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Autore: Mary P_Stark    22/04/2019    2 recensioni
Clearwater, Canada. 2018.
Il pellegrinaggio forzato di Irish Walsh ha una battuta di arresto a causa di un banale pneumatico forato. Ma, grazie a questo incidente - o al destino -, ciò le permetterà di scoprire particolari di un passato che non conosce e di una vita che non ha voluto ma che le è stata imposta da mani disattente.
Clearwater sarà il punto d'inizio di un viaggio di ri-scoperta di se stessa e delle sue radici ancestrali e, grazie ad altri come lei, depositari dell'antico sangue di Fenrir, i misteri di un passato comune e antico avranno finalmente una risoluzione.
Niente però avviene con facilità, e lunghe ombre si addenseranno su di loro, complicando un cammino di per sé già impervio. Starà ad Iris e ai suoi nuovi compagni di viaggio, riuscire a fare in modo che nulla interferisca con la scoperta della verità. - Segue le storie de La Trilogia della Luna
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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11.

 

 

 

 

Furono attimi di panico, di frenesia e di totale confusione ma, prima di tutto, Dev pensò a trascinare Iris verso terra, temendo un altro colpo, stavolta più preciso… e mortale.

Crollando in ginocchio sul terreno smosso e poi direttamente a terra, il viso a un palmo dal sentiero, Iris strinse i denti per il dolore – quanti recettori aveva, il suo corpo?! – e, in un soffio, sibilò: «Sta scappando… Alyssia sta scappando…»

«Alyssia?!» gracchiò Devereux, sgomento.

«Ho sentito il suo odore, Dev. E’ stato questo a mettermi in allarme. Assieme alla puzza della polvere da sparo. Ma ora non c’è più…» ansimò lei, tenendosi la spalla perforata e sanguinante.

Dev si arrischiò a tirarsela contro per permetterle di stare seduta e, la schiena ben premuta contro un cespuglio, le disse: «Scusa, ma devo controllare.»

Lei assentì e l’uomo, scostandole il colletto della camicetta, si accigliò e domandò: «E’ normale che faccia così?»

«Così, come?» si preoccupò lei, volgendo il capo a guardarsi la spalla.

Sotto i suoi occhi terrorizzati, la ferita da arma da fuoco stava letteralmente chiudendosi un millimetro alla volta e il sangue, copioso fino ad alcuni istanti prima, stava già smettendo di sgorgare.

«Oh, Dio, oh, Dio, oh, Dio…» iniziò a dire Iris, sgranando sempre di più gli occhi per la paura.

Dev non perse altro tempo e, caricatala tra le braccia, borbottò: «Non svenire, okay? Non crollarmi adesso!»

Lei assentì in preda al panico, ma le lacrime sgorgarono non richieste e Dev, affrettando il passo fin quasi a mettersi a correre, sussurrò: «Ce la puoi fare, sottiletta. Coraggio. Lucas ci aiuterà.»

«Ho paura, Devereux» ammise Iris, non riuscendo a comprendere perché il suo corpo stesse comportandosi a quel modo.

Che fine aveva fatto, il proiettile?

«Vorrei vedere. Ti hanno appena sparato» cercò di ironizzare lui. «Cristo, non pesi niente, ragazza. Altro che sottiletta. Dovrei chiamarti foglio di carta!»

Iris rise nonostante tutto, anche se la paura stava prendendo il sopravvento su tutto. Avvertiva senza sforzo il corpo estraneo dentro di sé muoversi come un serpente, così da stazionarsi in un luogo a lui più congeniale.

Il che non voleva dire, necessariamente, che fosse più congeniale anche per lei.

I continui sobbalzi provocati dalla corsa di Dev, poi, non facevano che peggiorare la sua sensazione di malessere e, quando finalmente ebbero raggiunto il campeggio, Iris ringraziò mentalmente il cielo.

Ancora un poco e avrebbe dato di stomaco.

Rallentando l’andatura, Dev puntò direttamente verso la casa dei Johnson, che si trovava all’interno del camping e, dopo aver bussato freneticamente alla porta, l’uomo esclamò: «Clarisse, ci sei? C’è bisogno di te!»

Iris percepì i movimenti della donna all’interno della casa ma, assieme a lei, avvertì anche altro, un odore che le era familiare ma che non apparteneva a Clarisse né, tanto meno, a Lucas.

Si trattava di Chuck Johnson che, inspiegabilmente, si trovava a casa, a quell’ora, e non al lavoro.

Questo la mise in allarme ma, tra la sensazione di malessere e il panico fin lì accumulati, non riuscì ad avvisare Devereux del pericolo.

La porta si aprì proprio mentre Iris afferrava la felpa dell’uomo per spingerlo ad allontanarsi e Dev, facendo tanto d’occhi, esalò: «Ah… Chuck. Che ci fai a casa?»

«Perché? Volevi darti alla pazza gioia con la mia Clary?» ironizzò l’uomo prima di notare Iris tra le sue braccia ma, soprattutto, il pallore spettrale di quest’ultima. «Che le è successo? Sta male?»

Anche Clarisse si affacciò alla porta e, vedendo Iris spaurita e pallida come un cencio, disse perentoria: «Portala in casa, Dev. Subito.»

Devereux non attese oltre e, incamminatosi all’interno, seguì fiducioso Clarisse mentre Chuck chiudeva la fila, dubbioso quanto preoccupato.

«Che è successo?» domandò nel frattempo Clarisse.

Dev, però, non rispose e, dopo aver depositato Iris sul divano indicatole dalla padrona di casa, guardò Chuck e infine le chiese: «Che vogliamo fare, Clarisse?»

La donna fissò esasperata l’uomo, la giovane stesa sul divano e infine, sbuffando, esalò: «Tua madre ha ragione. Hai la sensibilità di un pezzo di legno! Non sono cose che si possono affrontare così, su due piedi!»

«Solo perché ho detto la verità?!» replicò Devereux, puntandosi il pollice contro il torace con aria offesa.

Chuck li guardò in alternanza per diversi secondi, del tutto sconcertato da quel dialogo senza senso e, poggiate le mani sui fianchi, dichiarò: «Prima ho scherzato, Dev ma, se stai combinando qualcosa con la mia Clary…»

Dev arrossì come un peperone maturo, di fronte a quell’accusa per niente velata e, irritato, replicò: «Cristo, Chuck! Con tutto il rispetto, visto che Clarisse è una bella donna, ma ha quasi l’età di mia madre! Mi sembrerebbe di… di… no, guarda, preferisco non dirlo.»

Clarisse stessa scosse il capo con esasperazione e, fissando bieca il marito, sbottò: «Ti sembra che ti abbia mai dato l’idea di volermi cercare un altro uomo, Chuck?»

«Certo che no, però…» tentennò lui, prima di guardare Iris, che ora stava sudando copiosamente, e aggiungere: «… dovete spiegarmi lei. Perché non stiamo chiamando il dottore, in questo momento?»

Devereux sospirò, si passò una mano sul viso e disse: «Perché lei non può andare dal dottore. Forse, le saresti più utile tu.»

«Chi? Un veterinario?» scoppiò a ridere Chuck, mentre Clarisse fissava irritata Dev e Iris lo raggelava con un’occhiata febbricitante quanto astiosa.

«E’ inutile che mi fissiate a questo modo, signore. Continuare a mentirgli sarebbe assurdo, visto che ci serve la sua consulenza» replicò piccato Devereux.

Lucas scelse quel momento per entrare in casa e, sorpreso nel trovarli tutti in salotto, chiese: «Ma che fate?»

L’attimo seguente, però, vide Iris stesa sul divano ma, soprattutto, percepì Iris e ciò che non andava in quel quadretto senza senso.

Il suo cuore dal battito alterato, la sua paura genuina, la febbre che continuava a salire in risposta alla reazione immunitaria a un corpo estraneo, l’odore ferroso del sangue. Ignorando tutti, Lucas la raggiunge in pochi, rapidi passi e si accucciò accanto a lei. Istintivamente, poi, le annusò il collo prima di esalare: «Cosa diavolo ti hanno fatto, Iris? Chi ti ha sparato?»

«Fucile… Alyssia…» mormorò roca la giovane, cercando la mano di Lucas.

Lui gliela strinse con forza e, volgendosi accigliato verso il padre, disse: «Papà, devi operarla in clinica.»

«Ma cosa state vaneggiando, tutti quanti? Qualsiasi cosa abbia la ragazza, deve essere portata all’ospedale» asserì Chuck, del tutto serio in viso e pronto a prendere in mano le redini della situazione.

Lucas, però, non glielo permise. Prese in braccio Iris, si posizionò di fronte al padre e disse nuovamente: «Un proiettile preme vicino alla parete del cuore, per questo ha il respiro affannoso. Inibisce il corretto movimento del muscolo, portando il suo fisico a reagire. Ora come ora, sta tentando di mettere in sicurezza il cuore e di arginare il corpo estraneo che la sta danneggiando. Questo, però, fa muovere il proiettile troppo vicino alla membrana cardiaca, che rischia di essere lacerata. Devi operarla ora.»

Chuck lo ascoltò in silenzio per tutto il tempo e, quando il figlio ebbe terminato di parlare, domandò torvo: «E tu come sai tutto questo?»

Lucas allora sospirò, si lasciò andare a un triste sorriso e ammise: «Perché ho un piccolo segreto che ti ho tenuto nascosto fino a ora, ed è lo stesso segreto che rischia di uccidere Iris. Te ne parlerò… ma tu salvala, ti prego.»

L’uomo si limitò ad assentire e, volgendosi per uscire di casa assieme al nutrito gruppo di soccorritori, borbottò: «E’ interessante notare come tu e tua madre siate riusciti a tenere la bocca chiusa per sedici anni, ma sia bastata questa ragazza californiana per farvi diventare delle radio accese a tutto volume.»

Sia Lucas che Clarisse spalancarono gli occhi per la sorpresa, ma Chuck non diede altre spiegazioni e, ordinato al figlio di caricare Iris sul suo pick-up, continuò dicendo: «Clarisse, tu e Dev seguiteci con la tua auto. Lucas penserà a tenere ferma Iris.»

La donna assentì e, quando salì sulla sua Toyota Prius assieme a Devereux, borbottò: «Quell’uomo non finirà mai di sorprendermi.»

Dev si limitò a un mezzo sorriso, ma non disse nulla, lieto nonostante tutto che Chelsey fosse a pranzo dai nonni, in quel momento.

Lo preoccupava molto ciò che Lucas aveva detto circa le condizioni di salute di Iris e, in tutta onestà, aveva una gran voglia di mettere le mani attorno al collo di Alyssia.

Per questo, però, ci sarebbe stato tempo. Ora, dovevano pensare a Iris, e Chelsey non aveva bisogno di vederla in quelle condizioni così precarie.

***

Disposta sul tavolo operatorio della sala ove, solitamente, Chuck operava quadrupedi o creaturine alate, Iris era ormai a un passo dallo svenimento.

Non riusciva più a comprendere appieno ciò che stava succedendo intorno a sé. Percepiva soltanto lo sforzo compiuto dal suo corpo per eliminare il proiettile, così come il suo cuore in affanno, sfiancato dalla lotta per assorbire il corpo estraneo e renderlo innocuo.

Lentamente quanto inesorabilmente, la sua carne lo stava inglobando per proteggere il corpo ma, nel farlo, lo stava fondendo con le pareti esterne del cuore, rendendo sempre più prossimo un attacco cardiaco.

«Ora ti addormenteremo, Iris. Non temere, farò del mio meglio per farti riprendere» le spiegò Chuck, sistemandole la maschera per l’anestesia.

Lei ebbe sì e no il tempo di assentire, prima di cadere nell’oblio e Chuck, sospirando, controllò un’ultima volta il manuale che stava consultando ormai da diversi minuti.

«Speriamo che queste cifre siano giuste. L’anestesia sugli animali viene smaltita in un modo, mentre sugli umani in un altro» brontolò l’uomo, poggiando il libro su una scrivania prima di disinfettarsi mani e avambracci nel secchiaio della sala operatoria.

«Andrà bene» annuì Lucas, sistemandosi la mascherina dinanzi al volto. «Con tutta probabilità, il suo corpo starà cercando di mangiarsi il proiettile, ma è troppo vicino al cuore e questo è un pericolo.»

«Ti sei sparato, per saperlo?» borbottò Chuck, sistemandosi i guanti in lattice.

Raggiunto il tavolo operatorio, scrutò la spalla a malapena segnata da una cicatrice quasi completamente rimarginata, il tubo endotracheale che permetteva a Iris di respirare e, sospirando, afferrò il Betadine.

Dopo aver massaggiato con la spugna imbevuta di disinfettante la superficie da incidere, afferrò un bisturi e procedette con il taglio ma, quasi immediatamente, il corpo della giovane si rivoltò contro di lui.

«Ma che diavolo…»

La lacerazione appena compiuta da Chuck iniziò a richiudersi alle estremità, lentamente, come un fiore che si appresti al riposo notturno.

«Come temevo» sospirò Lucas, scuotendo il capo.

«Che intendi dire?» sbottò il padre, fissandolo in preda alla confusione.

Durante il viaggio verso la clinica veterinaria, Lucas aveva accennato al padre la sua reale natura e, per diretta conseguenza, Chuck aveva imprecato e gli aveva dato del matto.

L’attimo seguente, però, aveva mormorato di alcune favolette raccontategli dalla bisnonna, quando lui ancora era un bambino, e Lucas se n’era stupito enormemente.

Dacché ricordasse Lucas, il padre non gli aveva mai raccontato storie della buonanotte, poiché le aveva sempre ritenute delle assurdità inadatte a far dormire davvero un bambino.

In quel momento, però, si era ricordato delle favole della bisnonna, e di come fossero dannatamente simili alla storia raccontatagli dal figlio.

L’arrivo alla clinica aveva interrotto la loro chiacchierata ma, in quel momento, Lucas tornò sull’argomento e domandò: «La bis-bisnonna Lorainne cosa ti disse?»

«Di non farmi beffe delle leggende, visto che un nostro trisavolo era stato sia un uomo che un lupo, e aveva combattuto le prime guerre contro gli uomini bianchi, quando avevano tentato di conquistare il Nord» brontolò Chuck. «Col senno di poi, avrei dovuto prestarle più orecchio, ma ricordo molto poco delle sue storie. Questo strano comportamento, quindi, è legato a ciò che siete?»

«Mi sono tagliato molte volte con i coltelli, ma le ferite sono sempre scomparse nel giro di pochi minuti…» annuì Lucas, pensieroso. «…mentre Iris porta sul braccio la ferita da artiglio dell’uomo che l’ha trasformata in quello che è adesso. Posso solo dedurne che le normali lame non hanno molto effetto, su di noi, mentre i nostri artigli, sì.»

«Proporresti quindi di…» esalò il padre, sgranando gli occhi per lo sgomento.

Lucas impallidì al solo pensiero di dover usare i propri artigli su Iris ma assentì, mormorando: «La inciderò io e terrò aperto il torace, così che tu possa avvicinarti al cuore e rimuovere il tessuto che sicuramente si sarà già formato attorno al proiettile.»

«Cristo Santo…» gorgogliò l’uomo, prima di annuire freneticamente. «In ogni caso, sbrighiamoci. I suoi valori sono sempre più instabili.»

Lucas assentì e, concentrandosi sul proprio lupo, lasciò che le unghie della sua mano divenissero artigli sotto gli occhi sempre più sconcertati del padre.

L’uomo non disse nulla, e il figlio gliene fu grato, ma Lucas sapeva bene che, presto o tardi, entrambi avrebbero dovuto affrontare una bella chiacchierata.

Deglutendo a fatica, il giovane poggiò quindi l’artiglio sulla ferita a malapena richiusa sul torace di Iris e, facendo forza, affondò nella carne e nell’osso.

Lucas avrebbe rammentato per tutta la vita quella tremenda operazione, la sensazione di tenere letteralmente le mani dentro il corpo di Iris, mentre suo padre incideva il tessuto cicatriziale formatosi accanto al cuore per inglobare il proiettile.

Ore dopo, stremato ma soddisfatto, Lucas si ritrovò a sorridere a un preoccupato Rock che, in piedi accanto a loro, attendeva di vedere Iris per accertarsi che fosse davvero viva.

Quando era stato avvisato di presentarsi alla clinica di Chuck, aveva mollato tutto e si era catapultato a Clearwater come se fosse stato inseguito dai leoni. Simile a un tornado, quindi, si era infilato nel retro della clinica per non spaventare i clienti e lì, pallido e con lo sguardo vacuo, aveva trovato Chuck accanto al tavolo operatorio.

L’uomo l’aveva invitato a raggiungere la vicina sala d’attesa e, nell’entrarvi, Rock aveva visto Lucas in preda a un pianto silenzioso e Devereux impegnato a confortarlo.

Offrendogli un caffè, Rock domandò: «Come ti senti?»

«Meglio. Il cuore di Iris batte regolarmente, anche se non comprendo come abbia potuto sopportare l’operazione» dichiarò Lucas, sorprendendo non poco Rock.

«Che intendi dire?»

«Me ne sono accorto durante l’operazione, annusando l’aria… nel suo sangue non c’era una goccia di anestesia, eppure era incosciente, del tutto distaccata dal suo corpo» gli spiegò Lucas, ancora confuso.

Dev, che sedeva a qualche sedia di distanza nella sala d’attesa, si incuriosì non poco e disse: «Può essere per via di Gunnar, forse.»

«Di chi?» esalarono assieme sia Lucas che Rock.

Dev, allora, spiegò loro ciò che Iris aveva avuto il tempo di raccontargli e Lucas, sgranando gli occhi, gracchiò: «Beh, questa cosa è folle persino per me.»

«Non hai nessuno che chiacchiera nella tua testa?» domandò a quel punto Rock, sorridendo al compagno.

«Direi di no. Quindi, pensi sia stato lui?»

«L’unica che può risponderti è Iris, visto che…» iniziò col dire Dev, prima di bloccarsi – raggelato – non appena udì il grido disperato della giovane provenire dalla sala del post-operatorio.

Come un sol uomo Lucas, Dev e Rock si riversarono nella stanza, trovandovi Iris in preda a violenti brividi e a un pallore spettrale.

«Che le succede?!» sbraitò Devereux, afferrandole le braccia perché non toccasse la medicazione che le copriva la cicatrice lasciata da Lucas.

«E’ il dolore! Non riesce più a sopportarlo, e sembra che la morfina non faccia alcun effetto!» esclamò Lucas, afferrandole le gambe mentre Rock premeva con tutta la sua forza sui fianchi della giovane.

Rock e Dev ebbero circa tre secondi per cantare vittoria, prima di venire catapultati contro il muro della clinica, sbalzati come bambole di pezza dalla forza disumana di Iris.

Lucas non ebbe il tempo di controllare le loro condizioni, perché abbandonare Iris avrebbe voluto dire lasciare campo libero a un licantropo fuori di sé.

Si gettò per questo sul lettino, bloccandole braccia e gambe con le proprie e, ai limiti del pianto, esclamò: «Iris, ti prego, resisti! Mi senti?»

E’ preda di un dolore insopportabile, e la sua lupa grida per uscire. La volontà di Iris è del tutto concentrata sul non farla scappare, sul non mutare forma!

Lucas sobbalzò nell’udire quella voce maschile penetrare nella sua mente e, titubante, domandò: “Sei Gunnar? La sua anima senziente?”

Così è, giovane licantropo.

“Sei tu che hai permesso ad Iris di affrontare l’operazione?”

Così è. Sentivo che, se non fossi riuscito ad allontanarla da quello che stava succedendo, non avrebbe mai sopportato lo shock di ciò che stavate per farle, così l’ho strappata temporaneamente dal piano del reale.

“Lo prenderò per un sì. Ma ora non puoi fare più nulla, per lei?”

Già quel che ho fatto va molto al di là di ciò che potrei fare normalmente. Proseguire oltre le avrebbe impedito di tornare, e sarebbe rimasta in coma fino alla morte. Ora, purtroppo, deve patire i dolori causati dall’operazione, senza nulla che possa alleviarli.

Lucas imprecò tra sé e si maledisse per la propria superficialità.

Essendo sempre stato l’unico mannaro nella sua tranquilla esistenza, e avendo sempre condotto una vita ritirata, non aveva mai sentito l’esigenza di conoscere qualcosa di più su ciò che era.

L’aiuto di sua madre e la presenza di Rock lo avevano fatto sempre sentire appagato, ma era ormai chiaro che le sue lacune erano davvero troppe, oltre che pericolose per tutti loro.

Ciò che era accaduto a Iris, avrebbe potuto succedere a lui in qualsiasi altro frangente. Per un incidente stradale, una brutta caduta nei boschi, per qualsiasi maledetto motivo.

Non sapeva come comportarsi in casi del genere, e questo rischiava di far perdere la vita a Iris, divorata da dolori così lancinanti che persino Lucas stentava a capire come riuscisse a sopportarli.

Quando, poi, iniziò ad avvertire l’aura di Iris farsi sempre più forte e sempre più vibrante, seppe che la lupa stava avendo la meglio.

Se fosse andata avanti così, avrebbe distrutto la clinica unicamente con il potere sprigionato dal suo corpo, esattamente come avevano sperimentato un mese addietro, nella foresta.

«Non lascerò che ti divori, Iris, te lo prometto» mormorò Lucas, chiudendo gli occhi per poi sdraiarsi accanto a lei e tenerla stretta con braccia e gambe.

Con la propria aura inglobò quella della giovane perché non sfuggisse al suo controllo e, poco per volta, i tremori violenti di Iris iniziarono a scemare.

Dev e Rock, in quel mentre, si rialzarono vagamente storditi ma incolumi e, nello scorgere Lucas sul lettino, quest’ultimo domandò: «Sta meglio?»

«E’ allo stremo» mormorò Lucas, preoccupato. «Dev, devi portare qui Chelsey. Iris ha bisogno di un altro lupo, al suo fianco.»

Lui parve restio ad accettare, forse spaventato all’idea di mettere la figlia di fronte a una simile situazione di pericolo ma, dopo alcuni attimi, accettò e si dileguò dalla stanza.

Rock, a quel punto, si avvicinò e disse: «E’ la riprova di ciò che ti ho sempre detto. Devi trasformarmi, Lucas. Non puoi continuare a essere solo.»

«Guarda cosa sta patendo Iris, per via di ciò che le hanno fatto!» protestò Lucas, scuotendo furiosamente il capo. «Non ti condannerò mai a una vita simile!»

«Mi sembra di essere abbastanza sano di mente e di corpo per poter decidere da solo» replicò serio Rock. «Nonna arriverà domani da Blue River e, visto che lei è tutt’ora uno sciamano dei Piedi Neri, le chiederemo ciò che sa. Sono più che sicuro che ci aiuterà. Lei è saggia e sente molte cose che, le persone normali, non avvertono. Così, spiegherai a lei perché ti ostini a non farmi diventare come te. Forse, lei ti crederà… o tu crederai a lei.»

Lucas accennò un’imprecazione, ma non ritenne necessario dire a Rock che non credeva molto a cose del genere.

In quel momento non voleva discutere con il suo compagno e, di certo, non per una motivazione simile. Rock, però, parve intuirlo perché, cocciuto, aggiunse: «Mi darà ragione, una volta saputa la verità. Dovrai rassegnarti, bello mio.»

***

Quando Iris riaprì gli occhi, il dolore che l’aveva ridestata nella clinica e che, per poco, non l’aveva stroncata in pochi istanti, era quasi del tutto sparito.

Sentiva qua e là delle ammaccature di poco conto ma, tutto sommato, era nulla in confronto a ciò che aveva patito – quando? – al suo primo risveglio.

Come ti senti, ora?

“Meglio. Grazie per avermi allontanata. Come hai capito che l’anestesia non avrebbe fatto effetto?”

Ho pensato alla ferita che ti ha trasformato, e ai tagli che ti sei fatta in precedenza, così ho capito che il bisturi non avrebbe permesso al dottore di lavorare su di te. Non era l’arma da taglio giusta. Inoltre, forse tu non te ne sei mai accorta, ma gli analgesici che prendevi ogni tanto per i tuoi dolori mestruali, non facevano mai effetto. Le emicranie e i crampi ti passavano per conto loro, non grazie ai componenti chimici ingeriti, così ho preferito agire d’istinto e fidarmi di quanto avevo capito della tua anatomia complessa.

“Non posso che ringraziarti. Ma cos’era il luogo in cui ci siamo ritrovati?”

E’ il posto in cui risiedo io di solito. Credo si possa definire subconscio.

“Quindi, la mia… essenza, chiamiamola così, si può allontanare dal corpo fisico?”

E’ ciò che stava insegnandoti Clarisse. Se non ho capito male, si chiama meditazione profonda. Portati alle estreme conseguenze, corpo e anima possono scollegarsi per qualche tempo. Ho sfruttato questa possibilità per permetterti di essere operata ma, a un certo punto, ho dovuto farti tornare perché, diversamente, non ti saresti più risvegliata.

“Grazie, Gunnar. Senza di te non sarei sopravvissuta.”

E’ comunque vitale che scopriate qualcosa di più sulla vostra razza o, in un’altra occasione, qualcuno potrebbe morire. Gli spiriti della fanciulla e dell’uomo al tuo fianco sono comuni anime candide, non sono senzienti come me e non sarebbero di alcun aiuto, in un caso simile.

“Fanciulla… e uomo al mio fianco?” esalò Iris, prima di accorgersi dell’effettiva presenza di qualcuno accanto a lei.

Annusando l’aria – visto che erano totalmente immersi nell’oscurità – Iris percepì sia Lucas che Chelsey e, curiosa, se ne chiese il motivo.

Ti hanno vegliato per permetterti di riprenderti dal tuo post-operatorio piuttosto traumatico. A quanto pare le loro auree, combinate con la tua, ti hanno permesso di sciogliere i nodi creati dai recettori del dolore.

“Dovrò sdebitarmi” sorrise tra sé Iris, sollevandosi lentamente per non svegliare i suoi due angeli custodi.

Sgattaiolando fuori dal letto su cui l’avevano sistemata, Iris uscì alla chetichella dalla stanza e solo per trovarsi nel corridoio al primo piano della casa di Dev.

Sorpresa, si guardò intorno come per sincerarsi di non essersi sbagliata, ma gli odori di Chelsey e Dev la investirono di prepotenza, confermandoglielo.

Dabbasso, avvertì la presenza assopita di Clarisse, Chuck e Rock, ma non quella di Dev che, neanche tanto a sorpresa, si trovava – ben sveglio – in cucina, alle prese con un caffè.

Iris preferì non chiedersi quanti ne avesse bevuti.

All’esterno era buio pesto, segno che la notte doveva essere assai profonda. Era passata mezza giornata, quindi, da quando le avevano sparato?

Sì, all’incirca dodici ore, le confermò Gunnar.

Iris si tastò il petto, da cui proveniva ancora il fastidio maggiore. Sollevatasi la maglia del camice chirurgico che qualcuno le aveva fatto indossare, sgranò leggermente gli occhi nel notare la lunga e profonda cicatrice che si trovava sullo sterno.

Appariva rosea e perfettamente sana, ma Iris sapeva bene che sarebbe rimasta lì per sempre, fino al suo ultimo respiro.

Nei due anni in cui era stata un lupo, si era tagliuzzata più volte con i coltelli, e aveva scoperto che quelle ferite in particolare non lasciavano alcuna traccia.

Aveva anche scoperto suo malgrado come l’argento poco andasse d’accordo con lei, dando voce alle antiche leggende sui lupi mannari tanto decantate nei racconti dell’orrore.

Si era così dovuta liberare di gran parte dei suoi gioielli e, a malincuore, aveva dovuto sistemare in un cofanetto gli oggetti della madre, impossibilitata a indossarli.

Quella lacerazione che aveva sul torace, quindi, doveva sicuramente essere stata prodotta da Lucas. Dubitava che il dottor Johnson possedesse strumenti in argento, o che avessero chiesto a Chelsey di squartarla come un pesce.

Il suo stomaco brontolò all’improvviso, spezzando quei pensieri e ricordandole che erano ore che non metteva qualcosa sotto i denti. Sospirando di fronte a tanta insensibile ingordigia, scese a piedi scalzi dalle scale, raggiunse il pian terreno e si avviò verso la cucina.

Seduto al piano bar con una tazza fumante di caffè, Dev quasi lasciò cadere tutto di mano, non appena vide Iris appoggiata al mancorrente e con un mezzo sorriso a illuminarle il viso.

L’attimo seguente, mollò ogni cosa sul ripiano in legno e la raggiunse a grandi passi, esalando: «Ma che ci fai alzata?!»

Lei gli intimò di non urlare, poggiando un dito sulle sue labbra e, sorridendo appena, mormorò: «Sto meglio. Molto meglio. Ma ho fame.»

«Sei… sicura?»

Iris assentì e Dev, lasciandosi andare a un sospiro di sollievo, la strinse a sé in un abbraccio stanco quanto sollevato.

La giovane se ne stupì un poco, ma ne fu lieta. Non era affatto spiacevole quel tepore, così come il profumo che la avvolgeva come una coperta. Fortunatamente, Dev aveva smesso di usare profumi, perché l’odore della sua pelle era dannatamente molto più buono senza aromi artificiali a coprirlo.

Purtroppo, però, l’abbraccio durò fin troppo poco e, quando lui si scostò per accompagnarla in cucina, Iris fu tentata di chiedergli il bis.

La lupa lo desiderava, e un po’ anche la donna.

Nel notare la sua leggera zoppia, però, la sua mente si preoccupò all’istante e, turbata, domandò: «Cosa ti sei fatto?»

«Non te lo ricordi?» le domandò lui, curioso.

Al diniego di lei, allora Devereux replicò: «Ho inciampato nel tuo lettino post-operatorio perché ero mezzo addormentato, così sono capitombolato a terra.»

Mente, borbottò Gunnar. Tu potevi anche essere sconvolta dal dolore, ma io no.

“Oh… e quindi?”

Lo hai sbalzato contro il muro della sala post-operatoria della clinica, quando hai dato di matto e loro hanno cercato di calmarti.

A quell’accenno, Iris sgranò gli occhi e impallidì di colpo, portando Dev a esalare: «Cristo, non mi svenire, eh?!»

Una lacrima rabbiosa si insinuò tra le palpebre socchiuse di Iris che, stringendosi le braccia al petto, mormorò furiosa: «Non devi mai metterti in mezzo, quando un licantropo non si controlla, Dev!»

«Come? Che cosa…» cominciò col dire l’uomo prima di fissarla malissimo e borbottare: «Ehi, di’ un po’, coso là dentro! Finiscila di fare le spiate! Non è necessario che la tua padroncina sappia proprio tutto!»

Coso, a chi?!, ringhiò Gunnar nella mente di Iris.

“Buono, a cuccia… non ho bisogno anche di un mal di testa. Lo sai che Devereux fa così. Ormai dovresti averlo capito, no?”

Non è detto che mi piaccia, però…

Sedendosi al tavolo, Iris sospirò e disse: «Non farlo più, per favore.»

Dev non le rispose, però, limitandosi a consegnarle una tazza enorme di cioccolata calda e dal profumo inebriante.

Lei la accolse con un sorriso, mentre l’uomo metteva a scaldare una padella per prepararle un hamburger.

«Grazie per aver permesso a Chelsey di aiutarmi.»

Lui scrollò le spalle noncurante ma, qualche istante dopo, si volse a mezzo per dirle con tono estremamente serio: «Mi hai salvato la vita. Mi sembrava il minimo.»

«Sai, credo che in effetti quella pallottola fosse destinata a te, e non a me» dichiarò Iris, sorprendendolo un poco.

«Da cosa lo deduci?»

«Se mi avesse voluta morta, avrebbe continuato a spararmi, una volta avermi centrato col primo sparo, invece è scappata in preda al terrore, lasciando…» disse Iris, prima di spalancare gli occhi e aggiungere: «Ha lasciato cadere il fucile sul colle da cui ha sparato!»

Dev a quel punto assentì, dichiarando: «Subito dopo avervi portati qui, ho mandato Chuck e Rock a controllare il punto da cui presumevo fosse partito il colpo, e hanno effettivamente trovato un fucile. Lo hanno imbustato, e ora si trova nelle mani del comandante Rochester.»

Iris sgranò gli occhi, a quella notizia, ed esalò preoccupata: «Cosa… cosa gli avete raccontato?»

«Che sei stata ferita di striscio a una spalla, e che Chuck ti ha curata direttamente al camping, visto che il taglio era lieve. Dovrai solo mettere una fasciatura posticcia, quando parlerai con Rochester» le spiegò Dev, il volto ridotto a una maschera di gelo.

«Devereux…» tentennò Iris, non sapendo come interpretare quello sguardo.

«Sei quasi morta, in clinica e, quando ti sei risvegliata, urlavi come se ti stessero squartando un pezzetto alla volta…» sibilò Dev, passandosi una mano sul viso per il nervosismo e la rabbia. «…perciò, stavolta, non venirmi a dire che non devo sentirmi in colpa, è chiaro?!»

Iris lasciò perdere la cioccolata e raggiunse subito Devereux. Spense il fuoco sotto la padella per non bruciare la carne, ormai dimenticata, e strinse in un abbraccio l’uomo, mormorando: «Sei arrabbiato, e lo sono anch’io, ma non penserò mai che sia colpa tua. Mai

Poggiando il capo sul torace di Dev, Iris ne percepì il battito frenetico, l’adrenalina nel sangue, la paura che ne irrigidiva i muscoli e, stringendo ulteriormente, aggiunse: «Sono viva, okay? Viva

Lui replicò finalmente alla stretta e, tremando per l’eccessiva tensione accumulata, mormorò: «Solo per puro caso, … Cristo, senti qua! Sei pelle e ossa…»

«Temo che il mio chilo e mezzo recuperato tanto a fatica, sia andato perso tutto oggi» cercò di ironizzare Iris, scostandosi delicatamente da lui.

Dev guardò l’hamburger, scrutò lei e infine dichiarò lapidario: «Credimi. Riuscirò a farti ingrassare. Fosse l’ultima cosa che faccio.»

Stranamente, trovò quella frase così assurda la più bella che avrebbero mai potuto dirle perciò, annuendo, tornò a sedersi al tavolo mentre Dev si impegnava ai fornelli.

Era davvero strano come potesse manifestarsi l’affetto, ma Iris era sicura che quello lo fosse, sincero e disinteressato. Perciò, bellissimo.





N.d.A.: Iris è salva, ma sicuramente non dimenticherà mai ciò che le è successo. Anche per questo, scoprire chi realmente sono, diventa sempre più impellente e Lucas, che si è tenuto "nascosto" fino a ora, credendo che potesse bastare, comprende il suo errore e le limitazioni di ciò che non ha compiuto fino a quel momento.
Devereux, a sua volta, rimane scioccato da ciò che è accaduto, e la vista di Iris ferita lo colpisce nel profondo. La sua decisione di "metterla all'ingrasso" sarà solo dettata dal desiderio di saperla in salute, o nasconderà altro?
Alla prossima, per le nuove scoperte dei nostri amici!

 

  
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