, il pallore spettrale di
quest’ultima. «Che le è successo? Sta
male?»
Anche
Clarisse si affacciò alla porta e, vedendo Iris spaurita e
pallida come un
cencio, disse perentoria: «Portala in casa, Dev. Subito.»
Devereux
non attese oltre e, incamminatosi all’interno,
seguì fiducioso Clarisse mentre
Chuck chiudeva la fila, dubbioso quanto preoccupato.
«Che
è successo?» domandò nel frattempo
Clarisse.
Dev,
però, non rispose e, dopo aver depositato Iris sul divano
indicatole dalla
padrona di casa, guardò Chuck e infine le chiese:
«Che vogliamo fare,
Clarisse?»
La
donna fissò esasperata l’uomo, la giovane stesa
sul divano e infine, sbuffando,
esalò: «Tua madre ha ragione. Hai la
sensibilità di un pezzo di legno! Non sono
cose che si possono affrontare così, su due piedi!»
«Solo
perché ho detto la verità?!»
replicò Devereux, puntandosi il pollice contro il
torace con aria offesa.
Chuck
li guardò in alternanza per diversi secondi, del tutto
sconcertato da quel
dialogo senza senso e, poggiate le mani sui fianchi,
dichiarò: «Prima ho
scherzato, Dev ma, se stai combinando qualcosa con la mia
Clary…»
Dev
arrossì come un peperone maturo, di fronte a
quell’accusa per niente velata e,
irritato, replicò: «Cristo, Chuck! Con tutto il
rispetto, visto che Clarisse è
una bella donna, ma ha quasi l’età di mia madre!
Mi sembrerebbe di… di… no,
guarda, preferisco non dirlo.»
Clarisse
stessa scosse il capo con esasperazione e, fissando bieca il marito,
sbottò:
«Ti sembra che ti abbia mai dato l’idea di volermi
cercare un altro uomo,
Chuck?»
«Certo
che no, però…» tentennò lui,
prima di guardare Iris, che ora stava sudando
copiosamente, e aggiungere: «… dovete spiegarmi lei. Perché non stiamo
chiamando il dottore, in questo momento?»
Devereux
sospirò, si passò una mano sul viso e disse:
«Perché lei
non può andare dal dottore. Forse, le saresti più
utile tu.»
«Chi?
Un veterinario?» scoppiò a ridere Chuck, mentre
Clarisse fissava irritata Dev e
Iris lo raggelava con un’occhiata febbricitante quanto
astiosa.
«E’
inutile che mi fissiate a questo modo, signore. Continuare a mentirgli
sarebbe
assurdo, visto che ci serve la sua
consulenza» replicò piccato Devereux.
Lucas
scelse quel momento per entrare in casa e, sorpreso nel trovarli tutti
in
salotto, chiese: «Ma che fate?»
L’attimo
seguente, però, vide Iris stesa sul divano ma, soprattutto, percepì Iris e ciò
che non andava in
quel quadretto senza senso.
Il
suo cuore dal battito alterato, la sua paura genuina, la febbre che
continuava
a salire in risposta alla reazione immunitaria a un corpo estraneo,
l’odore
ferroso del sangue. Ignorando tutti, Lucas la raggiunge in pochi,
rapidi passi
e si accucciò accanto a lei. Istintivamente, poi, le
annusò il collo prima di esalare:
«Cosa diavolo ti hanno fatto, Iris? Chi ti ha
sparato?»
«Fucile…
Alyssia…» mormorò roca la giovane,
cercando la mano di Lucas.
Lui
gliela strinse con forza e, volgendosi accigliato verso il padre,
disse: «Papà,
devi operarla in clinica.»
«Ma
cosa state vaneggiando, tutti quanti? Qualsiasi cosa abbia la ragazza,
deve essere
portata all’ospedale» asserì Chuck, del
tutto serio in viso e pronto a prendere
in mano le redini della situazione.
Lucas,
però, non glielo permise. Prese in braccio Iris, si
posizionò di fronte al
padre e disse nuovamente: «Un proiettile preme vicino alla
parete del cuore,
per questo ha il respiro affannoso. Inibisce il corretto movimento del
muscolo,
portando il suo fisico a reagire. Ora come ora, sta tentando di mettere
in
sicurezza il cuore e di arginare il corpo estraneo che la sta
danneggiando. Questo,
però, fa muovere il proiettile troppo vicino alla membrana
cardiaca, che
rischia di essere lacerata. Devi operarla
ora.»
Chuck
lo ascoltò in silenzio per tutto il tempo e, quando il
figlio ebbe terminato di
parlare, domandò torvo: «E tu come sai tutto
questo?»
Lucas
allora sospirò, si lasciò andare a un triste
sorriso e ammise: «Perché ho un
piccolo segreto che ti ho tenuto nascosto fino a ora, ed è
lo stesso segreto
che rischia di uccidere Iris. Te ne parlerò… ma
tu salvala, ti prego.»
L’uomo
si limitò ad assentire e, volgendosi per uscire di casa
assieme al nutrito
gruppo di soccorritori, borbottò: «E’
interessante notare come tu e tua madre
siate riusciti a tenere la bocca chiusa per sedici anni, ma sia bastata
questa
ragazza californiana per farvi diventare delle radio accese a tutto
volume.»
Sia
Lucas che Clarisse spalancarono gli occhi per la sorpresa, ma Chuck non
diede
altre spiegazioni e, ordinato al figlio di caricare Iris sul suo
pick-up, continuò
dicendo: «Clarisse, tu e Dev seguiteci con la tua auto. Lucas
penserà a tenere
ferma Iris.»
La
donna assentì e, quando salì sulla sua Toyota
Prius assieme a Devereux,
borbottò: «Quell’uomo non
finirà mai di sorprendermi.»
Dev
si limitò a un mezzo sorriso, ma non disse nulla, lieto
nonostante tutto che
Chelsey fosse a pranzo dai nonni, in quel momento.
Lo
preoccupava molto ciò che Lucas aveva detto circa le
condizioni di salute di
Iris e, in tutta onestà, aveva una gran voglia di mettere le
mani attorno al
collo di Alyssia.
Per
questo, però, ci sarebbe stato tempo. Ora, dovevano pensare
a Iris, e Chelsey
non aveva bisogno di vederla in quelle condizioni così
precarie.
***
Disposta
sul tavolo operatorio della sala ove, solitamente, Chuck operava
quadrupedi o
creaturine alate, Iris era ormai a un passo dallo svenimento.
Non
riusciva più a comprendere appieno ciò che stava
succedendo intorno a sé.
Percepiva soltanto lo sforzo compiuto dal suo corpo per eliminare il
proiettile, così come il suo cuore in affanno, sfiancato
dalla lotta per
assorbire il corpo estraneo e renderlo innocuo.
Lentamente
quanto inesorabilmente, la sua carne lo stava inglobando per proteggere
il
corpo ma, nel farlo, lo stava fondendo con le pareti esterne del cuore,
rendendo sempre più prossimo un attacco cardiaco.
«Ora
ti addormenteremo, Iris. Non temere, farò del mio meglio per
farti riprendere»
le spiegò Chuck, sistemandole la maschera per
l’anestesia.
Lei
ebbe sì e no il tempo di assentire, prima di cadere
nell’oblio e Chuck,
sospirando, controllò un’ultima volta il manuale
che stava consultando ormai da
diversi minuti.
«Speriamo
che queste cifre siano giuste. L’anestesia sugli animali
viene smaltita in un
modo, mentre sugli umani in un altro» brontolò
l’uomo, poggiando il libro su
una scrivania prima di disinfettarsi mani e avambracci nel secchiaio
della sala
operatoria.
«Andrà
bene» annuì Lucas, sistemandosi la mascherina
dinanzi al volto. «Con tutta
probabilità, il suo corpo starà cercando di mangiarsi
il proiettile, ma è troppo vicino al cuore e questo
è un pericolo.»
«Ti
sei sparato, per saperlo?» borbottò Chuck,
sistemandosi i guanti in lattice.
Raggiunto
il tavolo operatorio, scrutò la spalla a malapena segnata da
una cicatrice
quasi completamente rimarginata, il tubo endotracheale che permetteva a
Iris di
respirare e, sospirando, afferrò il Betadine.
Dopo
aver massaggiato con la spugna imbevuta di disinfettante la superficie
da
incidere, afferrò un bisturi e procedette con il taglio ma,
quasi
immediatamente, il corpo della giovane si rivoltò contro di
lui.
«Ma
che diavolo…»
La
lacerazione appena compiuta da Chuck iniziò a richiudersi
alle estremità,
lentamente, come un fiore che si appresti al riposo notturno.
«Come
temevo» sospirò Lucas, scuotendo il capo.
«Che
intendi dire?» sbottò il padre, fissandolo in
preda alla confusione.
Durante
il viaggio verso la clinica veterinaria, Lucas aveva accennato al padre
la sua
reale natura e, per diretta conseguenza, Chuck aveva imprecato e gli
aveva dato
del matto.
L’attimo
seguente, però, aveva mormorato di alcune favolette
raccontategli dalla
bisnonna, quando lui ancora era un bambino, e Lucas se n’era
stupito
enormemente.
Dacché
ricordasse Lucas, il padre non gli aveva mai raccontato storie della
buonanotte, poiché le aveva sempre ritenute delle
assurdità inadatte a far
dormire davvero un bambino.
In
quel momento, però, si era ricordato delle favole della
bisnonna, e di come
fossero dannatamente simili alla storia raccontatagli dal figlio.
L’arrivo
alla clinica aveva interrotto la loro chiacchierata ma, in quel
momento, Lucas
tornò sull’argomento e domandò:
«La bis-bisnonna Lorainne cosa ti disse?»
«Di
non farmi beffe delle leggende, visto che un nostro trisavolo era stato
sia un
uomo che un lupo, e aveva combattuto le prime guerre contro gli uomini
bianchi,
quando avevano tentato di conquistare il Nord»
brontolò Chuck. «Col senno di
poi, avrei dovuto prestarle più orecchio, ma ricordo molto
poco delle sue
storie. Questo strano comportamento, quindi, è legato a
ciò che siete?»
«Mi
sono tagliato molte volte con i coltelli, ma le ferite sono sempre
scomparse
nel giro di pochi minuti…» annuì Lucas,
pensieroso. «…mentre Iris porta sul
braccio la ferita da artiglio dell’uomo che l’ha
trasformata in quello che è
adesso. Posso solo dedurne che le normali lame non hanno molto effetto,
su di
noi, mentre i nostri artigli, sì.»
«Proporresti
quindi di…» esalò il padre, sgranando
gli occhi per lo sgomento.
Lucas
impallidì al solo pensiero di dover usare i propri artigli
su Iris ma assentì,
mormorando: «La inciderò io e terrò
aperto il torace, così che tu possa
avvicinarti al cuore e rimuovere il tessuto che sicuramente si
sarà già formato
attorno al proiettile.»
«Cristo
Santo…» gorgogliò l’uomo,
prima di annuire freneticamente. «In ogni caso,
sbrighiamoci. I suoi valori sono sempre più
instabili.»
Lucas
assentì e, concentrandosi sul proprio lupo,
lasciò che le unghie della sua mano
divenissero artigli sotto gli occhi sempre più sconcertati
del padre.
L’uomo
non disse nulla, e il figlio gliene fu grato, ma Lucas sapeva bene che,
presto
o tardi, entrambi avrebbero dovuto affrontare una bella chiacchierata.
Deglutendo
a fatica, il giovane poggiò quindi l’artiglio
sulla ferita a malapena richiusa
sul torace di Iris e, facendo forza, affondò nella carne e
nell’osso.
Lucas
avrebbe rammentato per tutta la vita quella tremenda operazione, la
sensazione
di tenere letteralmente le mani dentro il corpo di Iris, mentre suo
padre
incideva il tessuto cicatriziale formatosi accanto al cuore per
inglobare il proiettile.
Ore
dopo, stremato ma soddisfatto, Lucas si ritrovò a sorridere
a un preoccupato
Rock che, in piedi accanto a loro, attendeva di vedere Iris per
accertarsi che
fosse davvero viva.
Quando
era stato avvisato di presentarsi alla clinica di Chuck, aveva mollato
tutto e
si era catapultato a Clearwater come se fosse stato inseguito dai
leoni. Simile
a un tornado, quindi, si era infilato nel retro della clinica per non
spaventare
i clienti e lì, pallido e con lo sguardo vacuo, aveva
trovato Chuck accanto al
tavolo operatorio.
L’uomo
l’aveva invitato a raggiungere la vicina sala
d’attesa e, nell’entrarvi, Rock
aveva visto Lucas in preda a un pianto silenzioso e Devereux impegnato
a
confortarlo.
Offrendogli
un caffè, Rock domandò: «Come ti
senti?»
«Meglio.
Il cuore di Iris batte regolarmente, anche se non comprendo come abbia
potuto
sopportare l’operazione» dichiarò Lucas,
sorprendendo non poco Rock.
«Che
intendi dire?»
«Me
ne sono accorto durante l’operazione, annusando
l’aria… nel suo sangue non
c’era una goccia di anestesia, eppure era incosciente, del
tutto distaccata dal
suo corpo» gli spiegò Lucas, ancora confuso.
Dev,
che sedeva a qualche sedia di distanza nella sala d’attesa,
si incuriosì non
poco e disse: «Può essere per via di Gunnar,
forse.»
«Di
chi?» esalarono assieme sia Lucas che Rock.
Dev,
allora, spiegò loro ciò che Iris aveva avuto il
tempo di raccontargli e Lucas,
sgranando gli occhi, gracchiò: «Beh, questa cosa
è folle persino per me.»
«Non
hai nessuno che chiacchiera nella tua testa?»
domandò a quel punto Rock,
sorridendo al compagno.
«Direi
di no. Quindi, pensi sia stato lui?»
«L’unica
che può risponderti è Iris, visto
che…» iniziò col dire Dev, prima di
bloccarsi
– raggelato – non appena udì il grido
disperato della giovane provenire dalla
sala del post-operatorio.
Come
un sol uomo Lucas, Dev e Rock si riversarono nella stanza, trovandovi
Iris in
preda a violenti brividi e a un pallore spettrale.
«Che
le succede?!» sbraitò Devereux, afferrandole le
braccia perché non toccasse la
medicazione che le copriva la cicatrice lasciata da Lucas.
«E’
il dolore! Non riesce più a sopportarlo, e sembra che la
morfina non faccia
alcun effetto!» esclamò Lucas, afferrandole le
gambe mentre Rock premeva con
tutta la sua forza sui fianchi della giovane.
Rock
e Dev ebbero circa tre secondi per cantare vittoria, prima di venire
catapultati contro il muro della clinica, sbalzati come bambole di
pezza dalla
forza disumana di Iris.
Lucas
non ebbe il tempo di controllare le loro condizioni, perché
abbandonare Iris avrebbe
voluto dire lasciare campo libero a un licantropo fuori di
sé.
Si
gettò per questo sul lettino, bloccandole braccia e gambe
con le proprie e, ai
limiti del pianto, esclamò: «Iris, ti prego,
resisti! Mi senti?»
E’
preda di un
dolore insopportabile, e la sua lupa grida per uscire. La
volontà di Iris è del
tutto concentrata sul non farla scappare, sul non mutare forma!
Lucas
sobbalzò nell’udire quella voce maschile penetrare
nella sua mente e,
titubante, domandò: “Sei
Gunnar? La sua
anima senziente?”
Così
è, giovane
licantropo.
“Sei
tu che hai
permesso ad Iris di affrontare l’operazione?”
Così
è. Sentivo
che, se non fossi riuscito ad allontanarla da quello che stava
succedendo, non
avrebbe mai sopportato lo shock di ciò che stavate per
farle, così l’ho
strappata temporaneamente dal piano del reale.
“Lo
prenderò per
un sì. Ma ora non puoi fare più nulla, per
lei?”
Già
quel che ho
fatto va molto al di là di ciò che potrei fare
normalmente. Proseguire oltre le
avrebbe impedito di tornare, e sarebbe rimasta in coma fino alla morte.
Ora,
purtroppo, deve patire i dolori causati dall’operazione,
senza nulla che possa
alleviarli.
Lucas
imprecò tra sé e si maledisse per la propria
superficialità.
Essendo
sempre stato l’unico mannaro nella sua tranquilla esistenza,
e avendo sempre
condotto una vita ritirata, non aveva mai sentito l’esigenza
di conoscere
qualcosa di più su ciò che era.
L’aiuto
di sua madre e la presenza di Rock lo avevano fatto sempre sentire
appagato, ma
era ormai chiaro che le sue lacune erano davvero troppe, oltre che
pericolose per
tutti loro.
Ciò
che era accaduto a Iris, avrebbe potuto succedere a lui in qualsiasi
altro
frangente. Per un incidente stradale, una brutta caduta nei boschi, per
qualsiasi maledetto motivo.
Non
sapeva come comportarsi in casi del genere, e questo rischiava di far
perdere la
vita a Iris, divorata da dolori così lancinanti che persino
Lucas stentava a
capire come riuscisse a sopportarli.
Quando,
poi, iniziò ad avvertire l’aura di Iris farsi
sempre più forte e sempre più
vibrante, seppe che la lupa stava avendo la meglio.
Se
fosse andata avanti così, avrebbe distrutto la clinica
unicamente con il potere
sprigionato dal suo corpo, esattamente come avevano sperimentato un
mese
addietro, nella foresta.
«Non
lascerò che ti divori, Iris, te lo prometto»
mormorò Lucas, chiudendo gli occhi
per poi sdraiarsi accanto a lei e tenerla stretta con braccia e gambe.
Con
la propria aura inglobò quella della giovane
perché non sfuggisse al suo controllo
e, poco per volta, i tremori violenti di Iris iniziarono a scemare.
Dev
e Rock, in quel mentre, si rialzarono vagamente storditi ma incolumi e,
nello
scorgere Lucas sul lettino, quest’ultimo domandò:
«Sta meglio?»
«E’
allo stremo» mormorò Lucas, preoccupato.
«Dev, devi portare qui Chelsey. Iris
ha bisogno di un altro lupo, al suo fianco.»
Lui
parve restio ad accettare, forse spaventato all’idea di
mettere la figlia di
fronte a una simile situazione di pericolo ma, dopo alcuni attimi,
accettò e si
dileguò dalla stanza.
Rock,
a quel punto, si avvicinò e disse: «E’
la riprova di ciò che ti ho sempre
detto. Devi trasformarmi, Lucas.
Non
puoi continuare a essere solo.»
«Guarda
cosa sta patendo Iris, per via di ciò che le hanno
fatto!» protestò Lucas,
scuotendo furiosamente il capo. «Non ti condannerò
mai a una vita simile!»
«Mi
sembra di essere abbastanza sano di mente e di corpo per poter decidere
da
solo» replicò serio Rock. «Nonna
arriverà domani da Blue River e, visto che lei
è tutt’ora uno sciamano dei Piedi Neri, le
chiederemo ciò che sa. Sono più che
sicuro che ci aiuterà. Lei è saggia e sente molte
cose che, le persone normali,
non avvertono. Così, spiegherai a
lei
perché ti ostini a non farmi diventare come te. Forse, lei
ti crederà… o tu
crederai a lei.»
Lucas
accennò un’imprecazione, ma non ritenne necessario
dire a Rock che non credeva
molto a cose del genere.
In
quel momento non voleva discutere con il suo compagno e, di certo, non
per una
motivazione simile. Rock, però, parve intuirlo
perché, cocciuto, aggiunse: «Mi
darà ragione, una volta saputa la verità. Dovrai
rassegnarti, bello mio.»
***
Quando
Iris riaprì gli occhi, il dolore che l’aveva
ridestata nella clinica e che, per
poco, non l’aveva stroncata in pochi istanti, era quasi del
tutto sparito.
Sentiva
qua e là delle ammaccature di poco conto ma, tutto sommato,
era nulla in
confronto a ciò che aveva patito – quando?
– al suo primo risveglio.
Come ti
senti,
ora?
“Meglio.
Grazie
per avermi allontanata. Come hai capito che l’anestesia non
avrebbe fatto
effetto?”
Ho
pensato alla
ferita che ti ha trasformato, e ai tagli che ti sei fatta in
precedenza, così
ho capito che il bisturi non avrebbe permesso al dottore di lavorare su
di te. Non
era l’arma da taglio giusta. Inoltre, forse tu non te ne sei
mai accorta, ma gli
analgesici che prendevi ogni tanto per i tuoi dolori mestruali, non
facevano mai
effetto. Le emicranie e i crampi ti passavano
per
conto loro, non grazie ai componenti chimici ingeriti, così
ho preferito agire
d’istinto e fidarmi di quanto avevo capito della tua anatomia
complessa.
“Non
posso che
ringraziarti. Ma cos’era il luogo in cui ci siamo
ritrovati?”
E’
il posto in
cui risiedo io di solito. Credo si possa definire subconscio.
“Quindi,
la mia…
essenza, chiamiamola così, si può
allontanare dal
corpo fisico?”
E’
ciò che stava
insegnandoti Clarisse. Se non ho capito male, si chiama meditazione
profonda. Portati alle estreme
conseguenze, corpo e anima possono scollegarsi per qualche tempo. Ho
sfruttato
questa possibilità per permetterti di essere operata ma, a
un certo punto, ho
dovuto farti tornare perché, diversamente, non ti saresti
più risvegliata.
“Grazie,
Gunnar.
Senza di te non sarei sopravvissuta.”
E’
comunque
vitale che scopriate qualcosa di più sulla vostra razza o,
in un’altra
occasione, qualcuno potrebbe morire. Gli spiriti della fanciulla e
dell’uomo al
tuo fianco sono comuni anime candide, non sono senzienti come me e non
sarebbero di alcun aiuto, in un caso simile.
“Fanciulla…
e
uomo al mio fianco?”
esalò Iris, prima di accorgersi dell’effettiva
presenza di qualcuno accanto a
lei.
Annusando
l’aria – visto che erano totalmente immersi
nell’oscurità – Iris percepì
sia
Lucas che Chelsey e, curiosa, se ne chiese il motivo.
Ti
hanno
vegliato per permetterti di riprenderti dal tuo post-operatorio
piuttosto
traumatico. A quanto pare le loro auree, combinate con la tua, ti hanno
permesso di sciogliere i nodi creati dai recettori del dolore.
“Dovrò
sdebitarmi”
sorrise tra sé Iris, sollevandosi lentamente per non
svegliare i suoi due
angeli custodi.
Sgattaiolando
fuori dal letto su cui l’avevano sistemata, Iris
uscì alla chetichella dalla
stanza e solo per trovarsi nel corridoio al primo piano della casa di
Dev.
Sorpresa,
si guardò intorno come per sincerarsi di non essersi
sbagliata, ma gli odori di
Chelsey e Dev la investirono di prepotenza, confermandoglielo.
Dabbasso,
avvertì la presenza assopita di Clarisse, Chuck e Rock, ma
non quella di Dev
che, neanche tanto a sorpresa, si trovava – ben sveglio
– in cucina, alle prese
con un caffè.
Iris
preferì non chiedersi quanti ne avesse bevuti.
All’esterno
era buio pesto, segno che la notte doveva essere assai profonda. Era
passata
mezza giornata, quindi, da quando le avevano sparato?
Sì,
all’incirca
dodici ore, le
confermò Gunnar.
Iris
si tastò il petto, da cui proveniva ancora il fastidio
maggiore. Sollevatasi la
maglia del camice chirurgico che qualcuno le aveva fatto indossare,
sgranò
leggermente gli occhi nel notare la lunga e profonda cicatrice che si
trovava
sullo sterno.
Appariva
rosea e perfettamente sana, ma Iris sapeva bene che sarebbe rimasta
lì per
sempre, fino al suo ultimo respiro.
Nei
due anni in cui era stata un lupo, si era tagliuzzata più
volte con i coltelli,
e aveva scoperto che quelle ferite in particolare non lasciavano alcuna
traccia.
Aveva
anche scoperto suo malgrado come l’argento poco andasse
d’accordo con lei,
dando voce alle antiche leggende sui lupi mannari tanto decantate nei
racconti
dell’orrore.
Si
era così dovuta liberare di gran parte dei suoi gioielli e,
a malincuore, aveva
dovuto sistemare in un cofanetto gli oggetti della madre,
impossibilitata a
indossarli.
Quella
lacerazione che aveva sul torace, quindi, doveva sicuramente essere
stata prodotta
da Lucas. Dubitava che il dottor Johnson possedesse strumenti in
argento, o che
avessero chiesto a Chelsey di squartarla come un pesce.
Il
suo stomaco brontolò all’improvviso, spezzando
quei pensieri e ricordandole che
erano ore che non metteva qualcosa sotto i denti. Sospirando di fronte
a tanta
insensibile ingordigia, scese a piedi scalzi dalle scale, raggiunse il
pian
terreno e si avviò verso la cucina.
Seduto
al piano bar con una tazza fumante di caffè, Dev quasi
lasciò cadere tutto di
mano, non appena vide Iris appoggiata al mancorrente e con un mezzo
sorriso a
illuminarle il viso.
L’attimo
seguente, mollò ogni cosa sul ripiano in legno e la
raggiunse a grandi passi,
esalando: «Ma che ci fai alzata?!»
Lei
gli intimò di non urlare, poggiando un dito sulle sue labbra
e, sorridendo
appena, mormorò: «Sto meglio. Molto meglio. Ma ho
fame.»
«Sei…
sicura?»
Iris
assentì e Dev, lasciandosi andare a un sospiro di sollievo,
la strinse a sé in
un abbraccio stanco quanto sollevato.
La
giovane se ne stupì un poco, ma ne fu lieta. Non era affatto
spiacevole quel
tepore, così come il profumo che la avvolgeva come una
coperta. Fortunatamente,
Dev aveva smesso di usare profumi, perché l’odore
della sua pelle era
dannatamente molto più buono senza aromi artificiali a
coprirlo.
Purtroppo,
però, l’abbraccio durò fin troppo poco
e, quando lui si scostò per
accompagnarla in cucina, Iris fu tentata di chiedergli il bis.
La
lupa lo desiderava, e un po’ anche la donna.
Nel
notare la sua leggera zoppia, però, la sua mente si
preoccupò all’istante e,
turbata, domandò: «Cosa ti sei fatto?»
«Non
te lo ricordi?» le domandò lui, curioso.
Al
diniego di lei, allora Devereux replicò: «Ho
inciampato nel tuo lettino post-operatorio
perché ero mezzo addormentato, così sono
capitombolato a terra.»
Mente, borbottò
Gunnar. Tu potevi anche essere sconvolta
dal dolore, ma io no.
“Oh…
e quindi?”
Lo hai
sbalzato
contro il muro della sala post-operatoria della clinica, quando hai
dato di
matto e loro hanno cercato di calmarti.
A
quell’accenno, Iris sgranò gli occhi e
impallidì di colpo, portando Dev a
esalare: «Cristo, non mi svenire, eh?!»
Una
lacrima rabbiosa si insinuò tra le palpebre socchiuse di
Iris che, stringendosi
le braccia al petto, mormorò furiosa: «Non devi mai metterti in mezzo, quando un
licantropo non si controlla, Dev!»
«Come?
Che cosa…» cominciò col dire
l’uomo prima di fissarla malissimo e borbottare:
«Ehi, di’ un po’, coso
là dentro!
Finiscila di fare le spiate! Non è necessario che la tua
padroncina sappia
proprio tutto!»
Coso, a
chi?!, ringhiò Gunnar nella mente di
Iris.
“Buono,
a
cuccia… non ho bisogno anche di
un
mal di testa. Lo sai che Devereux fa così. Ormai dovresti
averlo capito, no?”
Non
è detto che
mi piaccia, però…
Sedendosi
al tavolo, Iris sospirò e disse: «Non farlo
più, per favore.»
Dev
non le rispose, però, limitandosi a consegnarle una tazza
enorme di cioccolata
calda e dal profumo inebriante.
Lei
la accolse con un sorriso, mentre l’uomo metteva a scaldare
una padella per
prepararle un hamburger.
«Grazie
per aver permesso a Chelsey di aiutarmi.»
Lui
scrollò le spalle noncurante ma, qualche istante dopo, si
volse a mezzo per
dirle con tono estremamente serio: «Mi hai salvato la vita.
Mi sembrava il minimo.»
«Sai,
credo che in effetti quella pallottola fosse destinata a te, e non a
me»
dichiarò Iris, sorprendendolo un poco.
«Da
cosa lo deduci?»
«Se
mi avesse voluta morta, avrebbe continuato a spararmi, una volta avermi
centrato col primo sparo, invece è scappata in preda al
terrore, lasciando…»
disse Iris, prima di spalancare gli occhi e aggiungere: «Ha
lasciato cadere il
fucile sul colle da cui ha sparato!»
Dev
a quel punto assentì, dichiarando: «Subito dopo
avervi portati qui, ho mandato
Chuck e Rock a controllare il punto da cui presumevo fosse partito il
colpo, e
hanno effettivamente trovato un fucile. Lo hanno imbustato, e ora si
trova
nelle mani del comandante Rochester.»
Iris
sgranò gli occhi, a quella notizia, ed esalò
preoccupata: «Cosa… cosa gli avete
raccontato?»
«Che
sei stata ferita di striscio a una spalla, e che Chuck ti ha curata
direttamente al camping, visto che il taglio era lieve. Dovrai solo
mettere una
fasciatura posticcia, quando parlerai con Rochester» le
spiegò Dev, il volto
ridotto a una maschera di gelo.
«Devereux…»
tentennò Iris, non sapendo come interpretare quello sguardo.
«Sei
quasi morta, in clinica e, quando ti sei risvegliata, urlavi come se ti
stessero squartando un pezzetto alla volta…»
sibilò Dev, passandosi una mano sul
viso per il nervosismo e la rabbia.
«…perciò, stavolta, non venirmi a dire
che
non devo sentirmi in colpa, è chiaro?!»
Iris
lasciò perdere la cioccolata e raggiunse subito Devereux.
Spense il fuoco sotto
la padella per non bruciare la carne, ormai dimenticata, e strinse in
un
abbraccio l’uomo, mormorando: «Sei arrabbiato, e lo
sono anch’io, ma non
penserò mai che sia
colpa tua. Mai!»
Poggiando
il capo sul torace di Dev, Iris ne percepì il battito
frenetico, l’adrenalina
nel sangue, la paura che ne irrigidiva i muscoli e, stringendo
ulteriormente,
aggiunse: «Sono viva, okay? Viva.»
Lui
replicò finalmente alla stretta e, tremando per
l’eccessiva tensione
accumulata, mormorò: «Solo per puro caso,
… Cristo, senti qua! Sei pelle e
ossa…»
«Temo
che il mio chilo e mezzo recuperato tanto a fatica, sia andato perso
tutto
oggi» cercò di ironizzare Iris, scostandosi
delicatamente da lui.
Dev
guardò l’hamburger, scrutò lei e infine
dichiarò lapidario: «Credimi. Riuscirò
a farti ingrassare. Fosse l’ultima cosa che faccio.»
Stranamente,
trovò quella frase così assurda la più
bella che avrebbero mai potuto dirle
perciò, annuendo, tornò a sedersi al tavolo
mentre Dev si impegnava ai
fornelli.
Era
davvero strano come potesse manifestarsi l’affetto, ma Iris
era sicura che
quello lo fosse, sincero e disinteressato. Perciò, bellissimo.
N.d.A.:
Iris è salva, ma sicuramente non dimenticherà mai
ciò che le è successo. Anche per questo, scoprire
chi realmente sono, diventa sempre più impellente e Lucas,
che si è tenuto "nascosto" fino a ora, credendo che potesse
bastare, comprende il suo errore e le limitazioni di ciò che
non ha compiuto fino a quel momento.
Devereux,
a sua volta, rimane scioccato da ciò che è
accaduto, e la vista di Iris ferita lo colpisce nel profondo. La sua
decisione di "metterla all'ingrasso" sarà solo dettata dal
desiderio di saperla in salute, o nasconderà altro?
Alla
prossima, per le nuove scoperte dei nostri amici!
|